La lingua hittita oggi: stato delle ricerche, problemi attuali e

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La lingua hittita oggi: stato delle ricerche, problemi attuali e
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La lingua hittita oggi: stato delle ricerche, problemi attuali e strumenti di
lavoro
Massimiliano Marazzi - Università degli Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli
0. Premessa
Una presentazione dello stato degli studi sulla lingua hittita che tenga effettivamente conto di
tutti gli aspetti della ricerca risulta quanto mai difficile non solo in ragione della enorme mole di
contributi che ne hanno caratterizzato gli sviluppi in quest’ultimo decennio, ma anche e
soprattutto per la complessità (e spesso per l’ambiguità) che i dati oggi a disposizione presentano.
Di qui la scelta di costruire una rassegna che sia in primis informativa dello stato degli studi, a
cominciare dagli strumenti di lavoro a disposizione, e delle tendenze che si sono andate
evolvendo all’indomani di una serie di contributi fondamentali, pubblicati soprattutto negli anni
’70, che hanno avuto essenzialmente il merito di dare alle testimonianze documentarie hittite uno
spessore diacronico e di permetterne quindi una lettura storica.
Essa fa seguito a un precedente lavoro (Marazzi 2002), cui si rimanda per un’informazione più
dettagliata relativa agli studi sviluppatisi nel settore hittitologico nella seconda metà del secolo
scorso.
1. Strumenti di lavoro
1.1. Le grammatiche e le opere di sintesi
A fronte dell’unica grammatica di base pubblicata, nella sua seconda edizione, da J. Friedrich nel
1960, seguita nel 1969 dalla più ampia trattazione sulle lingue anatoliche del II millennio, edita
nello Handbuch der Orientalistik da A. Kammenhuber, e dalle due brevi grammatiche comparate
delle lingue anatoliche di B. Rosenkranz e P. Meriggi della fine degli anni ’70 (rispettivamente
1978 e 1980), si dispone oggi di una serie alquanto ricca e varia di opere generali di diversa
ampiezza e spessore, ma tutte estremamente stimolanti.
Quadri di sintesi, dedicati in generale alle lingue del gruppo anatolico, o più specificamente allo
hittita, sono comparsi a cominciare dalla metà degli anni’90 a cura di C. Melchert (1994a e
1995), S. Luraghi (1997a, edizione in lingua inglese 1998), all’ultimo C. Watkins (2004).
Nel 1997 la stessa S. Luraghi (1997b) pubblicava, per la serie Languages of the World, un’agile
manuale in lingua inglese sulla lingua hittita, avente il pregio di recepire pienamente le nuove
tendenze di ricerca e, prima fra tutte, quella di una recuperata profondità diacronica delle
manifestazioni documentarie cuneiformi e di un diverso approccio ai problemi della sintassi.
Più tradizionale per impostazione e con un taglio preminentemente didattico, ma egualmente
attenta alle nuove prospettive di studio diacronico, soprattutto nell’ambito della morfologia
nominale, è stata la grammatica pubblicata in lingua italiana qualche anno dopo (2005) da R.
Francia.
Complesso si presenta, invece, il progetto di S. Vanséveren di un “Manuel de la langue hittite”,
previsto in 2 volumi, dei quali il primo, riguardante l’inquadramento generale della lingua, la
fonologia e la morfologia nominale, è comparso nel 2006. Il lavoro, infatti, pur mantenendo un
taglio di fondo didattico (come confermano le ampie sezioni dedicate ai problemi della scrittura
con il ben costruito segnario alla fine del volume), presenta un’impostazione preminentemente di
carattere indoeuropeistico, come si evidenzia dall’attenzione dedicata sia ai problemi fonologici
(con ricca documentazione di riferimento), sia alla formazione nominale e alla definizione
“etimologica” dei morfemi della flessone nominale stessa. Si rileva, tuttavia talvolta una certa
ambiguità fra quanto si debba intendere come riferibile a un parametro linguistico
“protoanatolico” ricostruito e quanto invece debba essere riferito a una postulata fase
indoeuropea comune. Inoltre, proprio nella definizione delle dimensioni della flessione
nominale, le categorie di genere e numero, così come il sistema dei casi mancano quasi
completamente della necessaria articolazione diacronica all’interno delle diverse fasi oggi
chiaramente individuate nell’ambito dello sviluppo della lingua hittita. Una valutazione
equilibrata dell’opera non è possibile al momento, mancando la morfologia verbale e l’intera
sezione della morfosintassi, previste nel secondo volume ancora in fase di preparazione.
A parte due presentazioni della lingua hittita consultabili nel WEB, curate rispettivamente da O.
Lauffenburger (Hittite Grammar, in lingua inglese e
francese, www.premiumwanadoo.com/cuneiform.languages/index_en.php?page=accueil) e S.E.
Kimball,. W.P. Lehmann e J. Slocum (Hittite Online, Linguistic Research
Center, www.utexas.edu/cola/centers/lrc/), di impostazione completamente diverso è invece il
recentissimo contributo di E. Rieken contenuto nell’opera collectanea sulle lingue dell’Antico
Oriente curata da M.P. Streck per la classica collana dei manuali di linguistica della
Wissenschaftliche Buchgesellschaft di Darmstadt (3^ edizione del 2007).
Pur nella sua schematicità (50 pagine ca.), quindi senza la pretensione di assumere il ruolo di una
vera e propria grammatica di base, tale contributo rappresenta oggi forse il quadro più completo
ed equilibrato nell’ambito delle presentazioni dello stato delle conoscenze dello hittita. Esso
coniuga, infatti, una precisa e puntuale descrizione filologica con una equilibrata valutazione
rispetto alla collocazione della lingua hittita nella famiglia indoeuropea. Presenta, inoltre, il non
comune pregio di individuare, per molte peculiarità di tipo morfosintattico, il carattere “in
progress” della documentazione in nostro possesso, riflesso cioè di uno stato di lingua in fase di
cambiamento e quindi con manifestazioni, a livello di “lingua scritta” (tutta, per altro,
proveniente dalle cancellerie regie), spesso apparentemente contraddittorie.
Un discorso completamente a parte merita, invece, l’ultima e forse più impegnativa opera sulla
lingua hittita: la grammatica pubblicata nel 2008 da H. Hoffner e C.Melchert (una sintesi sulla
sola morfologia è stata offerta parallelamente in Melchert 2007a). Si tratta di un imponente
lavoro (ca. 500 pp., in lingua inglese, corredate da un fascicolo didattico a parte, di 75 pp.,
articolato in 14 lezioni per l’autoapprendimento) destinato certamente a rappresentare per gli anni
a venire la grammatica di riferimento par excellence. Punto di forza è certamente rappresentato, a
prescindere dall’ampiezza con la quale sono sviluppate le diverse parti che la compongono, dal
sapiente equilibrio con il quale sono coniugati necessità didattiche e approfondimento scientifico,
come testimoniato, ad esempio, dal capitolo riguardante uno dei problemi più delicati, quello
relativo al rapporto fra ortografia e fonologia.
