Quando, nel 1740, Giovanni Battista Piranesi arrivò

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Quando, nel 1740, Giovanni Battista Piranesi arrivò
speciale romA
I “capricci” del Piranesi
di Edi Baccheschi
Storico dell’arte
Quando, nel 1740, Giovanni Battista Piranesi
arrivò a Roma dal natìo Veneto come disegnatore
al seguito dell’ambasciatore di Venezia presso
il Papa, era un giovane di vent’anni con una
buona preparazione culturale.
S
uoi primi maestri erano stati lo zio materno Matteo Lucchesi, ingegnere e architetto presso il Magistrato delle Acque di Venezia, buon latinista e amante dell’antico sui modelli di Vitruvio e del Palladio, e l’architetto Giovanni Scalfarotto, di cui Piranesi conserverà un grato ricordo, a sua volta orientato verso un gusto che
prelude al neoclassicismo (chiesa di San Simeone Piccolo sul Canal Grande).
L’impatto con la conoscenza diretta del centro ideale dei suoi studi dovette essere folgorante. Nel primo periodo del suo soggiorno romano il giovane lavorò nello studio
dell’incisore e vedutista Giuseppe Vasi e in quello dei fratelli Giuseppe e Domenico Valeriani, decoratori teatrali. Incisione, vedutismo, scenografia: settori ben presenti e ben
rappresentati nella Venezia del tempo, certamente familiari alle prime, precedenti esperienze di Piranesi che peraltro si definirà sempre con orgoglio “Architetto veneziano’’.
A tre anni dal suo arrivo a Roma veniva pubblicata la “Prima Parte di Architetture e Prospettive inventate da Gio Battista Piranesi Architetto Veneziano’’, una raccolta di dodici
tavole incise all’acquaforte, cui successivamente se ne aggiunsero altre cinque. La serie,
che raffigurava fantasie architettoniche, progetti e templi di gusto palladiano, comprendeva anche un diretto precedente tematico delle Carceri: una tavola dal titolo “Carcere
oscura con Antenna pel Suplizio de’ malfatori. Sonvi da lungi le Scale, che conducono al piano e vi si vedeno pure all’intorno altre chiuse carceri’’; l’impianto architettonico a volta,
impostato su prospettive oblique secondo la “scena per angolo’’ di Ferdinando Galli da
Bibiena, sarà ricorrente nella serie più famosa.
La raccolta recava la dedica – poi cancellata per dissapori tra i due – ad uno dei primi,
autorevoli protettori romani dell’artista, Nicola Giobbe, collezionista e conoscitore d’arte, attraverso il quale il giovane Piranesi ebbe accesso ad importanti collezioni romane e
stabilì rapporti con artisti come Nicola Salvi (fontana di Trevi) e Luigi Vanvitelli, architetto della Fabbrica di San Pietro, figura di spicco nel volgere del gusto dal barocco al neoclassico1. Non meno stimolanti furono certo, fin dal primo soggiorno romano, l’apprezzamento e l’amicizia di un personaggio come lo storiografo d’arte Giovanni Gaetano Bottari, bibliotecario di casa Corsini alla Lungara e poi Custode della Biblioteca Vaticana.
Negli anni 1744-’45 Piranesi tornò a Venezia. Fu un lungo momento di riflessione, probabilmente di primi bilanci e, ancora, di studio in vista di scelte definitive. In questo soggiorno, peraltro scarsamente documentato, pare che abbia frequentato la bottega del Tiepolo, nel quinto decennio del secolo intensamente operoso e già interessato alla tecnica
A fronte
Tavola I, primo stato.
Firmata in basso
a destra “Piranesi f.”.
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Tavola VIII, primo stato.
dell’incisione. In rapporto col Tiepolo – nonché col Canaletto – in riferimento alla produzione di incisioni era il mercante tedesco Giuseppe Wagner, da qualche anno a Venezia, editore ed incisore egli stesso, già noto ad una clientela di livello europeo. Wagner conobbe Piranesi, probabilmente anche i suoi lavori, e mostrò al giovane il suo apprezzamento proponendogli di divenire suo rappresentante a Roma.
Nel 1745 l’artista tornava a Roma con questo incarico e vi si stabiliva definitivamente, con
bottega di incisore al Corso di fronte all’Accademia di Francia, con la quale stabilirà proficui rapporti culturali.
Una scelta di campo, quello dell’incisione, certamente ben meditata, che il grande studioso di Piranesi Henri Focillon commentava con acume: “En acceptant délibérément d’être un graveur, il comprend qu’il peut réaliser du même coup ses ambitions d’architecte,
d’archéologue et de peintre”2.
