AVERE UN GENITORE IN CARCERE

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AVERE UN GENITORE IN CARCERE
PROSPETTIVE E STUDI
Notiziario 1991
AVERE UN GENITORE IN CARCERE
Le difficoltà di adattamento dei figli dei detenuti. Il grave rischio di percorrere la stessa strada dei
genitori. Il trauma dei piccoli al di sotto dei 3 anni incarcerati con la madre. Un mondo "a rischio" di cui
anche il Parlamento europeo sta occupandosi.
Il problema del carcere è negli ultimi anni salito alla ribalta della opinione pubblica, dopo essere
stato "rimosso" dalla coscienza collettiva per un periodo lunghissimo della sua storia: se però interesse, o
polemica, suscita la sorte di chi con la prigione sconta vicende di cui è responsabile (salvo i casi delle
carcerazioni "ingiuste", verso le quali pure si è attirata con clamore la giusta attenzione della opinione
pubblica) non si pensa mai alla "ingiusta" sofferenza inflitta ai familiari di chi è detenuto. Soprattutto ai
figli minori.
Le colpe dei padri, in questi casi, ricadono sui figli. Se è giusto, e comunque non si sono trovate
fino ad ora altre soluzioni di difesa sociale, "espropriare", "sequestrare" la libertà a chi si è reso colpevole
di delitti (anche se a tale pena dovrebbe ricorrersi solo nei casi più gravi), non si considera a sufficienza – e
comunque non vi è nessuna particolare iniziativa istituzionale – il danno conseguente che deriva dalla
carcerazione di uno o più genitori sui figli minori.
Il fenomeno che riguarda la condizione dei minori con uno o entrambi i genitori detenuti, pur
facendo parte di un gruppo ad alto rischio ambientale, viene quindi scarsamente considerato e ciò appare
piuttosto inesplicabile, se si tiene conto che è questo un momento della nostra storia sociale e culturale
denso di interesse per i problemi sociali ed in particolare per i problemi che riguardano la salvaguardia
dello sviluppo dei minori. Che i minori con genitori detenuti rappresentino un "gruppo a rischio" è
evidente secondo la tipica definizione di rischio "ambientale" (TJOSSEM T.D.; Intervention strategies for
high risk infants and joung children, Univ. Park Press, Baltimora, 1976). Chiunque pratica peraltro il
contesto penitenziario sa che è altissimo il numero di soggetti in carcere che vengono da famiglie con
esperienze di carcerazione. Nel Convegno di studi di Sirmione del 1987 sulla più complessa tematica del
bambino a rischio, nella relazione "Il problema dei figli con genitori detenuti" gli autori ebbero modo di
evidenziare quanto il numero dei minori con la madre detenuta fosse più alto di quanto fosse lecito
pensare. Tale studio, sia pure con i limiti che ha presentato il rilevamento, ha mostrato come i minori con
la madre in carcere siano sicuramente un numero degno di attenzione e che sino ad ora si sia poco studiato
e considerato questo aspetto, nonostante appaia chiaro quanto possa incidere sullo sviluppo potenziale di
questi minori lo stato di detenzione della madre.
I dati a cui si fa riferimento sono stati elaborati dal C.E.D. (Centro elaborazione dati) della Direzione
generale Istituti di prevenzione e pena e sia pure per difetto, ci hanno potuto offrire una serie di
osservazioni che sembrano confermare l'entità numerica della popolazione di minori con uno o entrambi i
genitori detenuti. Tale indagine ha evidenziato infatti, che ad un rilevamento eseguito su un campione di
detenuti presenti al 31 dicembre 1986 vi erano circa 6.000 minori con il padre detenuto e circa 600 minori
con la madre detenuta (classe d'età considerata 18-35 anni). Negli ultimi tempi i numeri sembrano essersi
ridotti a circa 5.300 minori figli di padri detenuti mentre sembra rimanere costante il numero dei minori
con madri detenute (circa 600).
Occorre considerare che i dati a cui si è fatto cenno riguardano un rilevamento a campione sulle
presenze ad una determinata data. Ciò vuol significare che il numero dei minori coinvolti è sicuramente di
gran lunga maggiore anche in considerazione di due elementi che riguardano la specificità della
popolazione femminile detenuta quali: a) la sua estrema mobilità correlata con una detenzione media di
gran lunga minore a quella maschile; b) la non completa attendibilità dei dati riguardanti il numero dei figli
dichiarati in quanto non sono poche le detenute che preferiscono non dichiarare i figli per evitare interventi
delle Autorità competenti sulla tutela dei minori.
Il numero dei minori coinvolti "innocentemente" nella situazione di detenzione dei genitori appare
dal punto di vista della prevenzione sociale sicuramente degno di massima attenzione anche perché spesso
non vi è l'altro coniuge (perché detenuto o per altri motivi) che fa da filtro tra la madre ed i figli. Questi
ultimi, sovente affidati a parenti, a estranei o a istituti dal Tribunale per i minorenni, vivono in modo
straordinariamente frustrante la detenzione della madre se ne sono a conoscenza, o il distacco da lei
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percepito come abbandono, se non ne sono stati informati. Il problema del rapporto con i figli è
indubbiamente il più sentito tra le detenute.
