Abilità di caregiving familiare: sviluppo del concetto
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Abilità di caregiving familiare: sviluppo del concetto
Abilità di caregiving familiare: sviluppo del concetto Karen L. Schumacher,1** Barbara J. Stewart,2† Patricia G. Archbold,2‡ Marylin J. Dodd,3† Suzanne L. Dibble 3§ 1 University of Pennsylvania School of Nursing, Nursing Education Building, Philadelphia, PA 19104-6096 2 School of Nursing, Oregon Health Sciences University, Portland, OR 3 School of Nursing, University of California, San Francisco , CA Abstract: Dalle famiglie ci si aspetta con sempre maggior frequenza che prestino assistenza complessa a domicilio ai parenti malati. Tale pratica richiede a persone estranee all’ambiente sanitario un livello di conoscenze e capacità assistenziali senza precedenti che però non sono mai state formalmente sviluppate a livello concettuale nell’infermieristica. Scopo dello studio qui sintetizzato era di sviluppare sistematicamente il concetto di abilità di caregiving familiare, attraverso un’analisi qualitativa di interviste a pazienti (n = 30) sottoposti a chemioterapia per patologie tumorali ed ai loro principali caregiver familiari (n = 29). I metodi analitici sono stati la codifica aperta ed il confronto costante. Sono stati identificati sessantatre indicatori di abilità per nove processi assistenziali fondamentali. L’abilità di caregiving familiare è stata definita come capacità di applicarsi efficientemente ed agevolmente a questi nove processi. Sono state identificate anche le proprietà delle abilità di caregiving familiare. Concettualizzare le abilità come variabili ed identificare gli indicatori dei livelli di variazione fornisce le basi per la misurazione e consentirà ai medici di valutare con maggior precisione le competenze. Parole chiave: caregiving; famiglia; abilità; sviluppo concettuale; cancro; chemioterapia; assistenza domiciliare * Il presente studio è stato condotto mentre la prima autrice stava svolgendo un post-dottorato presso l’Università di Scienze Sanitarie dell’Oregon. Le autrici ringraziano le famiglie che hanno partecipato alla ricerca. Con il patrocinio di: Istituto Nazionale per la Ricerca Infermieristica; contratto di sponsorizzazione n. F32NR06969 Con il patrocinio di: Istituto Nazionale per il Cancro; contrattI di sponsorizzazione n. F31CA0999; R01CA48312. Inviare la corrisponedenza a Karen L. Schumcher Professore assistente † Professore ‡ Professore emerito c/° la Scuola per Infermieri Elnora E. Thomson § Professore aggiunto. * 1 L’invecchiamento della popolazione e le politiche di contenimento dei costi stanno modificando l’assistenza in tutto il mondo e portando ad un interesse internazionale sempre maggiore verso l’assistenza domiciliare (Dittbrenner, 1995; hrenfeld, 1998; Lee, Hwang, Pierce, & Fitzpatrick, 1997; Modly, Zanotti, Poletti, & Fitzpatrick, 1997). Anche se i servizi ufficiali di assistenza domiciliare saranno un aspetto importante dei servizi sanitari del futuro, buona parte dell’assistenza agli anziani ed ai malati sarà affidata alle famiglie (Nolan & Grant, 1989; Yamamoto & Wallhagen, 1997). Negli Stati Uniti, come in molti altri Paesi, le famiglie sono chiamate ad erogare un’assistenza sempre più complessa ai congiunti malati. Tale pratica richiede un livello di conoscenze e capacità assistenziali senza precedenti a persone estranee all’ambiente sanitario (Barg et al., 1998; Sims, Boland, & O’Neill, 1992). Come risultato di questi profondi cambiamenti, il caregiving familiare diventa un concetto infermieristico sempre più importante, con significative implicazioni nella clinica e nella ricerca. Benché le abilità richieste ai familiari in varie situazioni cliniche siano state descritte (Clark & Rakowski, 1983; Grobe, Ilstrup, & Ahmann, 1981; Hinds, 1985), e gli interventi atti ad accrescerle rapportati (Archbold et al., 1995; Barg et al.; Cawley & Gerdts, 1988; Edstrom & Miller, 1981; Mahoney & Shippee-Rice, 1994), le abilità di caregiving familiare non sono ancora state sviluppate formalmente come concetto. Lo sviluppo concettuale delle abilità di caregiving familiare è essenziale nell’era attuale dell’assistenza. Poiché le famiglie diventano sempre più responsabili dell’assistenza a propri membri gravemente malati, gli interventi destinati ad assisterle devono fondarsi su basi teoretiche solide. Lo sviluppo delle conoscenze formali può esplicitare la natura delle abilità di caregiving familiare, preparare il terreno per un approccio più sistematico alla valutazione clinica delle stesse e rendere possibile una ricerca in cui siano una variabile. Scopo dello studio qui sintetizzato era di sviluppare il concetto di abilità di caregiving familiare, attraverso un’analisi qualitativa di interviste a caregivers di familiari malati di cancro. Faceva parte di un progetto di sviluppo concettuale più ampio nel quale abbiamo utilizzato sia l’analisi teoretica che i dati empirici per concettualizzare il fenomeno clinico della buona assistenza familiare. Scopo ultimo del progetto era di gettare le fondamenta per lo sviluppo di uno strumento con il quale valutare le abilità di caregiving familiare nella pratica clinica e nella ricerca. Il nostro metodo è derivato al modello ibrido di sviluppo del concetto (Schwartz-Barcott & Kim, 1993). Tale modello si compone di tre fasi: (a) fase teoretica, (b) campo di lavoro o fase empirica, (c) fase analitica finale. Nel nostro progetto, la fase teoretica comprendeva un’ampia considerazione dell’adeguata etichetta concettuale del fenomeno di fare bene l’assistenza familiare, utilizzando riflessioni sulla pratica clinica ed una analisi preliminare di vignette cliniche raccolte in due studi precedenti. Sempre durante la prima fase, abbiamo analizzato la letteratura esistente sul tema (Schumacher, Stewart, & Archbold, 1998). Questa prima fase teoretica ci ha fornito il background per quella empirica, che è l’interesse principale di questo rapporto. Scopo della fase empirica era definire sistematicamente le abilità di caregiving, descriverne le proprietà e le dimensioni ed identificare indicatori per misurarle utilizzando le procedure di codifica aperta di fondate teorie per lo sviluppo concettuale. BACKGROUND Il carico di lavoro del caregiver è stato il primo concetto unificatore per una ricerca estensiva sul caregiving familiare (Given & Given, 1991; Nolan, Grant, & Keady, 1996). Anche se si tratta di una questione importante, altri aspetti del caregiving familiare, compresa la capacità di assistere bene, sono clinicamente rilevanti e necessitano di uno sviluppo concettuale. Le citazioni che seguono, tratte da una intervista, illustrano l’importanza di una buona assistenza, sia per il benessere del caregiver che per quello dell’assistito: Un uomo malato di cancro al polmone era stato ricoverato d’urgenza per trattare una disidratazione sviluppatasi durante diversi giorni di permanenza a casa dopo il primo trattamento di chemioterapia. Al momento del ricovero la sua caregiver era sconvolta per 2 non essersi resa conto della gravità della situazione. Come disse, E’ stata una bruttissima giornata. Infatti l’ho cancellata. Sono andata a