Figure vichiane. Retorica e topica della «Scienza Nuova»
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Figure vichiane. Retorica e topica della «Scienza Nuova»
Stefania Sini Figure vichiane Retorica e topica della «Scienza nuova» 5 SOMMARIO Avvertenze 13 Premessa: Topografie della Scienza nuova 15 1. Lo spazio del testo e il testo dello spazio (p. 15) – 2. La visibile protasi (p. 18) PARTE PRIMA Lo stile della simultaneità I. Introduzione alla Parte prima 41 II. Luoghi, chiaroscuri e geometrie 45 III. Dall’assioma all’entimema: le massime narranti delle degnità 55 1. Assiomi (p. 55) – 2. Simmetrie (p. 57) – 3. Dicotomie e tricotomie (p. 61) – 4. Imperfette inferenze (p. 64) – 5. Forme semplici (p. 65) – 6. Gli aforismi baconiani (p. 70) – 7. Entimemi e acutezze (p. 74) – 8. Idee uniformi (p. 89) – 9. Piccole storie (p. 95) IV. Il mosaico dei luoghi d’oro 103 V. I superstiti rottami 123 VI. Voci e storie di cose: le etimologie 129 VII. La compresenza dei tempi 143 1. Il confronto con l’oggi (p. 144) – 2. I tempi dei poeti (p. 156) – 3. Simultaneità di antico e moderno (p. 164) – 4. Metafore temporali (p. 181) 6 SOMMARIO VIII. Temporalità, prospettive, spazi 199 IX. Lo spazio della storia 209 Lo spazio della lingua 239 X. 1. Piccoli spogli (p. 239) – 2. Trasporti (p. 249) PARTE SECONDA Lo spazio del libro XI. Introduzione alla Parte seconda 257 XII. Edizioni 259 XIII. L’enunciazione tipografica: le visibili voci 277 1. Il filosofo in tipografia ( p. 285) – 2. Iconismi (p. 301) – 3. Parole e immagini (p. 313) – 4. Apparati (p. 318) XIV. Caratteri 337 Riferimenti bibliografici 345 Figure 379 PREMESSA 15 PREMESSA TOPOGRAFIE DELLA «SCIENZA NUOVA» 1 . LO SPAZIO DEL TESTO E IL TESTO DELLO SPAZIO Principio strutturale e generativo del lavoro di Giambattista Vico, elemento altrettanto costitutivo del suo pensiero quanto il tempo, lo spazio della Scienza nuova non si risolve in un semplice sfondo retrostante gli eventi, ma presenta una complessa pluralità di aspetti e sfaccettature che scandiscono l’opera e le danno forma, talvolta tra loro intrecciati e confusi, talvolta disponibili all’identificazione. Le molteplici configurazioni spaziali che solcano il testo vichiano ne confermano la struttura ambiziosamente onnicomprensiva, in cui convivono, giustificandosi a vicenda, ricerca documentaria e teoresi, puntiglio erudito e assiomi, narrazione e sistema. L’esigenza di integrare certum e verum, che risuona con frequenza nelle esplicite dichiarazioni dell’autore, pervade anche il tessuto stilistico dell’opera, dalle scelte lessicali all’uso dei tropi, dagli snodi sintattici alla totalità del libro, sia nella sua organizzazione interna (la dispositio della materia nei capitoli), sia nel suo aspetto paratestuale e materiale (titoli, sottotitoli, caratteri tipografici). Questo lavoro propone un’analisi retorico-stilistica della scrittura vichiana, volta a confrontare, a partire dalle modalità espressive più minute, le affermazioni del filosofo e professore di eloquenza con la sua prassi effettiva. La Scienza nuova viene qui intesa dunque come costruzione filosofica e testo scritto, come sistema di pensiero che s’incarna in un’opera verbale caratterizzata da un peculiare ritmo argomentativo e da uno spiccato impulso alla narratività. Se, come è stato mostrato da Mario Fubini, lo stile della Scienza nuova è eminentemente visivo, questa visività si coagula assai spesso nella rappresentazione di luoghi, nel tracciato di itinerari e mappe geografi- 16 PREMESSA che, nella messa a fuoco di campi arati e agglomerati urbani 1. Terre, mari, boschi e città invadono il racconto vichiano insieme agli uomini che li abitano o li percorrono, imponendosi allo sguardo come segni tangibili di civiltà, conquiste giuridiche, possessi economici, oppure fonti di guerre e discordie. Fin qui lo scenario del grande affresco, lo sfondo inciso dalla storia; tuttavia lo spazio di Vico costituisce qualcosa di altro e di più rispetto a una variegata ambientazione di fatti. Anzi, alla luce dell’intento primario del filosofo – concepire le origini dell’umanità e darne conto – l’immagine dello sfondo sembra venire dopo, ovvia certezza di «queste nostre ingentilite nature», rassicurante anticamera da lasciarsi alle spalle per potersi inoltrare nelle «dense tenebre». Nella Scienza nuova lo spazio dell’inizio della storia è l’inizio della storia e della sua narrazione; in altre parole, il tempo e il linguaggio nascono dallo spazio. L’analisi che segue cercherà di spiegare e rendere plausibile tale affermazione attraverso la lettura del testo, smorzandone così la carica di perentorietà che la contrassegna nel suo isolamento. Un altro aspetto (parola questa di altissima frequenza nel lessico vichiano) della topografia della Scienza nuova è rappresentato dai luoghi dei libri citati dall’autore che costellano l’opera in misura assai rilevante. Il richiamo alle fonti costituisce, come è noto, una tipica movenza del procedere vichiano, che assume forme diverse a seconda dei contesti in cui compare. Le citazioni di passi o titoli possono servire da obiettivo polemico, che Vico smonta nei presupposti e nei risultati, non di rado con accenti di violento sarcasmo; talvolta sono autorevole conferma degli enunciati espressi, fondamentali alleati nell’agone condotto dal pugnace filosofo; oppure sembrano non rivestire altro ruolo se non quello di un’orgogliosa esibizione di letture erudite, di enorme sapienza accumulata negli anni 2. Ma anche questo fastello di dati, che tanto ha disturbato e tuttora disturba i lettori moderni, può perdere la qualifica di pesante e inutile zavorra se letto alla luce dell’organizzazione spaziale dell’opera. I luoghi dei libri che gremiscono il libro configurano una topografia intertestuale tutt’altro che informe e farraginosa, la quale collabora invece in modo sostanziale alla fondazione della «nuova arte critica». Elemento costitutivo della nuova scienza, «pianta» che affonda le sue radici nel passato degli auctores, è infatti la topica, da Vico difesa strenuamente di fronte all’avanzata trionfale della critica. 