Istruzione e formazione durante l`arco di tutta la vita Partire
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Istruzione e formazione durante l`arco di tutta la vita Partire
Istruzione e formazione durante l’arco di tutta la vita (intervento di Gabriella Giorgetti a nome della CGIL Scuola) Partire dai dati La scolarizzazione di massa è un dato acquisito in tutti i paesi dell’Unione Europea, anche in Italia, dove si sta colmando il gap con il resto dell’Europa. Nell’ultimo decennio la propensione alla prosecuzione degli studi dopo il conseguimento della licenza media è cresciuto di oltre 10 punti (l’86% della popolazione compresa tra 14 e 18 anni nel 2001 risultava iscritta a scuola). Attualmente 7 diciannovenni su 10 sono in possesso del titolo di maturità (erano 5 nel 2000). Sono, però, ancora significativi i dati sulla dispersione scolastica. Ancora il 5% dei ragazzi non riesce a completare il percorso di scuola media. Inoltre, una percentuale piuttosto alta (una media del 12%, che s’innalza al 17% negli istituti professionali) di giovani abbandona il sistema scolastico al termine del primo anno di scuola secondaria superiore. Selezione che conferma ancora il peso dei condizionamenti sociali e culturali; il fatto che la scuola attuale fatica a garantire la mobilità sociale. L’indagine Isfol su 2500 giovani di 21 anni del ’99 evidenziava come il titolo di studio del padre fosse ancora fattore determinante per quanto riguarda le ripetenze e l’abbandono degli studi. Scolarizzazione di massa che, però, deve fare i conti con i problemi della qualità del servizio prestato e dei risultati raggiunti, anche a livello di competenze di base. I dati della ricerca dell’anno scorso sull’analfabetismo di ritorno, un fenomeno anche questo che interessa tutti i paesi industrializzati, hanno rilevato, in Italia, percentuali allarmanti anche tra i giovani diplomati. In Italia permane un grave problema di scolarizzazione della popolazione adulta: il 64% della popolazione al 2000 possiede al più la licenza di scuola media (il 32% solo la licenza elementare); solo il 7% ha conseguito un titolo di studi universitari, mentre il 29% possiede un titolo di scuola secondaria superiore. L’Italia risulta, infine, nei confronti con i paesi dell’OECD il paese in cui la popolazione è impegnata in misura minore alle attività formative al di fuori dei percorsi istituzionali di istruzione ( in media meno di 900 ore nell’arco della vita tra i 25 e i 64 anni, contro le oltre 2mila della popolazione olandese e le mille e 700 di quella inglese). Non solo. Sono le persone con titoli di studio più alti che continuano ad aggiornarsi e formarsi; nel nostro paese solo il 2% delle persone con il titolo di studio di licenza media rientra in formazione. Perché partire dai dati? Perché possiamo ricavarne due considerazioni ai fini di una riflessione sull’educazione e la formazione per tutta la vita e cioè Chi ha un percorso scolastico più lungo e qualificato è, comunque, avvantaggiato, anche nei percorsi di formazione continua L’idea di equità non può basarsi sul "fare parti uguali tra disuguali", ma se vogliamo che l’affermazione del diritto all’istruzione e alla formazione, come sancito dalla Costituzione, sia un diritto di ciascuno, occorre calarlo nella realtà di situazioni molto differenziate che richiedono anche tipologie di interventi diversi in relazione a bisogni diversi. L’accesso universale all’istruzione e alla formazione e il ruolo del settore pubblico Quando la Commissione Europea nel Memorandum sostiene che l’apprendimento lungo tutta la vita deve perseguire due obiettivi di pari importanza, cioè la promozione della cittadinanza attiva e l’incremento dell’occupabilità, fa una dichiarazione del tutto condivisibile in sé, ma che può suscitare alcuni interrogativi se non è ulteriormente esplicitata. In un contesto culturale che sempre più valorizza la visione individualistica che si è diffusa nella società, ma al tempo stesso carica il singolo individuo di responsabilità e problemi, spesso così gravosi da provocare un profondo disagio sociale, il concetto di cittadinanza attiva può essere letto certamente in due maniere diverse. Una ampiamente condivisibile, se s’intende che tutte le istituzioni e le forze economiche e sociali devono impegnarsi perché il cittadino abbia un ruolo più forte e attivo, così da partecipare alle decisioni e dare il proprio contributo allo sviluppo della società. Anche per ciò che riguarda la sua educazione e formazione. Se, invece, essere attivi vuol dire provvedere in proprio e farsi carico individualmente di ogni problema, incluso l’apprendimento, questa lettura non sarebbe altrettanto condivisibile. La nuova situazione tecnologica ed economica ha senso, valore e diviene elemento di sviluppo nella misura in cui serve le persone; se parliamo di una modernizzazione in cui sia chiaro che istruzione e formazione non servono solo le esigenze dell’economia, ma consentono alle donne e agli uomini di acquisire quella consapevolezza e quelle competenze indispensabili per vivere e lavorare dignitosamente e per garantirsi un futuro migliore. Per questi motivi se è giusto che l’accesso universale all’istruzione e alla formazione permanente deve richiedere un coinvolgimento di più forze e soggetti, è, però, necessario che sia definita con chiarezza la responsabilità del settore pubblico che deve giocare un ruolo guida nello sviluppo di politiche coerenti, rapportate alle necessità individuali e fortemente indirizzate a promuovere l’equità sociale per tutti gli adulti ed assicurare che tali diritti siano realizzati. L’educazione iniziale pubblica che garantisca