il canto che guarisce - guidalberto bormolini

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il canto che guarisce - guidalberto bormolini
Guidalberto Bormolini
Monte Senario. Quaderni di spiritualità 46 (2012) 24-28.
IL CANTO CHE GUARISCE
Scriveva Mosè Maimonide:
Dio ha creato l’uomo con infinita bontà, ha unito in lui forze innumerevoli incessantemente
all’opera per mantenere e preservare la meravigliosa casa che ospita l’anima immortale. Queste
forze agiscono con ordine, in accordo e armonia le une con le altre, ma se una debolezza
psichica o una passione violenta disturbano tale armonia, queste forze iniziano ad agire le une
contro le altre. Quindi Dio invia le malattie, benefici messaggeri che annunziano l’avvicinarsi
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del pericolo e spingono l’uomo a prepararsi a superarlo .
Mosè Maimonide è stato il più grande medico dell’antichità ebraica. Vissuto nel XII
secolo, filosofo e terapeuta stimatissimo, di lui si diceva che avesse abilità e competenze
incredibili; girava persino la voce che se la Luna fosse andata a farsi curare da lui,
sicuramente l’avrebbe guarita dalle sue macchie.
La malattia è dunque un “benefico messaggero”: questo scombina la comune
concezione di malattia e guarigione. Alla luce della fede si aprono nuovi orizzonti: la
malattia può essere una benedizione in quanto mette l’uomo di fronte ai propri limiti, lo
induce a mettersi nelle mani del Signore che suscita in lui il desiderio di superarli,
rendendolo consapevole di come sia necessario correggere il proprio stile di vita.
Intendere la malattia come benefico messaggero ha un fondamento biblico nella vicenda
del re Abimelek (cfr Gn 20): sua moglie e le sue ancelle erano divenute sterili in
conseguenza di una trasgressione grave; ma Dio stesso, tramite un sogno, interviene a
salvare Abimelek, che ha peccato inconsapevolmente. Da questo racconto i medici ebraici
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antichi traggono due considerazioni : la malattia fisica è sempre connessa ad una
trasgressione di tipo morale, si manifesta quando non si vive secondo quello che la nostra
natura più intima richiede. Inoltre la guarigione avviene quando si compie quello che in
ebraico si chiama tiqqun, cioè la riparazione, la conversione attraverso un atto di fede.
Secondo la tradizione medica rabbinica ancora più significativo è l’episodio che riguarda
Ezechia (2Re 20, 1-7), lodato come il più retto tra i re di Giuda. Fedele alla legge di Mosè,
Ezechia abolì l’idolatria e distrusse i luoghi di culto pagani. Riuscì a sottrarsi al giogo del re
di Assiria, perché pose tutta la sua fiducia nel Signore Dio d’Israele. Gli accadde però di
ammalarsi mortalmente, al punto che il profeta Isaia lo consigliò di prepararsi, perché non
sarebbe guarito. Il re allora compì un gesto assolutamente nuovo nella tradizione liturgica
ebraica: si girò verso il muro. Secondo la tradizione rabbinica con questo atteggiamento
manifestava la sua intenzione di concentrarsi e guardarsi dentro, per capire cosa aveva
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causato, nel suo comportamento, tale malattia . Allora il Signore parlò a Isaia perché
riferisse al re: «Ecco io ti guarirò, il terzo giorno salirai al tempio; aggiungerò alla durata
della tua vita quindici anni» (2 Re 20,6). Il Talmud (Berachoth 106) riferisce che Ezechia in
seguito alla sua guarigione tolse dalla circolazione il Libro dei rimedi, un formidabile
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MOSÈ MAIMONIDE, Preghiera del medico Ebreo.
Cfr. D.ABRAVANDEL, Guarire per curarsi, Milano 2002, p. 22.
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Cfr. D.ABRAVANDEL, Guarire per curarsi cit., p. 23.
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trattato medico ereditato da Salomone, e per questo fu lodato dai maestri del suo tempo .
