Capitolo 2
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Capitolo 2
INTERFASE ELETTRIFICATA II.1 Potenziale elettrico all’interno di una fase Per capire il comportamento degli elettroni all’interno di un conduttore e, quindi, il trasferimento elettronico tra un conduttore elettronico ed un conduttore ionico, è necessario esaminare il livello energetico degli stessi. L’energia degli elettroni dipende in prima istanza dal potenziale elettrico esistente all’interno della fase. Tale potenziale è denominato potenziale interno e viene suddiviso in due contributi: il potenziale esterno , dovuto all’eventuale eccesso di cariche elettriche presente nella fase in questione, ed il potenziale superficiale , dovuto allo strato dipolare superficiale. Per la fase i-esima i = i + i dove i è una grandezza conoscibile, mentre i e i non sono conoscibili. Per introdurre una grammoparticella j-esima nella fase i-esima si deve compiere un lavoro complessivo che vale: ~ j i j i z j F i j i z j F i z j F i j i z j F i ~ è detto potenziale elettrochimico della specie j-esima nella fase i-esima, mentre dove j i (j)i è detto potenziale reale. Per quanto riguarda gli elettroni all’interno di un metallo, la situazione può essere così schematizzata: interfaccia metallo – vuoto energia potenziale E 0 energia cinetica 10 –8 10 –6 1 = probabilità del livello F exp 1 RT x/cm metallo F vuoto -eVi = -e2/4x (carica immagine) -eV0 V0 = potenziale elettrico generato dai residui ionici e M oe M FV0 F ~ e M e M F M e M F M F M e M F M All’interno del metallo esiste un potenziale elettrico V0 generato dai residui ionici; tale potenziale è assunto costante in ogni punto interno al metallo. Gli elettroni sono quindi dotati di un’energia potenziale pari a –eV0. All’esterno del metallo il potenziale tende a zero, ma non in modo immediato, dato l’effetto della carica immagine. Oltre all’energia potenziale gli elettroni possiedono anche una certa energia cinetica. L’energia cinetica è quantizzata per cui gli elettroni sono distribuiti su un numero adeguato di livelli cinetici di energia , secondo la legge di distribuzione di Fermi-Dirac (che vale per i fermioni, cioè particelle soggette al principio di esclusione), dove F è l’energia del cosiddetto livello Fermi, che rappresenta sostanzialmente il livello con probabilità di occupazione pari a 0.5, mentre a 0 K rappresenta il massimo livello che può essere occupato dagli elettroni. Il livello Fermi viene considerato il livello energetico al quale si trovano gli elettroni che sono coinvolti nei processi di trasferimento da e verso un metallo e costituisce quindi lo stato standard degli elettroni. 25 Per portare un grammoelettrone dal vuoto all’interno del metallo, cioè al livello Fermi, il lavoro complessivo che si compie vale –FV0 + F, dove F è la costante di Faraday (96485 Coulomb), cioè la carica di un grammoelettrone (F = eNA, carica di un elettrone per il numero di Avogadro NA); tale lavoro definisce il potenziale chimico standard (eo)M dell’elettrone nel metallo M. In un metallo però (come in qualsiasi altra fase) oltre al lavoro “chimico” per portare l’elettrone al livello Fermi, bisogna considerare il lavoro “elettrico” generato dal potenziale elettrico interno , che può essere dovuto ad un eventuale eccesso di carica, se il metallo è elettricamente carico, quantificato dal potenziale esterno , e dall’inevitabile lavoro di attraversamento dello strato dipolare superficiale, quantificato dal potenziale superficiale . Il lavoro elettrico totale sarà quindi pari a –F, per cui il lavoro complessivo per portare un grammoelettrone dal vuoto all’interno del ~ , che definisce il suo potenziale elettrochimico. metallo (nel livello Fermi) è –FV0 + F –F = e M I livelli energetici possono essere rappresentati nel modo seguente: E 0 eo (e)M = M ~ e eo eo -FV0 F -FV0 -FV0 -FM F -FM F -FM M = Funzione Lavoro = energia di estrazione di un grammoelettrone In un metallo elettricamente scarico, cioè nel suo stato naturale, l’energia di un grammoelettrone è pari a –FV0 + F –F M = e M , cioè il suo potenziale reale. L’energia necessaria per estrarre un grammo elettrone dal metallo è esattamente l’opposto del potenziale reale; tale energia viene definita la Funzione Lavoro del metallo M, M. II.2 Interfaccia tra due fasi l'interfaccia tra due fasi diverse è elettrificata Condizione di equilibrio per una specie i-esima in grado di attraversare l’interfaccia tra due fasi e differenza di potenziale interno (Galvani) = differenza di potenziale esterno (Volta) + ~i ~i differenza di potenziale superficiale Quando abbiamo due fasi a contatto, come abbiamo detto, la regione interfasale risulta elettrificata. Se consideriamo un punto dello spazio all’interno di una fase, immediatamente vicino all’interfaccia, ed un punto all’interno dell’altra fase, anch’esso vicino all’interfaccia, avremo una differenza di potenziale elettrico, dovuta alla elettrificazione interfasale, che viene quantificata dal (differenza di potenziale interno o di Galvani), esprimibile come somma dei due 26 contributi: (differenza di potenziale esterno o di Volta), dovuta agli eccessi di cariche elettriche che si accumulano nella regione interfasale, e (differenza di potenziale superficiale), dovuta alla presenza dei due strati dipolari superficiali. L’elettrificazione interfasale riveste un’importanza enorme per tutti i fenomeni elettrochimici, che coinvolgono una varietà di situazioni estremamente vasta: dai processi biologici, in particolare quelli di membrana, alle elettrosintesi, dal funzionamento del sistema nervoso alla produzione di energia. Naturalmente la struttura delle interfasi elettrificate ha attratto l’attenzione degli elettrochimici, a partire dal caso più eclatante dell’interfaccia tra un metallo (nel quale ci sono elettroni liberi) ed una soluzione elettrolitica (nella quale ci sono ioni liberi). Il primo modello di interfase elettrificata si deve a Helmholtz, che immaginò di avere i due eccessi di carica disposti su due piani paralleli: uno è la superficie del metallo (sulla quale sono concentrate le cariche in eccesso del metallo) e l’altro è un piano parallelo, luogo dei centri degli ioni in eccesso presenti dalla parte della soluzione elettrolitica. Il modello è molto semplice, ma abbastanza aderente alla realtà e in grado di rappresentare la situazione, almeno in prima approssimazione, in molte condizioni sperimentali. Da questo modello la regione interfasale prese il nome di doppio strato elettrico che, anche se la situazione è alquanto più complessa, rimane la denominazione tuttora utilizzata per esprimere una interfase elettrificata. Modello di Helmholtz metallo f qq' 4 0r 2 = costante dielettrica del mezzo 0 V d = densità di carica superficiale 0 = permittività del vuoto 8.854191012 C2N1m2 d = distanza tra gli strati V = differenza di potenziale soluzione M = S S M x ~0.51 nm Cd 0 V d Cd è indipendente da V In realtà si verifica sperimentalmente che Cd (capacità differenziale del doppio strato) dipende da V, così come da T e da c (concentrazione degli ioni in soluzione), per cui il modello di Helmholtz risulta non del tutto adeguato. In effetti, mentre sul metallo le cariche sono confinate sulla superficie, nella soluzione si ha l’effetto del moto termico per cui la distribuzione delle cariche è un compromesso tra l’effetto del campo elettrico e quello dell’agitazione termica. Gouy e Chapman hanno quindi sviluppato un modello che considera l’effetto dell’agitazione termica. In questo modello gli ioni sono considerati come cariche puntiformi, distribuite in parte sul piano parallelo alla superficie del