L’interesse appassionato per la “gran metropoli’’, per quella antica e per la Roma del suo
tempo, la maestrìa nel rappresentarle e, ancora, la capacità di trarne ispirazione per
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Per la prima volta il tema del carcere, presente in singole composizioni di autori diversi
– per lo più disegni – riferibili a progetti di scenografie teatrali, è assunto come protagonista di una serie compiuta di incisioni che l’artista presenta come “capricci’’, termine
ricorrente nel Settecento a indicare libere, estrose interpretazioni di un tema, virtuosismi di invenzione e di tecnica.
Le tavole raffigurano ampie architetture di interni con possenti arcate a volta che si
succedono ad altre, sviluppate su piani diversi, scandite da scale, travature, ponti levatoi, passerelle sospese che attraversano in diagonale spazi enormi. Sono rielaborazioni fantastiche, secondo i più aggiornati canoni della scenografia, di architetture della
Roma antica, sempre ben presente all’artista3. “Capricci’’, dunque, su un tema assolutamente nuovo, con numerosi, evidenti richiami alla recente esperienza veneziana quali, in una delle prime incisioni, la grande luminosità del cielo aperto sull’inquadratura robusta di un’arcata, sullo sfondo di un colonnato circolare assai vicino a quello berniniano di San Pietro; e, in un’altra, lo spazioso “occhio’’ rotondo di cielo, un profon-
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estrose “invenzioni’’ improntano un’attività fervidissima – più di mille incisioni – che Piranesi svolgerà per tutta la vita.
All’inizio del suo definitivo insediamento l’artista lavora alle Vedute di Roma, la grande
opera che si estenderà per circa trent’anni assicurandogli presto rinomanza europea, e
pubblica la prima versione delle Carceri.
La serie è composta di quattordici incisioni su lastre di grande formato, non numerate,
alcune firmate. Nella prima tavola, che funge da frontespizio, è l’indicazione “Invenzioni
Capric (sic) di Carceri …” e il nome dell’editore francese Bouchard (dapprima con la
grafìa errata ‘’Buzard’’, poi corretta) con bottega a Roma, al quale l’artista ha evidentemente affidato la vendita dell’opera.
Tavola XIII, primo stato.
Firmata in basso
a destra “Piranesi f.”.
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do scorcio, con nubi vaporose e improbabili travature sospese.
Il segno fluido, sommario dell’incisione, la gradazione morbida dei toni di luce – una
luce bionda, dorata – caratterizzano in gran parte questa prima serie delle Carceri, nella quale peraltro appaiono due sole immagini di prigionieri. Ma mentre la figuretta in
catene librata in alto nel frontespizio non è priva di una sottile, veneta eleganza, di ben
diversa forza drammatica è, in un’altra tavola, il “grumo’’ dolente di prigionieri legati
su un palco, in un cupo interno in cui i violenti contrasti di luce sono quelli della successiva maturità dell’artista.
Tavola XII, primo stato.
Firmata in basso
a sinistra “Piranesi f.”.
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A circa un decennio di distanza da questa prima serie, nel 1756, un “Catalogo’’ di tutte le
sue opere, da lui stesso inciso, registrava l’aggiunta di una tavola alle Carceri, che risultavano ora quindici ed erano definite non più “capricci’’ ma “carceri d’invenzione’’. In un
“Catalogo’’ di poco successivo, le incisioni erano sedici4, numero definitivo della nuova serie, che appariva ora, all’inizio degli anni sessanta, profondamente diversa rispetto alla
prima, per ispirazione e tecnica.
Oltre all’aggiunta di due tavole, Piranesi aveva ripreso e rielaborato profondamente, in
qualche caso radicalmente, i quattordici rami delle Carceri a suo tempo pubblicate da Bouchard, oggi note in poche, rarissime serie complete.
Delle ‘‘Carceri d’Invenzione’’ si conoscono stati diversi, differenziati da ulteriori, successivi interventi dell’incisore sulle singole lastre, nonché dalla presenza o meno della
firma e del numero romano, da I a XVI. Una scritta in basso nella seconda tavola – l’ultima aggiunta da Piranesi – specifica che l’opera era in vendita presso il suo studio,
ora vicino a Trinità dei Monti. L’incisione è indicativa dei profondi mutamenti intervenuti nel linguaggio dell’artista: è una composizione densa di immagini, con un prigioniero al supplizio della ruota ed una quantità di lapidi scolpite che riporta agli in-
Nel periodo intercorso tra le due serie delle Carceri il prestigio dell’artista era cresciuto
notevolmente. A Roma, cuore del “grand tour’’ di uomini di cultura, letterati e artisti, si
andava affermando il forte movimento culturale volto all’antico – il neoclassicismo – cui
Piranesi darà un impulso personalissimo attraverso la sua attività. Di questi anni sono due
tra le sue opere di maggior rilievo.