casa. L’ho cancellata ed ho immaginato di ricominciare l’indomani perché quel giorno non stavo facendo niente di buono per nessuno. Tutto quello che riuscivo a fare era starmene seduta a piangere. L’hanno ricoverato per fargli delle flebo e mi hanno chiesto perché non gli ho dato più liquidi e perché non ho fatto questo e perché non ho fatto quello, ed io pensavo “Mio Dio!” Me lo hanno fatto vedere così grave, e penso lo fosse, che non sono stata capace di fare altro che piangere e tornare a casa. Cancellata. Quando le è stato chiesto di descrivere che cosa aveva portato al ricovero, ha risposto: Beh, la mia preoccupazione era a casa, quella era la mia prima esperienza a casa dopo la chemioterapia. Mi avevano detto che sarebbe stato male, che non avrebbe avuto fame ma di dargli da bere tutti i liquidi che riusciva ad assumere. Tutte queste cose sono successe, lui non mangiava niente ed io pensavo “Quanto sarà grave questo?” e ancora, “Dopodomani lo porto là. Lo visiteranno e faranno qualcosa”. “Sta succedendo quello che mi avevano detto, okay, allora immagino vada tutto bene”. Ma non l’ho portato là, ecco perché si sono arrabbiati (gli operatori sanitari). Avrei dovuto farlo perché non beveva quanto avrebbe dovuto. Non mangiava né bevevo niente, era messo proprio male, ma io non lo sapevo. (Studio sul caregiving familiare). Questa vignetta ci rivela il distress che si prova quando si viene accusati di aver commesso un “errore” a casa. Tuttavia, dal punto di vista del ricercatore, questo caregiver non ha sbagliato, ha piuttosto cercato di fornire assistenza senza supporto in una situazione che richiede più competenze cliniche di quante se ne possano aspettare in un una persona comune, soprattutto se neofita nel ruolo di caregiver. Assistere bene è importante per i caregiver e lo sviluppo di competenze, conoscenze ed abilità è una preoccupazione costante in coloro che stanno accingendosi a diventarlo (Brown & Stetz, 1999). Barg e colleghi (1998) hanno trovato che il 65% dei caregiver che partecipavano ad un intervento psicoeducativo denunciavano difficoltà anche estreme nel guardare il paziente peggiorare non sapendo cosa fare. Questo aspetto era il più penoso del ruolo di caregiver. Il settantaquattro percento del campione era seriamente preoccupato di non essere in grado di gestire l’assistenza al paziente in futuro. I nostri dati ci suggerivano che l’identificazione delle aree in cui i caregiver si trovavano in difficoltà avrebbe facilitato interventi mirati e tempestivi da parte del personale sanitario. Attraverso la nostra lettura preliminare di vignette di dati simili a quelle precedentemente trascritte, più le riflessioni sulla pratica clinica, abbiamo identificato il fenomeno clinico del buon caregiving familiare per lo sviluppo del concetto. In seguito abbiamo intrapreso una revisione della letteratura per identificare ed analizzare concetti già in uso riferiti al buon caregiving familiare (Schumacher et alii, 1998). Erano compresi i concetti di maestria (Lawton, Kleban, Moss, Rovine, & Glicksman, 1989), auto-efficacia (Haley, Levine, Brown, & Bartolucci, 1987), preparazione (Archbold, Stewart, Greenlick, & Harvath, 1990), competenza (Kosberg & Cairl, 1991; Pearlin, Mullan, Semple, & Skaff, 1990), e qualità del family caregiving (Levine, Cartwright, Inoue, Stewart, & Archbold, 1998; Phillips, Morrison, & Chae, 1990a, 1990b). Abbiamo concluso che, anche se ciascuno di questi concetti è attinente al “fare un buon lavoro”, nessuno coglie appieno il fenomeno. La “maestria” , per esempio, è definita come visione positiva delle capacità e dei comportamenti di una persona durante il processo di caregiving (Lawton et alii, 1989) ma ha anche una connotazione di dominio, superiorità, vittoria e avere la meglio su qualcosa (Nuovo dizionario Webster per il XX Secolo, 1983), che non sembra attinente all’esperienza assistenziale. L’”auto-efficacia” è definita come fiducia che il caregiver ripone nella propria capacità di gestire bene i problemi comportamentali e le disabilità dell’assistito (Haley et alii, 1987). In quanto tale, è un’auto-stima. I nostri dati ci indicano che i caregiver hanno bisogno di una verifica ed una guida professionale per completare le auto-percezioni nei momenti critici del caregiving. Quindi, l’auto-efficacia, benché importante, non è sufficiente per comprendere appieno se si sta facendo un buon lavoro (Schumacher et alii, 1998). “Preparazione” ha una connotazione anticipatoria (Archbold et alii, 1990), nel senso che i componenti della famiglia possono sentirsi ben preparati a fornire una buona assistenza ma allo stesso tempo possono trovarsi o non trovarsi nel ruolo di caregiver. La “competenza”, definita come 3 adeguatezza percepita delle proprie performances come caregiver (Pearlin et alii, 1990), ha anche il significato implicito di essere adatti o qualificati per un lavoro. Questa ultima connotazione non rispecchia adeguatamente cosa “capitava” ai partecipanti che si trovavano in difficoltà con il caregiving. Essi non erano tanto incompetenti quanto inesperti riguardo a problemi assistenziali complessi. La “qualità del caregiving familiare” è un costrutto ampio (Levine et alii 1998; Phillips et alii 1990a, 1990b) che può comprendere il fornire bene assistenza o una delle sue molteplici dimensioni. Dato che nessuna di queste definizioni si adattava con precisione ai dati, abbiamo cercato un’altra etichetta concettuale. Lavorando iterativamente tra interviste, letteratura addizionale, dizionari e glossari abbiamo concluso che la definizione di abilità di caregiving familiare era congruente con i dati e richiedeva un ulteriore sviluppo concettuale. Abbiamo chiamato il concetto abilità di caregiving e non abilità del caregiver per porre l’accento sul processo comportamentale e non sulla persona. Il fenomeno dell’acquisizione delle abilità interessa da molto tempo ricercatori di varie discipline. Proctor e Dutta (1995) hanno riassunto la ricerca come ampia gamma di abilità psicomotorie, cognitive e di problemsolving e definito l’abilità come “comportamento finalizzato ad un obiettivo, ben organizzato, acquisito con la pratica ed eseguito con economia di sforzi” (p. 18). Molte delle ricerche citate da Proctor e Dutta erano state condotte in laboratorio ma alcuni ricercatori studiavano abilità del “mondo reale”, come quelle dei violinisti e dei radiologi. La revisione di Proctor e Dutta non affrontava né il tema delle abilità interpersonali né quello delle abilità in ruoli familiari, ad esempio di tipo genitoriale o assistenziale. In campo infermieristico, Benner e colleghi (Benner, 1984; Benner, Tanner, & Chesla, 1996) hanno studiato lo sviluppo delle abilità tra gli infermieri professionali. Anche se bisogna essere cauti nell’accomunare troppe caratteristiche dell’acquisizione di abilità assistenziali tra il personale infermieristico e quello laico (Sims et alii, 1992), il lavoro di Benner e colleghi offre scorci interessanti per i ricercatori che studiano lo sviluppo delle abilità di caregiving familiare. Ad esempio, la distinzione che fanno tra sapere che e sapere come, suggerisce l’importanza di analizzare le pratiche quotidiane del