le conoscenze e le competenze comuni Per quanto ci riguarda, siamo convinti che l’obiettivo di dare a tutti quelle competenze di base indispensabili a giocare un ruolo attivo nella società della conoscenza, richieda un aumento e non una diminuzione, come propone, ad esempio, il governo Berlusconi, del livello di scolarizzazione . L’ipotesi di abbassare l’obbligo scolastico va in direzione, infatti, del tutto opposta all’obiettivo dell’apprendimento per tutta la vita, aumentando il divario tra chi sa e non sa e il rafforzamento dell’esclusione sociale. In pratica la canalizzazione precoce è uno strumento che penalizza due volte, al momento della scelta del percorso successivo alla scuola di base, che inevitabilmente diventa scelta di censo, ma anche nella vita adulta, quando, fra l’altro, rispetto ai continui mutamenti del mercato del lavoro si fanno più impellenti le necessità di ulteriori conoscenze e formazione. Rimaniamo, quindi, convinti della necessità di un obbligo scolastico, all’interno del sistema pubblico d’istruzione, della durata di almeno 10 anni, di una scuola che nel periodo obbligatorio dia e consolidi un quadro di conoscenze fondamentali per gli sviluppi formativi successivi e favorisca la conoscenza delle possibili opzioni e la corretta impostazione delle scelte, attraverso un orientamento progressivamente più mirato. I continui cambiamenti in atto nei processi produttivi e nel settore delle tecnologie e delle comunicazioni comportano, infatti, che la scuola non debba essere caratterizzata da un percorso a forte terminalità, che preveda prioritariamente un esplicito e diretto inserimento nel mondo del lavoro. Non serve una scuola secondaria che dia prodotti professionalmente finiti, ma che sappia sì superare la separatezza tra cultura e professionalità, tra il fatto che, ancora oggi, la conoscenza del latino é alternativa al sapere tecnologico. Problemi aperti: come recuperare i drop out? Come garantire a tutti le conoscenze e competenze necessarie alle scelte successive? Come si fa scuola; il rapporto con il mondo esterno; si apprende anche fuori; sviluppare le capacità critiche e di ragionamento; no alle preoccupazioni contenutistiche, L’Educazione e la formazione permanente: gli strumenti e le garanzie l’espressione istruzione e formazione permanente ricorda l’estensione orizzontale della formazione, che può avere luogo in tutti gli ambiti e in qualsiasi fase della vita con il relativo superamento di una divisione netta tra apprendimento formale, non formale e informale. Non vale più il percorso lineare scuola, lavoro, pensione. Si torna in formazione per problemi connessi al lavoro, ma anche per la gioia d'imparare. In Italia, tra le esperienze più vivaci, ci sono quelle rivolte ad adulti che vogliono scoprire il piacere di leggere o scrivere. Un primo obiettivo è quello di assicurare che l'educazione degli adulti non sia piegata solo ai bisogni del lavoro. Con quali garanzie ? • • • • • il diritto degli utenti a vedere riconosciuto il percorso formativo fatto, a livello di qualifica professionale, di diploma, di convalida delle conoscenze e delle competenze acquisite. (per l’Italia la certificazione dei percorsi formativi all’interno del sistema di istruzione e formazione e il riconoscimento delle qualifiche professionali a livello nazionale) l’accreditamento, il controllo delle agenzie formative da affidare ad organismi indipendenti ed autonomi per evitare pericolose commistioni tra funzioni d’indirizzo, erogazione dei fondi e verifica. (c’è un’esplosione di agenzie formative che invoca regole di trasparenza e di garanzia di qualità per gli utenti) i servizi di orientamento, informazione e tutoraggio alla persona. (la presenza di sempre maggiori opportunità formativi offre una maggiore libertà di scelta, ma aumenta anche il livello d’incertezza e disorientamento, soprattutto per gli utenti a basso livello di scolarizzazione) Integrazione delle competenze tra scuola formazione e servizi per l’impiego il territorio come risorsa, presupponendo un coordinamento tale da assicurare un valore aggiunto rispetto alla somma delle singole offerte formative. Costruire un sistema a rete che colleghi gli apprendimenti formali, non formali ed informali e soddisfi anche bisogni individuali di apprendimento, al fine di poter andare incontro anche ad esigenze singole. l’emanazione di leggi valide per tutti, e di diritti collettivi contrattati tra le parti sociali; non è condivisibile nessuna interpretazione o forzatura, come da più parti si inizia a proporre, che veda il singolo lavoratore caricato della responsabilità sociale e • • • materiale della propria qualificazione, il cui percorso formativo sia interamente al di fuori del tempo di lavoro, magari risolto in autoapprendimento individuale, privo di supporti e di qualunque confronto socializzato e di verifica. Attenzione ai nuovi lavori, nel settore informatico che hanno costi di autoformazione altissimi ( l’assenza di politiche di formazione uno dei motivi del no della CGIL al patto per l’Italia) un sistema di azioni positive per particolare categorie di persone a rischio sociale (ad es. a livello di risorse. Attualmente il criterio di erogazione dei fondi è legato al numero di corsi attivati e dei corsisti partecipanti, mentre si dovrebbero considerare anche criteri connessi al superamento di ostacoli economici e materiali, ad es. assistenza bambini , borse di studio et) una valutazione degli investimenti formativi che nel misurarne la "produttività" misuri il risultato nel lungo e lunghissimo periodo in termini di crescita culturale della popolazione le competenze dei formatori.