1 2 «Il Vico non argomenta, ma vede e fa vedere» (Fubini 1965, p. 26). Cfr. Battistini 1995, pp. 115-138. PREMESSA 17 Lo spazio testuale vichiano non si esaurisce nei luoghi altrui del passato prossimo o remoto; non mancano infatti i rimandi del filosofo alla sua produzione precedente. Soprattutto grande peso nell’economia dell’opera assume lo spazio dell’opera stessa. Anche questo è un tratto messo in rilievo dagli studiosi: la Scienza nuova è costantemente, quasi ossessivamente puntellata da ripetizioni del medesimo brano e da menzioni di brani precedenti e seguenti. La fitta quantità di richiami anaforici, analettici e prolettici non soltanto è d’ausilio al lettore giacché sollecita e facilita la memorizzazione dell’arduo percorso argomentativo, ma disegna una mappa intratestuale di cui partecipano anche titoli e sottotitoli. Zona estesa della mise en abîme e dello specchio, la regione intratestuale rischierebbe di svaporare nel narcisismo di un attardato vezzo barocco se non fosse che il richiamo a «quest’Opera» equivale per Vico alla nominazione di «questa Scienza». La filosofia che egli presenta fiero al pubblico ha la forma di un essere vivente – creatura e riflesso del suo autore – che percorre gli spazi ed è essa stessa grandioso spazio, in cui il pensiero cammina, gira e ritorna, scende e ascende, talvolta con fatica, talvolta con leggerezza. L’edificio concettuale vichiano assume le fattezze di luogo dei luoghi, che nel corso del testo sembra quasi pulsare, in quel movimento di «sistole e diastole» tanto efficacemente descritto da Andrea Battistini 3. Il filo conduttore della ricerca, pertanto, si riferisce parimenti alla configurazione topografica della Scienza nuova e a quella tipografica. Le domande sull’immagine rinviano alla topica e alla terra; ai luoghi della memoria con le loro imagines agentes e alla pagina del libro; alla stampa come evento cerimoniale e alla dimensione antropologica primaria indagata da Vico in cui l’uomo affronta il territorio per esplorare il reale e costruirlo. Dalla ingens sylva delle violente passioni fino alle città della ragione spiegata, gli eroi vichiani attraversano gli spazi, li strutturano e li narrano seguendo le indicazioni del loro corpo e delle loro relazioni interpersonali. Lo spazio di avvio è infatti la ego-hic-nunc-origo, dove il corpo, fonte dei «trasporti», istituisce le prime forme di conoscenza. Queste sono in sintesi alcune delle principali figure dell’assetto spaziale della Scienza nuova su cui il presente lavoro intende riflettere. Come si accennava sopra, esse appaiono spesso aggrovigliate tra loro nel medesimo brano, nella medesima frase, talvolta in un solo rigo, a tal punto da far insorgere il dubbio su di un’ulteriore spazialità in atto nel3 «Tutto il materiale viene organizzato in un continuo alternarsi di contrazioni e dilatazioni, in modo che alle sistole di un grande riepilogo segua sempre la diastole di un’analisi più distesa, raggiungendo un’esposizione al tempo stesso organica e diffusa» (Battistini 1995, p. 94). 18 PREMESSA l’opus maius vichiano, su di un luogo più astratto, impervio – forse irriducibile – all’analisi, ma al tempo stesso fascinoso e foriero di «maraviglia»: la simultaneità, o anche, come direbbe Vico, la capacità di «veder il tutto di ciascheduna cosa, e di vederlo tutto insieme, che tanto propriamente sona intelligere» 4. Prima di cedere a siffatti allettamenti totalizzanti è necessario però avviare l’analisi della scrittura vichiana, passandone al setaccio strategie stilistiche e opzioni espressive, per cercare di mostrare i differenti modi con cui l’autore dà forma ai diversi spazi del testo e, come si vedrà, ai diversi testi dello spazio. Pur nella consapevolezza dell’inevitabile circolarità inerente all’analisi, il suo assunto di base, enunciato in apertura, individua nello spazio e nella sua rappresentazione un elemento portante dello stile di Vico e un nodo cruciale del suo pensiero. Questa ricerca vorrebbe scongiurare il rischio della petizione di principio e tentare di volgere il punto di partenza in un punto d’arrivo ragionevolmente condivisibile. 2 . LA VISIBILE PROTASI Una prima esemplificazione dell’assetto spaziale della Scienza nuova può essere offerta dalla «Spiegazione della Dipintura proposta al frontespizio», in cui l’autore introduce il «leggitore» all’Idea dell’opera attraverso la decifrazione dei simboli che compongono l’incisione 5 (fig. 1). Una duplice e simultanea referenzialità e uno statuto retorico bifronte caratterizzano la premessa vichiana: oggetto del discorso sono infatti le immagini della Tavola delle cose civili e al contempo il contenuto dell’opera, di cui la Tavola è emblematica sintesi; queste pagine si configurano pertanto come ekphrasis e insieme exordium. Descrivendo la Dipintura Vico descrive anche il proprio pensiero, gli spazi dell’immagine traducono gli spazi dell’architettura filosofica che egli ha costruito e che ora presenta al lettore. La parola diviene luogo di mediazione tra linee e forme dello spazio visivo da una parte e percorsi e oggetti mentali dall’altra, incrementando il suo spessore grazie anche all’iconismo dei caratteri tipografici. 4 Lettera a Francesco Saverio Estevan, 12.1.1729, in Epist., p. 143. Sulla Dipintura, cfr. Lanza 1961, pp. 69-114; Frankel 1982; Papini 1984a; Garulli 1986; Fletcher 1986; Id. 1991. Sui ruoli e le competenze degli artisti che collaborarono alla sua realizzazione (Domenico Antonio Vaccaro, Antonio Baldi, Andrea Magliar e Francesco Sesoni), cfr. Palmer 1998. 5 19 PREMESSA PENSIERO IMMAGINE PAROLA La prima immagine su cui si sofferma l’attenzione del lettore-spettatore è quella della donna che punta lo sguardo verso il sole-triangolo-occhio: LA DONNA CON LE TEMPIE ALATE, CHE SOVRASTA AL GLOBO MONDANO; o sia al Mondo della Natura, è la Metafisica, che tanto suona il suo nome. IL TRIANCOLO LUMINOSO con ivi DENTRO un OCCHIO VEGENTE, egli è Iddio con l’aspetto della sua Provvedenza; per lo qual aspetto LA METAFISICA IN ATTO DI ESTATICA IL CONTEMPLA sopra l’ordine delle cose naturali, per lo quale finora l’hanno contemplato i Filosofi: perch’Ella in quest’Opera, più in suso innalzandosi, contempla in Dio il Mondo delle menti umane, ch’è ’l Mondo Metafisico; per dimostrarne la Provvedenza nel Mondo degli animi umani, ch’è ’l Mondo Civile, o sia il Mondo delle Nazioni: il quale, come da suoi Elementi è formato da tutte quelle cose, le quali la DIPINTURA quì rappresenta co’ GEROGLIFICI, che spone in mostra al di sotto. 6 La direttrice spaziale che emerge da queste prime battute traccia un movimento di ascesa: la Metafisica infatti «SOVRASTA» il globo, contempla Dio «sopra» l’ordine delle cose naturali, si rivolge all’ordine delle menti umane «più in suso innalzandosi» rispetto ai filosofi che si sono limitati a studiare la natura. Già in questo salire si può scorgere l’orgoglio del pensatore, la fiera consapevolezza della straordinaria novità di «quest’Opera» e delle sue «discoverte»; di più, affermando la priorità della divina contemplazione, Vico pone la trascendenza a fondamento della sua filosofia. Tuttavia il fine della teoresi vichiana – della Donna con le tempie alate – non è quello di congelare la visione estatica tra le vette dell’indicibile; è necessario altresì comprendere gli «animi umani», percorrerne a ritroso le modificazioni fin nei sottosuoli del tempo, fare i 6 Sn44, pp. 1-2; c. 1r [2]. TRIANCOLO] TRIANGOLO // VEGENTE] VEGGENTE. 