caregiving piuttosto che considerare semplicemente le conoscenze cognitive del caregiver. Inoltre, le differenze qualitative riscontrate da Benner e colleghi per quanto concerne le abilità tra infermieri con livelli di esperienza diversi, suggeriscono che anche tra i caregiver familiari possono esistere differenze simili. Infine, la loro scoperta che lo sviluppo delle abilità negli infermieri professionali avviene in un periodo lungo anni ci suggerisce che anche per i caregiver familiari sono necessarie la pratica e l’esperienza. Nella ricerca sul caregiving, l’abilità è quasi sempre concettualizzata in termini di capacità di coping piuttosto che in capacità di assistere la persona malata (GallagherThompson & Devries, 1994; Toseland, Blanchard, & McCallion, 1995). Quando si affronta il tema dell’abilità ad assistere, questa è solitamente definita in termini di compiti specifici, attività o procedure. Grobe et alii (1981), per esempio, hanno identificato le seguenti abilità necessarie ai caregiver di pazienti malati di cancro in fase avanzata: deambulazione, gestione dell’intestino, comfort, controllo della dieta, gestione del dolore, cura delle ulcere. Essi riportarono che la maggior parte dei familiari le avevano imparate provando e sbagliando. Clark e Rakowski (1983) hanno categorizzato le abilità richieste ai caregiver di anziani fragili in quattro grandi aree: (a) assistenza diretta; (b) compiti (intra)personali, preoccupazioni, difficoltà; (c) legami interpersonali con altri membri della famiglia; (d) interazione con reti più ampie, sociali e sanitarie. Questa ricerca dimostra l’ampiezza dello scopo e la natura multidimensionale delle abilità necessarie per assistere. Tra le definizioni del termine abilità fornite dai dizionari troviamo anche: abilità di utilizzare efficacemente e prontamente le proprie conoscenze nell’espletamento di una performance; atteggiamento o capacità acquisita o sviluppata; facilità e buon coordinamento nell’esecuzione di una performance motoria appresa; performance che è diventata facile e ben integrata come risultato della pratica; arte, mestiere o scienza, soprattutto quelle che implicano manualità o uso del corpo (Nuovo dizionario Webster per il XX Secolo, 1983). Queste definizioni ci suggeriscono che l’abilità è una 4 combinazione di arte, mestiere e scienza, cosa che è coerente con le nostre osservazioni sulla complessità del caregiving. Inoltre, implicano che le abilità si sviluppano con il tempo e che i comportamenti esperti diventano ben integrati e semplici con la pratica. Riassumendo, la fase teoretica iniziale dello sviluppo del concetto è consistita nella revisione della letteratura e nell’analisi delle definizioni di abilità esistenti, alla luce dei dati delle interviste e delle osservazioni cliniche. I risultati di questa fase sono stati: (a) dare il nome ad un concetto congruente con i dati e (b) ottenere una valutazione preliminare di quali possano essere gli attributi e le dimensioni delle abilità di caregiving. Una volta dato il nome al concetto, ci siamo dedicate alla fase empirica della sua analisi, che è il tema di questo rapporto. La fase empirica è consistita in una analisi qualitativa approfondita dei dati al fine di capire meglio gli attributi e le dimensioni delle abilità di caregiving familiare ed identificare indicatori di variabili nelle abilità. METODO Progetto e fonti dei dati Il database era costituito da interviste condotte dalla prima autrice nel corso di due ampi studi sul self-care ed il caregiving durante la chemioterapia. Il primo studio, il Pro-Self Study (Dodd et al., 1988-92; Messias, Yeager, Dibble, & Dodd, 1997), testava gli effetti di un intervento infermieristico sui comportamenti di self-care nella gestione degli effetti collaterali della chemioterapia. I partecipanti erano pazienti sottoposti per la prima volta a chemioterapia per tumori solidi o linfomi ed i loro principali caregiver informali. Dovevano essere tutti maggiorenni, in grado di parlare inglese e disposti a firmare il modulo sul consenso informato. La raccolta dati comprendeva interviste a domicilio dopo ciascuno dei primi quattro cicli di chemioterapia per chiedere delle strategie utilizzate per gestire gli effetti collaterali. In qualità di assistente alla ricerca, la prima autrice ha intervistato 10 coppie paziente/caregiver e questi dati sono stati utilizzati nella presente analisi. Il secondo studio, lo Studio sul Caregiving Familiare, è stato progettato per sviluppare una teoria fondata sull’acquisizione del ruolo di caregiver familiare (Schumacher, 1996). La popolazione ed i criteri di selezione erano identici a quelli dello Studio Pro – Self. Anche nel secondo caso i pazienti ed loro caregivers sono stati intervistati più volte a casa loro durante il periodo della chemioterapia. Le interviste erano però aperte e più approfondite, per fare emergere più dettagli riguardanti il processo assistenziale. Questi due studi hanno prodotto una grande quantità di dati qualitativi longitudinali (130 interviste con 30 pazienti e 29 caregiver). Benché non fosse l’interesse analitico primario di nessuno dei due studi, molte abilità del caregiving familiare emergevano già ad una prima lettura delle trascrizioni delle interviste. Vista la ricchezza di dati non precedentemente analizzati, per il presente studio di sviluppo concettuale abbiamo deciso di utilizzare set di dati combinati. Campione La maggior parte dei caregiver erano donne (62%), bianche (69%) e mogli della persona malata (63%). L’età media era di 53 anni (SD = 15). Anche la maggior parte delle persone malate di cancro erano donne (60%) bianche (80%). La loro età media era di 60 anni (SD = 12). Tutte erano sottoposte a chemioterapia per la prima volta, per tumori solidi o linfomi. Procedure Le procedure di entrambi gli studi sono state pubblicate altrove (Messias et al., 1997; Schumacher, 1996). I partecipanti sono stati reclutati tra i clienti di studi medici oncologici privati e nelle cliniche della zona della Baia di San Francisco. E’ stato ottenuto il consenso informato. Le interviste sono state registrate e trascritte alla lettera. Analisi dei dati La fondata teoria procedurale della codifica aperta, del confronto costante ed una estensiva scrittura di appunti hanno costituito le tecniche analitiche basilari (Strauss & Corbin, 1990). Non abbiamo proceduto ad una codifica assiale e selettiva e quindi non abbiamo sviluppato una teoria fondata. Tuttavia, le procedure di codifica aperta sono state utilizzate per identificare proprietà, dimensioni ed indicatori attraverso il confronto continuo. Le dichiarazioni dei caregiver sulla gestione di problemi assistenziali specifici (es. febbre, nausea, 5 vomito, debolezza e depressione) e sulle procedure (es. alimentazione tramite sondino, irrigazione dell’urostomia, somministrazione dell’alimentazione parenterale) hanno costituito le unità d’analisi per il confronto continuo. Questo approccio ci ha consentito di identificare la molteplicità di processi di caregiving utilizzati per gestire i problemi e di puntualizzare le aree di difficoltà. Quando si presentavano delle difficoltà nell’assistenza, queste avevano spesso un