la triste fine di “bill” il grande

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LA TRISTE FINE DI “BILL” IL GRANDE
Martedì 23 Giugno 2009 01:07
di Mario Braconi
Il 4 giugno scorso, il corpo senza vita di David Carradine è stato rinvenuto nella cabina armadio
della sua stanza allo Swissotel Nai Lert Park di Bangkok. Benché si sia inizialmente ipotizzato
un suicidio, le condizioni in cui è stato rinvenuto il cadavere - nudo, una corda stretta attorno al
collo ed ai genitali - hanno scatenato l’interesse della stampa internazionale, che ha accreditato
la morte accidentale sopravvenuta nel corso di una pratica autoerotica estrema. Si tratta del
cosiddetto “auto-strangolamento”, incredibilmente molto popolare nel jet-set, dove si direbbero
numerose le opportunità di ottenere sesso à deux - sono defunti in questo modo ad esempio
Michael Hutchence, leader del gruppo funk-rock australiano INXS e il deputato conservatore
Stephen Milligan. Anche se il sistema di videosorveglianza dell’albergo confermerebbe che
Carradine, al momento del decesso, fosse solo nella sua stanza, già circolano teorie meno
imbarazzanti e assai più suggestive sulla fine dell’attore americano: secondo il suo avvocato
Mark Geragos, David potrebbe essere vittima di una setta segreta dedita al kung fu, su cui
stava conducendo delle ricerche. Anche se non dispiace assecondarla, questa tesi ha una
sospetta parentela con la leggenda metropolitana sorta attorno alla morte di Bruce Lee, morto
per un collasso cardiaco, ma che, secondo le leggende metropolitane, sarebbe stato
assassinato dalle Triadi cinesi per aver diffuso in Occidente i segreti del kung fu. Al di là delle
storie confezionate dagli uffici stampa, più o meno credibili, qualche brivido si prova davanti alla
sequenza della serie televisiva “Kung Fu”, in cui un giovane Carradine lotta con Brandon Lee,
figlio di Bruce Lee, anche egli vittima di una morte assurda e tuttora circondata dal mistero;
Brandon infatti perse la vita il 31 marzo 1993 sul set de “Il Corvo”, ucciso da un colpo di arma
da fuoco che avrebbe dovuto essere a salve.
Vergognoso il modo in cui la stampa ha trattato la notizia della morte di Carradine: il 7 giugno
un quotidiano tailandese si è addirittura spinto a pubblicare una foto del cadavere dell’attore
americano, senza vestiti e con una corda al collo - cosa che dimostra quanto poco valga
qualche volta la legge non scritta che pretende un minimo di pietas di fronte alla morte. Non
che a Carradine sia andata molto meglio in patria: con il cadavere ancora caldo, una mandria di
giornalisti con la bava alla bocca si è messa alle calcagna delle ex compagne e mogli
dell’attore; dato che Carradine è stato sposato cinque volte, non deve essere stato
particolarmente difficile trovarne una disposta a dichiarare (per profitto o per protagonismo) che,
a letto, l’attore era un pervertito che amava giochini pericolosi.
Certo è che se Carradine fosse morto nella doccia dopo essere scivolato sulla saponetta, non
si sarebbe usato tanto inchiostro e rimestata tanta melma. Un peccato, perché David, nato John
Arthur 72 anni fa, figlio e fratello di attori, era un eccellente professionista, i cui talenti spesso
non sono stati adeguatamente messi a frutto dai registi con cui ha lavorato. Accanto a ruoli di
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rilievo in diversi B-movie di argomento distopico e/o motoristico (tra cui ricordiamo Death Race
2000 del 1975, ri-girato nel 2008), Carradine ha lavorato con Martin Scorsese (protagonista in
“America 1929: sterminateli senza pietà” del 1972 e particina in “Mean Street” del 1973); ha
inoltre interpretato Woodie Guthrie con Hal Ashby (“Oltre il giardino”) nel film “Questa terra è la
mia terra” del 1976, in cui si narra la vita del noto musicista folk americano che viaggiava sui
treni della Grande Depressione armato solo della sua musica e della sua chitarra (sulla quale
aveva scritto “questa macchina uccide i fascisti”).
Assieme ad Elliot Gould (“L’Adultera”), Carradine è il solo attore americano ad aver lavorato
con il maestro svedese Ingmar Bergman, che lo volle come protagonista ne “L’uovo del
serpente” (1977) sugli orrori del nazismo. Nonostante la partecipazione a produzioni blasonate,
nel mondo anglosassone Carradine è noto principalmente per il suo ruolo di protagonista della
serie televisiva “Kung Fu”, nel quale intepreta Kwai Chang Caine, un orfano mezzo cinese e
mezzo americano allevato da un monaco shaolin cieco (il “Maestro Po” citato poi nel cartoon
“Kung Fu Panda”). Carradine non era un adepto delle arti marziali, ma finì per appassionarsi a
queste discipline al punto di divenirne (o almeno di tentare di accreditarsi come) loro assiduo
praticante (ha anche pubblicato video e libri sull’argomento). Cosa che gli attirò gli strali di chi,
come Chuck Norris, campione di arti marziali e notoriamente mediocre attore, ebbe a dire: “Di
arti marziali David ne sa quanto io di recitazione”.
L’interessante, ed allora insolita, miscela di Western e film di arti marziali proposta nella serie
“Kung Fu” (che il mito vuole ideata da Bruce Lee in persona) riusciranno a trovare una perfetta
declinazione stilistica solo trent’anni più tardi, grazie alla mano magica di Tarantino. Non
sembra un caso che nel 2003 sia stato proprio Quentin a prelevare Carradine dal freezer in cui
era rimasto parcheggiato per almeno due decenni, e a cucirgli addosso lo scintillante
personaggio del killer Bill, vittima della Sposa (Uma Thurman), in quello che ad oggi è il suo film
più completo e riuscito: Kill Bill (Volume 2). Benché il potere taumaturgico di Tarantino sui suoi
attori sia indiscutibile - è stato in grado di estrarre performance rimarchevoli da attori non
formidabili come Uma Thurman e John Travolta - Carradine ha dato al “suo” Bill un carisma, e
una gamma di espressioni e toni degni di attori più famosi e celebrati. Benché siano pochi ad
averlo capito, il cinema ha perso un bel volto e un grande attore.
2/2