Ezechia distrusse quel testo perché guarire da una malattia con semplici rimedi, senza che
questo implichi anche un grande atto di fede, senza che diventi un’occasione per rivolgersi a
Dio, senza mettere in moto un profondo rinnovamento, significa perdere la grande
opportunità che la malattia può offrire. Dice il Talmud: «la guarigione dalla malattia è un
miracolo più grande di quello che salvò Davide dalla fornace di Nabucodonosor. Anche un
uomo può estinguere il fuoco di una fornace, ma il fuoco della malattia è creato in cielo: chi
può estinguerlo?» (Talmud Nedarim 41a); «Quando una persona vede che la sofferenza è
stata decretata per lui, deve esaminare il suo comportamento» (Talmud Berakhot 55a).
Mettere a tacere il sintomo vuol dire perdere il contatto con un campanello d’allarme che
suona non solo per spronarci a salvaguardare il nostro benessere fisico, ma anche l’integrità
del nostro mondo interiore, il mondo della fede.
La Preghiera del medico ebreo fa riferimento ad una visione tipica della mistica ebraica:
l’uomo è creato con un’armonia perfetta, in un tessuto di forze che sono progettate per
essere perfettamente armonizzate. Queste forze sono un riflesso nel corpo umano delle
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energie divine , e se la condotta di vita ne altera l’equilibrio, esse iniziano ad agire le une
contro le altre: ecco allora la malattia, lo stato di disarmonia. Se il malato sa ricreare
l’accordo in modo che cessi la lotta dell’una contro l’altra, avviene dunque la crescita e si
ritrova lo stato di salute. Il Rabbino Isaac Luria, considerato il più grande e celebre studioso
del pensiero mistico ebraico, sosteneva che un corpo sano è un corpo in cui la luce divina
scorre senza trovare ostacoli. Il corpo umano è stato creato con un flusso vitale armonico,
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musicale; se il flusso viene ostacolato da una dissonanza interiore si genera la malattia .
Secondo rabbi Nachman, uno dei più grandi tra i maestri chassidici di tutti i tempi, lo stato
di salute di un corpo è come una sinfonia musicale: ogni organo, ogni membro, il fluire
stesso del sangue genera un canto, una nota. Quando le note sono armoniche il corpo è in
salute, se c’è una discordanza si genera la malattia. La guarigione comincia quindi quando
nell’anima si suona la giusta melodia. Rabbi Nachman chiedeva al paziente: «State
suonando una canzone gioiosa ? state cantando qualcosa che invia energia e vitalità ad ogni
cellula del vostro corpo o la vostra musica interiore è diventata tesa aggressiva distruttiva e
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stonata?» . Bisogna essere capaci di suonare una bella melodia; ogni atto crudele, ogni
parola sbagliata, ogni maldicenza, ogni pensiero negativo, ogni esplosione d’ira crea una
nota musicale stonata. L’uomo di fede come può curare in profondità? Insegnando la giusta
nota, come si fa con l’accordatura di uno strumento musicale, che richiede la giusta nota di
riferimento per armonizzare ad essa tutti i suoni. Un maestro di preghiera era capace di dare
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la giusta nota in modo che tutto l’organismo potesse essere riaccordato , e infatti Nachman
rammenta: «Sappi che ogni insegnamento di saggezza ha la sua canzone e la sua melodia,
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ed è da questa canzone che deriva la saggezza» .
Come va eseguita la giusta canzone, la canzone dell’uomo di fede che guarisce l’anima?
Nella tradizione rabbinica il versetto conclusivo del Libro dei salmi: «ogni anima lodi Dio»
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Cfr. G. COSMACINI, Medicina e mondo ebraico, Bari 2001, p. 9.
Cfr. G. CAPPELLETTO, L'Uomo verso l'Assoluto II, Torino 1990, pp. 7-18; G. SCHOLEM, La Kabbalah e il suo
simbolismo, Torino 1980, pp. 128-138.
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Cfr. D.ABRAVANDEL, Guarire per curarsi cit., p. 47.
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Cit. in D.ABRAVANDEL, Guarire per curarsi cit., p. 49.
8
Cfr. D.ABRAVANDEL, Guarire per curarsi cit., p. 159.
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RAV NACHMAN, Likute Maharan I, 64, 5.