impatto negativo sul caregiver così come sull’assistito e portavano ad una gestione non ottimale dei sintomi e degli effetti collaterali, a ricoveri d’urgenza e/o a visite mediche fuori programma, ad un ritardo nel trattamento, a rischi per la sicurezza, ad un distress emotivo per entrambi ed a conflitti riguardanti la gestione della malattia. Confrontare tra loro i racconti ci ha permesso di analizzare i processi di caregiving in base ai risultati e di identificare le varianti che sembravano collegarsi ai risultati. Le varianti di come i processi di caregiving venivano attuati alla fine hanno creato le basi per gli indicatori di abilità di caregiving. RISULTATI Indicatori di abilità di caregiving familiare Sono stati identificati sessantatre indicatori di abilità di caregiving, raggruppati in nove processi assistenziali: monitoraggio, interpretazione, decisionalità, azione, fare aggiustamenti, assistenza pratica, accesso alle risorse, lavorare assieme al malato e negoziare il sistema assistenziale (Tabella 1). Questi 63 indicatori sono caratteristiche osservabili che rappresentano il livello di abilità con il quale ciascun processo viene portato a termine. I processi non sono di per se stessi indicatori di abilità, sono piuttosto dimensioni del ruolo, che possono essere portati a termine più o meno bene. Anche se per questioni di spazio non possiamo descrivere nel dettaglio ciascun indicatore, a seguire forniamo degli esempi che illustrano una selezione di indicatori per ciascun processo. Monitoraggio. Il monitoraggio è stato definito come il processo di osservare come stava l’assistito o il “tenere d’occhio le cose” per essere certi che eventuali cambiamenti delle condizioni del malato venissero notati. Una caregiver inesperta che all’inizio non utilizzava il termometro per misurare la febbre ma si limitava a sentire la fronte all’assistito, esemplifica le difficoltà del monitoraggio. Quando ha iniziato ad usare il termometro, non lo leggeva accuratamente, segnalando: “Gli ho misurato la febbre e andava bene. Era sui 901 o giù di lì”. Aveva difficoltà a trovare il giusto equilibrio nella vigilanza, a volte andava avanti e indietro più del necessario, altre lasciava solo l’assistito troppo a lungo. Tendeva a trascurare i piccoli cambiamenti e ad essere piuttosto generica nelle osservazioni, facendo affermazioni del tipo: “Non ha un bell’aspetto”, invece di osservare che il paziente era pallido o debole o dimagrito. Inoltre, aveva la tendenza ad utilizzare un solo termine per descrivere come stava il malato, ad esempio “bene”. Dei caregiver più abili si sarebbero espressi con diversi termini ed utilizzato sia affermazioni verbali che comportamenti non verbali. Interpretazione. L’interpretazione viene definita come il processo di dare un senso a ciò che si è osservato. L’interpretazione attenta era un processo complesso di ragionamento caratterizzato dal riconoscimento delle deviazioni dalla normalità o dall’atteso e dall’attribuzione di una causa a quanto osservato. La vignetta sopra riportata esemplifica le difficoltà nell’interpretare ciò che si osserva; il caregiver non ha riconosciuto i segni precoci della disidratazione, anche avendo notato che il paziente beveva poco e si stava indebolendo. I caregiver abili attribuiscono correttamente un effetto alla causa che lo provoca. Ad esempio, un caregiver abile avrebbe attribuito l’incapacità di mangiare del paziente agli effetti collaterali della chemioterapia e non ad una mancanza di appetito. Un caregiver meno abile ha attribuito l’incapacità di mangiare del paziente ad una mancanza di apprezzamento dei suoi sforzi nel preparare piatti appetitosi. Un altro ha attribuito la debolezza del paziente al fatto che “stava invecchiando” invece che alla chemioterapia. In seguito, comunque, questa persona ha imparato ad attribuire correttamente gli effetti collaterali al tipo di trattamento. Decisionalità. La decisionalità è stata definita come il processo di scegliere una serie di azioni basate sulle proprie 1 Pari a poco più di 32° 6 Tabella 1. indicatori di abilità nel processo di caregiving familiare Monitoraggio 1. Utilizza specificità appropriate 2. Nota variazioni minime 3. Nota indicatori verbali e non verbali del benessere dell’assistito 4. Utilizza strumenti per il monitoraggio quando necessari 5. Utilizza una vigilanza adeguata 6. Fa osservazioni accurate 7. Mantiene una registrazione scritta quando adeguato 8. Percepisce i modelli Interpretazione 1. Riconosce le devianze dalla normalità o dal corso clinico previsto 2. Riconosce che qualcosa è “diverso” o “sbagliato” 3. Giudica seriamente un problema 4. Cerca spiegazioni per segni e sintomi inspiegabili 5. Pone domande dettagliate allo scopo di approfondire una spiegazione 6. Fa riferimenti corretti 7. Utilizza punti di riferimento per dare un senso alle osservazioni 8. Considera più spiegazioni per una osservazione Decisionalità 1. Tiene conto delle esigenze assistenziali delle patologie multiple 2. Pesa le esigenze di patologie concorrenti 3. Pesa l’importanza di priorità in conflitto 4. Si occupa contemporaneamente di più aspetti assistenziali 5. Pensa in anticipo alle possibili conseguenze di una data azione Azione 1. Le azioni ricorrenti rispettano un intervallo adeguato 2. Utilizza “promemoria” efficaci per cadenzare le azioni 3. Dà alle azioni un ritmo che corrisponde al ritmo dell’assistito 4. Tempifica le azioni rispettando i ritmi della risposta del malato alla chemioterapia 5. Tempifica le azioni rispettando i ritmi giornalieri di risposta della persona malata 6. Tempifica con proprietà azioni intermittenti o contemporanee 7. Tiene conto dei propri bisogni quando tempifica le azioni 8. Organizza sistematicamente le azioni multiple 9. Sviluppa una routine per gestire i compiti complessi 10. Organizza i compiti in modo tale che la persona assistita possa partecipare, se possibile 11. Utilizza un sistema per ricordare quando deve fare qualcosa 12. Utilizza tracciati diversi per le azioni pianificate rispetto a quelle su necessità 13. E’ capace di agire contemporaneamente su più di una questione Fare aggiustamenti 1. Adatta la quantità di cibo, dei farmaci PRN, del riposo, dell’esercizio fisico, ecc. fino a raggiungere il comfort ottimale ed il controllo dei sintomi 2. Modifica la routine per adeguarla alla situazione di malattia 3. Modifica l’ambiente per adeguarlo alla situazione di malattia 4. Prova diverse strategie fino a trovare una soluzione ai problemi di assistenza 5. Usa gli “errori” come occasione per imparare 6. Valuta ciò che ha causato l’”errore” e modifica ciò che si presenta come fonte del problema 7. Cerca un’alternativa quando una strategia assistenziale non funziona più 8. Usa la creatività nel problem-solving Accesso alle risorse 1. Cerca con saggezza le risorse; crea una rete ampia 2. Fa un uso giudizioso dei consiglio 3. Ricerca risorse autorevoli quando necessario 4. Rifiuta i consigli sbagliati, in accurati o inadatti 5. Persiste nella ricerca delle risorse fino a quando non trova ciò che è veramente necessario 6. Prende l’iniziativa per cercare risorse 7. Valuta quali professionisti siano più accessibili, utili ed accorti 8. Esplicita