metallo, come nel modello di Helmholtz, ma in parte nel resto della regione interfasale a causa dell’agitazione termica: si ha quindi un doppio strato compatto tra i due piani paralleli (in cui M S) e un doppio strato diffuso tra il piano di Helmholtz e il bulk della soluzione. La struttura del doppio strato può essere descritta in termini rigorosi, utilizzando l’equazione di Poisson per il potenziale elettrico ed utilizzando la legge di gli ioni sono distribuzione di Boltzmann per gli ioni in cariche soluzione. Dalla combinazione delle due puntiformi si ha l’equazione di Poisson-Boltzmann che mette in relazione il potenziale elettrico con la densità di carica e, quindi, con la concentrazione degli ioni. 0 x La soluzione dell’equazione differenziale doppio strato diffuso 27 porta ad esprimere la concentrazione degli ioni in funzione della distanza adimensionale dalla superficie del metallo, in relazione ad un parametro 0, che dipende dalla differenza di potenziale interno 0 = M – S. L’andamento delle concentrazioni risulta naturalmente diverso per le due specie ioniche presenti in soluzione, a seconda dell’eccesso di carica presente sulla superficie metallica: una specie sarà attratta e l’altra sarà repulsa. andamenti per le concentrazioni [0 = ze0/2kBT] Il modello di Gouy-Chapman c/c* risulta molto più adeguato: dà 0 = 0.5 conto della dipendenza di Cd da 2.0 0 c /c* V, da T e da c e descrive i dati =1 attratto sperimentali in modo 1.5 0 > 6 abbastanza soddisfacente. In realtà qualche limite viene 0 = 0.5 manifestato anche da questo 1.0 0 50 mV modello, legato all’assunzione che gli ioni siano cariche 0 crepulso/c* >6 0.5 0 = 1 puntiformi per cui lo strato 0 = 0.5 diffuso viene considerato a 0 partire da x = 0. 1 2 3 4 5 x/xDL L’ulteriore implementazione del modello fu effettuata con il contributo di Stern 0 OHP gli ioni hanno dimensioni finite (per cui lo strato diffuso non parte da x = 0); gli ioni sono generalmente solvatati (per cui le dimensioni sono quelle dello ione solvatato); sulla superficie dell’elettrodo c’è uno strato di molecole di solvente; OHP = Outer Helmholtz Plane, luogo dei centri degli ioni solvatati x doppio strato compatto doppio strato diffuso per 0 < x < x2 non ci sono cariche elettriche: vale il modello di Helmholtz (anche se |x 2| < |M|); per x x2 si ha la distribuzione di Gouy-Chapman (non si parte da x = 0, ma da x = x2) il potenziale varia linearmente con x da 0 a 2 nello strato compatto, mentre varia secondo l’equazione di GouyChapman per x > x2. S 2 0 x2 0 x 2 CH S CDL 1 1 1 Cd CH CDL Cd è la capacità differenziale totale, data dai due contributi: CH che è la capacità di Helmholtz, cioè del doppio strato compatto, e CDL che è la capacità del doppio strato diffuso. Per una specie chimica in grado di attraversare l’interfaccia tra due fasi, la condizione di equilibrio è espressa dall’uguaglianza del potenziale elettrochimico nelle due fasi. Questo è sempre vero per gli elettroni, che sono in grado di attraversare, almeno il linea di principio, qualsiasi interfaccia. 28 II.3 Condizione di equilibrio all’interfaccia tra due fasi. ~ e A ~ e B interfaccia metallo-metallo E A B~ P’ A FA e B A A B Q’ P Q B gli elettroni passano da una fase all’altra per tunneling, ma il passaggio da A a B è più facile: si ha un trasferimento di carica per cui i due metalli risultano elettrificati (effetto Volta) FB E Q’ Q P’ P ~e A VP’ FA VQ’ VP’ – VQ’ = B – A = A – B ~e B ~ e A ~ e B e A F A e B F B 0 FB L’interfaccia tra due metalli realizza sempre la condizione di equilibrio per gli elettroni, dato che essi l’attraversano facilmente consentendo, mediante l’elettrificazione delle due fasi, di compensare la differenza di potenziale reale, cioè la differenza della rispettiva Funzione Lavoro . Se abbiamo a che fare con un elettrodo, cioè