Tutti i problemi più attuali, soprattutto per quanto concerne le categorie che caratterizzano la
morfologia sia nominale che verbale (genere, numero, tempo, aspetto, Aktionsart etc.) sono
ampiamente dibattuti e, soprattutto, sempre inseriti in quella prospettiva diacronica che, come si
diceva inizialmente, rappresenta l’elemento nuovo della ricerca hittitologica: la lingua hittita, pur
con le limitazioni dovute alle peculiarità della documentazione testuale che la rappresenta, non
può più essere affrontata come blocco monolitico invariato e invariabile durante il ca. mezzo
millennio di sua attestazione.
Va però rimarcato come, a fronte della completezza e del dettaglio degli argomenti trattati e della
giusta impostazione “storica” della descrizione dello stato di lingua, alcuni punti cruciali della
discussione in atto siano presentati in forma poco critica. Questo riguarda essenzialmente la
definizione della categoria “genere”, automaticamente identificato (con importanti conseguenze
sotto il profilo morfosintattico) con quella di “animatezza” (non corrispondente, quindi,
all’originale bipartizione di F. Starke1977 in “Personenklasse” e “Sachklasse”) e la definizione di
un vero e proprio “caso ergativo” proprio della declinazione dei sostantivi neutri (identificati
tout-court con la categoria degli “inanimati”) nel caso in cui questi vengano a svolgere funzione
di soggetto di verbo transitivo.
Si tratta certamente di problematiche molto dibattute, che vedono ampie disparità interpretative, i
cui termini si sarebbero dovuti certamente specificare in forma più ampia e dettagliata
nell’economia di un’opera che, soprattutto sotto il profilo didattico, rappresenterà per molti anni
ancora la grammatica più completa della lingua hittita.
Tutto sommato, attraverso la lettura delle diverse sezioni delle opere più recenti fin qui ricordate,
e i riferimenti bibliografici in esse contenuti, è possibile ottenere un quadro informativo
sostanzialmente completo sullo stato delle conoscenze oggi in nostro possesso per quanto
concerne l’aspetto “sistemico” della lingua hittita.
Diversamente stanno le cose per quanto concerne le opere di sintesi critica sotto il profilo della
sua storia, dei supporti e generi scrittorî, delle procedure di conservazione e tradizione testuale,
delle possibili articolazioni in senso politico-sociale all’interno del panorama geolinguistico
dell’Anatolia della seconda metà del II millennio a.C.
A parte i riferimenti bibliografici rintracciabili al margine delle opere di carattere grammaticale o
nelle diverse sezioni del nuovo Portale dedicato agli studi hittitologici (www.hethiter.net, in
particolare le sezioni sulla “hethitische Bibliographie”, “Systematik zur hethitische
Bibliographie” e “kritische Bibliographie der Lexikographie des Hethitischen”), la conoscenza
rimane frammentata in una serie di contributi specifici, spesso di non facile rintracciabilità e,
soprattutto, valutazione per il non addetto ai lavori. Manca, insomma, ancora una “storia della
lingua hittita” intesa nel senso più ampio del termine; e questo (come si vedrà meglio più avanti)
va, almeno in parte, imputato da un lato al fatto che quella profondità diacronica delle
testimonianze documentarie, di cui si è già più volte fatto cenno, è acquisizione ancora troppo
recente per essere proiettata dalla specificità delle singole tematiche all’ampiezza di una
ricostruzione linguistica globale; dall’altro alla fluidità che ancora caratterizza la conoscenza di
quegli aspetti che potremmo definire “paralinguistici” (come l’organizzazione e la trasmissione
del testo scritto, lo sviluppo stesso di una cultura letterata e l’effettiva diffusione e competenza
dei parlanti hittita), ma che sono imprescindibili per una ricostruzione che abbia dignità storica.
Il recentissimo lavoro (2008) di M. Popko sui gruppi linguistici e i popoli dell’Anatolia, anche
per il fatto di essere dedicato all’insieme delle lingue dell’Anatolia preclassica, rimane a un
livello alquanto generalistico e, soprattutto, di impostazione tradizionale. Così pure l’opera
d’assieme sulla hethitische Literatur di V. Haas (2006) si limita a un panorama antologico dei
documenti relativi ai suoi generi.
1.2. Hittita e Indoeuropeo
Un capitolo a parte è rappresentato dal confronto fra la lingua hittita e la famiglia indoeuropea,
soprattutto sotto il profilo dell’arcaicità/particolarità che la prima rappresenterebbe nei confronti
della seconda.
Anche in questo caso non è possibile far riferimento agli innumerevoli contributi comparsi
nell’ultimo decennio. Le testimonianze hittite sono però ampiamente recepite e valutate
nell’ambito della nuova edizione della Indogermanische Sprachwissenschaft (2002) di M. MeierBrügger (ora anche in lingua inglese, 2003, sempre per i tipi di De Gruyter) e trovano una
specifica trattazione nella Introduction alla linguistica indoeuropea di J. Clackson (2007,
soprattutto per quanto riguarda la morfologia verbale).
Alcune tematiche e strumenti di lavoro specifici, hanno tuttavia caratterizzato la ricerca di questi
ultimissimi anni.
Con la Hittite Historical Phonology di S. Kimball (1999), ma soprattutto con l’Anatolian
Historical Phonology di C. Melchert (1994b), il sistema fonologico dello hittita non solo è venuto
ad assumere una propria fisionomia rispetto al cd. Proto-Indoeuropeo, ma ha ricevuto altresì la
necessaria caratterizzazione per quanto concerne le proprie forme di espressione per mezzo del
sillabario cuneiforme. Anche se in alcuni casi, come quello della realtà fonologica del suono
vocalico /e/, il confine fra convenzione scrittoria e realtà fonemica rimane parzialmente ambiguo,
risulta ormai superato il concetto di casualità/confusione della notazione sillabica cuneiforme
della lingua hittita, dominante a cominciare dalla sua decifrazione fino a tempi relativamente
recenti1).
E’ partendo da questa base e dal contemporaneo studio della Rieken sulla formazione nominale
(1999), oltre che dall’esperienza dei due maggiori dizionari etimologici (per altro, ancora non
interamente compiuti nelle loro parti) di J. Tischler e J. Puhvel 2), che si sono potuti sviluppare
due recentissimi lavori essenziali: il dizionario etimologico dello Hittite Inherited Lexicon, di A.
Kloekhorst (2008)3), e la sezione hittita della Nominale Wortbildung des Indogermanischen, edita
da R. Lühr e curata nello specifico da J. Matzinger (2008).
Soprattutto la prima opera presenta nella sua prima parte, Towards a Hittite Historical Grammar,
un quadro accurato dell’inventario fonemico, della formazione nominale e pronominale e del
sistema verbale dello hittita in rapporto al cd. Protoanatolico e al Proto-Indoeuropeo. A esso fa
da pendant l’altrettanto recente repertorio dei Nomina im Indogermanischen Lexikon (Heidelberg
2008), curato da D.S. Wodtko, B. Irslinger e C. Schneider, nell’ambito del quale, al pari del
precedente Lexikon der indogermanischen Verben di H. Rix (2^ ed. 2001), le conoscenze nel
frattempo acquisite nel settore hittitologico appaiono pienamente valutate.