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viene anche inteso: «con ogni respiro si lodi Dio», perché anima e respiro in ebraico sono
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termini omologhi . Da qui l’esortazione affinché ogni respiro porti con sé una parola divina,
ed è questa parola che permette di accordare corpo, psiche e spirito al giusto canto.
La visione ebraica della malattia contiene quindi considerazioni preziose, poiché dare un
senso alla sofferenza può alleviare l’angoscia che normalmente l’accompagna, ma:
Il rischio implicito in questa mentalità è di vedere nel malato un peccatore e nel guardarlo con
un senso di condanna anziché di comprensione benevola. A evitare questo atteggiamento
mentale, il vangelo spinge alla massima benevolenza verso i sofferenti, a vedere in loro una
presenza del Signore stesso: «ero malato e mi avete visitato». Inoltre, pur mantenendo il nesso
peccato-malattia, spinge a non essere rigidi nel collegare ogni infermità a un peccato. Quando, a
riguardo del cieco nato, chiedono a Gesù se ha peccato lui o i suoi genitori, egli risponde: «né
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lui né loro» (Gv 9,3) .
Alla luce del Vangelo sofferenza e malattia possono essere quindi letti in una prospettiva
ancor più ampia e profonda di quella ebraica, come nei secoli ha fatto la tradizione
ecclesiale. Ma il modo poetico della mistica ebraica di vedere la malattia come una
stonatura e proporre la guarigione come un canto della fede ci sprona a cercare nella nostra
tradizione qualcosa di analogo. Attingendo al ricco patrimonio della preghiera cristiana
potremmo scoprire che anche la nostra tradizione conosce un canto prezioso a cui si può
dare una valenza terapeutica, che può contribuire a guarire l’uomo in tutte le sue
dimensioni. La mistica ebraica dei Chassidim ha delle sorprendenti similitudini con la
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pratica cristiana della preghiera del cuore .
Rabbi Nachman, nella Bratislava del XVIII secolo, si interessò molto dei poteri
terapeutici delle piante, e affermava: «Sappi che per ogni diversa erba esiste una diversa
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canzone, e un diverso angelo che le da forza» . È il canto che permette di accordarsi con la
canzone del Creatore.
Il riferimento alla musica ed al canto per descrivere l’armonia del creato era tipico dei
padri, come è evidente nei toni poetici di Atanasio:
Non esiste alcuna creatura che non sia stata fatta e non abbia consistenza nel Verbo... come
infatti il musicista, con la cetra ben intonata, per mezzo di suoni gravi e acuti crea un’armonia
[...] così la Sapienza tenendo nelle sue mani il mondo intero come una cetra unì le cose celesti
con quelle dell’etere, armonizzò le singole parti con il tutto e creò con un cenno della volontà un
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solo mondo [...] e tutte le cose per mezzo del verbo costuiscono una divina armonia .
I Salmi ci parlano di questo canto cui tutto il creato partecipa: «tutto canta e grida di
gioia» (Sal 64, 12-14). Era difatti diffusa la convinzione che ogni cosa creata avesse il suo
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canto e «non è linguaggio e non sono parole di cui non si oda il suono» (Sal. 18, 4). Infatti
alcuni odono: «la voce dell’intera creazione che annuncia loro, alto e chiaro, il suo
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Artefice» . Alcuni mistici come Francesco d’Assisi e il meno celebre Paolo della Croce
10
Cfr. D.ABRAVANDEL, Guarire per curarsi cit., p.
L. ROSSI, «Preghiera medicina e guarigione», La Porta d’Oriente 6 (2003) 18-21.
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Cfr. L. ROSSI, «Chassidismo polacco ed esicasmo slavo», Anselmianum 2 (2002) 5-13.
13
Cit. in D. ABRAVANEL, Guarire per curarsi, Milano 2002, p. 181.
14
ATANASIO, Discorso contro i pagani XLII.
15
Cfr. ISACCO DI NINIVE, Raccolta araba di massime 4; ANONIMO DEL V SECOLO, Discorso di salvezza a una
vergine 15; MATILDE DI HACKEBORN, Libro della grazia spirituale III, 7.
16
MASSIMO IL CONFESSORE, A Talassio 51.
