Il baco del nuovo millennio: in Veneto le imprese riaprono le filande

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Il baco del nuovo millennio: in Veneto le imprese riaprono le filande
 Il cielo sopra San Marco di Barbara Ganz
6 MARZO 2015 - 14:12
Il baco del nuovo millennio: in Veneto
le imprese riaprono le filande (e la
prima seta è finita in gioielli e
cosmetici)
A Villiago, provincia di Belluno, Veneto Agricoltura (l’agenzia di studio e ricerca in agricoltura della Regione Veneto), ha
messo a dimora un gelseto che occupa lo spazio di un ettaro. Una piantagione di 2.600 gelsi si aggiunge alle altre
centinaia di piante regolarmente potate e sparse tra la Valbelluna, la provincia di Treviso e quella di Vicenza. La
prospettiva è di arrivare a 2.500 chilogrammi e a un centinaio di telaini (ognuno contiene 20mila larve di baco) per le
richieste provenienti dal settore farmaceutico, della moda, della gioielleria, dall’arredamento.
Giampietro Zonta, titolare della D’Orica di Nove, Vicenza, per
primo ha messo al lavoro la creatività, e in qualche modo ha
aperto una strada: «Mia moglie, che in azienda è la creativa, ha
ideato un gioiello con del tessuto di seta, il più pregiato. Ho
chiesto: dove si compra della seta veneta? Impossibile, mi
hanno risposto». Ma impossibile non era.Facile, francamente,
nemmeno: «Ho trovato una vecchia filanda chiusa da decenni, a
Castelfranco Veneto, l’abbiamo acquistata e rimessa in
funzione».
La sua potrebbe non essere l’unica acquisizione di una
vecchia filanda a scopo produttivo. I bachi sono selezionati
dal Cra (Centro ricerche agroalimentari) di Padova, l’unico
centro nel suo genere in Europa occidentale che ancora
custodisce le uova: «I bachi italiani sono scomparsi per due
motivi: i pesticidi in agricoltura e la scarsa resa che non rendeva
conveniente l’attività. Ma ora è diverso: ora che il monopolio
cinese decide i prezzi e la qualità, spesso scadente, della seta
destinata all’Europa, c’è margine per immaginare una filiera
della seta italiana. Una filiera etica, che riconosca il giusto a
chi ci lavora», spiega.
Attualmente i bachi in Veneto sono allevati da tre cooperative
sociali (due trevigiane, una bellunese) che si occupano
anche di coltivare i gelsi e danno lavoro a persone disabili o
in difficoltà.
Oggi, 6 marzo, del futuro della seta si parla nel convegno
organizzato da Donne Impresa di Coldiretti per rilanciare la
bachicoltura in Veneto, intitolato “La bellezza appesa ad un filo di
seta” (alle 15 nell’ex Filanda Motta di Campocroce di Mogliano
Veneto). Qui sarà anche presentata la prima collezione di
bracciali e collane realizzate in seta e materiali preziosi made in Vicenza.
Le imprenditrici di Coldiretti tornano così a occuparsi di antichi mestieri, di paesaggio rurale, del business della
tradizione, e anche di solidarietà. Perché «se i bachi hanno ricominciato a produrre le prime matassine di seta è merito
di alcune cooperative sociali agricole che hanno allevato nuovamente i noti “cavalieri” e che stanno tessendo una vera e
propria filiera solidale-economica nel territorio» dicono alla Uecoop l’associazione di rappresentanza della
cooperazione promossa da Coldiretti, 80mila imprese iscritte, di cui il 30% femminile.
Sul progetto sono state coinvolte istituzioni regionali, le scuole del territorio e le altre organizzazioni di categoria.
Ritornare a parlare di allevamento di bachi per la produzione di seta veneta significa riattivare un intero sistema che
parte dal primario e congiunge l’abilità dell’artigiano, l’industria tessile del ‘made in italy’, la
commercializzazione di prodotti ‘doc’ che abbinano arte e tutela ambientale.
«Non è un caso se si bachi son tornati a fare il bozzolo dopo mezzo secolo – spiega la responsabile Franca Castellani. –
Sicuramente l’equilibrio naturale è stato ripristinato dopo un lungo black out – continua – Salvati i cavalieri da una
possibile estinzione ora è anche il momento di pensare a risparmiare da un destino simile i gelsi. La pianta che dà le
foglie alimento principe delle nobili larve è stata sull’orlo dell’oblio e ora potrebbe tornare in auge con impianti
sovvenzionati da finanziamenti europei che sostengono la forestazione o la biodiversità. La strategia va studiata con una
rete di persone di buona volontà – insiste Franca Castellani – non serve certo un premio Nobel dell’economia, basta
essere capaci di vedere più in là del proprio naso».
Con quali prospettive di mercato?
Il primo quantitativo prodotto è stato destinato a ditte
sanitarieper la cura (una ditta di Brescia dai bozzoli tagliati
ottiene un prodotto naturale per la pulizia della pelle) e
trattamenti per il corpo, una parte è stata acquistata dal
laboratorio orafo e il restante è stato impiegato da
un’azienda per accessori d’arredamento o imbottiture. La
prospettiva per il 2015 – dicono i protagonisti della rete per la
rinascita della via della seta- è di arrivare a 2.500 chilogrammi e
ad un centinaio di telaini per le varie richieste provenienti dal
settore
farmaceutico,
della
moda,
della
gioielleria,
dall’arredamento. In termini di comunicazione commerciale
poi il poter parlare di prodotti 100% italiani compresa la
materia prima “seta” potrebbe rivelarsi una strategia
vincente sui mercati internazionali.
Lo sanno bene ad esempio le pecore nere, italianissime, che
stanno cercando di ridare vita a una filiera tutta italiana della
lana. Intanto, gli antichi saperi saranno raccolti in un libro
(sponsor FriulAdria Credit Agricole) che sarà diffuso nelle
biblioteche e negli istituti scolastici affinchè le nuove generazioni
possano farsi affascinare da una storia senza tempo.
(Le foto sono di © D’orica)
http://barbaraganz.blog.ilsole24ore.com/2015/03/06/il-­‐baco-­‐del-­‐nuovo-­‐millennio-­‐in-­‐veneto-­‐le-­‐imprese-­‐riaprono-­‐le-­‐
filande-­‐e-­‐la-­‐prima-­‐seta-­‐e-­‐finita-­‐in-­‐gioielli-­‐e-­‐cosmetici/