Per quanto concerne più nello specifico l’intera problematica relativa alle categorie nominali di
genere e caso e, in particolare per la situazione hittita, alle conseguenze sul piano
morfosintattico, la discussione è stata recentemente riaffrontata in maniera organica da S.
Zeilfelder (2001; con la ripresa nella trattazione di R. Matasović 2004, pp. 33ss. sul “genere” in
Indoeuropeo).
La tematica è estremamente complessa e coinvolge da un lato il rapporto tracciabile fra la
categoria grammaticale di “genere” e quella semantica di “animatezza”, dall’altro le “modalità di
accesso” ai diversi morfemi flessionali, e dall’altro ancora le limitazioni relative al ruolo di
“agente” nella funzione di soggetto dei verbi transitivi attivi.
Come è stato a suo tempo chiaramente dimostrato da F. Starke (1977, e come è sottolineato in
Zeilfelder 2001, pp.153ss., ma cf. anche Rieken 2007, p. 87s.) la determinazione, nella fase più
antica della lingua hittita documentata, di 2 classi in opposizione semantica (Sachklasse ≠
Personenklasse) non copre l’opposizione binaria di genere (neutro ≠ comune), che di
conseguenza non appare per via diretta motivata semanticamente (con tutte le conseguenze per
quanto concerne una valutazione “arcaica” sotto il profilo indoeuropeistico dello hittita).
Di fatto, almeno per quella fase di lingua convenzionalmente definita “antico-hittita”, appaiono
all’opera due sistemi concomitanti, ma non corrispondenti: uno, che potremmo definire
grammaticale, relativo al genere, e uno di tipo semantico pertinente all’animatezza. A livello di
corrispondenza, infatti, la classe semantica degli “inanimati” (se così possiamo, in termini
puramente convenzionali, tradurre la definizione di “Sachklasse” di F. Starke) supera i confini di
quella di genere relativa ai neutri e abbraccia una parte cospicua dei comuni.
Graficamente la situazione sarebbe rappresentabile come segue:
Al piano della animatezza appare demandato essenzialmente l’accesso a precisi morfemi
flessionali (quelli del cd. allativo, dell’ablativo e dello strumentale), fatto che, di conseguenza,
“systmatisch die Verwendung morphosyntaktischer Kategorien bestimmt und damit über eine
bloβ pragmatisch bedingte Gebrauchsweise hinausgeht” (Rieken 2007, p. 88s.).
La concordanza avviene, al contrario, sul piano del genere, e così pure è al genere (e non
all’animatezza) che si fa riferimento al momento di definire l’attribuzione del ruolo sintattico di
soggetto in una frase con predicato transitivo attivo.
Che tale complesso sistema, cui è collegato un altrettanto complesso equilibrio di costruzioni per
quanto concerne i cd. casi e avverbi dimensionali (per il quale si rimanda allo stesso Starke 1977,
e, per un quadro aggiornato, a quanto criticamente riconsiderato in Zeilfelder 2001, alle sez. A.I.
e A.II.), già cominci nelle testimonianze antico-hittite a mostrare una serie di incongruenze, è
fatto accertato (cf. la stessa Zeilfelder 2001 e gli esempi in Hoffner-Melchert 2008, alla sez. 3.7.).
In età imperiale, parallelamente a un processo di sincretismo dei casi (che ne riduce
drasticamente il numero e che sconvolge parimenti il complesso originario sistema di avverbi
dimensionali), si assiste alla definitiva affermazione della sola categoria del genere quale
elemento regolatore dei processi morfosintattici.
Ai temi fin qui illustrati si collegano le problematiche, recentemente oggetto di una ricca
riflessione, relative al cd. “caso ergativo” (quale dispositivo per permettere l’accesso di un nome
neutro alla funzione di soggetto di frase transitiva attiva) e alla effettiva esistenza e produttività di
una dimensione categoriale “collettiva” accanto a quella del plurale per quanto attiene al numero.
Per quanto riguarda la complessa discussione sulla effettiva esistenza di un “caso ergativo” in
hittita, non è certamente questa la sede per affrontare nel dettaglio una simile problematica. Di
fatto, che un morfema (?) -anza (sing.)/ -antes (plur.) caratterizzi i nomi neutri in funzione di
soggetto di verbo transitivo attivo è cosa nota da tempo4); il problema risiede nell’interpretazione
di tale morfema e nella conseguente ricostruzione del processo che avrebbe portato alla sua
applicazione. Le principali tre diverse posizioni in proposito sono state ribadite in una serie di
interessanti contributi pubblicati recentemente (cf. Oettinger 2001, Melchert in corso di stampa,
Josephson 2004, Patri 2007). Resta al riguardo, a mio parere, come ipotesi più attendibile la
tendenza a vedere nella risultanza in -anza il portato di un processo originariamente derivazionale
avente al centro il suffisso (multifunzionale) -ant-+la marca -s del nominativo comune aggiunto
al tema dei casi obliqui del sostantivo neutro; tale processo, pur derivazionale nel suo percorso
storico, può, se visto nei suoi meccanismi di applicazione sincronica, assumere valenza
grammaticale e fungere (nella competenza linguistica hittitofona) da vero e proprio “caso
ergativo”. Vale tuttavia puntualizzare come tale processo, anche se innescato dalla valenza
semantica del suffisso -ant-, incide sul piano del genere e non certo su quello della
“animatezza”5).
Proprio la funzione individuativa/singolativa attribuibile al suffisso -ant- (sulla quale non si può
che rimandare ai due già citati contributi di Oettinger 2001 e Josephson 2005), decollettivizzante
(nel senso di pluralizzante nei confronti di nomi collettivi all’origine “non contabili”) e quindi in
grado di rendere un nome neutro attore/soggetto di espressione transitiva attiva, è alla base della
rinnovata riflessione sul “collettivo” quale effettiva dimensione della categoria del numero,
apparentemente ancora produttiva nella fase più antica della lingua hittita documentata. Il merito
di aver riaperto la discussione in proposito e di averla posta sui giusti binari va a C. Melchert
nell’ambito di un contributo purtroppo poco recepito in ambito hittitologico6).
Apparenti fenomeni di oscillazione fra genere comune e neutro al plurale (es. sagaus ≠ sagae,
alpus/alpas/alpa) rientrerebbero regolarmente quale manifestazione di un processo di
pluralizzazione (nel senso di pluralità contata) di neutri (collettivi) o di collettivizzazione di
comuni (plurali).
Al pari di altre dimensioni categoriali relative al numero, anche la produttività della dimensione
“collettivo” sembrerebbe spegnersi in età hittita imperiale, con la conseguente reinterpretazione
del collettivo quale morfema caratterizzante il plurale dei nomi neutri.