17
TOMMASO DA CELANO, Vita Prima XXI, 58; TOMMASO DA CELANO, Vita Prima XXIX, 81.
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sapevano intonare il loro canto in risonanza con quello di tutta la natura, entrando in
profondo rapporto con tutte le creature. Questo canto è la celebre invocazione del Nome del
Signore, propria dell’Esicasmo, ed è la cura di ogni male e il nutrimento della fede.
Il pellegrino russo, che ha reso celebre l’uso di questa invocazione, la descrive come un
canto che risuona in tutte le creature: «Quando io pregavo nel profondo del cuore […] tutte
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le cose pregavano e cantavano Dio e la sua gloria» .
I Racconti di un pellegrino russo descrivono meravigliosamente, in una pagina
meritatamente celebre, cosa accade in preghiera quando la mente, raggiunto il silenzio dei
pensieri, scende nel cuore: «mi donava una tale gioia che mi sembrava d’essere l’uomo più
felice della terra e non comprendevo come possa esservi una beatitudine maggiore nel
Regno dei Cieli. Non solo sentivo questa luce dentro la mia anima, ma anche l’intero mondo
esterno mi appariva in un aspetto incantevole, e ogni cosa mi induceva ad amare e
ringraziare Dio: la gente gli alberi, la vegetazione, gli animali e su ogni cosa vedevo
impresso il miracolo del Nome di Gesù […] E in questi momenti di gioia desideravo che
Dio mi concedesse di morire al più presto e di effondermi in gratitudine ai suoi piedi nel
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mondo degli spiriti» .
È il canto della fede, il canto incessante del Suo Nome che ricuce le lacerazioni
dell’uomo. La malattia è la manifestazione limitata e parziale della “malattia originaria”,
che fu causata dall’allontanarsi dell’uomo da Dio. Ogni malattia è dunque un episodio di
quel male fondamentale e unico, ed è pienamente comprensibile solo se viene collocata nel
contesto della malattia primordiale generata dalla perdita dell’intimità con Dio. In ogni
malattia non è quindi il malanno specifico che va guarito, ma va rivisto il rapporto con il
mondo spirituale. La cura e il processo di guarigione rivelano qualcosa di sacro. Il termine
“medicina”, dal latino medeor, porre rimedio, è riconducibile alla radice indeuropea med,
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riflettere, da cui anche “meditare”; a sua volta il termine “salute” è connesso a “salvezza” .
Cantando incessantemente la propria canzone non solo si cura la malattia radicale
dell’uomo, ma si collabora alla guarigione di tutto il Creato, reintegrando una nota della
musica celeste che animava il Giardino dell’Eden.
18
Cfr. PAOLO DELLA CROCE, Lettere, C. Chiari (ed.), Roma 1977, v. I, p. 297; Sommario dei processi Apostolici
156, Roma 1808, p. 331; E.G. TRENTIN, San Paolo della Croce. Fondatore dei Passionisti, Verona 1999, p. 191.
19
ANONIMO, Racconti di un pellegrino russo 2
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ANONIMO, Racconti di un pellegrino russo 4.
21
Cfr. L. ROSSI, «La terapia spirituale delle malattie», La Porta d’Oriente 3 (2000) 26-27.
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PREGHIERA MEDICINA E GUARIGIONE
L. Rossi
La Porta d’Oriente, 6 (2003) 18-21.
Nella Bibbia sono presenti le tracce di una sorta di polemica sulla medicina che, in una certa
misura, si trascinerà nella successiva tradizione cristiana.
Ezechia è lodato come il più retto tra i re di Giuda, infatti operò per rinsaldare il patrimonio
spirituale di Israele e attuò anche utili provvedimenti politici e amministrativi. Fedele alla legge di
Mosè, abolì l’idolatria e ne distrusse i luoghi di culto. Riuscì a sottrarsi al giogo del re di Assiria,
perché «mise tutta la sua fiducia nel Signore Dio d’Israele»; «Siccome fu con lui il Signore, riuscì
in tutte le sue imprese» (2 Re 18, 5-7). Gli accadde di ammalarsi mortalmente, tanto che lo stesso
profeta Isaia gli disse di preparasi, perché non sarebbe guarito. Ma Ezechia pregò Dio, che parlò a
Isaia perché riferisse al re: «Ecco io ti guarirò, il terzo giorno salirai al tempio; aggiungerò alla
durata della tua vita quindici anni» (2 Re 20,6). Il Talmud (Berachoth 106) riferisce che Ezechia
eliminò dalla circolazione il “libro delle medicine”, e per questo fu lodato dai maestri del suo
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tempo .