i suoi bisogni Assistenza pratica 1. Esegue le procedure in sicurezza 2. Esegue le procedure con gentilezza 3. Presta attenzione al comfort del malato 4. Dedica alle procedure il tempo necessario per ottenere il miglior risultato 5. Il risultato delle procedure è esteticamente piacevole Lavorare assieme al malato 1. Percepisce quando è il momento di assumere un ruolo più attivo nella cura della malattia 2. Applica un approccio graduale nel farsi carico dei compiti assistenziali al fine di preservare nel malato un senso di partecipazione personale 3. Si rende conto di quando è il momento di fare un passo indietro 4. Applica un approccio graduale nel ritrarsi dai compiti assistenziali 5. Il suo modo di assistere ha un significato nel contesto della storia e dell’identità della persona assistita (Continua) 7 Tabella 1. (Continuazione) Negoziare il sistema assistenziale 1. Valuta l’assistenza ricevuta dal sistema sanitario 2. Perora la causa del paziente o la propria quando necessario 3. Cerca tempestivamente assistenza da parte degli operatori sanitari osservazioni ed interpretazioni della situazione. In questa analisi ci siamo interessate alle decisioni da prendere giorno per giorno invece che alle decisioni riguardanti le opzioni di trattamento. Anche se sono emotivamente meno intense rispetto alle decisioni sul trattamento, quelle che si affrontano giorno per giorno sono complesse e richiedono capacità di giudizio e di definizione delle priorità. Quando esistevano più possibilità d’azione, i caregiver abili erano in grado di operare scelte che non comportassero rischi inutili; quelli meno capaci tendevano a fare scelte che mettevano a rischio il paziente. Ad esempio, un caregiver scaricò il paziente davanti all’ingresso della clinica e se ne andò a parcheggiare l’auto. Il paziente era troppo debole per entrare in clinica da solo e, poiché non c’era nessuno ad aiutarlo, rischiò di cadere. Il caregiver non aveva preso in considerazione misure alternative, né aveva pensato in anticipo a ciò che sarebbe potuto accadere. Al contrario, aveva fatto scendere il paziente dall’auto davanti alla clinica, come d’abitudine, procedura non sicura nell’attuale contesto di malattia. Un caregiver più attento avrebbe notato che il paziente era troppo debole per camminare fino all’auto dopo un trattamento, valutato le opzioni e deciso di chiedere una sedia a rotelle agli infermieri. Azione. Viene definito azione il processo del mettere in atto le decisioni e le istruzioni. Un’azione attenta si caratterizza per essere tempestiva, avere schemi efficaci ed un elevato livello di organizzazione. Un esempio di tempismo ed andamento efficienti è quello di una caregiver che ha notato che il paziente ci impiegava un’intera giornata a finire un vasetto di yogurt ma non gli ha messo fretta. Un’altra somministrava i farmaci del mattino lentamente, in sincronia con le capacità del paziente di sopportarle. Le sembravano una lunga “tiritera” ma per il paziente funzionava visto che in precedenza, cercando di assumere in fretta i farmaci, aveva avuto conati di vomito. L’utilizzo di un sistema di registrazione di quando vengono intraprese le azioni e di Research in Nursing & Health, 2000,23,191-203 quando sono dovute è un’altra caratteristica del caregiving esperto. Molti caregiver hanno imparato che dovevano scriversi quando somministravano i farmaci e quando avrebbero dovuto somministrare la dose successiva. Hanno anche imparato che i farmaci da somministrare secondo necessità andavano registrati in modo diverso da quelli prescritti dal medico. Una caregiver controllava un complesso regime di farmaci prescritti mettendoli in un portapillole ma aveva comunque difficoltà a mantenere traccia dei farmaci somministrati al bisogno, fino a quando non ha sviluppato un sistema di registrazione scritta. Assistenza pratica. Fornire assistenza pratica è il processo attraverso il quale vengono espletate procedure infermieristiche e mediche. Un’assistenza esperta si caratterizza per l’attenzione prestata sia al comfort che alla sicurezza. I caregiver abili erano meticolosi riguardo la sicurezza. Controllare il posizionamento del sondino naso-gastrico, della sicurezza in bagno e prevenire le cadute sono esempi di attenzione alla sicurezza. I caregiver abili erano anche attenti al comfort del malato. Descrivendo l’irrigazione dell’urostomia effettuata dalla moglie, un malato disse: “Lo fa meglio degli infermieri. Loro hanno sempre fretta . Fa male quando sparano quella robaccia, la senti quando ti colpisce il rene. Quando invece lo fa lei non la sento neanche. E’ davvero brava”. Altri caregiver facevano attenzione al comfort del paziente maneggiando con gentilezza il suo corpo, sistemando i cuscini “proprio così” e controllando che il paziente non stesse né troppo al caldo né troppo al freddo. Le procedure portate a termine con abilità sono anche piacevoli esteticamente. Come disse un’assistita: “Cambiarmi i vestiti per me è difficile. Ma lei (caregiver) lo fa semplicemente e molto bene”. In questa affermazione si allude sia alla destrezza manuale che al risultato esteticamente piacevole. 8 Fare aggiustamenti. Fare aggiustamenti è definito come il processo di progressivo affinamento delle azioni assistenziali fino a trovare una strategia che funzioni bene. Fare aggiustamenti è un processo continuo perché ciò che ha funzionato una volta non sempre funziona altrettanto bene le volte successive, quando la situazione assistenziale cambia. Durante la chemioterapia erano necessari aggiustamenti frequenti a causa della straordinaria dinamicità della situazione assistenziale. Spesso i caregiver si riferiscono al processo come “esperimento ed errore” ma i nostri dati dimostrano che per i caregiver abili si trattava di un progressivo processo di problem-solving mentre quelli meno capaci tendevano a continuare con strategie che sembravano non funzionare. Il caregiving abile spesso implicava fare aggiustamenti riguardo le quantità – la quantità più efficace di antiemetici o la quantità giusta di cibo da proporre all’assistito, la quantità giornaliera di alimenti da somministrare con il sondino o la quantità relativa di attività e riposo. Un caregiver fece progressivi aggiustamenti delle dosi di antiemetici in modo che il paziente non si sentisse “stordito” ma allo stesso tempo non provasse più il senso di nausea. Un altro ridusse gradatamente la dose di alimenti somministrati via sondino in modo che la paziente avesse meno problemi addominali pur mantenendo il suo peso. I caregiver abili regolavano bene le quantità per far sì che gli assistiti stessero al meglio. Questa regolazione avveniva nel tempo, con molti “prova e sbaglia” e con molta pazienza. I caregiver meno abili tendevano a non raggiungere questo tipo di regolazione. Un altro indicatore di abilità nel fare aggiustamenti era il ricorso costante a strategie differenti fino a trovare una soluzione al problema. I caregiver meno capaci tendevano a sentirsi frustrati quando i primi tentativi di risolvere un problema non funzionavano. Uno dei problemi assistenziali per i quali le soluzioni avevano spesso vita breve era il fornire un’alimentazione adeguata. Molti