Nel settore della morfologia e morfosintassi del verbo dobbiamo di nuovo a C. Melchert il merito
di aver riaperto la discussione sull’”arcaicità”/”innovatività” (nella misura di mancanza/perdita)
in relazione alla presenza/assenza di alcune categorie, con particolare riguardo a quella
dell’”aspetto” (cf. Melchert 1997, 1998, e Hoffner-Melchert 2002). Ai contributi di Melchert e
Hoffner-Melchert si è di recente aggiunto quello di V. Cambi (2007, ma cf. i precedenti
contributi in Cambi 2002, 2006a, 2006b ). Il problema di fondo nel caso specifico consiste nel
definire a monte cosa si intenda per “aspetto”, tenuto conto dell’uso spesso differente che di
questo termine viene fatto soprattutto in ambiente linguistico anglosassone (tale problema è ben
presente e correttamente valutato sia in Melchert 1997, con particolare rif. alla nota 1, sia in
Hoffner-Melchert 2008, cap. 24). Infatti, che nell’ambito dello hittita esistano diversi dispositivi
per esprimere l’aspettualità a fronte di un’architettura verbale monotematica, è fatto ben
conosciuto da tempo (il già cit. cap. 24 in Hoffner-Melchert 2008 offre a tale proposito un ampio
panorama sia delle modalità espressive, sia degli studi condotti al riguardo).
Diversamente si pone la situazione se si segue l’assunto metodologico in Strunk 1994, e cioè se
per “aspetto” intendiamo “esclusively contrastive imperfective and perfective functions of
inflectional present- vs. aorist-stem forms”, rimandando a un piano lessematico (quindi, sempre
secondo la definizione di Strunk, al Verbalcharkter e alla Aktionsart) quell’opposizione durativo
≠ puntuale espressa sia dalla semplice radice verbale, sia da possibili ampliamenti di temi del
presente (attraverso suffissi e infissi). In questo senso, e in accordo anche con il quadro
ricostruttivo di recente riproposto in Meier-Brügger 2002 (§ F 206, Stadio A dello sviluppo
ricostruito), non esisterebbero le premesse per postulare l’esistenza in hittita di un’architettura del
sistema verbale del quale l’”aspetto” rappresenti una dimensione produttiva7).
Non diversamente stanno le cose per quanto concerne la categoria verbale del modo, e nello
specifico il congiuntivo. Se da un lato, infatti, prevale la tendenza, premessa l’assenza di modi in
hittita oltre all’indicativo e l’imperativo, a indagare sulle forme non categorizzate atte a esprimere
le differenti modalità8), dall’altro, partendo da una nuova ricostruzione delle fasi più antiche del
Proto-Indoeuropeo, si pone attenzione alle possibile tracce non solo di opposizione aspettuale, ma
anche di articolazioni modali, seppure in fase ancora embrionale, riferibili a uno stato di lingua
“protoanatolica”9).
In conclusione, anche se è riscontrabile una rinnovata generalizzata tendenza a vedere
nell’anatolico, e nello hittita in particolare, la testimonianza di un sistema di lingua riferibile a
una fase arcaica del Proto-Indoeuropeo10), questa, diversamente rispetto alla maggior parte delle
opere che hanno caratterizzato gli anni ’8011), sembra ora accompagnarsi a una più approfondita
riflessione sulla validità applicativa generalizzata di alcune categorie grammaticali così come
tradizionalmente stabilite sulla base di stati di lingua relativamente recenti, quindi sull’esistenza
di funzioni oppositive “altre” (nel senso di non tradizionali), per quanto ad es. concerne
animatezza, genere, aspettualità e modalità.
2. Recenti problematiche
Come si è già avuto modo di sottolineare, manca a oggi una “storia della lingua hittita” intesa
quale opera di sintesi - sul modello ad es. delle tradizionali opere sulla lingua greca di
Hoffmann-Debrunner-Scherer o Meillet - comprendente tutte le manifestazioni letterate e
letterarie che caratterizzano questa lingua indoeuropea di così antica attestazione12). Il fatto è che
molti aspetti legati alla letterarietà hittita (nel senso di literacy) permangono indefiniti o, sulla
base degli studi più recenti, in fase di profondo cambiamento.
Riteniamo, quindi, utile considerare, seppure in forma concisa, i punti più importanti e segnalare
le opere maggiormente significative al riguardo.
2.1. Letteratura e letterarietà: questioni di metodo e di cronologia
Nella rappresentazione tradizionale della produzione documentaria hittita si è ormai consolidata
la visione di una società letterata fin dagli inizi delle sue prime manifestazioni politiche, e cioè a
cominciare dal suo primo dinasta storicamente attestato: Hattušili I (attorno alla metà ca. del
XVII secolo a.C.). Proprio le sue campagne militari verso i grandi centri della Siria settentrionale
(Karkemiš, Halap, Ebla, Uršum Alalah), nell’ambito dei quali la tradizione scribale cuneiforme
mesopotamica appare ben stabile e sviluppata fin dal III millennio, avrebbe portato
all’acquisizione dello strumento scrittorio e, di conseguenza, alla formazione presso la residenza
dei sovrani hittiti, Hattuša, di una scuola scribale cuneiforme anatolica13).
Lo studio del ductus che caratterizza la stesura dei documenti cuneiformi hittiti è arrivato,
attraverso soprattutto gli studi condotti da H. Otten, Chr. Rüster ed E. Neu a cominciare dagli
inizi degli anni ’7014), a determinare un oggettivo strumento di valutazione cronologica di tali
documenti, individuando una fase scrittoria definita “antico hittita”, abbracciante l’intero periodo
più antico fino agli immediati predecessori di Šuppiluliuma I, una fase “media” o di
transizione/innovazione, e una fase “imperiale” (passibile di ulteriori sottodivisioni al suo
interno), che dal regno di tale dinasta arriverebbe fino alle più tarde attestazioni, attorno agli inizi
del XII secolo, quando, con l’abbandono della capitale e il dissolvimento del regno territoriale
unitario, l’intera tradizione cuneiforme scribale hittita scompare.
La definizione di uno sviluppo del ductus, quindi la possibilità di attribuire cronologicamente
documenti di diverso genere a fasi temporali ben precise e di lavorare di conseguenza su corpora
cronologicamente omogenei, ha permesso l’acquisizione di una profondità diacronica di ben
quattro secoli delle manifestazioni linguistiche hittite e la possibilità di cogliere le diverse, e
spesso profonde, mutazioni che esse hanno subito nel corso del tempo.
Tenuto conto dell’attività di ricopiatura (sulla quale si vedrà meglio più avanti) di cui la maggior
parte dei documenti degli archivi della capitale sono stati regolarmente oggetto nel tempo da
parte della cancelleria regia, soprattutto nelle diverse fasi che caratterizzano il cd. periodo
imperiale, si è potuto arrivare a distinguere, nell’ambito di uno stesso documento trasmesso in
diverse redazioni, il processo redazionale nel tempo (cioè le copie recenti rispetto alle stesure più
antiche) o, quanto meno, a determinare, nel caso di documenti unici, storicamente collocabili per
il loro contenuto (editti di regî, trattati internazionali etc.), se la redazione fino a noi giunta
rappresenti una copia più tarda e di quale epoca.