un’interfaccia tra un conduttore elettronico ed un conduttore ionico, deve essere ancora rispettata la condizione di uguaglianza dei potenziali elettrochimici, ma in questo caso la situazione è più complessa poiché gli elettroni, che possono attraversare l’interfaccia, non esistono liberi in entrambe le fasi, per cui non si possono confrontare i potenziali elettrochimici dell’elettrone nelle due fasi, come nel caso dell’interfaccia tra due conduttori elettronici, visto prima. In questo caso, come abbiamo già anticipato, il trasferimento di elettroni (che sono le uniche cariche elettriche che possono attraversare una tale interfaccia) è inevitabilmente accompagnato dal decorso di un processo chimico ossido riduttivo, che possiamo indicare in forma sintetica nel modo seguente: Oxz+ + ne R(z – n)+ Dove ne indica n grammoelettroni (cioè un numero di elettroni pari a enne volte il numero di Avogadro, cioè pari a nF coulomb). L’equilibrio elettrochimico deve essere realizzato per il processo di TE, per cui, considerando la convenzione per i coefficienti stechiometrici i (positivi quelli dei prodotti, negativi quelli dei reagenti), si ha: i ~ i 0 ~ R S ~ Ox S n ~ e M 0 ~ R S R S z n FS oR RT ln aR z n FS ~ Ox S Ox S zFS oOx RT ln aOx zFS ~ e M e M F M oe F M nF M S oOx n oe oR RT ln aOx aR M S M S eq MS o M S M S o oOx n oe oR r G o nF nF eq M S RT aOx ln nF aR rG nF Per una tale interfaccia, la condizione di equilibrio implica innanzi tutto che il trasferimento 29 elettronico (TE) avvenga in entrambi i versi (quindi gli elettroni possono passare dal conduttore elettronico al conduttore ionico, cioè sulla specie Oxz+, con il processo che decorre da sinistra a destra, ma contemporaneamente possono passare anche dal conduttore ionico, cioè dalla specie R(z – n)+, al conduttore elettronico). Come si vede, in condizioni di equilibrio si ha una relazione tra il eq attraverso l’interfaccia ed il rG del processo elettrochimico. II.4 Elettrodo e cella elettrochimica Purtroppo il è una grandezza della quale non si può conoscere il valore, né assoluto (a causa della impossibilità di conoscere il ), né relativo ad un di una interfaccia che potrebbe essere scelta come riferimento. Questa seconda impossibilità è legata al fatto che il sistema elettrochimico più semplice che si possa realizzare è in realtà costituito da almeno tre interfacce. V M’ M1 M M | S | M1 | M’ S catena galvanica regolarmente aperta (M = M’) V 1 ~ M ~ M' e e M' M M' M ( RI ) F tre non separabili in due contributi indipendenti M' M1 M' M1 eM' eM1 F M'M1 M1S SM M' M M1 M' S M' M S ~ M' ~ M1 e e Se volessimo infatti misurare il attraverso un’interfaccia I/II specie (l’interfaccia M1/S oggetto del nostro interesse), dovremmo utilizzare uno strumento di misura (voltmetro) che ha due terminali metallici M ed M’ (che sono le due estremità dello stesso metallo). Un terminale viene collegato al conduttore elettronico M (realizzando un’interfaccia I/I specie, ad esempio metallo/metallo), mentre l’altro terminale deve essere collegato al conduttore ionico, cioè introdotto nel conduttore ionico costituendo così un’altra interfaccia I/II specie, cioè l’interfaccia M/S, che è un altro elettrodo). I tre non sono separabili in due contributi indipendenti, relativi cioè distintamente ai due elettrodi (cioè alle due interfacce metallo/soluzione), poiché il M’M1 è costituito da due termini che dipendono reciprocamente l’uno dall’altro e non sono caratteristiche intrinseche del rispettivo metallo. Acclarato che non esiste alcuna possibilità di conoscere , né una qualche altra grandezza elettrica collegata a , possiamo però constatare che esistono alcune interfacce che godono della particolare proprietà di consentire il trasferimento elettronico attraverso l’interfaccia con elevata velocità (tendenzialmente