20 PREMESSA conti con «la feccia di Romolo» per riuscire così a vedere dispiegarsi l’‘alba’ della civiltà. Allo slancio verso l’alto segue la discesa: i geroglifici che rappresentano il mondo delle nazioni sono esposti «in mostra al di sotto». La difficoltà della ricerca di Vico consiste proprio nel coraggioso percorso di sprofondamento che egli ha saputo compiere: LO STESSO RAGGIO SI RISPARGE DA PETTO DELLA METAFISICA NELLA STATUA D’OMERO, primo Autore della Gentilità, che ci sia pervenuto; perchè in forza della Metafisica, la quale si è fatta da capo sopra una Storia dell’Idee umane, da che cominciaron tal’uomini a umanamente pensare, si è da noi finalmente disceso nelle menti balorde de’ primi fondatori delle nazioni gentili, tutti robustissimi sensi, e vastissime fantasie […]. 7 L’avverbio «finalmente» indica il lungo tempo trascorso prima dell’eroica discesa compiuta da Vico, evocata subito dopo l’affermazione del carattere assolutamente inedito della metafisica da lui proposta, essendosi questa «fatta da capo sopra una Storia dell’Idee umane» («sopra», tra l’altro, è una preposizione prediletta dal napoletano per la costruzione del complemento di argomento) 8. La locuzione «da capo» sottolinea con forza l’avvio problematico del cammino vichiano, la sua mossa preliminare non tanto lontana da quella compiuta dall’amico-nemico «Renato» 9. È il gesto radicale della cancellazione, con il quale entrambi i pensatori, pur così lontani e diversi tra loro, danno inizio al loro sistema: come Descartes giunge all’unica verità indubitabile dopo un travagliato percorso di scepsi, anche Vico fa tabula rasa di tutti i preconcetti e pregiudizi che gli vieterebbero l’accesso alla comprensione della «prima sapienza». L’epoché vichiana sarà più volte ricordata nel corso dell’opera, insieme alla fatica che è costata e costa tuttora al pensiero; la discesa – che è al contempo risalita, ritorno «da capo» – e l’immersione nell’informe, nella «densa notte» che separa l’animale dall’uomo, sono vissute con stupore dall’intelletto, consapevole di compiere un salto nel vuoto, dove mancano coordinate, confini e punti fermi, e deve ancora accadere, come direbbe Paolo Rossi citando Ernesto De Martino, la «fondazione dell’ovvietà»: 7 Sn44, p. 5; c. 7r [6]. Anzi, secondo Mario Papini, «il ‘sopra’ o ‘su’ vichiano non è equivalente al latino complemento di argomento con de e ablativo, ma indica evidentemente una funzione di luogo» (Papini 1984a, p. 98 nota). 9 Sull’ambivalente atteggiamento di Vico nei riguardi del «libro Del Metodo», cfr. Amoroso 1997, pp. 9-43, e Trabant 1996, pp. 7-36. 8 PREMESSA 21 LE TENEBRE NEL FONDO DELLA DIPINTURA sono la materia di questa Scienza incerta, informe, oscura. […] 10 […] perocchè tal natura poetica di tai primi uomini in queste nostre ingentilite nature egli è affatto impossibile immaginare, e a gran pena ci è permesso di intendere. 11 Lo spazio descritto dalla donna con le tempie alate è quindi proiettato in alto e insieme in basso, luogo di anabasis e katabasis 12. Esso segue il tracciato della verticalità, su cui poggia l’organizzazione stessa della Dipintura, dove l’ascesa della Metafisica, segnalata innanzi tutto dalle ali poste sulle sue tempie 13, viene confermata dalla posizione in bilico del globo terrestre rispetto all’altare. Spiegando l’asimmetria dell’immagine, il filosofo introduce i protagonisti della sua narrazione e lo spazio in cui fanno capolino. Vi è qui il primo abbozzo dello scenario della storia, mentre «questa Scienza» svela uno dei suoi aspetti. Perciò il GLOBO, o sia il Mondo fisico, ovvero naturale IN UNA SOLA PARTE EGLI DALL’ALTARE VIEN SOSTENUTO; perchè i Filosofi infin ad ora, avendo contemplato la Divina Provvedenza per lo sol Ordine naturale, ne hanno solamente dimostrato una parte […]; ma no’l contemplarono già per la parte, ch’era più propia degli uomini, la natura de’ quali ha questa principale propietà d’essere socievoli; alla qual Iddio provvedendo ha così ordinate, e disposte le cose umane, che gli uomini caduti dall’intiera giustizia per lo peccato originale, intendendo di fare quasi sempre tutto il diverso, e sovente ancora tutto il contrario, onde per servir all’utilità, vivessero in solitudine da fiere bestie; per quelle stesse loro diverse, e contrarie vie, essi dall’utilità medesima sien tratti da uomini a vivere con giustizia, e conservarsi in società, e sì a celebrare la loro natura socievole; la quale nell’Opera si dimostrerà essere la vera civil natura dell’uomo; e sì esservi diritto in natura: la qual condotta della Provvedenza Divina è una delle cose, che principalmente s’occupa questa scienza di ragionare: ond’ella per tal aspetto vien ad essere una Teologia Civile Ragionata della Provvedenza Divina. 14 (SEGUE) 10 Sn44, p. 35; c. 25r [41]. Ivi, p. 29; c. 21v [34]. 12 Per questi due termini, cfr. Goetsch 1995, p. 1. Dal canto suo, Giuseppe Mazzotta identifica la struttura retorica della Scienza nuova con «la mappa di un viaggio di scoperta» (cfr. Mazzotta 1999, pp. xiv, 214). 13 Sul simbolismo del volo ascensionale, cfr. Eliade 1957, pp. 117-143. 14 Sn44, p. 2; c. 1r-v [2]. 11 VOCI E STORIE DI COSE 129 VI VOCI E STORIE DI COSE: LE ETIMOLOGIE La suggestiva osmosi tra luoghi mentali e luoghi fisici che la trama della Scienza nuova sembra realizzare trova un’altra interessante attuazione nelle etimologie di cui il testo vichiano è letteralmente gremito. Quasi a ogni pagina il lettore si trova di fronte alla proposta di un etimo, che ben al di là dell’esercizio filologico o dell’esibizione di erudita prodezza costituisce in Vico una vera e propria strategia retorica, l’espressione di un nodo essenziale del suo pensiero. È infatti la ricerca etimologica a dover condurre secondo il filosofo alla costruzione del «dizionario mentale» di tutte le nazioni, il quale, come si è ricordato sopra, corrisponde alla «lingua di questa Scienza». Gli etimi vichiani non sono mai macchie isolate nel testo; al contrario, mostrano di essere tutti saldati in un indissolubile reciproco intrico: ciascuno racconta una storia, e insieme raccontano la storia della Scienza nuova. Anche qui la proiezione e lo scatto analogico formano