Ciò ha altresì permesso di valutare da un lato il grado dei possibili fenomeni di
adattamento/aggiornamento linguistico cui i diversi documenti sono stati sottoposti durante il
processo di ricopiatura nel tempo, dall’altro, di conseguenza, il livello di
“competenza”/”conoscenza” da parte degli scribi attivi in tale processo rispetto alle fasi di lingua
più antiche15).
Un elemento interessante in questo senso può essere rilevato consultando la (pur ancor oggi
fondamentale) grammatica di J. Friedrich nella sua 2^ edizione del 1960, ancora costruita su una
valutazione sincronica e monolitica della lingua hittita e, soprattutto, sulla competenza linguistica
della tradizione scribale di epoca hittita imperiale, alla quale risalgono le copie giunte fino a noi
dei documenti storici attribuibili ai dinasti delle fasi più antiche del regno. Le valutazioni ivi
contenute del sistema binario degli avverbi di luogo (del tipo katta/kattan, para/piran,
anda/andan), o del morfema flessionale -a quale forma arcaica/arcaicizzante del dativo-locativo,
o del sistema degli elementi enclitici convenzionalmente definiti “Ortsbezugspartikel”, per citare
soltanto alcuni esempi, rappresentano il diretto portato del grado di sensibilità linguistica (e
pertanto della conoscenza degli stati di lingua di età più antica) trasmesse al filologo moderno
dagli scribi hittiti di età imperiale.
Si comprende, pertanto, quanto articolata sia oggi la nostra conoscenza della lingua hittita, ma,
allo stesso tempo, quanto l’intera valutazione della sua evoluzione dipenda da una necessaria
valutazione di carattere paleografico dei documenti che ne rappresentano la base documentaria16).
Allo studio del ductus, grazie anche alla base documentaria offerta dalla Konkordanz nell’ambito
dello Hethitologie Portal dell’Akademie der Wissenschaften di Mainz (cf. nota 16), si è
affiancato in questi ultimi anni un approfondito processo di ricontestualizzazione dei lotti di
tavolette volto alla ricostruzione dei meccanismi di redazione, ordinamento e conservazione del
documento scritto e quindi a una valutazione non solo delle pratiche scribali di redazione e
consultazione delle raccolte testuali, ma anche dei criteri stessi in base ai quali veniva operata la
scelta dei documenti da sottoporre a reiterata copiatura17).
E’ partendo dall’analisi della distribuzione dei diversi generi tematici, operata sull’orizzonte
cronologicamente omogeneo dell’ultima fase di vita della capitale (2^ metà del XIII secolo a.C.),
nei vari luoghi/edifici deputati al ricovero della documentazione scritta, e dalla ripartizione degli
stessi testi da un lato secondo testualità sottoposte a processi di ricopiatura, dall’altro secondo
generi tendenzialmente non fatti oggetto di pratiche di reiterata attività redazionale, che T. van
den Hout ha proposto un nuovo approccio al concetto funzionale di letteratura/letterarietà e alla
definizione stessa di archivio (van den Hout 2002, 2005 e 2008), ponendo così le basi per il
giusto impianto di una storia della lingua hittita.
Dallo studio dei processi redazionali e archiviari degli scribi hittiti è emerso, d’altra parte, un
ulteriore nuovo elemento. Appare infatti oggi accertato come, accanto alla tavoletta d’argilla (o,
di diversi tipi di metallo per documenti ufficiali di particolare solennità), si sia affermato l’uso, a
cominciare almeno da un momento avanzato dell’età imperiale ed essenzialmente per pratiche
scrittorie connesse con attività di carattere più strettamente economico-amministrativo, di
tavolette di legno cerate, probabilmente in forma di dittico, quindi facilmente “chiudibile” e
sigillabile, conservate in archivi “storici” specializzati della capitale, contenenti cioè oltre agli
atti amministrativi sigillati redatti su tavoletta cerata, anche gli atti originali su tavoletta d’argilla
pertinenti alla relativa documentazione pregressa (cf. per tutti Marazzi 1994, 2000, 2007).
2.2. Scrittura e processi acquisitivi
Proprio in relazione ai problemi e agli sviluppi della ricerca pertinenti alla cronologia, alla
trasmissione testuale e alle diverse procedure di archiviazione della documentazione scritta, è
d’obbligo almeno un riferimento alla nuova discussione in atto relativa ai tempi e ai modi della
formazione di un’effettiva scuola scribale a Hattuša e quindi agli inizi stessi della produzione
testuale in lingua hittita.
Nel già citato saggio pubblicato nel 2002 sulla competenza linguistica nell’ambito del territorio
anatolico nel II millennio a.C., notavo come il quadro linguistico-scrittorio dell’Anatolia
all’indomani del processo di unificazione politica sotto il controllo della nuova dinastia di
Hattuša, dovesse essere valutato in termini molto più complessi rispetto a quanto normalmente è
dato nella manualistica storica, rilevando altresì come l’esistenza di documenti in lingua accadica
(paleobabilonese) di carattere storico-politico “interno” stridesse fortemente con l’uso che del
babilonese è attestato per le epoche immediatamente successive: e cioè per la redazione di
documenti di carattere strettamente “internazionale”.
Due elementi si sono aggiunti da allora all’attenzione degli hittitologi.
Nel 2005 G. Wilhelm, nell’ambito di un saggio sui testi originali antico-hittiti di
donazione/attribuzione regia di unità agricole a personaggi altolocati del regno, ne dimostrava la
collocazione cronologica, contrariamente alla communis opinio fino ad allora dominante, non già
a cominciare dai primi dinasti del regno (Hattušili I, Muršili I etc.), bensì a cominciare da un
momento avanzato dell’Antico Regno, e cioè dal regno di Telepinu, un dinasta successivo a
Hattušili di ca. 3 o 4 generazioni. Tali testi presentano un formulario solo parzialmente hittita:
soprattutto per quelli più antichi, infatti, le partizioni tecnico-giuridiche in accadico sono
preponderanti (cf. il lavoro preliminare in Riemschneider 1958).
Negli stessi anni altri studiosi hanno operato un processo di revisione del cd. ductus antico-hittita
(cf. per tutti Popko 2005a, 2005b, 2007, e lo stesso Wilhelm 2005), abbassandone i limiti
inferiori e in parte associandolo a quelle manifestazioni scrittorie fino ad allora definite mediohittite o di transizione (sulle quali cf. quanto di recente considerato in Melchert 2007b).
