natura morta

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natura morta
NATURA MORTA
(Oltre le colonne d’Ercole)
Still life meglio di Natura “morta” che sa di freddo marmo autoptico. Oggetti in scena colti nell’attimo
fuggente non già l’interno dello studio bensì in location qualsiasi
Still life. Genere fotografico che esige
padronanza di luce e composizione, in
pratica scuola di alto livello, così su
riviste e blog. E non c’è dubbio dal fatto
che lo still life è tutt’altro che
“improvvisazione” poiché il suo campo
elettivo è la reclame di qualsivoglia
mercanzia, con precisa sceneggiatura a
mo nte e al fo to gr afo la fed ele
riproposizione del cartaceo abbozzo,
scatto fotografico definitivo. Still life
come studio, e in studio dove simile
all’artista, più o meno, luce e suo alter ego
l’ombra dà corpo all’idea di scatto. Anche
se un po’ come i vini, messi a dimora
(maturare) nelle barrique di stesso
legname pari produttore e stesse qualità di
gusto, poi ogni sbandierata differenza va a
farsi benedire. Siché lo still life può
presentarsi, anche, come di non
premeditato che si para davanti, in quel
momento particolare, e richiede pari
capacità che non sia il seriale (e serioso)
lavorio in studio. Insomma, riprese e qui
prossime più al genere “reportage” che il
semplice bel vedere. Questo perché certi
attimi, nuance, atmosfere si chiami come
meglio si preferisce non lasciano altra via,
non c’è tempo.
Stimolo, la provocazione visiva iniziale.
Una scheggia che non è detto sia visuale,
reminescenza ottica, ma certo perché no, di
carta. Chiarito l’ambito, l’operatività della
situazione fa la cifra, e mentre i primi
(fotografi da studio) devono rifarsi ad una
griglia alchemica fatti di pesi e contrappesi
codificati, in sorta di prontuario sempiterno,
ai secondi (fotografi di strada) le regole del
“reportage”. E ancora meglio di “natura
morta” il prestito linguistico più che
appropriato, quel fermare o congelare
l’oggetto che non sia rigor mortis da
marmo autoptico. Sembra una sfumatura
di niente e invece coglie, almeno per
quota parte ci compete, l’esatta traduzione
di cosa si intende per “natura morta”.
E poiché non c’è modo di manipolare la
luce in “diretta” su l’oggetto come da
studio, all’inventiva del fotografo la
migliore soluzione in ripresa e con pochi o
nessun mezzo a disposizione. Anche i
carri armati si riesce a fermare con borsa
della spesa e mani nude, a volte.
Si consideri, infine, il fatto che la natura
che parla alla macchina fotografica è una
natura diversa da quella che parla
all’occhio e mentalmente.
Così come nel reportage, dove la possibilità di creare ex novo la luce è nullo o quasi, sta
al fotografo l’arte di consentire al soggetto “esprimersi” nelle migliori condizioni senza
forzature stilistiche.
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Un’apertura muraria, forse che bank non è il calco di luce
finestra? E qui, nel termine letterale, d’una giornata di
pioggia malamente battente attrezzando un angolo di
mensola con pezzo di cartone, il piano appoggio su cui gli
oggetti (bottiglia e bicchiere) per la scena. Naturalmente
anche qualsiasi altro oggetto che fantasia mette in
abbondanza.
Il due attori: bella lei nelle linee dolci, stilizzate ed eleganti,
vetro austero lui in squadrato ottagono. Mondi contrapposti
come la Bella e Bestia, l’aristocrazia delle forme aggraziate
e spigolosità del bicchiere di taverna.
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La composizione e luce finestra la cifra.
L’esposizione meglio spot ad evitare che i
riflessi del vetro creino zone sottoesposte, in
caso contrario lo “staratore” d’esposizione
a + 1/2 diaframma è il punto cui iniziare a
sperimentare. L’uso del cavalletto
certamente è utile, anche se la presa a
mano libera è fattibile. Ciò non di meno
nel primo, l’uso del treppiede consente
Iso bassi a tutto beneficio della
“granulosità” dell’immagine o il
contenimento del rumore digitale, d’altro
possibilità di diaframmare considerato
l’esiguo spazio
tridimensionale.
L’essenziale è mai far scemare la tensione
durante lo scatto, siché di necessità virtù.
E se durante la ripresa più di tanto non è
possibile “manipolare” la post produzione
è la fase di trasformazione “alchemica”
non secondaria ma coerente con lo
scatto, anche solo per
eliminare
particolari, raddrizzare
quello che
altrimenti non è possibile. Stravolgere quel
tanto o poco della scena è a discrezione
di chi partorisce, l’idea.
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Immagine come le altre della Olympus
E1, ammiraglia di sempre, in formato
Jepg, poiché si ritiene, da tempo, che
la codifica basta e avanza e che il
cosiddetto Raw è più che altro
espediente industriale per altri fini.
Eseguita la ripresa vera e propria
conviene far “riposare” gli occhi per
qualche giorno così da scegliere lo
scatto che meglio “riproduce” l’idea
iniziale, da cui il motore primo ha dato
l’a bbri vo . I mpor ta to/i fi le nel
Photoshop del caso, oltre alle
classiche operazione sui livelli, quali
luminosità e colore, il più impegna nel
minimizzare gli “inestesismi” e con
calma ricostruire parti non altrimenti,
tipo il riflesso sul boccale al posto
dell’originale finestra e paesaggio
circostante, o simulare il bagliore come
darebbe un vero e proprio bank/
finestra con tanto di alone. Così come
l’alternanza, del chiaro scuro dello
sfondo che è una valutazione di stile
linguaggio, e altro non subito
percepibile a primo impatto. Siché
ogni fotografia è il prodotto dei libri
letti della musica ascoltata, le cose
viste, che accompagna il back ground
del fotografo.
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Testo e foto
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Michele Annunziata © 2014