il tessuto connettivo: da un etimo si diparte una narrazione, la quale contiene un altro etimo, che a sua volta è nucleo di una differente storia … Un elenco esaustivo di tutte le occorrenze di questo modulo discorsivo all’interno dell’opera e un’analisi sia pur sintetica di ciascuna di esse occuperebbero dunque uno spazio esorbitante e finirebbero – del resto non diversamente da quanto avverrebbe con altri elementi strutturali – con l’abbracciare l’intera compagine testuale. Di nuovo ci si imbatte nell’isomorfia tra frammento e totalità che, come si è accennato più volte, definisce un tratto inconfondibile del testo vichiano, ma il cui innegabile fascino si traduce in un duro ostacolo alla suddivisione analitica. La consapevolezza della necessaria limitata campionatura deve dunque procedere accanto alla consapevolezza di segno opposto secondo cui la vis onnicompren- 130 VOCI E STORIE DI COSE siva e isomorfica rappresenta un altro aspetto dello stile della simultaneità che qui si intende indagare. Al di là del carattere ‘poco scientifico’ degli etimi della Scienza nuova, su cui oggi non vale più la pena di spendere particolari osservazioni 1, ciò che conta in questa sede dello scavo genetico che Vico compie sulle parole è la ricostruzione di quel tessuto connettivo che le collega l’una con l’altra. Vale a dire, la ricerca etimologica vuole dare forma a un disegno sintetico dell’origine e delle condizioni di possibilità dell’umana convivenza, uguale per tutti i popoli, così come lo è il senso comune. E al senso comune l’etimologico universale aderisce dotandolo di nomi. Se il primo si concreta in comportamenti, percezioni, verità di fatto diffuse, il secondo articola la griglia ordinata che lo struttura 2. L’aspetto genetico convive con quello trascendentale in quanto proprio attraverso le «modificazioni» delle voci si giunge alla ‘struttura profonda’ del pensiero dell’umanità 3. Ma le modificazioni che ciascuna parola ha subito nel corso del tempo rivelano di soggiacere al medesimo meccanismo proiettivo che tiene insieme tra loro tutte le parole: ciascun singolo elemento del disegno ha percorso spostamenti analoghi a quelli che regolano il disegno nell’insieme; il tessuto connettivo è nel corpo della parola e ai suoi confini. Sono dunque i «trasporti» a governare la diacronia così come la sincronia sia della langue che della parole. In tal modo infatti vengono presentate da Vico le etimologie all’interno dell’elenco succitato delle «pruove» filologiche che «convengono» «sulle cose, le quali si meditano»: Terzo, che vi convengono l’Etimologie delle Lingue natie, che ne narrano le storie delle cose, ch’esse voci significano, incominciando dalla propietà delle lor origini, e prosieguendone i naturali progressi de’ lor trasporti, secondo l’Ordine dell’Idee, sul quale dee procedere la Storia delle Lingue. 4 Gli etimi sono narrazioni di cose, e le loro forme originarie hanno per Vico una «propietà» che le accomuna: le voci nascono tutte come «trasporti» dal corpo umano e dalla materialità diffusa in cui i primi uomini 1 Cfr. Battistini 1975, pp. 101, 111-113. «In ogni lingua, dunque, deve esserci un nucleo di ancestrali radici, che ci riportano nel cuore delle prime due età: quando la memoria visiva registrava fantasticamente gli avvenimenti all’interno della mente, fissandone anche, insieme all’immagine, la caratterizzazione sonora. Nella grandiosa esperienza che si compie tra mondo dei giganti e mondo degli eroi, vengono sedimentate memorialmente le prime radici linguistiche, che soprattutto servono nel momento in cui, con la terza età, insorge un bisogno sistematico di articolazione e di comunicazione» (Papini 1984, p. 343). 3 Cfr. Trabant 1994, pp. 53-56. 4 Sn44, p. 126; c. 74r [354]. 2 VOCI E STORIE DI COSE 131 si trovano immersi. Nel corso del tempo, con lo «spiritualezzarsi» delle menti, la radice corporea dell’espressione tende a farsi impercettibile, a nascondersi dietro i cambiamenti che scalfiscono e deformano le parole; ma basta grattare con tenacia la superficie di questi pezzi di lingua per riuscire a ritrovare le «idee» di cui queste sono il volto. Il principio teoretico generale sotteso all’indagine etimologica è per Vico il medesimo che guida la sua filosofia del linguaggio: Quello è degno d’osservazione, che ’n tutte le Lingue la maggior parte dell’espressioni d’intorno a cose inanimate sono fatte con trasporti del corpo umano, e delle sue parti, e degli umani sensi, e dell’umane passioni: come capo, per cima, o principio; fronte, spalle, avanti e dietro; occhi delle viti, e quelli che si dicono lumi ingredienti delle case; bocca, ogni apertura; labro, orlo di vaso, o d’altro; dente d’aratro, di rastello, di serra, di pettine; barbe, le radici; lingua di mare; fauce, o foce, di fiumi, o monti; collo di terra; braccio, di fiume; mano, per picciol numero; seno di mare, il golfo; fianchi, e lati i canti; costiera di mare; cuore per lo mezzo, ch’umbilicus dicesi da’ Latini; gamba, o piede di paesi, e piede per fine; pianta per base, o sia fondamento; carne, ossa di frutte; vena d’acqua, pietra, miniera; sangue della vite, il vino; viscere della Terra; ride il Cielo, il Mare; fischia il vento; mormora l’onda; geme un corpo sotto un gran peso; e i contadini del Lazio dicevano sitire agros, laborare fructus, luxuriari segetes; e i nostri Contadini andar in amore le piante, andar in pazzia le viti, lacrimare gli orni […]. 5 L’orizzonte dell’empiria, la fisicità dei primi contatti degli uomini con la natura, il palpabile spessore della terra: sono questi i fondamenti da cui muove l’umano comunicare. La storia vichiana si serve dell’etimo come duttile strumento esegetico per ricostruire il percorso della civiltà, a cominciare dalla ‘scena originaria’. All’inizio del Libro Secondo, nel racconto sul diluvio universale e sui Giganti, dopo essersi soffermato sulla smisurata crescita dei corpi dei superstiti al diluvio «adducendo come causa una sorta di autoconcimazione dei primi uomini e, insieme, il loro sforzo fisico» 6, l’autore a un certo punto sembra interrompere il movimento della narrazione per inserire nel discorso una parentesi dotta: Di Giganti così fatti fu sparsa la Terra dopo il Diluvio: poichè, come gli abbiamo veduti sulla Storia Favolosa de’ Greci, così i Filologi Latini, senza avvedersene, gli ci hanno narrati sulla vecchia Storia d’Italia; ov’essi dicono, che gli antichissimi popoli dell’Italia detti Aborigini si dissero ¢utÒcqonej [sic], che tanto suona, quanto figliuoli della Terra, ch’a’ 5 6 Ivi, pp. 156-157; c. 90r-v [405]. Amoroso 1998, p. 93. 