lettera tematica i

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lettera tematica i
“Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”
Il sapere è conoscenza acquisita attraverso esperienze sensibili. Sin dalla notte dei tempi, l’amore
per la conoscenza, la filosofia, ha affascinato l’uomo. Già Aristotele, nel Protrettico, rimarcando
l’importanza di “esercitarsi in filosofia” scriveva: “Chi pensa sia necessario filosofare deve
filosofare e chi pensa non si debba filosofare deve filosofare per dimostrare che non si deve
filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l'addio alla vita, poiché
tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui”.
Per secoli l’esercizio del “sapere” è rimasto prerogativa dei “filosofi-scienziati”, dal medio-evo in
poi si è assistito ad una “parcellizzazione” del sapere dettata dalle numerose scoperte in campo
scientifico che hanno richiesto la presenza di figure specializzate nello studio di un determinato
“ambito dello scibile”. Questa esigenza ha però portato ad una eccessiva parcellizzazione che ha
avuto, come suo tragico effetto, soprattutto dalla seconda metà dello scorso secolo in poi, un calo
generale del livello culturale.
In questo variegato panorama lo studio riluce come unico strumento di vera libertà. “Dio non ha
bisogno di studiare, avendo tutto e sapendo tutto. L’uomo è quasi nulla, ha quasi nulla e sovente
neppure questo sa. O se volete, l’uomo ha molto a disposizione ma spesso non lo sa o non vuol
saperne di possederlo. Povero per natura, l’uomo cerca di avere quel che non ha ancora o di avere
coscienza di qualcosa che ignorata, già possiede. Ecco lo studio. Chi vi si applica fa unicamente atto
di umiltà, la quale è ben più interiore nelle pieghe dell’animo, che non la stessa curiosità, madre, si
dice, del sapere. Come non riconoscere che è, se mai, umiltà madre di curiosità? Umiltà che
affiorando e divenendo esplicita nella coscienza del vero studioso, non lo abbandonerà più e sarà
genitrice di verità, in quanto umiltà è il vero riconoscimento di quel che siamo: quasi nulla. Chi
cerca confessa di non avere e di non sapere: chi più cerca confessa di saperne meno ancora. Quanto
più avanza, lo scienziato trova nuovi enigmi, complesso quel che pareva semplice, unito quel che
sembrava slegato. Lo storico che più ricerca di capire gli avvenimenti, tanto più li trova interessanti
di nuove, inesplicabili miserie o grandezze. Ricercare vuol dire ammettere realtà superiori a noi.
Ricercarle e amarle. Studium = amore. Sapere, dal latino sapio = gustare. Si gusta una verità e la si
ama. Studiare senza amore è un non senso. Chi saprebbe dirci se è prima il ricercare o l’amare, se la
ricerca è già di per se stessa mossa da un amore di sapere? Quant’è vero che l’anima è unità! E non
crediamo che studi solo chi ha libri. In forme semplici, l’operaio che andando in officina legge il
suo foglio e lo legge quotidianamente, il contadino che legge il tempo dell’indomani nella nuvoletta
apparsa al noto cocuzzolo del monte, il mendico che contempla il sole al tramonto, tutti leggono,
studiano, perché tutti desiderano conoscere, sapere, conquistare.”1
La cultura è divenire, noi ne siamo il motore, i protagonisti. Come un puparo che tiene e decide i
movimenti del suo pupo, abbiamo il dovere, proprio perché universitari, di tenere in mano “i fili
della conoscenza”. Dobbiamo diventare come una rete mirabile che con flusso contrario scambia
idee, crea rapporti, sapere; un sapere che non sia settario, parcellizzato, ma che costituisca un
monomio inscindibile.
È importante quindi porre l’accento sull’imprescindibilità di un sapere universale, legato esso
stesso al concetto di università, nata come universitates studiorum: categorie di studenti e docenti
organizzati in corporazioni.