Con i limiti presenti in una sintesi, si possono indicare tra i punti più rilevanti: 1) il timore che la loro
condizione di detenute comporti l'allontanamento dei figli perché dati in affidamento ad altre famiglie; 2)
la paura di essere viste dalla prole nella situazione detentiva, soprattutto se si prevede una detenzione di
breve durata; 3) l'angoscia del rifiuto da parte dei figli una volta tornate libere.
Tra le detenute "politiche" poi è vivo l'interesse per la progettazione di una maternità durante la
detenzione quasi sempre molto lunga. Si ha la sensazione che in questo vi sia un desiderio di proiezione
nel futuro e di attaccamento alla vita attraverso il bambino, in una situazione in cui diviene predominante il
senso della "sospensione del futuro" rispetto alla vita sia civile che affettiva all'esterno. Problema non
meno importante e di attuale rilevanza appare quello delle detenute tossicodipendenti sieropositive con a
loro volta figli sieropositivi. Pur se molto circoscritto quantitativamente (almeno nelle strutture carcerarie),
se il trend di incremento permane come quello rilevato al Congresso Mondiale AIDS di Montreal (giugno
1989), occorrerà che il servizio Sanitario Nazionale ed il Ministero di Grazia e Giustizia, in collaborazione
con tutti gli Enti governativi e non, approntino dei protocolli specifici. Occorre infatti tener conto che
l'Italia sembra essere tra i paesi con un maggior numero di bambini sieropositivi, i cui genitori sono in
percentuali altissime tossicodipendenti e quindi appartenenti ad una popolazione ad alto rischio di devianza
e di controllo sociale.
Ulteriori approfondimenti sia pure non sistematici, hanno mostrato come sia difficile poter avere dei dati
riguardanti la condizione dei minori con genitori detenuti; in realtà le Agenzie sociali che possono essere a
conoscenza delle situazioni sono molto poche, ed il Tribunale per i Minorenni sembra intervenire più per
accentuare la situazione di separazione (esso spesso viene considerato dai detenuti, specie donne, come un
avversario di cui non ci si deve fidare), piuttosto che come un organismo che tutelando il minore, ipotizzi e
proponga delle soluzioni che possano ridurre i disagi derivanti dalla reclusione del genitore o dei genitori.
Del resto si incontrano notevoli difficoltà ad avere informazioni riguardanti il come la madre è stata
arrestata, di come il bambino (se al di sotto dei tre anni) l'ha seguita in carcere, di come gli è stata spiegata
e motivata la detenzione della madre, né si conosce in che modo vene risolto il problema dell'affidamento
del bambino durante la stessa detenzione. Pur consapevoli che la condizione di detenzione risulta
comunque deleteria e penalizzante per la condizione dei minori con dei genitori detenuti, occorre
comunque che vengano ipotizzati, studiati, proposti e verificati nel tempo programmi possibilmente
differenziati che abbiano come obiettivo primario la prevenzione di un disagio nel quale ambiente e stato
psicologico sono talmente intrecciati che è più semplice osservare, per il ricercatore, gli effetti
predominanti dell'uno o dell'altro che tentare delle differenziazioni che nei fatti appaiono difficilmente
realizzabili.
D'altronde sempre maggiormente e grazie anche agli studi specifici della psicologia di comunità, si
riconosce nel disagio psicologico individuale e/o familiare una matrice anche sociale. Per questo è sempre
più chiaro che, specie a livello di prevenzione, più e meglio si è in grado di agire sul contesto ambientale
che può generare disagio, e maggiori sono le possibilità che gli individui siano in grado di trovare in sé la
capacità di elaborare e far fronte alle situazioni di frustrazione. Tali osservazioni, pur importanti come
assunto culturale, appaiono di difficile applicazione nella situazione di carcerazione, in quanto nella realtà
non è così semplice definire quale sia il contesto più "sano" per il bambino rispetto alle "reali" alternative
che risultano essere tali spesso solo in teoria. Infine, anche riguardo alle ex detenute, non sembra che gli
Enti locali abbiano avuto modo di intervenire se non in forma sporadica a livello locale, un sistema poi
lasciato alla buona volontà e spontaneità dei singoli operatori.
Sarà opportuno rivedere le competenze che sono state affidate ai Servizi Materno-infantile delle
UU.SS.LL., dando loro delle competenze operative di tipo Dipartimentale o Distrettuale. Ciò
permetterebbe di poter avere (per il familiare, gli operatori dei singoli servizi, ecc.) un punto di riferimento
a cui è demandata la possibilità di coordinare i diversi interventi che potrebbero risultare necessari nel
tempo. Un tale coordinamento darebbe il vantaggio di non disperdere energie in trafile burocratiche e
verifiche di competenze che spesso una volta chiarite non sono più valide essendo trascorso troppo tempo
rispetto ai bisogni ed alle necessità dell'utente. Non meno importante potrebbe poi risultare il necessario
follow-up che ci permetterebbe di verificare la rispondenza degli interventi e di modificare i programmi in
funzione di un miglioramento della qualità del servizio prestato.