Quasi due secoli prima di Ezechia, su Giuda regnava Asa, “facendo ciò che è retto davanti a
Dio”. Anch’egli epurò il regno dall’idolatria e ottenne successi militari e politici (2 Cronache 1416). Ma, verso la fine del suo regno, si appoggiò più sulle alleanze politiche che sul Signore e fece
imprigionare il veggente Anani che gli rimproverava questo atteggiamento. Asa si ammalò e,
anziché rivolgersi al Signore, consultò i medici; la malattia si aggravò e ne morì.
L’idea di fondo è chiara: ogni bene ci viene dal vivere in armonia con la volontà di chi regge
tutto l’universo, ogni male ci viene dal mettere la nostra volontà in contrasto con quella divina. Il
libro del Deuteronomio (28, 1-68) elenca una pagina di benedizioni «se darai ascolto alla voce del
Signore»; «ma se non darai ascolto alla voce del Signore...allora verranno su di te e ti
raggiungeranno tutte queste maledizioni...». Il lungo elenco che segue comprende: scompiglio e
minaccia in ogni impresa, sconfitta davanti ai nemici, disprezzo ovunque, malattie come peste,
ulcera, scabbia, disturbi mentali, scompiglio del cuore; «ti fidanzerai con una donna, ma altri
giacerà con lei», anche il clima si deteriorerà, aumenteranno a dismisura i parassiti, «il cielo sarà
sopra di te rame e la terra sotto di te ferro».
In altri termini, le scelte collettive dell’uomo condizionano direttamente la struttura
dell’ambiente in cui vive, rendendolo rassicurante e ospitale o infido e sconvolto, così come le
scelte spirituali di una persona determinano un destino di successi o di fallimenti, la serenità o il
tormento interiore, la salute o la malattia.
I primi malati di cui si parla nella Bibbia sono il re Abimelek, sua moglie e le sue ancelle,
divenuti sterili in conseguenza di una trasgressione grave; ma Dio stesso interviene a salvare,
tramite un sogno, Abimelek, che ha peccato inconsapevolmente.
Se dunque tanto la malattia che la guarigione vengono da Dio, o meglio, dalla scelta dell’uomo
di seguire la volontà onnisciente e benevola di Dio oppure il proprio capriccio, ricorrere ai medici
può sembrare un ostinarsi nel cercare soluzioni troppo umane, anziché rivolgersi a Dio e cambiare
la propria condotta.
Anche in Grecia c’era l’idea che le offese fatte agli dei generano malattie e sciagure e che le
espiazioni le allontanano. L’Iliade comincia con la descrizione della pestilenza che infierì
nell’accampamento greco, a causa dell’offesa che Agamennone aveva fatto ad Apollo, cacciando
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malamente Crise, l’anziano sacerdote del dio. Platone, nella Repubblica , spiega che, in generale,
le malattie vengono dall’essersi allontanati da un regime di vita semplice, in comunione col divino,
e che la medicina “moderna”, che cerca semplicemente di fare scomparire il disturbo con un
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Cfr. G. COSMACINI, Medicina e mondo ebraico, Bari 2001, p.9.
PLATONE, Repubblica,373a-375d; 425e-426b; 326cd.
5
medicinale appropriato, otterrà solamente di moltiplicare il numero e la varietà delle malattie, al
punto che la vita degli uomini somiglierà sempre più a una lunga degenza, passando da una
medicina all’altra.
