anche il dubai è nella merda

Transcript

anche il dubai è nella merda
ANCHE IL DUBAI È NELLA MERDA
AD UNO AD UNO CROLLANO I MITI DELLA SOCIETÀ CAPITALISTA
In questi giorni abbiamo saputo che il mitico Dubai è nella merda. Il governo non è in grado di
pagare gli interessi sul debito pubblico. Forti turbolenze hanno investito tutti i mercati finanziari,
che fino l’altro ieri spergiuravano sulle eccezionali prospettive economiche offerte dall’Emirato.
Nient’altro che uno specchietto per le allodole per attirare i quattrini degli investitori, che oggi se lo
prendono nel culo.
Fino a ieri, il Dubai era sicuramente un posto affascinante, per chi aveva occasione di soggiornarci,
magari per brevi scali, con l’occasione di entrare nei suoi incredibili free shops, dove si trovava di
tutto, a prezzi stracciati (per gli occidentali).
Per i più, era una mitica località, in cui il capitalismo si manifestava nella sua forma più sfavillante.
Ma da cosa nasceva questo miracolo?
Il Dubai è uno dei sette emirati che formano gli Emirati Arabi Uniti.
Gli Emirati Arabi Uniti occupano una superficie di 82.880 kmq e hanno 4,6 milioni di abitanti
(densità 46 abitanti per Kmq). Il Prodotto interno lordo pro capite è di circa 28mila $, ma la
sperequazione è altissima, soprattutto nel Dubai.
Il Dubai occupa 3.885 Kmq e ha 1,3milioni di abitanti (densità 3.885 abitanti per Kmq), di cui il
90% è costituito da immigrati, in massima parte lavoratori dell’edilizia.
A differenza degli altri sei emirati, solo il 10% del Pil del Dubai deriva dal petrolio. La sua
principale fonte di ricchezza è la zona economica speciale, dove si trovano il porto e l’aeroporto. Su
questa zona, tre anni fa (settembre 2006), un compagno, reduce dal Dubai, ci inviò il resoconto che
allego.
[...]
Il Dubai è un posto ideale per vedere all’opera e sfatarne i miti il capitalismo “ideale” efficiente,
concorrenziale e ipocrita. Ve ne sono tutte le caratteristiche: efficienza complessiva di sistema
altissima, parassitismo elevato, cecità sociale e idealizzazione ideologica delle categorie
capitalistiche.
UN PARADISO PER I BORGHESI
Dunque: una stazione di altissima efficienza industriale, commerciale, finanziaria e speculativa,
gestita da una borghesia privilegiata. I piccoli borghesi europei, anglosassoni e australiani che
costituiscono il nerbo delle posizioni esecutive - mentre i capitali provengono da tutto il mondo godono i privilegi della loro posizione ben superiore a quella dei paesi d’origine, cantando le lodi di
un capitalismo perfetto, efficiente e slegato dalle pastoie riformiste europee: stipendi a partire da
8.000 Euro mensili a salire, immobili e vita quotidiana a buon mercato, regime fiscale favorevole,
efficienza dei servizi privati, servitù abbondante disciplinata e a buon mercato, sviluppo rapido ed
efficienza estrema di cui “tutti” beneficiano, a patto di restare al gioco e giocare rigorosamente
secondo le regole.
Una infima minoranza locale che parassitariamente gode della sua rendita di posizione, sfruttandone
i vantaggi. I locali sono maggiormente funzionari statali oppure titolari soci proforma di imprese
straniere da cui traggono un reddito senza alcuna prestazione d’opera. Una norma locale prescrive
che ogni azienda presente sul territorio debba avere un socio locale maggioritario almeno al 51%;
ne consegue che i locali approfittano della situazione facendo i prestanomi per conto terzi e
intascando laute prebende che ne finanziano il parassitismo e i consumi. A tale norma sfuggono
solo le grandi aziende che si localizzano nelle “zone libere” e non operano direttamente in Dubai;
ma ne sfruttano i servizi bancari, logistici, geografici come ponte fra Est ed Ovest.
Molte merci est asiatiche (Cina India ecc) per aggirare le norme limitatrici transitano per il Dubai
dove passano anche, nello smisurato sistema bancario, moltissimi capitali off shore. La presenza
delle banche è smisurata e asfissiante (le banche finanziano l’incredibile boom edilizio e
1
commerciale). E’ il trionfo e il sogno del capitalismo deregolato. Massima libertà ai capitali e
massimo controllo sulla forza lavoro.
Un vero testimone del miracolo che il capitale può creare in condizioni climatiche al limite.
In una zona desertica, con temperature da giugno a settembre che arrivano ai 50 gradi, crescono
torri di uffici e abitazioni ad aria condizionata, spiagge e marine artificiali, centri commerciali
immensi costruiti con opulenza immobiliare in cui si passa il resto della giornata libera dal lavoro.
Si può solo: lavorare, comprare o socializzare nell’atmosfera del business, abbondanza d’acqua
desalinizzata, parchi verdi circondati da sabbia desertica, piste artificiali da sci con vista sul deserto,
pura pazzia iperproduttiva e banale godimento mercantile ed edonista: non vi è un museo, non vi è
un refolo di pensiero che non sia dedicato al business o al compravendere: non si può fare altro.
UN INFERNO PER I PROLETARI
Questo paradiso è mantenuto da schiavitù salariata di provenienza asiatica (indiani, srilankiani,
cinesi, indonesiani, pakistani, filippini, tailandesi ecc), la quale effettua e svolge tutte le prestazioni
servili e produttive: cantieri navali, edili, operai stradali, commessi di negozi, personale domestico,
ecc. ecc. I salari non superano i 400 Euro mensili [la media è attorno ai 200], l’edilizia opera in
cantieri immensi, attivi giorno e notte. Le imprese abitualmente (torniamo al capitalismo di Engels)
provvedono ai salariati nutrimento e posto letto (in squallidi cubicoli ad aria condizionata) e questo
proletariato è operativissimo e invisibile. Al minimo contrattempo viene espulso e perde il lavoro.
Questa mano d’opera è sempre disposta al lavoro senza limiti e risparmia per mandare a casa soldi.
2