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Tali sintetiche considerazioni relative ad una carenza di coordinamento, paiono comunque
evidenziare la difficoltà di conoscere (prima ancora di poter ipotizzare dei possibili interventi) il mondo dei
minori se non "troppo tardi", quando cioè essi sono già vittime di situazioni affettivamente carenti. Il
carcere del resto si trova ad essere una struttura che, senza la disponibilità dell'Ente locale a realizzare una
rete di interventi che, iniziata nel periodo della carcerazione deve continuare nel tempo, ha ben poche
possibilità, se non parziali e contingenti, di ridurre le situazioni di disagio che possono portare a forme
diverse di maltrattamento minorile. Lavori compiuti da diverse Fondazioni di ricerca statunitensi hanno
mostrato che i costi sociali per mancati programmi di prevenzione risultano essere estremamente più cari
per la società stessa sia per costi di vite umane (violenza) sia per l'aspetto epidemiologico del disagio.
Da qualche anno si è faticosamente affermata una politica di riduzione dell'applicazione del carcere e di
ampliamento del ricorso a misure penali in ambiente libero. Di fondamentale importanza nella riforma
penitenziaria si profilano infatti le misure alternative alla detenzione nella forma della semilibertà,
dell'affidamento in prova al servizio sociale e della detenzione domiciliare. I dati disponibili
sull'approvazione di tali misure anche in questo caso non risultano disaggregati per sesso e quindi non si
può fare un quadro esatto della situazione. Ad esempio, però, per affidamento in prova sono uscite dal
carcere nel 1985 e 1986 rispettivamente 98 e 166 detenute.
Sembra in atto quindi un sensibile incremento nell'applicazione di tale misura alternativa. Tra gli
altri motivi di dimissione dal carcere per le donne, sembrano numericamente più rilevanti la sospensione
condizionale della pena, che comunque è meno adottata negli ultimi due anni, e la sospensione della sua
esecuzione. Un accenno merita, inoltre, la misura degli arresti domiciliari, alternativa alla custodia in attesa
di giudizio, introdotta con Legge n. 532/1982 e modificata dalla Legge n. 398/1984. Negli anni 1985 e
1986 vi è stata una progressiva utilizzazione di questo istituto assai efficace per le imputate madri e per
quelle tossicodipendenti. Per le misure sostitutive, previste dalla Legge n. 689/1981, si hanno purtroppo
dati disaggregati per sesso, se non per la libertà controllata, istituto di limitata applicazione.
Lo stesso dicasi per le misure previste dalla Legge 663/1986, tra le quali di interesse è la detenzione
domiciliare. Risulterebbe particolarmente utile sapere sulle 425 concesse quante lo siano state a detenute.
Tale ultima misura è specificamente rivolta, tra l'altro, a donne detenute che abbiano figli minori fino a tre
anni. Occorrerebbe forse estendere la gamma di applicazione di tale misura: per le madri con bambini in
età evolutiva e non solo fino a tre anni, infatti, la detenzione domiciliare potrebbe rappresentare una
alternativa alla pena della reclusione, ottimale per sé e soprattutto per i figli minori. Il problema non è tanto
e solo quello della riforma di un simile istituto, quanto piuttosto quello della sua corretta esecuzione e del
potenziamento del servizio sociale in modo che questi possa svolgere i suoi interventi adeguatamente.
Il Parlamento europeo si è di recente interessato della problematica dei figli minori dei genitori
detenuti con uno studio della Commissione dei diritti della donna (Doc. A2-51/89/Parte B) del 31 marzo
1989. Due proposte di risoluzione sono state presentate, una da Vera Squarcialupi "sui bambini che vivono
in ambiente carcerario con la madre detenuta e sulle visite dei minori ai genitori detenuti", e l'altra, di
Llorca Vilaplora "sulla situazione delle detenute, madri di figli minori"
Nelle due risoluzioni si auspica l'approfondimento della tematica dei problemi connessi nelle
esperienze detentive dirette e indirette dei minori, mai approfondite sufficientemente, e si invitano gli
organi europei a intraprendere le iniziative idonee a promuovere una evoluzione parallela e omogenea delle
legislazioni nazionali e dei regolamenti penitenziari che tengono conto dei diritti dell'uomo e delle regole
penitenziarie di trattamento.
Fioriscono, in Europa, le iniziative di riflessione sull'argomento: il 28 giugno, a Londra, la Howard
League, antica associazione britannica per la riforma delle prigioni, organizza un colloquio su Women and
children in prison, l'Italia non è estranea a questo movimento: è in corso una complessa ricerca, affidata
dal Ministero di Grazia e Giustizia all'Istituto di ricerca scientifica ospedaliero "Bambino Gesù", la prima
di questo tipo in Europa, sulla problematica dei minori figli di detenuti, in particolare sugli effetti della
"prisonizzazione" sui bambini fino a tre anni che l'attuale normativa penitenziaria consente alle madri di
tenere con sé in carcere.
Gianni Biondi e Luigi Daga
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