132 VOCI E STORIE DI COSE Greci, e Latini significano Nobili, e con tutta propietà i figliuoli della Terra da’ Greci furon detti Giganti, onde Madre de’ Giganti dalle Favole ci è narrata la Terra; & ¢utÒcqonej [sic] de’ Greci si devono voltare in latino indigenae, che sono propiamente i natj d’una Terra, siccome gli Dei nati d’un popolo, o nazione si dissero Dj Indigetes, quasi inde geniti, ed oggi più speditamente si direbbono ingeniti; perocchè la sillaba De qui è una delle ridondanti delle prime lingue de’ popoli, le quali qui appresso ragioneremo; come ne giunsero de’ Latini quella induperator per imperator, e nelle Leggi delle XII. Tavole quella ENDOJACITO, per injicito; onde forse rimasero dette induciae, gli armistizj, quasi injiciae; perchè debbon essere state così dette da icere foedus, far patto di pace; siccome al nostro proposito, dagl’indigeni, ch’or ragioniamo, restarono detti ingenui; i quali prima, e propiamente significarono nobili; onde restarono dette artes ingenuae, arti nobili; e finalmente restarono a significar liberi; ma pur artes liberales restaron a significar arti nobili; perchè di soli Nobili, come appresso sarà dimostro, si composero le prime Città, nelle qual’i plebei furono schiavi, o abbozzi di schiavi. Gli stessi Latini Filologi osservano, che tutti gli antichi popoli furon detti Aborigini; e la Sagra Storia ci narra esserne stati intieri popoli […]. 7 Questa lunga digressione prosegue ancora con altri rilievi etimologici, palesando la portata strutturale che la ricerca sull’origine delle parole assume all’interno del testo. In effetti, non si ha qui a che fare con un’interruzione vera e propria della diegesi, con un’autentica ‘pausa’ della durata narrativa 8, ma il racconto, sia pur con un ritmo franto, sta continuando. Le etimologie svolgono la funzione di segmenti prolettici che troveranno via via sviluppo e articolazione nel seguito dell’opera, per divenire quindi oggetto di richiami analettici oltre che di insistiti ritorni anaforici. Vale la pena di soffermarsi sul fitto gioco di rapporti che Vico intesse tra parola e parola, e tra lingue differenti; la prospettiva da cui egli analizza le voci è ben più ampia rispetto alla tendenza per così dire ‘atomica’ del grammatico; si tratta invece di una prospettiva eminentemente comparatistica e antropologica. Partendo dalla considerazione del nome dei primi uomini quale testimonianza del loro letterale scaturire dalla terra, del loro sostanziarsi, come è detto nelle righe precedenti, dei «sali nitri» 9, il discorso attraversa nodi istituzionali basilari come gli armistizi e l’equivalenza tra nobiltà e libertà, per giungere alla nascita dei primi agglomerati urbani. La storia delle parole è il veicolo della storia degli uomini; l’etimologia appare dunque essa stessa come una piccola 7 Sn44, pp. 134-135; cc. 78v-79r [370-371]. si direbbono ingeniti] si direbbero in- geniti. 8 9 Cfr. Genette 1972, pp. 148-155. Cfr. infra, cap. IX. VOCI E STORIE DI COSE 133 storia, un microcosmo che spalanca orizzonti dall’inaspettata estensione 10. La piccola storia (o «picciola favoletta») configura la sua presenza con la stessa modalità del tessuto connettivo di cui si diceva sopra; essa è dentro la singola etimologia e ai suoi bordi: il corpo della parola dischiude uno scenario attraversato da un mito, il cui epilogo apre una porta da cui comincia un’altra narrazione, che conduce a una nuova etimologia, che ricomincia il giro. In mezzo, spesso, si inseriscono esempi storici e osservazioni sui popoli selvaggi, luoghi d’oro, richiami intratestuali. L’effetto sulla pagina, reso ancora più visibile dall’alternanza dei caratteri tipografici, è quello di un labirinto, di una presenzialità affine in certa misura al periodico strutturarsi del verso. Questa spazialità che elude la progressiva cancellazione del già detto nel flusso diacronico del discorso non si rattrappisce mai in illusionistico calligrafismo, ma dilata panorami e scava solchi, accumula spessori di materia e soprattutto indica i passi degli uomini. La mappa orografica del testo vichiano mira a conferire ordine agli smottamenti della storicità, a recuperarne la logica sommersa dai cataclismi, a rendere intelligibile l’estraneo rispettandone l’alterità, a descrivere azioni e a spiegare episodi. La riflessione etico-politica non tralascia mai di vigilare dal dentro e dall’alto, e di tenere i fili del discorso. E il racconto continua: 10 Per quanto riguarda i criteri filologici seguiti dall’autore, in questa pagina emerge quello della ridondanza, il quale, come osserva Andrea Battistini, «ricorre in tutti gli etimologi prescientifici, come pure i criteri opposti della contrazione. Di originale interviene però la motivazione psico-antropologica, consistente nel credere che la difficoltà di pronuncia, resa inferiore dal canto, comportasse l’inserzione di zeppe aventi la funzione di rendere più eufoniche le parole» (Battistini 1990, p. 1538). E ancora, in un saggio fondamentale dedicato all’«etimologia mitopoietica», lo studioso ricorda il debito contratto da Vico nei confronti di Gerardo Giovanni Voss e del suo Etymologicon linguae latinae, «la fonte primaria, se proprio non esclusiva, di tutte le ricostruzioni vichiane». Ma dietro all’ossequio formale, che si traduce nell’accoglienza delle singole scelte esplicative, l’autonomia del napoletano nei confronti dell’illustre filologo risulta ben marcata. Infatti, spiega Battistini, «le divergenze nei suoi confronti sono essenzialmente di ordine storicistico e solo assai raramente di ordine linguistico. […] Quantunque privo di un criterio etimologico razionalmente organizzato, egli non deroga mai dai suoi principi antropologici a cui sottomette anche la scelta degli etimi, attuando un’analisi comparata e parallela delle metamorfosi linguistiche e dei mutamenti culturali e accettando idealmente il principio di relatività linguistica noto oggi come ‘ipotesi di Sapir e Whorf’ […]. L’etimologia del Voss è in linea di massima più razionale, sorvegliata, spesso grammaticalmente più accettabile di quella vichiana che è invece più fantasiosa, sorprendente, mitopoietica: non tanto per la distanza semantica da cui viene tratta la parola originaria, quanto per le personalissime serie di collegamenti analogici con cui tale divario viene colmato. Per l’etimologia attraverso cui si rivivono i miti dell’‘età gentilesca’, si può ripetere in fondo quanto il Vico ha scritto per la metafora, giacché anch’essa ‘vien ad esser una picciola favoletta’» (Battistini 1975, pp. 124-152). 