D’altra parte, i rinnovati contemporanei studi sui cd. “cataloghi di archivio” (o Tontafelkataloge;
cf. Dardano 2006 e 2007), hanno confermato quanto anni prima già indicato da H. Otten (1986),
e cioè che le tracce più antiche di una effettiva organizzazione scribale a Hattuša non risalgono
oltre il cd. periodo medio-hittita.
Altri testi storici in ductus antico-hittita (testi, cioè, attribuibili come redazione primaria a dinasti
dell’antico regno) non risalgono più indietro dello stesso Telepinu. I restanti testi in lingua hittita
in ductus antico non contengono elementi interni tali da essere necessariamente riferiti a un’epoca
anteriore a questo dinasta18). D’altra parte, però, che l’uso della scrittura fosse già proprio dei
primi dinasti hittiti è testimoniato, oltre che dal cd. testo di Uršum, anche dalla corrispondenza di
Hattušili I con un dinasta di area nord-siriana; entrambi i testi sono però in lingua accadica,
proprio come in lingua accadica (anche se tramandati fino a noi in copia tarda e con traduzione
hittita a fronte o su tavoletta separata) sono alcuni dei più importanti testi storico-politici riferibili
ai primi sovrani del regno19).
Riprendendo e riorganizzando tutti i termini della questione relativa al processo di formazione di
una classe scribale hittita, e quindi dell’inizio di una produzione di testi cuneiformi in lingua
hittita, T. van den Hout (in corso di stampa) ne ha da ultimo proposto una drastica revisione.
Soltanto attraverso un graduale processo di acquisizione del sillabario cuneiforme e di
formazione di una classe scribale hittitofona, durante il quale personalità scribali di madrelingua
accadica (e di provenienza siriana ?) al servizio dei primi sovrani hittiti avrebbero curato la
redazione in paleobabilonese dei principali documenti politici dell’epoca, si sarebbe giunti
all’effettiva produzione di documenti in lingua hittita. I già ricordati atti regî di donazione di terre
rappresenterebbero, nel loro sviluppo diacronico, il passaggio da una literacy accadofona a quella
hittitofona. I testi in ductus antico-hittita, quindi, rappresenterebbero il portato di tale sviluppo e
sarebbero da collocare cronologicamente solo nella parte finale dell’arco di tempo
tradizionalmente definito come antico-hittita (quindi non prima del regno di Telepinu). D’altra
parte, per alcuni testi in lingua hittita di carattere storico-cronachistico ambientati nei momenti
più antichi del regno non sarebbe da escludere un’originaria stesura in accadico e solo
successivamente una traduzione, per fini archiviari (o bibliotecari?), in hittita20).
Se una tale proposta venisse definitivamente accettata, molti elementi apparentemente
contraddittorî dell’impianto linguistico relativo alla fase antico-hittita, troverebbero, una volta
collocati in un arco di tempo molto più compresso e decisamente più tardo, una migliore
sistemazione. Essi testimonierebbero, infatti, di un momento di passaggio da una fase arcaica di
lingua, forse ormai non più corrispondente alla realtà linguistica contemporanea, verso un assetto
quale è quello che troviamo ormai consolidato nei testi della prima epoca imperiale (sotto il regno
di Šuppiluliuma I), con tutte le conseguenze di valutazione sul piano linguistico di ciò che dovrà
essere attribuito a livello di “hittita arcaico” attestato e/o una fase “proto-hittita” ricostruibile.
2.3. Sostrati, adstrati e plurilinguismo
Non si vuole qui affrontare il problema delle componenti linguistiche che, in diversa forma e
modi, hanno influito sul lessico e sulla lingua hittita in genere.
Un utile aggiornamento del quadro delle conoscenze è rappresentato dalla già più volte ricordata
opera di M. Popko (2008) sui popoli e le lingue dell’Anatolia antica21).
Occorre dire che, mentre per quanto riguarda il hattico, quale lingua di sostrato, e il hurrita, quale
lingua di adstrato, gli studi degli anni ’80 e ’90 ne hanno definito rilevanza e incidenza (cf. i riff.
nel già citato lavoro di M. Popko), diverso è il discorso per il luvio.
Una serie di nuovi elementi, venutisi man mano a chiarire e ad assommare, ne hanno determinato
una sempre maggiore attualità.
La revisione della cd. “varietà geroglifica” effettuata da Neumann-Morpurgo Davies-Hawkins
(1973), la successiva pubblicazione in trascrizione e rideterminazione cronologica del corpus
luvio cuneiforme proveniente da Hattuša e lo studio sulla formazione nominale effettuati da F.
Starke (1985 e 1990), infine la compilazione di un Lexicon del luvio cuneiforme offerto da C.
Melchert (1993) assieme alla riedizione delle maggiori iscrizioni geroglifiche “lunghe” databili
all’epoca degli ultimi tre dinasti hittiti curata da J.D. Hawkins (1995a), hanno rappresentato la
base per una rivalutazione del fenomeno di rapporto e interazione fra lingua luvia e ambiente
linguistico hittitofono22).
I problemi oggi sul tappeto, oggetto della più recente riflessione linguistica e antropologicoscrittoria, possono schematicamente essere riassunti nei seguenti punti:
- la riconsiderazione e distribuzione cronologica delle diverse modalità che appaiono aver
determinato nel tempo, dall’età antico-hittita fino a tutto il periodo imperiale, i diversi influssi
della lingua luvia su quella hittita (essenzialmente e con diverse valutazioni Melchert in Melchert
ed. 2003, pp.170ss., id. 2005, van den Hout 2007, Rieken 2006, Yakubovich 2008);
- il rapporto determinabile fra la “varietà” luvia quale rappresentata dalle testimonianze
cuneiformi su tavoletta d’argilla presenti negli archivi della capitale hittita, riferibili a una
testualità quasi esclusivamente rituale e cultuale, e trasmesse dalle aree linguistiche luvie già a
cominciare da epoca antico-hittita, e la “varietà” luvia geroglifica, quella cioè testimoniata nella
fase finale del periodo imperiale attraverso i testi monumentali in scrittura geroglifica provenienti
dalla capitale (essenzialmente Melchert in Melchert ed. 2003, pp. 8ss., Starke 1997, Carruba in
Marazzi ed. 1998, pp. 267ss., Marazzi 2006). In rapporto a ciò, una ricaratterizzazione dei cd.