Nel 1756 venivano pubblicati i quattro volumi delle Antichità Romane, gigantesca raccolta di incisioni dedicate ai monumenti romani e cinque anni dopo, nel 1761 – al tempo
delle seconde Carceri – era la volta della Magnificenza e Architettura de’ Romani: un ampio testo corredato di immagini, complemento storico e critico delle Antichità Romane,
apologia dell’architettura romana di cui l’artista sosterrà polemicamente nel tempo la
supremazia rispetto a quella greca.
La Magnificenza recava la dedica al papa Clemente XIII, il veneziano Rezzonico, suo prestigioso protettore. In quello stesso periodo, all’inizio degli anni sessanta, l’artista riceveva da un nipote del pontefice, il cardinale Giovanni Battista Rezzonico, la commessa di
quello che sarà l’unico edificio realizzato su suo disegno, il complesso di Santa Maria del
Priorato dei Cavalieri di Malta sull’Aventino, improntato a un’eleganza neoclassica misurata, tutta settecentesca, nelle strutture e negli ornati.
Alla maturità più tarda appartengono le due raccolte di incisioni che costituiscono due
autentiche pietre miliari nel settore delle arti decorative: le Diverse maniere di adornare i cammini… del 1769, straordinario, fantasioso repertorio di decorazioni, mobili,
suppellettili e, nell’anno stesso della morte, il 1778, Vasi, candelabri, cippi…, fonte inesauribile di ispirazione per orafi, bronzisti, lapicidi. Opere destinate ad esercitare un
influsso vastissimo su più generazioni di progettisti e decoratori in tutta Europa: da
Robert Adam, architetto e decoratore scozzese, grande amico dell’artista, all’argentiere romano Luigi Valadier, sino ai “padri’’ dello stile Impero, Charles Percier e PierreFrançois Fontaine.
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teressi per il collezionismo antiquario da lui maturati in quegli anni.
Nell’intera serie il tratto dell’incisione è ora più profondo, insistito e determina gradazioni
ricchissime di tonalità di luce con passaggi chiaroscurali fortemente contrastati.
Tecnica magistrale e personalissima, inventiva, forza drammatica caratterizzano questa
serie, dal cui titolo è scomparso il termine “capriccio’’ di accezione barocca, non più
adatto all’erudito ambiente classicista della Roma del tempo e, nello specifico, alla drammaticità delle immagini; è rimasto quello di “invenzione’’, a indicare composizioni di
fantasia che non raffigurano il vero, ma che dal vero partono e lo trasformano.
Il vero è ancora l’antica Roma, evocata nelle architetture ora moltiplicate, in questi spazi
smisurati immersi in oscurità inquietanti con aperture improvvise di luce che rivelano
grate, sbarre, strumenti di tortura, torturati e torturatori. Immagini che sono state lette
nei secoli scorsi, in modo un po’ riduttivo, quasi esclusivamente come una sorta di fantastici deliri, anticipazioni di una sensibilità romantica avvertita prima in Francia e in Inghilterra che in Italia.
Per gli impianti architettonici la critica propone oggi riferimenti, pur se solo allusivi, a costruzioni specifiche come il complesso del Carcere Mamertino e gli edifici capitolini5, mentre si considerano e si interpretano con rinnovata attenzione le scritte latine presenti in
alcune tavole, tratte da Tacito e più ancora da Tito Livio6. Scritte che nei personaggi e nei
fatti rievocati richiamano le qualità e la successiva degenerazione delle leggi romane e che,
come tali, riportano al profondo coinvolgimento di Piranesi, proprio a partire dagli anni
sessanta, nella polemica sulla supremazia della civiltà romana7.
Questa versione definitiva delle Carceri, nella quale si può dunque evidenziare anche
un intento ideologico, è stata nel tempo, ed è tutt’oggi, una delle sue opere più famose e stimolanti per scrittori e artisti a livello europeo. È la sua opera “d’invenzione’’
per eccellenza.
Note
1
H. Focillon, G.B. Piranesi, Paris 1963, pp. 39, 40 .
2
H. Focillon, Op. cit. , p. 49 .
3
Sul rapporto tra la prima serie delle Carceri e l’architettura romana cfr. S. Gavuzzo Stewart, Nota sulle Carceri piranesiane, in “L’Arte”, XV- XVI,
1972, p. 60.
4
T. Villa Salamon, Giovanni
Battista Piranesi parte sesta: le
Carceri, in “Il conoscitore di
stampe” , 1979, n. 4, pp. 2-5.
5
M.Calvesi, Riscontro con i luoghi e le fonti, in Piranesi nei
luoghi di Piranesi, Catalogo
della mostra, Roma 1979, pp.
25,26.
6
S. Gavuzzo Stewart. Op. cit.
pp. 66,69,72; M. Calvesi, Giovanni Battista e Francesco Piranesi, Catalogo della mostra,
Roma 1967-68, p. 12.
7
M. Calvesi, Lettura e interpretazione delle scritte, in Op.
cit., Roma 1979, p.15.
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