infinita), per cui vengono classificate come interfacce impolarizzabili. La loro caratteristica è che il è costante e dipende solo dalla struttura dell’interfaccia, cioè dalle due fasi che la costituiscono, ma è indipendente dal particolare sistema nel quale tale interfaccia si trova inserita. Viceversa, un’interfaccia alla quale il trasferimento elettronico sia molto difficile (cioè non avvenga affatto), viene definita interfaccia polarizzabile; in questo caso il può essere condizionato 30 arbitrariamente dall’esterno ed assumere quindi qualsiasi valore, comportandosi esclusivamente come un condensatore (ovviamente non sarà proprio così poiché succederà anche qui che a un certo punto avvenga il passaggio di elettroni attraverso l’interfaccia). R Ox + ne R R = 0 interfaccia impolarizzabile (MS = costante) k+ e k R = interfaccia polarizzabile k+ e k 0 C Innanzi tutto va considerato che un’interfaccia tra due metalli è senz’altro impolarizzabile, dato che gli elettroni la possono attraversare con estrema facilità in entrambi i versi, per cui siamo nelle condizioni di R 0. Peraltro esistono anche alcuni elettrodi che si comportano come interfacce sufficientemente impolarizzabili, quando la costante cinetica del verso catodico k+ (cioè della reazione da sinistra a destra) e quella del verso anodico k (cioè della reazione da destra a sinistra) sono molto elevate. Allora, nel nostro sistema elettrochimico l’interfaccia M’M1 è senz’altro impolarizzabile. Se supponiamo che anche l’interfaccia MS sia impolarizzabile, avremo la seguente situazione: V = M’M = M’M1 + SM + M1 S interfacce impolarizzabili studi cinetici V = M’M = M1S è possibile cioè misurare le variazioni di attraverso l’interfaccia M1S, rispetto, ad esempio, alla condizione di equilibrio, e ricavare importanti informazioni sulla cinetica del processo elettrochimico in esame. Cerchiamo ora di vedere quali informazioni si possono ricavare dal punto di vista termodinamico. Supponiamo di avere a disposizione un’interfaccia MS impolarizzabile e di poter accoppiare con questa stessa interfaccia tutta una serie di interfacce MiS (immaginando per semplicità che utilizzino tutte la stessa soluzione S). Avremo quindi la seguente situazione. M|S interfaccia impolarizzabile elettrodo standard a idrogeno H+(aq) + e = ½H2(g) M | S | M1 | M’ potenziale elettrodico relativo M | S | M2 | M’ M | S | M3 | M’ M | S | Mi | M’ Ei = V + M’Mi MS Mi S non è il valore relativo di Il valore sperimentale V, che si misura per ciascuno di questi sistemi elettrochimici, viene definito potenziale elettrodico relativo all’interfaccia usata come riferimento. E’ ben noto che come interfaccia di riferimento è stata scelta l’interfaccia impolarizzabile alla quale avvenga il processo relativo alla coppia redox H+/H2, con ciascuna specie chimica nel corrispondente stato standard (elettrodo standard ad idrogeno). Il valore del potenziale elettrodico relativo non riflette però il valore relativo del , come abbiamo 31 visto, a causa della presenza di tre interfacce. Dal punto di vista termodinamico, in condizioni di equilibrio elettrochimico il dato sperimentale V viene definito forza elettromotrice del sistema elettrochimico e, come vedremo, è collegato al rG del processo chimico complessivo, che però non è la somma dei due processi redox che avvengono alle due interfacce. Il problema nasce dallo stato termodinamico degli elettroni: in ciascun processo elettrodico. La relazione tra e rG del processo elettrodico, che abbiamo ricavato prima, considera gli elettroni nel loro stato standard che è il livello Fermi del metallo elettrodico (o, più in generale, del conduttore elettronico) con il quale si costituisce la relativa interfaccia. Quando si confrontano due diversi processi elettrodici, i corrispondenti rG sono relativi agli elettroni