“luvismi” in hittita durante il tardo periodo imperiale23) sembra mostrare come un
approfondimento di carattere geolinguistico e sociolinguistico al contempo e un’attenzione
cronologica ai tempi di effettiva originaria formazione del patrimonio testuale religioso luviocuneiforme accumulatosi (e periodicamente oggetto di rinnovate redazioni?) nella capitale
Hattuša risulti di fondamentale importanza;
- la valutazione, in termini di possibile interferenza sia scrittoria che linguistica, del duplice
fenomeno, rilevabile a cominciare dal terz’ultimo dinasta hittita (Tuthalija IV): e cioè lo sviluppo
di una vera e propria testualità espressa in scrittura geroglifica e, al contempo, il chiaro e stretto
legame che si viene a determinare in area hittitofona (e in primis nella capitale hittita stessa) fra
questo nuovo utilizzo della scrittura geroglifica e il codice linguistico luvio (cf. in primis Bolatti
Guzzo-Marazzi 2004, ripreso in van den Hout 2007 e Marazzi in corso di stampa 2)24);
- a fronte dell’evidenza di una parallela diffusione della scrittura geroglifica quale mezzo di
espressione della lingua luvia anche su supporti scrittorî non monumentali, quindi in chiara
concorrenza con gli ambiti applicativi della scrittura cuneiforme e, di conseguenza, a fronte di
un’effettiva diffusione e concorrenza della lingua luvia in ambito hittitofono, assume tutta la sua
rilevanza la riconsiderazione, in termini storico- e socio-linguistici, della reale incidenza e dei
livelli di utilizzo della lingua hittita nell’Anatolia sul finire del XIII secolo a.C. (cf. con diverse
valutazioni: Melchert 2005, Bolatti Guzzo-Marazzi 2004, van den Hout 2007, Rieken 2006)25).
Non va d’altra parte dimenticato che con il collasso del sistema politico centralizzato di Hattuša,
determinato dal definitivo abbandono della stessa, i centri politici territoriali indipendenti che
emergono fra l’Anatolia sud-orientale e la Siria settentrionale (i cd. Stati Neohittiti), pur
mantenendo vivo un ideale collegamento con la dinastia regia dell’antica capitale ormai
scomparsa (Hawkins 1992, 1995b, 2002), non conservano l’hittita quale lingua politica ufficiale,
e neppure la scrittura cuneiforme (che non riapparirà più in Anatolia), bensì continueranno a far
uso di quella lingua luvia e di quella scrittura geroglifica ormai dominanti a Hattuša, sia nella
testualità monumentale celebrativa che in alcune pratiche scrittorie quotidiane e popolari, nei suoi
ultimi decenni di vita.
Note
1) Occorre a tal proposito ricordare i fondamentali contributi offerti da H. Eichner, fra i quali
centrale rimane Eichner 1980.
2) Si tratta dello Hittite Etymological Dictionary, curato da J. Puhvel per i tipi di Mouton-De
Gruyter, del quale sono fino a oggi comparsi i voll. relativi alle lettere A, E e I (1984), H
(1991), K (1997), L (2001), M ( 2004), N (2007); dello Hethitisches Etymologisches
Glossar, curato da J. Tischler per gli Innsbrucker Beiträge zur Sprachwissenschaft, voll. I
(completo): lettere A-K (1983), II: lettere L-P (1990-2001), S/1 (2004); III/1-3: lettera T
(1994).
3) Il senso di Inherited Lexicon, secondo quanto affermato nell’introduzione dallo stesso
Autore, fa riferimento a “those words that are build on morphemes that can be
reconstructed for the Proto-Indo-European mother language”.
4) La bibliografia è vasta ed è ampiamente discussa in Zeilfelder 2001, pp.156ss.,oltre che in
Hoffner-Melchert 2008, p. 66s., e Rieken 1997, pp. 103ss.; in ordine cronologico le
principali posizioni si trovano in: Laroche 1962, Benveniste 1962, Weitenberg 1987, Neu
1989, Garrett 1990, Carruba 1992 e 2001, Marazzi 1996, Puhvel 2002.
5) Per le conseguenze del postulato di un “protofemminile” da identificare nell’ambito degli
inanimati di genere comune, si rinvia a quanto di recente riconsiderato in Josephson 2004,
sulla base di Weitenberg 1987; si vedano anche le riflessioni in Zeilfelder 2001,
pp.198ss., con le notazioni critiche in Matasović 2004, p. 34.
6) Cf. Melchert 2000 con l’intera bibliografia di riferimento, soprattutto per quanto riguarda
i precendenti in Eichner 1985; il tema è stato poi ripreso in Melchert 2007. In Josephson
2004 è collegato con le diverse funzionalità del suffisso -ant-, mentre è pienamente
recepito in Rieken 2007; precedentemente Tichy 1993, Oettinger 1995 e 1999; sul
collettivo in indoeuropeo anche in relazione allo hittita, cf. le recenti riflessioni in Balles
2004 e Matasović 2006.
7) Diversamente si pone il problema se e come valutare le incerte tracce di un effettivo
sistema tematico oppositivo presente ≠ aoristo, poste all’attenzione dal già citato
contributo di Melchert 1997; a tale riguardo si veda anche García Ramón 2002, che non
esclude, su tale base, la possibilità che l’hittita testimoni di una situazione “postaspettuale”, e la ricostruzione dei processi originari che avrebbero portato alla cd.
coniugazione in -hi in hittita presentata recentemente da Jasanoff 2003. Ancora diversa
risulterebbe la valutazione della situazione hittita se, seguendo la proposta di Rix nella
sua introduzione alla 2^ edizione del LIV, 2001, si sussumesse sotto un’unica categoria
Aspekt-Aktionsart l’insieme dei cd. Primärstämme, quindi anche gli affissi causativiiterativi, desiderativi, intensivi ed essivi. Per un quadro critico dello stato delle ricerche si
veda anche Clackson 2007, cap. 5.3: “Reconciling Anatolian to the Greco-Aryan Model”.
8) Così in Lühr 2001, ma si veda anche l’ampia trattazione sia in Hoffner-Melchert 2008,
cap. 23, dove però a “verb mood” preferiremmo la nominazione di “verbal modality”, cf.
ad es. Rieken 2007, 4.5.4. “Modalität”.
9) Cf., ad esempio, l’interessante proposta ricostruttiva del verbo anatolico nel già citato
lavoro di Jasanoff 2003, in parte recepito dal successivo lavoro sul congiuntivo di E.
Tichy, 2006, in particolare ai §§ 3.2.1.4., 3.2.2.7. e 3.4.2.0.
10) Cf. anche quanto considerato con molto equilibrio dallo stesso Melchert già 1998, e la
posizione critica assunta da S. Zeilfelder nell’economia generale dell’opera del 2001
dedicata, appunto, ai possibili/presunti tratti di arcaismo in hittita; una simile tendenza si
riscontra anche nel recente lavoro di S.R. Rose, 2006, volto a individuare l’originaria
valenza oppositiva fra le coniugazioni in -mi e -hi.
11) Possiamo ricordare in proposito, ad es., le ricostruzioni effettuate in Meid 1979, Neu
1984 e 1985.
12) Pur non mancando recenti egregie sintesi basate sulla documentazione scritta dedicate a
settori specifici della società hittita; in primis le fonti di carattere storico-economico:
Klengel 1999; la vita quotidiana, gli usi e costumi: Bryce 2002 e Collins 2007; gli aspetti
del culto e delle manifestazioni religiose in genere: Haas 1994.