Tuttavia la Grecia fu anche la patria del progresso della medicina, e anche il mondo ebraico
dovette confrontarsi con i suoi successi. Il libro del Siracide esprime una posizione di apertura e di
equilibrio, che nei secoli successivi consentì ai medici ebrei di essere apprezzati e rinomati nelle
corti di papi e imperatori; esso insegna a onorare il medico e il suo sapere e a non disprezzare i
medicamenti che il Signore ha creato dalla terra; ma in fine la conclusione per chi è ammalato è
chiara: «prega il Signore ed egli ti guarirà», «chi pecca contro il proprio creatore, cada nelle mani
del medico» (Siracide 38, 1-15).
Il rischio implicito in questa mentalità è di vedere nel malato un peccatore e nel guardarlo con
un senso di condanna anziché di comprensione benevola. A evitare questo atteggiamento mentale, il
vangelo spinge alla massima benevolenza verso i sofferenti, a vedere in loro una presenza del
Signore stesso: «ero malato e mi avete visitato». Inoltre, pur mantenendo il nesso peccato-malattia,
spinge a non essere rigidi nel collegare ogni infermità a un peccato. Quando, a riguardo del cieco
nato, chiedono a Gesù se ha peccato lui o i suoi genitori, egli risponde: «né lui né loro» (Giovanni
9,3).
Nonostante questo, la sfiducia verso la medicina sembra sostanzialmente immutata. Nell’Antico
Testamento si racconta che Tobia, malato agli occhi, si rivolge ai medici, però «più essi mi
applicavano farmaci, più mi si oscuravano gli occhi, finché divenni cieco del tutto» (Tobia 2,10).
Nel Vangelo c’è l’esempio della donna che da dodici anni soffriva di emorragia «e aveva sofferto
molto per opera di molti medici e aveva speso tutto il suo patrimonio senza ottenere alcun
giovamento, anzi peggiorando» (Marco 5, 26), dove sembra che i guai della malata siano derivati
più ancora dai medici che dalla malattia. Ma le basta toccare il mantello di Gesù per guarire
immediatamente.
Diventa naturale chiedersi che senso ha rivolgersi ai medici, quando basta una preghiera fatta
con fede per guarire. Di fatto, non risulta che, nei primi secoli del cristianesimo, chi si prendeva
cura dei sofferenti lo facesse ricorrendo ai medici. Al capezzale del malato si chiamavano gli
anziani della comunità, i sacerdoti che ungevano il malato e pregavano, come prescrive l’Epistola di
Giacomo, poi, casomai, i medici; in fondo la medicina era pur sempre parte della filosofia pagana, e
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la sua origine era attribuita al dio pagano Esculapio . Per un intransigente come Taziano la
medicina è addirittura un inganno diabolico che distoglie gli uomini dall’affidarsi a Dio, per indurli
25
a curarsi con le erbe e le radici come fanno gli animali . L’autore delle Cinquanta omelie
spirituali, attribuite a Macario l’Egiziano, anche se riconosce nella medicina un dono di Dio, fatto
all’uomo caduto, fa notare che l’uomo rigenerato dalla fede dovrebbe rivolgersi solo a Cristo per la
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propria salute, sia dell’anima che del corpo .
Tuttavia, la progressiva comprensione che il cristianesimo mostrò verso il mondo pagano portò
anche ad una progressiva accettazione della sua cultura scientifica. Determinante, in questo senso,
fu l’opera di Origene e dei padri cappadoci, suoi grandi ammiratori, in particolare Basilio il Grande,
studioso appassionato di medicina. Sulla questione se sia conforme a una vita cristiana ricorrere alla
medicina, egli ribadisce il principio tradizionale che la malattia è una conseguenza del peccato e che
il suo fine è di far capire all’uomo che deve cambiare modo di vivere. Tuttavia, senza dimenticare
che i malanni del corpo vanno dietro ai conflitti dell’anima, è pur sempre doveroso ricorrere a
medici e medicine. Anche se la posizione di Basilio era di buon senso, non convinse sua sorella
Macrina, asceta e santa, che aveva un tumore al seno, rifiutò medici e medicine, si affidò
24
Cfr. E. GIANNARELLI, «I Cristiani, la medicina, Cosma e Damiano», in Cosma e Damiano, Firenze 2002, pp.7-33.
Ibidem p.16.
26
Ibidem p.18.
