Carmen Saliare Carmen Arvale - Blog-ER

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Carmen Saliare
Il carmen cantato dai Salii mentre compivano la loro
danza guerriera con gli scudi sacri risaliva ad età
antichissima. I sacerdoti si tramandavano oralmente
le formule liturgiche, cercando di rispettare con
scrupolosa esattezza una lingua sacra così arcaica,
che gli stessi sacerdoti non capivano più (Saliorum
carmina vix sacerdotibus suis satis intellecta, dice
Quintiliano I, 6, 40). E quando una lingua non si
capisce, nonostante tutta la buona volontà dei fedeli,
finisce inevitabilmente per essere storpiata (come
capitava fino a poco tempo fa nella chiesa cattolica
con le preghiere in latino). A noi sono giunti solo
alcuni piccoli brani del carmen Saliare, tramandati in
modo frammentario e incerto, attraverso citazioni di
autori classici: solo i primi due frammenti, che forse
appartenevano all'esordio della preghiera, sono
comprensibili senza troppe difficoltà, e sono i
seguenti.
Carmen Arvale
Il carmen dei fratres Arvales, recitato nel secondo
giorno della festa degli Ambarvalia, nel bosco sacro alla
dea Dia, ci è conservato da un'iscrizione che faceva
parte dell'archivio del collegio sacerdotale: datata al
218 d.C., è ora conservata nei musei Vaticani. Sebbene
la fonte sia tarda, risulta evidente che i sacerdoti
conservavano da epoca antichissima delle formule
d'invocazione che traevano la loro forza sacrale proprio
dal prestigio dell’arcaismo linguistico. Il metro è
l'antichissimo saturnio, e il significato è abbastanza
chiaro. La prima invocazione è quasi in latino classico:
enos è formato da nos preceduto dalla particella
esclamativa e- (che si ritrova in ecastor e edepol),
mentre Lases è la forma senza rotacismo di Lares. Più
lontana la seconda, che andrà intesa neve luem (et)
ruem, Marmar, sinas incurrere in plures. Nella terza,
notiamo l'imperativo fu con il valore di esto, mentre
invece rimane incerto il valore di berber (un epiteto del
dio?). Nella quarta, vengono nominati gli dèi Semóni,
divinità della semina; alternei è probabilmente una
forma avverbiale e advocapit vale advocabit. Nella
quinta, appare la forma arcaica del nome di Marte, con
raddoppiamento della radice, anche se non è del tutto
chiaro perché sia Marmor e non Marmar.
Oltre all'arcaismo, notiamo la presenza della
triplicazione delle formule, tipica delle invocazioni
rituali, e la particolare stilizzazione fonica per mezzo di
numerose allitterazioni (satur fu, fere... sali, sta) e
omeoteleuti (enos Lases... lue rue).
Divom parentem cante! divom deo
supplicate!
quome tonas, Leucesie, prae tet
tremonti
quot ibe tet e nubi deiscunt tonare.
enos Lases iuvate (3 volte)
neue lue, rue, Marmar, sins incurrere in
pleores (3 v.)
satur fu, fere Mars, limen sali, sta berber (3
volte)
Semunis alternei advocapit conctos (3 volte)
enos Marmor iuvato (3 volte)
triumpe (5 volte)
Cantate il padre degli dèi! Supplicate il dio
degli dèi!
O Lari, aiutateci!
Quando tuoni, o Dio della Luce, davanti a
Non permettere, Marte, che peste e rovina
te tremano
assalgano il popolo!
tutti gli dèi che lassù ti sentono tuonare
Sii sazio, feroce Marte, salta la soglia, fermati
dalle nubi.
Berber!
Invocherà alternativamente tutti gli dei
Semóni.
O Marte, aiutaci!
Trionfo!