13) Questo quadro tradizionale, già esplicitato nella classica opera di A. Götze (1957, in
particolare al cap. III.7), ancora oggi lettura insostituibile per chi si voglia avvicinare alla
civiltà hittita, è presentato in forma aggiornata sia nell’opera ancora oggi fondamentale
sulla letteratura hittita di Güterbock 1978, che nelle recenti sintesi di Popko 2008 e Haas
2006.
14) Cf. per tutti l’ottima sintesi in De Martino 1992 e, successivamente l’introduzione e
l’impianto generale del nuovo Zeichenlexikon di Rüster-Neu 1989, che ha sostituito il
vecchio Keilschrift-Lesebuch di J. Friedrich del 1960.
15) Di fatto, uno studio accurato e specificamente mirato alla rilevazione di tale fenomeno
(cioè la competenza linguistica in senso “storico” degli scribi hittiti) non esiste; una serie
di notazioni sono però rilevabili al margine delle diverse edizioni dei gruppi testuali; un
tentativo in questo senso in Marazzi 2002.
16) Sotto quest’aspetto fondamentale è la scelta, coerentemente operata fin dalla
pubblicazione del primo fascicolo, dal Dizionario Hittita di Chicago (The Hittite
Dictionary, edito dall’Oriental Institute of the University of Chicago a cominciare dal
1980) di specificare, per ogni citazione testuale connessa con i relativi lessemi, sia
l’attribuzione cronologica “storica” - OH = Old Hittite; MH = Middle Hittite; NH = New
Hittite -, sia quella effettivamente redazionale - OS = Old Hittite Script; MS = Middle
Hittite Script; NS = New Hittite Script -; lo stesso sistema di citazione è seguito, per ogni
attestazione lessicale data in trascrizione, dall’Etymological Dictionary di Kloekhorst.
Uno strumento parallelo insostituibile e in continuo aggiornamento, è rappresentato dalla
Konkordanz dei testi hittiti, curata da S. Košak nel Portale Hittitologico di Mainz
(www.hethiter.net), dove per ogni testo, oltre alle indicazioni relative alla sua
appartenenza tematica e alle notizie sul suo ritrovamento, è indicato, alla 5^ colonna:
“Zeit”, il ductus (ah = althethitisch; mh = mittelhethitisch; jh = junghethitisch),
informazione accompagnata, nella maggior parte dei casi, dalla foto del documento,
consultabile a diversi ingrandimenti.
17) La bibliografia è vasta e le premesse a tale settore della ricerca vanno indietro a due
contributi fondamentali, il primo di H. Otten 1955, il secondo di E. Laroche 1949.
Successivamente, nell’ordine, Güterbock 1991-92, Košak 1995, Karasu 1996, Francia
1996, Pedersén 1998, pp. 42ss., Marazzi 2000, Alaura 2001, Marazzi 2007, Torri 2007;
per quanto concerne, invece, i testi definiti convenzionalmente “cataloghi di tavolette”, vi
è ora finalmente un’edizione completa a cura di Dardano 2006; cf. anche ead. 2007.
18) Tenuto conto che, in termini di cronologia assoluta, il periodo antico-hittita, e quindi
anche il ductus a esso riferibile, si colloca fra il 1650 e il 1500 ca.,e che il regno di
Telepinu si data attorno agli ultimi decenni del XVI secolo.
19) Cf per tutti le riflessioni in Klinger 1998 e quanto considerato per l’accadico da Hattuša
in età antico-hittita in Marazzi 1986a e Marazzi in corso di stampa).
20) Fenomeno che includerebbe quei documenti storico-politici antico-hittiti attestati in forma
bilingue in copia tarda, dei quali si è accennato già sopra; su possibili tracce in questo
senso cf. il commento in Marazzi, in corso di stampa, § 2.: I testi KBo VIII 42 e III 28 e il
problema della redazione e trasmissione testuale.
21) Ma si veda sui fenomeni di bi- e plurilinguismo anche quanto già considerato in Marazzi
1988 e, successivamente, Neu 1995.
22) La ricca bibliografia in proposito non può essere ricordata nel dettaglio. Per un quadro
degli studi nel corso degli ultimi 25 anni cf. Marazzi 1990, 1991, Neumann 1992, Marazzi
(ed.)1998, fino alla recente e fondamentale opera di sintesi di Melchert (ed.) 2003.
23) Il problema, consistente nel fatto che buona parte dei cd. “luvismi” (caratterizzati e non da
Glossenkeil) riscontrabili in testi hittiti a cominciare dal XIV secolo presentino alcune
caratteristiche decisamente vicine alla varietà “geroglifica”,. è stato inizialmente sollevato
da Melchert in Melchert ed. 2003, pp. 170ss., ripreso e approfondito in van den Hout
2007 e fatto oggetto di approfondita analisi in Rieken 2006.
24) Ci preme ribadire ancora una volta a tal proposito che la definizione di “luvio geroglifico”
pur convenzionale che sia, continua a essere fonte di equivoci soprattutto fra gli studiosi
non specialisti di scrittura geroglifica del II millennio. Nulla infatti indica che per le
iscrizioni geroglifiche (su glittica e supporti monumentali altri, come ortostati, pareti
rocciose naturali etc.) precedenti al terz’ultimo dinasta hittita, Tuthalija IV, si possa
parlare di un unico e inequivoco codice linguistico. E’ soltanto con lo sviluppo delle cd.
“iscrizioni lunghe”, cioè in concomitanza con il processo di linearizzazione della scrittura
geroglifica, che si afferma una testualità geroglifica strettamente e indissolubilmente
legata alla lingua luvia, fenomeno che diverrà primario nella testualità dei cd. Stati
Neohittiti del I mill. a.C.; in proposito si rinvia anche a Hawkins in Melchert ed. 2003, e
complessivamente a Marazzi in corso di stampa 2, mentre per il patrimonio glittico
geroglifico del II millennio è ora disponibile la rassegna in Marazzi (ed.) 2009.
25) Purtroppo non sufficientemente considerate nella recente discussione sono quelle
testimonianze indirette relative a una contemporanea diffusione, proprio negli ultimi
decenni di vita della capitale hittita, della scrittura geroglifica anche in ambiti quotidiani.
Si tratta dell’uso su tavoletta cerata, testimoniato dalla tipologia degli stili rinvenuti nella
capitale, sui quali aveva attirato l’attenzione già da tempo K. Bittel (1973), e ripresi in
Marazzi 1990, 1991 e 1994. A tale indiretta testimonianza, sempre sulla base
dell’originaria segnalazione di Bittel, si aggiunge quella diretta, databile egualmente alle
ultime fasi di vita della capitale, relativa alle cd. iscrizioni “casuali”: brevi iscrizioni
eseguite con una tecnica povera (a “punzonatura”) su pareti di edifici e strutture
architettoniche quali supporti estemporanei, e, probabilmente, collegate con attività in
luoghi pubblici legate alla sfera della magia/ritualità e del servizio scrittorio (scribi
“pubblici” collocati nell’area del grande tempio nella città bassa?); cf. Marazzi 1985,
1986b, Dinçol-Dinçol 2002 e Marazzi in corso di stampa 2.
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