Abbiamo la presunzione di pensare che un carattere di universalità possa essere recuperato solo
attraverso lo sviluppo di conoscenze generali che, dopo essere state acquisite, possono tradursi in
particolari. Crediamo nell’università come luogo in cui, oltre ad assimilare nozioni utilissime ed
indispensabili, si recepiscano e si utilizzino tutti quegli “strumenti necessari” per diventare buoni
cittadini in grado di proporre soluzioni ai problemi che attanagliano le nostre società .
La Settimana dell’Università, che la nostra Federazione celebra ogni anno, si pone come proprio
obiettivo di dare maggiore rilievo e maggiore importanza ai nostri atenei: luoghi che viviamo
quotidianamente ed in cui siamo chiamati a formarci. Dar maggior rilievo all’università significa
mettere in evidenza il valore di ciò che essa rappresenta: il più alto livello d’istruzione, la più
grande occasione di conoscenza, che è nostra prerogativa cogliere, nostro dovere sfruttare!
L’impressionante barbarie cui assistiamo ogni giorno, l’impoverimento economico specchio di un
impoverimento culturale ancora più grave, l’uso sempre più meccanico di nuove tecnologie, stanno
offuscando quella capacità pensante che è prerogativa dell’uomo rendendolo “informatissimo
idiota, che sa tutto, ma non sa far nulla”2. In un mondo in cui i problemi etici sembrano risolversi in
atteggiamenti estetici, “la morale diventa il morale e la società è concepita come una sorta di fictio
mentis”3, ecco che in questa bruma dei falsi pensieri, la conoscenza deve costituire, soprattutto per
noi universitari, strumento di coesione sociale consapevoli del fatto che: “ avere il privilegio di fare
l’università vuol dire ricevere alcuni talenti di più di cui bisogna rispondere, vuol dire cioè avere
responsabilità maggiore, non solo di fronte a Dio, ma di fronte al prossimo”4.
In un mondo dominato sempre più da una contrazione aoristica (intendo: proprio come il tempo
greco indica il momentaneo, così la i tempi della società moderna sono talmente frenetici che non
ci danno il tempo di pensare) del tempo, in cui si è assistito ad un passaggio “dall’imperativo
morale categorico alla religione della libertà”5, l’obbiettivo è riabituarsi allo studio ed a quello che
implica: l’attesa. Lo studio infatti, mediando i dati, concedendo i margini di tempo “necessari al
filtro selettivo della ragione e della memoria”, forma, non frastorna.
Essenziale appare il ruolo ragione, quindi della conoscenza, nell’esercizio della “vera fede” : fides
quaerens intellectum. Concetto magistralmente ripreso ed espresso nell’incipit dell’enciclica Fides
et Ratio: “La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la
contemplazione della verità. E Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la
verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla
piena verità su se stesso”.
L’avvento della Settimana dell’Università ci spinge a rivolgerVi ancora una volta, cari Fucini, un
invito alla riflessione, allo studio, alla critica costruttiva tipica dei giovani universitari. È con la
gioia nel cuore che vi auguriamo una felice e feconda Settimana dell’Università: che possa essere
per voi, e per noi, uno stimolo a testimoniare nella vita e con la vita il Vangelo.
Vi salutiamo con un caloroso abbraccio.
La commissione università
Bibliografia:
1- Paolo Roasenda (padre Mariano da Torino), su Gioventù Italica, N. 12 dicembre 1937, pp.
11-12).
2- Franco Ferrarotti, La strage degli innocenti. Note sul genocidio di una generazione
Armando ed.- 2011.
3- Passim nota 2
4- Vittorio Bachelet, da Ricerca VII (1951), n. 21, I novembre, p. 4
5- Passim nota 2
Letture suggerite:
Cecicilia Costa, "I giovani, il sistema dei valori e la religione", in Verso l’unità dei saperi, (a cura
di) Filippo Morlacchi, Lateran University Pres 2006.