caregiver pensavano di aver finalmente trovato qualcosa che l’assistito potesse mangiare ma soltanto pochi giorni dopo l’interessato manifestava disgusto verso quell’alimento. I caregiver abili non persero tempo e trovarono qualcosa d’altro che il paziente potesse gradire per qualche altro giorno, facendo uso di grande creatività per Research in Nursing & Health, 2000,23,191-203 affrontare questi problemi di difficile soluzione. Per esempio alcuni inventarono ricette per “frullati super” quando il loro assistito mostrava di non gradire gli integratori alimentari in commercio. Descrivevano all’intervistatore gli ingredienti ed altri dettagli del frullato con la grande soddisfazione che deriva dall’aver risolto in modo creativo un problema difficile. Accesso alle risorse. L’accesso alle risorse è stato definito come il processo di ottenere ciò che è necessario per fornire assistenza, tra cui: informazioni, attrezzature e forniture per uso domiciliare, assistenza da parte delle strutture territoriali, aiuto domestico ed assistenza nella cura della persona. Un esempio di accesso adeguato alle risorse è quello di un uomo che voleva informazioni circa la nutrizione delle persone malate di cancro. Fece domande al personale sanitario, a colleghi di lavoro che avevano già vissuto l’esperienza di un familiare malato, chiese nei negozi di alimenti dietetici e frequentò due gruppi di supporto. Prese l’iniziativa, creò un’ampia rete e valutò con criterio tutte le informazioni ricevute. Utilizzò le informazioni che gli tornavano utili nella sua situazione e scartò le altre. I caregiver meno abili avevano un atteggiamento più passivo, utilizzavano meno risorse e le cercavano in una sfera meno ampia. Invece che cercarne di nuove, tendevano ad utilizzare qualsiasi risorsa personale fosse a portata di mano, anche quando non rispondeva ai bisogni. Abile accesso alle risorse vuole anche dire essere capaci di trovare esattamente la cosa giusta. Per esempio, una coppia aveva bisogno di un’automobile sufficientemente grande da contenere la sedia a rotelle ed altri presidi ma sufficientemente economica da poter essere sostenuta dal bilancio familiare. I costi di mantenimento dell’auto erano un problema a causa dei lunghi viaggi fino in città più volte la settimana e per un lungo periodo di tempo. Il caregiver creò una vasta rete, fece molte ricerche ed alla fine trovò esattamente il tipo di macchina che cercava, ad un prezzo accettabile. Lavorare assieme al malato. Lavorare assieme al malato è stato definito come il processo di condivisione dell’assistenza correlata alla malattia in un modo che rispetti sia la personalità di chi riceve che quella di chi dà assistenza. Il processo del lavorare assieme è influenzato dalla storia della relaziona ma presenta anche aspetti legati 9 specificamente alla malattia. Per esempio, una giovane caregiver si trovava in difficoltà nel gestire i cambiamenti che la malattia aveva apportato nella relazione padre/figlia. Disse all’intervistatore; “Devo dire a me stessa di fare semplicemente quello che devo fare (cercare di assisterlo) e non devo più ascoltarlo. Perché io lo ascolto sempre, l’ho ascoltato per tutta la vita e per me è naturale. Voglio dire, io sono la più piccola in famiglia. Non so niente su come ci si prende cura di qualcuno”. Cercava di apportare cambiamenti radicali nel loro rapporto, di passare dall’essere “la piccola” al fare ciò che riteneva più giusto senza starlo ad ascoltare. Quando il padre ha fatto resistenza a tali cambiamenti, lei si è ritirata ad un livello meno impegnativo di assistenza. Un caregiver più abile sarebbe ricorso ad un approccio più graduale che avrebbe causato cambiamenti meno rigidi nelle relazioni. Per esempio, una caregiver rispettò il desiderio di indipendenza del paziente fino al momento in cui questi si trovò in difficoltà crescenti. Ella, consapevolmente, faceva “un passo indietro” in un momento ed un “passo avanti” in un altro. I conflitti iniziali sul suo ruolo nell’assistenza cessarono non appena adottò un approccio graduale che gli consentiva il massimo possibile di autonomia. I caregiver abili sapevano anche quando era il momento di fare un passo avanti ed assumere un ruolo più attivo nell’assistenza, percependo quando l’assistito stava troppo male per prendersi cura di se stesso ed aveva bisogno di qualcuno che se ne facesse carico. In molte coppie l’assistito peggiorava più di quanto si rendesse conto ma il caregiver era in grado di vedere cosa serviva e di assumere un ruolo più attivo nella situazione. Per esempio, quando un’assistita chiese al suo caregiver di chiamare il medico perché aveva forti nausee e vomito, lui le rispose: “Facciamo di meglio. Ti porto subito all’ospedale”. Lei fu curata per disidratazione. Negoziare il sistema assistenziale. Negoziare il sistema assistenziale è stato definito il processo di garantire che i bisogni della persona assistita siano adeguatamente soddisfatti. Benché tale responsabilità non ricada solamente sui membri della famiglia, i dati hanno rivelato che i caregiver che erano più capaci di “far funzionare il sistema” era più probabile ricevessero ciò di cui avevano bisogno. Per esempio, un caregiver che aveva atteso in pronto soccorso per tre ore Research in Nursing & Health, 2000,23,191-203 con il suo assistito affaticato, chiamò il medico di riferimento, risolse un complicato problema che riguardava le comunicazioni tra questi ed il medico del pronto soccorso ed infine riuscì a fare ricoverare il paziente. Sapere quando chiamare l’infermiere o il medico era una problema per molti caregiver a casa. Anche se era stato detto loro di chiamare quando avevano dubbi, i caregiver spesso si domandavano se i sintomi fossero sufficientemente gravi da giustificare una chiamata e se sarebbero stati considerati degli scocciatori. Con il tempo, comunque, i caregiver svilupparono il criterio di come gestire al meglio i consulti telefonici con il personale sanitario. Definizione e proprietà dell’abilità di caregiving familiare Nella fase analitica finale del progetto, i risultati dell’analisi qualitativa dei dati sono stati sintetizzati con l’analisi teoretica precedente per sviluppare una definizione concettuale di abilità di caregiving familiare ed identificarne le proprietà. L’abilità di caregiving familiare è stata quindi definita come capacità di applicarsi efficacemente e senza difficoltà a nove processi assistenziali fondamentali. Il caregiving è efficace quando ottiene i migliori risultati possibili, ad esempio una gestione ottimale dei sintomi, la prevenzione dei danni, l’individuazione precoce dei problemi e così via. Anche se alcuni risultati erano al di fuori del controllo dei caregiver, un’assistenza abile ha portato a risultati ottimali date le circostanze. Il caregiving è privo di difficoltà quando scorre senza apparente sforzo nelle azioni rese fluide dalla pratica e dall’esperienza. Il caregiving esperto aveva un livello di qualità dato per scontato e spesso procedeva così liscio da essere trasparente per i caregiver che non facevano commenti spontanei in merito con l’intervistatore. In effetti, all’inizio era trasparente per l’intervistatore, fino al