134 VOCI E STORIE DI COSE […] perchè gli Ebrei con la pulita educazione, e col timore di Dio, e de’ Padri durarono nella giusta statura, nella qual Iddio aveva criato Adamo, e Noè aveva procriato i suoi tre figliuoli: onde forse in abbominazione di ciò gli Ebrei ebbero tante leggi cerimoniali, che s’appartenevano alla pulizia de’ lor corpi. E ne serbarono un gran vestigio i Romani nel pubblico Sagrifizio, con cui credevano purgare la città da tutte le colpe de’ cittadini, il quale facevano con l’acqua, e ’l fuoco; con le quali due cose essi celebravano altresì le nozze solenni; e nella comunanza delle stesse due cose riponevano di più la cittadinanza; la cui privazione perciò dissero interdictum aqua, et igni: e tal sagrifizio chiamavano lustrum, che, perchè dentro tanto tempo si ritornava a fare, significò lo spazio di cinque anni, come l’Olimpiade a’ Greci significò quel di quattro: e lustrum appo i medesimi significò covile di fiere; ond’è lustrari, che significa egualmente e spiare, e purgare; che dovette significar dapprima spiare sì fatti lustri, e purgargli dalle fiere ivi dentro intanate: & aqua lustratis restò detta quella ch’abbisognava ne’ sagrifizj. E i Romani con più accorgimento forse, che i Greci, che incominciarono a noverare gli anni dal fuoco, che attaccò Ercole alla Selva Nemea, per seminarvi il frumento: ond’esso, come accennammo nell’Idea dell’Opera, e appieno vedremo appresso, ne fondò l’Olmpiadi; con più accorgimento, diciamo i Romani dall’acqua delle sagre lavande cominciarono a noverare i tempi per lustri, perocchè dall’acqua, la cui necessità s’intese prima del fuoco, come nelle nozze, e nell’interdetto dissero prima aqua, e poi igni, avesse incominciato l’Umanità: e questa è l’Origine delle Sagre Lavande, che deono precedere a’ Sagrifizj; il qual costume fu, ed è comune di tutte le Nazioni. Con tal pulizia de’ corpi, e col timore degli Dei, e de’ Padri, il quale si troverà e degli uni, e degli altri essere ne’ primi tempi stato spaventosissimo, avvenne che i Giganti degradarono alle nostre giuste stature; il perchè forse da polite…a, ch’appo i Greci vuol dir governo Civile, venne a’ Latini detto politus nettato, e mondo. 11 Il resoconto della storia parallela degli Ebrei focalizza il nesso tra acqua e religione, grazie a cui è stato possibile al popolo eletto mantenere la giusta corporatura. Insieme al culto si creano le prime strutture istituzionali; il passaggio che storicamente collega i matrimoni alla cittadinanza nell’antica Roma è segnato dal sacro scenario dominato dall’elemento idrico e, nel testo, dall’etimologia con cui Vico lo disseppellisce. Ancora, la funzione rituale dell’acqua nel recinto del sacrificio determina il computo del tempo, e attraverso l’etimo Vico sembra di nuovo volere rintracciare nello spazio la matrice del tempo («e tal sagrifizio chiamavano lustrum, che, perchè dentro tanto tempo si ritornava a fare, significò lo 11 Sn44, pp. 136-137; cc. 79v-80r [371]. aqua lustratis] aqua lustralis // si troverà] si truoverà. VOCI E STORIE DI COSE 135 spazio di cinque anni, come l’Olimpiade a’ Greci significò quel di quattro») 12. Il brulichio dei segmenti testuali di questa pagina, lungi dal disegnare un grazioso piatto calligramma, squaderna nella mente del lettore un orizzonte antropologico e teoretico ben denso di problematicità. Etimologia e mito procedono dunque insieme nel testo vichiano e spessissimo si sovrappongono. Ciò risulta particolarmente evidente nella sezione della Politica Poetica, in cui viene tracciato un ampio affresco articolato in numerose scene mitologiche, che l’autore interpreta tutte in chiave socio-politica. In tal senso legge per esempio l’episodio in cui Saturno vuole divorare Giove bambino, e i sacerdoti di Cibele reagiscono nascondendo il piccolo dio: i famoli ammutinati rivendicano il possesso della terra da loro coltivata e tentano di distruggere il giovane stato aristocratico sorto per resistere alle ribellioni; i sacerdoti armati (i Cureti, con cui si identificano anche i «quiriti» e «curiati» romani) proteggono e mantengono segreto il patto stretto dai padri. Siegue la Favola, ch’i Sacerdoti di Cibele, o sieno d’Opi, perchè i primi Regni furono dappertutto di Sacerdoti, come alquanto se n’è detto sopra, e pienamente appresso si mostrerà, nascondono Giove; dal qual nascondimento i Filologi Latini indovinando dissero essere stato appellato Latium; e la Lingua latina ne conservò la storia in questa sua frase condere regna, lo che altra volta si è detto; perchè i Padri si chiusero in ordine contro i Famoli ammutinati; dal qual segreto incominciarono a venir quelli, ch’i Politici dicono arcana imperj: e col romore dell’armi non faccendo a Saturno udire i vagiti di Giove, testè nato all’union di quell’Ordine, in cotal guisa il salvarono; con la qual guisa si narra distintamente ciò, che ’n confuso Platone disse, le Repubbliche esser nate sulla pianta dell’armi, a cui dev’unirsi ciò, ch’Aristotile ci disse sopra nelle Degnità, che nelle Repubbliche eroiche i Nobili giuravano d’esser eterni nimici alla plebe; e ne restò propietà eterna, per la quale ora diciamo, i servidori esser nimici pagati de’ lor padroni: la qual istoria i Greci ci conservarono in questa etimologia, per la quale appo essi da pÒlij città, pÒlemoj è appellata la guerra. 13 Non solo la toponomastica conserva la traccia di tale patto segreto (Latium a latendo), ma allo stesso verbo condere inerisce un duplice significato: «fondare» e «nascondere». Notevole l’affermazione vichiana secondo cui il mito (e la connessa etimologia) «narra distintamente» ciò che Platone disse «in confuso»; dunque le favole appaiono più perspicue delle verità filosofiche. A tale rilievo segue il luogo d’oro di Aristotele, già 12 13 Cfr. supra, Premessa, par. 2, e infra, cap. IX. Sn44, p. 270; c. 150bisr [588]. 136 VOCI E STORIE DI COSE enunciato nelle Degnità, e che sarà sviluppato nel «Corollario d’intorno all’eroismo de’ primi popoli». Altrettanto interessanti sono la conseguenza e la relativa esemplificazione che Vico trae dall’episodio e dalle sue glosse: questa ancestrale ostilità tra nobili e famoli rivela una «propietà eterna, per la quale ora diciamo, i servidori esser nimici pagati de’ lor padroni». Il vero filosofico e il detto popolare dell’oggi vengono così saldati senza soluzione di continuità; il paradigma epistemologico tradizionale (scientia debet esse de universalibus et aeternis) convive con il cronotopo dell’attualità. Tutto ciò viene suggellato da un altro etimo, di invenzione autoriale 14, che lega la parola ‘guerra’ alla parola ‘città’. Questo originale accostamento mostra con evidenza la peculiarità degli etimi vichiani, che sembrano sottostare a una sorta di tensione centripeta, in quanto, come scrive Battistini, al Vico non interessa tanto l’etimologia ‘descrittiva’, così trasparente da non richiedere alcuno sforzo, giacché unisce, ad esempio un nome deverbale al suo verbo o un verbo al nome da cui deriva, quanto piuttosto l’etimologia ‘denominativa’, applicata a parole in apparenza più opache, mirante all’individuazione di un etimo originario da cui la voce seriore ha perso il contatto semantico. […] E l’etimologia mira a risalire a una matrice che, dotata di un campo semantico assai divaricato, consenta di designare come sinonimi termini attualmente assai distanti nel significato. 