nello specifico stato standard di ciascun processo, che è diverso e, quindi, non confrontabile. E’ questo l’equivalente termodinamico della terza interfaccia (M’/M1) del sistema elettrochimico Ox1 + ne(M1) Ox + ne(M) rG1 rGrif R1 R _____________________________________ Ox1 + R ne(M1) rG rG1 – rGrif R1 + Ox ne(M) Per superare il problema termodinamico è necessario considerare gli elettroni sempre nello stesso stato termodinamico. Ciò può essere fatto con due possibili alternative: una considera gli elettroni nel vuoto (cioè in fase gassosa g); l’altra li considera sempre nella stessa soluzione S dell’elettrodo di riferimento (S). Con queste assunzioni i processi redox di ciascun elettrodo vengono scritti con gli elettroni nello stesso stato termodinamico, per cui il dato sperimentale V, cioè la forza elettromotrice del sistema elettrochimico, ed il corrispondente rG del processo globale sono scindibili nei due contributi indipendenti riferiti ai due elettrodi. rG’1 rG’rif Ox1 + ne(S/g) R1 Ox + ne(S/g) R ________________________________ Ox1 + R R1 + Ox rG = rG’1 – rG’rif Il rG è il valore effettivo relativo al processo chimico ossidoriduttivo complessivo, è cioè un dato sperimentalmente accessibile. I rG’ dei singoli processi redox su scritti, sia che gli elettroni siano considerati in soluzione (S) o nel vuoto (g), non sono più collegati al della corrispondente interfaccia (il che è inevitabile, dato che tale non è conoscibile). Con questa assunzione per lo stato termodinamico degli elettroni, le possibili informazioni termodinamiche che si possono ottenere per un elettrodo in condizioni di equilibrio, sono: Ox + ne K R Riferimento: RT aOx E Eo ln nF a R nFE = rG equazione di Nernst H+(aq) Eo RT ln K = nFEo = rGo + e ½H2(g) rG o 0 a tutte le temperature F convenzione elettrochimica Il potenziale elettrodico E, moltiplicato per nF, rappresenta il valore relativo (alla convenzione dell’elettrodo standard ad idrogeno) del rG ’, cioè del rG del processo redox che avviene all’interfaccia, per il quale però gli elettroni siano considerati nel vuoto o nella soluzione del riferimento. Questa è l’unica informazione termodinamica accessibile, ma non è poco, anche se 32 non ci dà informazioni sul valore del . D’altra parte si vede che, in condizioni di equilibrio, esiste una relazione matematica molto importante tra il valore del potenziale elettrodico E e le attività delle specie chimiche che partecipano al processo redox che avviene all’interfaccia, nota come equazione di Nernst. II.5 Tipi di elettrodi Gli elettrodi sono classificati in base al tipo di processo redox che “governa” il potenziale elettrodico. Naturalmente il potenziale elettrodico è dato dall’equazione di Nernst relativa al processo redox che avviene, a condizione che il processo avvenga in modo reversibile e che l’elettrodo sia in condizioni di equilibrio. Ciò significa che il trasferimento elettronico (TE) può avvenire in entrambi i versi (dal conduttore elettronico a quello ionico e viceversa) con una velocità abbastanza elevata (reversibilità elettrochimica significa appunto questo: TE in entrambi i versi con elevata velocità) e, in condizioni di equilibrio, non si ha alcun trasferimento elettronico netto attraverso l’interfaccia. In molti casi il conduttore elettronico è un metallo che partecipa al predetto processo redox che governa il potenziale elettrodico. ELETTRODI DI I SPECIE Il processo redox in questo tipo di elettrodi è del tipo Mn+ + ne M(M) si tratta di un elettrodo costituito da un metallo M immerso in una soluzione che contiene i suoi ioni Mn+, cioè un sale costituito dal catione Mn+ e da un qualche anione, che è ininfluente dal punto di vista elettrochimico. In questo caso il metallo M svolge il ruolo di conduttore elettronico, cioè di serbatoio di elettroni (che