momento in cui il confronto costante non ha evidenziato la complessità dei processi che stavano dietro ad un’assistenza che procedeva così tranquilla e senza intoppi. Sono state identificate tre proprietà dell’abilità di caregiving familiare. Prima, l’abilità di caregiving familiare è una mescolanza di abilità sviluppate in precedenza (capacità di problem-solving, abilità organizzative ed interpersonali) e di altre acquisite ex novo per gestire la malattia. L’assistenza risultava più 10 efficace quando abilità vecchie e nuove venivano utilizzate assieme per sostenere l’assistenza al malato. Ad esempio, un caregiver dotato di capacità di gestione domestica ben sviluppate, non trovava difficoltà ad organizzare un regime farmacologico complesso. Un altro notevolmente predisposto ai rapporti interpersonali offriva un eccezionale supporto al suo assistito depresso. Al contrario, persone che denunciavano difficoltà nelle relazioni interpersonali, avevano problemi anche nella gestione degli aspetti interpersonali del caregiving. Seconda, l’abilità di caregiving familiare implicava una integrazione tra conoscenze riguardanti la persona malata, compresi importanti aspetti della sua identità, preoccupazioni e storia personale e conoscenze riguardanti le specificità dell’assistenza alla malattia. Come disse un caregiver: “Guardo all’uomo nel suo complesso, non guardo solo al suo cancro”. Un’altra caregiver stava assistendo la madre, una donna il cui carattere socievole ed avventuroso si era per lungo tempo espresso nei i viaggi. Si sentiva depressa e “schifata” dovendo restare confinata in casa a causa della malattia. Per migliorare il suo stato d’animo, la figlia le sottoscrisse un abbonamento ad un canale televisivo cablato sui viaggi in modo che potesse viaggiare virtualmente. L’assistita disse all’intervistatore: “Oh, ieri abbiamo avuto la migliore TV! Abbiamo visto il Mississippi! Abbiamo visto la Svizzera! Oh, è stato bellissimo!” Terza, l’abilità di caregiving familiare si sviluppa nel tempo e con l’esperienza. Ad esempio, al momento della prima intervista una caregiver stava combattendo con scarso successo per somministrare un’alimentazione adeguata ad un paziente con poco appetito. L’assistito ci disse: Sto cercando di mettere un po’ più di cibo nello stomaco. A lei (la caregiver) fa piacere che io mangi. BOOM! Mi porta una piattata di roba e mi dice: “Voglio che lo mangi”. Non ce la faccio! Io mi sento di mangiare poco e spesso ma lei è della vecchia scuola quando, “Ok. Qui c’è da mangiare. Vedi di finire tutto”. Non puoi fare così, è per questo che l’altro giorno ho rigettato. Quando chiedemmo a lei cosa facesse per aiutarlo a mangiare, la caregiver rispose: “Lo sgrido”. Man mano che la caregiver diventava più abile, la questione nutrizione procedette Research in Nursing & Health, 2000,23,191-203 con più efficacia e semplicità. Alla terza intervista la caregiver ci disse: Il primo giorno di chemioterapia si sente stanco e sonnolento. Sto attenta che beva molta acqua. Gli offro del cibo ma non ha mai voglia di mangiare dopo la terapia. Non mangia molto il primo giorno. Il secondo giorno si sente un po’ meglio. Mangia qualcosa al mattino e, se lo vuole, gli faccio un uovo, altrimenti lascio stare. A volte lo mangia, a volte no. Ci impiega sempre quasi due giorni a rimettersi in sesto. In occasione della quarta intervista, quando le chiedemmo cosa faceva per gestire il problema del mangiare, la caregiver ci rispose: Cerco di cucinargli a casa i piatti che gli piacciono. Provo a preparare qualcosa di diverso ogni giorno ma ultimamente spilluzzica soltanto uova e pane tostato. Gli compro gli omogeneizzati, gli piacciono. Preferisce quelli di frutta, soprattutto pesca. Nel tempo la caregiver aveva iniziato a notare modelli nella risposta del paziente alla chemioterapia, a sviluppare diverse strategie di problem-solving ed aveva elaborato un approccio con cui combinare efficacemente quantità e tempi per l’alimentazione. Inoltre, la battaglia che stava combattendo al momento della prima intervista era superata alla quarta e l’assistenza procedeva più serenamente anche se la situazione della malattia continuava a presentare molte esigenze. Confrontando la prima intervista con l’ultima, erano evidenti differenze lampanti sia nell’efficacia che nella agevolezza con cui l’assistenza veniva erogata. DISCUSSIONE Dalla letteratura sulla ricerca emerge un interesse crescente per il “fare” assistenza familiare. Tale interesse amplia lo scopo della ricerca da un focus limitato al peso dell’assistenza all’intera costellazione dei compiti assistenziali, dei processi e delle conoscenze – compresa quella del ruolo stesso del caregiving (Archbold & Stewart, 1996; Archbold et al., 1990; Archbold et al., 1995; Given & Given, 1991). La ricerca emergente sul caregiving come ruolo complesso è significativa per la pratica infermieristica in quanto spetta agli infermieri il compito di insegnare ai membri della famiglia e di supportarli nel momento in cui 11 assumono il ruolo. Lo sviluppo delle conoscenze formali sul caregiving instaura un legame tra un fenomeno clinico importante e le conoscenze infermieristiche di base in rapida espansione. Per lo sviluppo di questo tipo di conoscenze è fondamentale riconoscere che alcuni caregiver svolgono le prestazioni assistenziali meglio di altri, per ragioni legate alle conoscenze, all’esperienza, al livello di impegno, e altro. Quindi, la concettualizzazione della variabilità nell’assistere bene è essenziale. Inoltre, data questa caratteristica, dovrebbe essere possibile misurare e individuare singoli caregiver lungo un continuum di “buona assistenza”. Questo consentirebbe ai medici ed ai ricercatori di identificare con maggior precisione le difficoltà assistenziali e di mirare gli interventi alla specificità. I ricercatori, nei loro studi sulla buona assistenza, si sono serviti sia di relazioni autoprodotte dai caregiver che di prospettive professionali (Schumacher et al.,1998). In questo studio per analizzare i dati siamo ricorsi alla prospettiva di professionisti sanitari estranei alla situazione assistenziale. Questa scelta comporta importanti implicazioni morali ed etiche e solleva questioni sul valore ed il potere (Cromwell et al., 1996; Schumacher et al., 1998) che richiedono ulteriori indagini. Da un lato, la verifica sull’efficacia dell’assistenza familiare è una parte standard del ruolo infermieristico in una serie di ambiti clinici. A questo proposito, i professionisti hanno bisogno di concetti e misure per rendere le proprie valutazioni il più possibile precise e ripetibili. Dall’altra parte, la valutazione dei comportamenti assistenziali condotta da una persona estranea alla situazione potrebbe inavvertitamente o in modo insensibile portare ad un giudizio di qualità basato su apprezzamenti inadeguati della prospettiva del caregiver. Questa tensione tra prospettive diverse esiste sia nella ricerca che nella pratica. E’ comunque degno di nota il fatto che, nella pratica clinica, i familiari spesso richiedono la verifica del proprio operato assistenziale da parte del loro infermiere e si aspettano che questi li aiuti a sviluppare le