15 La tensione aggregatrice della strategia etimologica vichiana appare allora come un riflesso coerente della totalità dello spazio discorsivo dispiegato nella Scienza nuova, che procede per continui gesti di assimilazione e proiezione, i quali a loro volta rappresentano l’aspetto visivo della mente onnicomprensiva dell’autore, esercitata alla ricca palestra della topica e ai suoi duttili strumenti 16. (SEGUE) 14 Cfr. Battistini 1990, p. 1639. Battistini 1975, pp. 105-106. Per la distinzione tra etimologia ‘descrittiva’ e ‘denominativa’, lo studioso rinvia a Pisani 1947, p. 12. 16 «Etimologia come agudeza? Non sapremmo formulare ipotesi più seducente per uno studio su questo settore fondamentale della filologia vichiana, cui servirebbe assai meno la puntualizzazione delle fonti che non la luce fatta piovere di parola in parola nel giuoco mutevole degli allacci e dei richiami, a destarne echi impensati e profondi: ed è un modo, a ben vedere, di richiamare con l’ingegno le cose alla loro interna armonia, all’unità del piano provvidenziale che le serra in un ritmo perfetto, così come nelle strutture biologiche la filogenesi richiama all’unità armoniosa della creazione» (Lanza 1961, p. 103). 15 L’ENUNCIAZIONE TIPOGRAFICA 277 XIII L’ENUNCIAZIONE TIPOGRAFICA: LE VISIBILI VOCI Che il ‘rilievo’ della pagina vichiana non sia un semplice omaggio a una consuetudine del tempo o un mero elemento decorativo, ma che al contrario obbedisca spesso a precise finalità retoriche e produca effetti semantici che in molti casi sembrerebbero voluti dall’autore è emerso più di una volta dall’analisi compiuta nei capitoli precedenti. Si può ricordare per esempio la Degnità X: X. La Filosofia contempla la Ragione, onde viene la scienza del vero: la Filologia osserva l’Autorità dell’Umano Arbitrio, onde viene la Coscienza del Certo. […] Questa medesima Degnità dimostra, aver mancato per metà così i Filosofi, che non accertarono le loro ragioni con l’Autorità de’ Filologi; come i Filologi, che non curarono d’avverare le loro autorità con la Ragion de’ Filosofi: lo che se avessero fatto, sarebbero stati più utili alle Repubbliche, e ci avrebbero prevenuto nel meditar questa Scienza. 1 L’ultima parte della Degnità compone l’antitesi tra filosofia e filologia presentata nella prima parte risolvendola nella figura di una collaborazione reciproca, di cui viene lamentata la mancanza, ma che «questa Scienza» si incarica di attuare. Tale collaborazione è espressa dal marcato chiasmo delle righe centrali («Filosofi, che non accertarono le loro ragioni con l’Autorità de’ Filologi; come i Filologi, che non curarono d’avverare le loro autorità con la Ragion de’ Filosofi»). L’intreccio sintattico e lessicale mette in scena uno scambio reciproco di connotati tra i filosofi e i filologi e le rispettive «autorità». Secondo Vico, il «vero» che concerne i 1 Sn44, pp. 75-76; c. 48v [138-140]. scienza del vero] Scienza del Vero. 278 L’ENUNCIAZIONE TIPOGRAFICA primi deve essere fatto proprio dai secondi; e viceversa, il «certo», appannaggio dei secondi, deve essere introiettato nell’orizzonte dei primi. La reciprocità delle corrispondenze è resa ancora più chiara dai corsivi e dalle iniziali maiuscole: l’alternanza tra maiuscole e minuscole di «ragioni» e «autorità» dà luogo a un piccolo chiasmo nel chiasmo maggiore, che evidenzia la reversibile e complementare gerarchia tra i due gruppi. Nella «Spiegazione della Dipintura», invece, il primo fatto che salta agli occhi (fuor di metafora) è la totale corrispondenza che si viene a creare tra le parole in maiuscolo e le figure dell’incisione all’antiporta del libro. In questo modo ogni immagine che compone il quadro allegorico voluto da Vico, pur tradotta in elemento linguistico, non si trasforma in significato immateriale, ma conserva la forza della visività. Ecco la serie dei maiuscoli che compaiono in queste pagine: p. 1; c. 1r IDEA DI QUEST’OPERA LA DONNA CON LE TEMPIE ALATE, CHE SOVRASTA AL GLOBO MONDANO – IL TRIANGOLO LUMINOSO – DENTRO – OCCHIO VEGENTE – LA METAFISICA IN ATTO DI ESTATICA IL CONTEMPLA p. 2; c. 1r-v DIPINTURA – GEROGLIFICI – GLOBO – IN UNA SOLA PARTE EGLI DALL’ALTARE VIEN SOSTENUTO NELLA FASCIA DEL ZODIACO, CHE CINGE IL GLOBO MONDANO, PIU’ CHE GLI ALTRI, COMPARISCONO IN MAESTA’ – IN PROSPETTIVA I SOLI DUE SEGNI DI LIONE, E DI VERGINE p. 4; cc. 6v-7r L’ALTARE STA SOTTO, E SOSTIENE IL GLOBO – E ’L FUOCO, CHE VI E’ SOPRA – CASA VICINA – LIONE IL RAGGIO DELLA DIVINA PROVVEDENZA, CH’ALLUMA UN GIOJELLO CONVESSO, DI CHE ADORNA IL PETTO LA METAFISICA p. 5; c. 7r-v CONVESSO, OVE IL RAGGIO SI RIFRANGE, E RISPARGE AL DI FUORI LO STESSO RAGGIO SI RISPARGE DA PETTO DELLA METAFISICA NELLA STATUA D’OMERO – E LA STATUA D’OMERO SOPRA UNA ROVINOSA BASE p. 7; c. 8v. DENSE TENEBRE, LE QUALI LA DIPINTURA SPIEGA NEL FONDO; DALLE QUALI AL LUME DEL RAGGIO DELLA L’ENUNCIAZIONE TIPOGRAFICA PROVVEDENZA DIVINA DALLA METAFISICA RISPARSO IN OMERO ESCONO ALLA LUCE TUTTI I GEROGLIFICI TRA QUESTI LA MAGGIOR COMPARSA VI FA UN ALTARE p. 8; c. 9r SULL’ALTARE A MAN DESTRA IL PRIMO A COMPARIRE E’ UN LITUO LITUO p. 9; c. 9v SULLO STESSO ALTARE APPRESSO IL LITUO SI VEDE L’ACQUA, E ’L FUOCO, E L’ACQUA CONTENUTA DENTRO UN URCIUOLO FIACCOLA ACCESA AL FUOCO SOPRA ESSO ALTARE, ED APPOGGIATA ALL’URCIUOLO – FIACCOLA – GEROGLIFICO – E’ ALLOGATA SULL’ALTARE TRA L’ACQUA, E ’L FUOCO – GEROGLIFICI p. 10; c. 10r UN’URNA CENERARIA RIPOSTA IN DISPARTE DENTRO LE SELVE – & – NELL’URNA – D.M. – URNA p. 11; c. 11r DALLE SELVE, OV’E’ RIPOSTA L’URNA, S’AVVANZA IN FUORI UN ARATRO pp. 12-13; cc. 11v-12v L’ARATRO APPOGGIA CON CERTA MAESTA’ IL MANICO IN FACCIA ALL’ALTARE – TIMONE – IN ATTO D’INCHINARSI PRESSO AL ZOCCOLO DELL’ALTARE – L’ARATRO SCUOPRE LA SOLA PUNTA DEL DENTE, E NE NASCONDE LA CURVATURA SI VEDE AL LATO DESTRO DEL MEDESIMO ALTARE UN TIMONE – SEMBRA INCHINARSI A PIE’ DELL’ALTARE p. 16; c. 13v IL TIMONE S’INCHINA A PIE’ DELL’ALTARE p. 17; c. 14r IL TIMONE E’ IN LONTANANZA DALL’ARATRO, CH’ IN FACCIA DELL’ALTARE GLI SI MOSTRA INFESTO, E MINACCEVOLE CON LA PUNTA p. 18; cc. 14v-15r ESCE PIU’ IN FUORI INNANZI L’ARATRO UNA TAVOLA, CON ISCRITTOVI UN ALFABETO LATINO ANTICO – SOMIGLIANTE ALL’ANTICO GRECO – PIU’ SOTTO L’ALFABETO ULTIMO, CHE CI RESTO’. – LA TAVOLA GIACE SOPRA UN 279 280 L’ENUNCIAZIONE TIPOGRAFICA ROTTAME D COLONNA D’ORDINE CORINTIACO. – GIACE LA TAVOLA MOLTO DAPRESSO ALL’ARATRO, E LONTANA ASSAI DAL TIMONE p. 19; c. 15r-v LA TAVOLA MOSTRA I SOLI PRINCIPJ DEGLI ALFABETI, E GIACE RIMPETTO ALLA STATUA D’OMERO NEL PIANO PIU’ ILLUMINATO DI TUTTI – GEROGLIFICI – IN CAPRICCIOSA ACCONCEZZA – FASCIO ROMANO – SPADA – BORSA APPOGGIATE AL FASCIO – BILANCIA – CADUCEO DI MERCURIO GEROGLIFICI – FASCIO p. 23; c. 17v LA SPADA, CHE S’APPOGGIA AL FASCIO p. 24; c. 18v LA BORSA PUR SOPRA IL FASCIO – GEROGLIFICO. LA BILANCIA DOPO LA BORSA pp. 26-27; cc. 19v-20r IL CADUCEO E’ L’ULTIMO DE’ GEROGLIFICI NUOVA SCIENZA – LA METAFISICA – LUME – PROVVEDENZA DIVINA – LA COMUNE NATURA DELLE NAZIONI – ORIGINI DELLE DIVINE ET UMANE COSE – UN SISTEMA DEL DIRITTO NATURAL DELLE GENTI p. 33; c 24r GEROGLIFICI – IL LITUO – ACQUA, E ’L FUOCO SOPRA L’ALTARE, L’URNA CENERARIA DENTRO LE SELVE, L’ARATRO, CHE S’APPOGGIA ALL’ALTARE – ’L TIMONE PROSTRATO A PIE’ DELL’ALTARE p. 34; c. 24v FASCIO – SPADA, CHE S’APPOGGIA AL FASCIO – BORSA – BILANCIA – CADUCEO – GEROGLIFICI – LONTANI DALL’ALTARE p. 35; cc. 24v-25r LA TAVOLA DEGLI ALFABETI E’ POSTA IN MEZZO A’ GEROGLIFICI DIVINI, ET UMANI LE TENEBRE NEL FONDO DELLA DIPINTURA – IL RAGGIO, DEL QUALE LA DIVINA PROVVEDENZA ALLUMA IL PETTO ALLA METAFISICA – IL RAGGIO, CHE DA PETTO ALLA METAFISICA SI RISPARGE NELLA STATUA D’OMERO – AL LUME DEL VERO OMERO N’ESCONO I GEROGLIFICI – A’ PIEDI DELLA STATUA D’OMERO L’ENUNCIAZIONE TIPOGRAFICA 281 p. 36; c. 25v. TUTTA LA FIGURA – TUTTI I GEROGLIFICI, CHE SI VEDONO IN TERRA – IL GLOBO, CH’E’ IN MEZZO – I GEROIGLIFICI, CHE VI SONO AL DI SOPRA (fig. 5) La Dipintura, che condensa in una pagina il lungo percorso dell’umanità e al contempo l’intero libro che il lettore sta iniziando a leggere, si scioglie e si dilata in discorso. Il discorso non scivola trasparente lungo gli argini della catena sintagmatica, seguendo gli snodi della consequenzialità referenziale e abbandonando dietro di sé le scorie del significante, ma si distribuisce a macchie, a grumi di senso, procede per linee di forza spaziali, per aggregazione e conservazione di tracce visive. Il pensatore della storia sceglie la simultaneità; il tempo si tramuta in spazio. SPIEGAZIONE DELLA DIPINTURA PROPOSTA AL FRONTISPIZIO CHE SERVE Per l’Introduzione dell’Opera QUALE Cebete Tebano fece delle Morali, tale noi qui diamo a vedere una Tavola delle cose Civili; la quale serva al Leggitore, per concepire L’IDEA DI QUEST’OPERA avanti di leggerla; e per ridurla più facilmente a memoria con tal’ajuto, che gli somministri la fantasia dopo di averla letta. LA DONNA […] Come commenta Jürgen Trabant, La Scienza Nuova comincia senza parole. Comincia con un’immagine preposta al testo. L’impiego di quest’immagine viene giustificato, nel primo paragrafo dell’opera, con una doppia motivazione. In primo luogo l’immagine servirebbe prima della lettura del libro alla comprensione dell’idea dell’opera («concepire l’idea di quest’opera avanti di leggerla»); in secondo luogo l’immagine servirebbe dopo la lettura dell’opera, a ritenere più facilmente quest’idea nella memoria («ridurla più facilmente a memoria») con l’aiuto della fantasia («con tal ajuto che gli somministri la fantasia»). La giustificazione del principio alinguistico ha dunque luogo espressamente in nome della fantasia e della memoria. 2 2 Trabant 1994, p. 173. 282 L’ENUNCIAZIONE TIPOGRAFICA Sembra dunque plausibile affermare che ai caratteri viene conferita la stessa funzione dell’immagine, e che essi vi adempiono né prima, né dopo, ma durante la lettura. Essi sono complementari al disegno, in quanto ne condividono lo statuto semiotico, e nello stesso tempo sono a esso supplementari, giacché costituiscono il veicolo della significazione verbale. E di tale significazione rappresentano visivamente la forza illocutiva, traducendo l’intonazione dello scrivente, l’enfasi che egli decide di porre su certi oggetti e pensieri, fermandovi l’attenzione e richiedendola nel lettore 3. Parola e immagine collaborano e si fondono in un unico gesto comunicativo, il quale non si risolve mai in un atto singolo irrelato, ma è pubblicamente condiviso, e forma una parte integrante del codice di un’epoca. La simultaneità che sembra emergere dal discorso vichiano è innanzi tutto questa che Vico pratica sulla pagina attraverso il ricorso all’immagine e alla materialità dei caratteri, una precisa strategia semiotica attuata nella consapevolezza dell’orizzonte d’attesa in cui si inserisce l’opera e con la sollecita considerazione dell’atto della ricezione, come mostra il richiamo al Leggitore. Tale simultaneità è parole individuale che guida e innerva il processo della lettura, e nello stesso tempo langue di una data situazione storica, di un determinato ambiente culturale e sociale, immediatamente compresa da tutti coloro che leggono e scrivono libri. In quanto abbraccia entrambi i versanti della dicotomia saussuriana, essa può opportunamente venire denominata «enunciazione tipografica». Scrive a questo proposito Roger Laufer, al quale si deve la definizione: Si nous restons à l’intérieur de la «galaxie Gutemberg», à l’échelle de cinq siècles, nous voyons s’établir un usage typographique, qui échappe peu à peu à l’usage manuscrit et impose non seulement des normes de réception, de lecture, mais aussi des normes de rédaction, de conception des textes. La typographie, cela est évident, est au service de la société. […] Mais la typographie a sa propre rationalité, qui pèse aussi sur l’évolution des mentalités. Et, en tout cas, l’espace typographique du livre – dans sa diversité syncronique, qu’il ne faut pas négliger, délimite le champ possible de l’inscription textuelle à une époque donnée, c’est-à-dire du scriptible e du lisible. 4 (SEGUE) 3 L’esempio più evidente del ruolo illocutivo svolto dai caratteri in ogni tipo di genere letterario è offerto dai fumetti, dove il grassetto e il corsivo traducono particolari intonazioni dei personaggi e soprattutto le loro esclamazioni olofrastiche. 4 Laufer 1985, p. 114. Fig. 5 – Ms. XIII D 79, c. 7r, «Spiegazione della Dipintura» (caratteri).