25
6
27
esclusivamente alla preghiera e guarì . Ma l’insegnamento di Basilio fece scuola, come in tanti altri
campi; fu un pioniere anche nel costruire ospedali e ospizi, e il suo esempio fu imitato in tutto il
mondo cristiano, aprendo un capitolo nuovo nell’assistenza dei malati.
D’altra parte la medicina greca era stata profondamente influenzata dal pitagorismo, che
condannava il suicidio, l’eutanasia, l’aborto. Dal suo ambito era uscito il famoso “giuramento di
Ippocrate”, che vincolava la professione del medico a delle norme etiche prima sconosciute.
L’incontro col cristianesimo rafforzò questa tendenza, e fece nascere la figura del medico
filantropo, che considera la sua attività un servizio ai malati; si affermava così il principio che la
moralità è inseparabile dalla medicina. Col tempo la figura di Ippocrate, il padre della medicina
greca, finì quasi col confondersi con quella dei padri della chiesa, e quando nel sec XVI i monaci
della Grande Lavra, al Monte Athos, fecero ridipingere il loro refettorio, una parete fu coperta con
un grande albero di Jesse. Alla sua base, tra i saggi pagani che in qualche modo predissero la verità
del Cristianesimo, figura anche Galeno, il più famoso medico dell’antichità dopo Ippocrate.
Da questo incontro anche la medicina uscì in qualche modo trasformata; nei trattati medici
cominciano a comparire suggerimenti di pregare prima di fare le diagnosi, di benedire le medicine,
di invocare il santo che può influire su una determinata malattia; il cristianesimo, con la sua enfasi
sulla preghiera e i rimedi spirituali, dette sanzione medica a una sorta di magia bianca; esso inoltre
introdusse, o reintrodusse, nella medicina l’idea che la causa delle malattie più che sul piano fisico,
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va vista nel quadro di una lotta tra opposte forze spirituali .
Tuttavia, anche cessando di diffidare della medicina secolare, il cristianesimo continuò a
proporre una medicina alternativa, sulla quale i veri cristiani dovrebbero fare affidamento. Era la
posizione sostenuta da autori come Tertulliano, Taziano, Cipriano, e rimase, emergendo
periodicamente, tra i più asceti e rigoristi. Così Marco l’Asceta, discepolo di Crisostomo, dice: «se
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cerchi la guarigione datti cura della tua coscienza» , perché ascoltare ciò che essa ci rimprovera è la
via della guarigione. E Diadoco di Fotica, monaco del nord della Grecia, di fine sec V, insegnava
che, anche se è vero che i rimedi medici sono un dono di Dio, pure si dovrebbe confidare solo nel
Salvatore; inoltre imparare a sopportare con pazienza una malattia è già una buona cura per i mali
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dell’anima .
Nei secoli successivi, le vite dei santi bizantini continuano a mostrarli vittoriosi su quelle
malattie che i medici dicevano incurabili. A ciò si aggiunge che i santi, di contro ai medici,
operavano gratis. Così, anche se la diffidenza verso la medicina laica apparteneva sempre più al
passato, il medico, che opera con tutte le incertezze e la precarietà del sapere umano, continua a
sfigurare al confronto con la potenza guaritrice del santo taumaturgo che, non solo non sfrutta
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economicamente la malattia, ma anzi si adopera per un ristabilimento integrale del malato .
27
Ibidem p.28.
Cfr. V. NUTTON, «From Galen to Alexander, aspects of medicine and medical practice in late antiquity», in:
Dumbarton Oaks Papers, n 38, 1984, Symposium on Byzantine Medicine, John Scarborough Editor, Washington, pp 114.
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MARCO L’ASCETA, La legge spirituale, 69, in: La Filocalia, vol. I, Milano 1983, p. 442.
30
Cfr.: DIADOCO DI FOTICA, Definizioni, 54, in: La Filocalia, vol I, Milano 1983, p. 367.
31
Cfr. A. KAZDAN, «The image of the medical doctor in the byzantine literature of the tenth to twelfth centuries»,
in: Dumbarton Oaks Papers, n 38, 1984, Symposium on Byzantine Medicine, John Scarborough Editor, Washington, pp.
43-51.
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7