capacità assistenziali. Quindi, il fatto che l’infermiere valuti le attività ed intervenga quando necessario è un’aspettativa di molti clienti ma anche degli infermieri stessi. In teoria, la valutazione professionale e le Research in Nursing & Health, 2000,23,191-203 percezioni dei caregiver costituiscono assieme una valutazione complessiva. Al momento, però, sono disponibili più strumenti per l’auto-rapporto sulla sicurezza di sé o la preparazione da parte dei caregiver che non per una valutazione infermieristica sistematica delle capacità assistenziali. Gli indicatori sulle capacità assistenziali individuati da questo studio comprendono item per il futuro sviluppo di strumenti. Il piano del nostro progetto si basava sulla premessa che qualsiasi tentativo di sviluppare degli strumenti dovesse essere preceduto da un rigoroso lavoro concettuale. L’importanza di sviluppare una solida concettualizzazione del fenomeno prima di procedere alla misurazione non può essere un’esagerazione. Una solida base concettuale fa aumentare le possibilità che una misurazione rappresenti al meglio il fenomeno e che sia più facile l’interpretazione dei risultati ottenuti utilizzando uno strumento. Poiché lo sviluppo delle misurazioni avviene attraverso revisioni successive di uno strumento, ci aspettiamo che gli indicatori identificati in questo studio vengano affinati e modificati da ricerche successive. L’identificazione dei nove processi che richiedono abilità di caregiving va ad aggiungersi al crescente corpus della letteratura di ricerca sulla natura complessa dell’assistenza (Bowers, 1987; Given & Given, 1991; Stetz, 1987). Altri ricercatori hanno descritto I processi del monitorare, verificare, riconoscere ed interpretare (Albert, 1993; Brown & Powell-Cope, 1991; Parcel et al., 1994; Stetz & Brown, 1997), trattare con il personale sanitario e con il sistema, cercare informazioni, accedere alle risorse (Brown & Stetz, 1999; Bull & Jervis, 1997; Robinson et al., 1998), e prendere decisioni (Corcoran, 1994; Sims et al., 1992). La nostra analisi convalida ulteriormente i complessi processi di ragionamento e comportamento richiesti ai caregiver familiari e supporta il punto di vista di Given e Given che questo ruolo non può essere definito soltanto in termini di compiti e procedure. Inoltre, i nostri risultati ampliano quelli di altri ricercatori descrivendo le varianti nei processi assistenziali e concettualizzandole in termini di abilità. La concettualizzazione dell’abilità di caregiving familiare è fortemente necessaria all’infermieristica. In molti ambiti, tra cui l’assistenza domiciliare, l’assistenza territoriale e la pianificazione delle dimissioni, 12 l’insegnamento mirato a fornire ai familiari le conoscenze e le abilità necessarie a gestire a casa la malattia è il cuore della pratica infermieristica. I contenuti delle conoscenze necessarie per l’assistenza domiciliare della malattia sono stati ampiamente descritti, ma la conoscenza da sola non è garanzia di buona assistenza. Piuttosto, le famiglie devono tradurre la conoscenza in pratica ed è attraverso questo passaggio che si possono osservare le capacità assistenziali. Ironicamente, la concettualizzazione delle abilità di caregiving familiare è rimasta allo stato grezzo, nonostante la sua centralità come interesse infermieristico. Causa la mancanza di una migliore comprensione di ciò che sono le abilità di caregiving familiare, assistere bene è troppo speso associato ad un’idea di compliance, come se si trattasse semplicemente di seguire correttamente delle istruzioni. Questo studio ci dimostra che un caregiving esperto è complesso ed implica molto di più che la semplice volontà di fare o la motivazione a seguire istruzioni. E’ piuttosto la capacità di identificare i problemi assistenziali e di trovarvi soluzione. A tal proposito, tra le abilità di caregiving è compreso il problem-solving invece che la risposta passiva. I risultati di questo studio suggeriscono un approccio alla valutazione clinica diverso dalla consueta pratica di determinare se i caregiver stanno seguendo correttamente le istruzioni. I risultati suggeriscono che i clinici devono verificare molteplici processi assistenziali e mirare i propri interventi su quelli in cui i caregiver si trovano in difficoltà. Per esempio, i medici potrebbero verificare il processo del monitoraggio per stabilire fino a che punto il caregiver sia in grado di individuare i cambiamenti nelle condizioni della persona malata. Le difficoltà nel monitoraggio possono essere puntualizzate attraverso l’utilizzo di indicatori e l’intervento può essere mirato alla soluzione di problematiche specifiche. Poiché il caregiver Research in Nursing & Health, 2000,23,191-203 può essere più abile in alcuni aspetti dell’assistenza e meno in altri, è importante valutarne le capacità attraverso una serie di processi che vadano a generare un profilo di abilità invece che una valutazione globale. I nostri risultati ci suggeriscono anche che brevi periodi di formazione infermieristica possono non essere sufficienti per lo sviluppo delle abilità di caregiving. Piuttosto, sarebbe utile un addestramento pratico (Lewis & Zahlis, 1997) ma questo richiede sia disponibilità di tempo che continuità nella relazione d’aiuto. La disponibilità sempre più ridotta di infermieri professionali negli Stati Uniti è fonte di serie preoccupazioni su come, nel nuovo sistema sanitario, i caregiver familiari potranno ricevere l’addestramento di cui necessitano. Lo sviluppo delle conoscenze riguardanti le abilità di caregiving fornisce ai medici prove teoriche e pratiche a sostegno della continuità e del tempo come imperativi terapeutici. Poiché questo studio si poneva come bersaglio una situazione circoscritta di malattia (ossia caregiving durante la chemioterapia per cancro), è necessario riproporlo in altre situazioni per verificare somiglianze e differenze nelle abilità di caregiving trasversalmente alla popolazione clinica. Inoltre, i partecipanti al nostro studio erano soprattutto nordamericani bianchi della classe media. Per capire l’impatto dei fattori socioculturali e dei sistemi sanitari sulle abilità di caregiving familiare è necessario studiare altri gruppi etnici ed altre nazionalità. Nonostante questi limiti, questo studio ha iniziato il lavoro concettuale necessario ad un fenomeno infermieristico che sta crescendo di importanza man mano che le famiglie diventano più responsabili dell’assistenza ai propri componenti durante malattie instabili e spesso acute. Traduzione: Laura Delpiano 13 Riferimenti Albert, S.M. (1993). Do family caregivers recognize malnutrition in the frail elderly? Journal of the American Geriatrics Society, 41, 617-622. Archbold, P.O., & Stewart, B.J. (1996). The nature of the family caregiving role and nursing interventions for caregiving families. In E. Swanson & T. TrippReimer (Eds.), Issues in gerontological nursing: Vol. 1 (pp. 133-156). New York: Springer. Archbold, P.O., Stewart, B.J., Greenlick, M.R., & Harvath T. (1990). Mutuality and preparedness as predictors of caregiver role strain. Research in Nursing & Health, 13,375-384. 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