possono andare e venire dal relativo livello Fermi), ma è anche la forma ridotta della coppia redox, cioè partecipa al TE. Un elettrodo di I specie viene indicato con il seguente schema: M | Mn+(aq, c = ) L’equazione di Nernst per un tale elettrodo è immediata: E Eo n M /M RT aM n ln nF aM Normalmente il metallo M utilizzato è puro, per cui si trova nel proprio stato termodinamico standard (che è definito proprio in questo modo: l’elemento puro nel proprio stato naturale alla T in esame). Ciò significa che aM = 1, per cui l’equazione di Nernst viene espressa normalmente in forma semplificata E Eo n M /M RT ln aM n nF Naturalmente, se il metallo M non fosse puro (ad esempio una sua lega) aM < 1, per cui il suo valore andrebbe inserito nell’equazione di Nernst. Esistono molti esempi di elettrodi di I specie. Ad esempio un filo di Cu in una soluzione di solfato di rame CuSO4, un filo di Ag in una soluzione di nitrato di argento AgNO3, una lamina di Cd in una soluzione di cloruro di cadmio CdCl2, ecc.. In tutti questi casi, se si usa il metallo puro, l’espressione dell’equazione di Nernst è quella semplificata, dato che l’attività della forma ridotta, cioè del metallo, è sempre unitaria. Viceversa, se si usasse una lega, bisognerà utilizzare l’equazione completa. Ad esempio, se si utilizzasse una lamina di ottone (lega Cu-Zn) immersa in una soluzione di cloruro 33 di rame CuCl2 (o solfato di rame, dato che l’anione è ininfluente), il processo redox sarebbe. Cu2+ + 2e Cu(Cu-Zn) e l’equazione di Nernst corrispondente E ECu 2 /Cu o aCu 2 RT ln 2 F aCu Cu Zn ELETTRODI DI II SPECIE Un elettrodo di II specie è costituito da un metallo (che ha sempre il doppio ruolo, di conduttore elettronico e di specie ridotta del processo redox), in presenza di un suo sale poco solubile, che, essendo poco solubile, è presente come solido indisciolto, a contatto con una soluzione che contiene un sale solubile (quindi sciolto, con una definita concentrazione) formato dallo stesso anione del sale insolubile e da un altro catione, che è ininfluente. Uno degli esempi più noti è l’elettrodo ad argento-argento cloruro Ag/AgCl Ag | AgCl(s) | Cl–(aq, c = ) dove AgCl(s) vuol dire del cloruro di argento solido e Cl– significa una soluzione di un qualche cloruro, ad esempio cloruro di potassio o di sodio, KCl o NaCl. Il processo redox in questo tipo di elettrodi è ancora del tipo Mn+ + ne M(M) cioè, il trasferimento elettronico coinvolge anche in questo caso il metallo elettrodico e gli ioni metallici in soluzione. Pertanto, per l’elettrodo in esame avremo Ag+ + e EE o Ag /Ag Ag(s) RT ln(a ) Ag F ovviamente, se si usa un filo o una lamina di Ag puro (altrimenti si dovrà tenere conto della minore attività dell’Ag, se si usasse una lega). In questo caso però, l’attività dell’Ag+ non è indipendente, cioè non può essere fissata arbitrariamente, ma dipende dall’attività degli ioni Cl– attraverso il prodotto di solubilità di AgCl. Ag+ + Cl– AgCl(s) K PS a Ag a Cl per cui, nell’equazione di Nernst si può sostituire aAg+ con KPS/aCl-, per cui si ha: 34 E EAg /Ag o RT K PS RT RT 1 o ln EAg /Ag ln K PS ln F aCl F F aCl E EAgCl/Ag,Cl o RT 1 ln F aCl o o EAgCl/Ag, E Cl Ag /Ag RT ln K PS F Come si vede dall’espressione finale dell’equazione di Nernst, il potenziale elettrodico dipende dalla attività (concentrazione) del cloruro, per cui si usa dire che questo elettrodo è “reversibile” ai cloruri. L’equazione finale riconduce al processo redox complessivo di questo elettrodo, come tutti gli elettrodi di II specie: Ag+ + e Ag(s) AgCl(s) Ag+ + Cl– AgCl(s) + e Ag(s) + Cl– da cui si capisce che l’espressione su scritta per l’equazione di Nernst è valida assumendo che aAgCl e aAg siano entrambe unitarie, cioè i due solidi siano puri. Altrimenti E EAgCl/Ag,Cl o aAgCl RT ln F aAg aCl Un modo, largamente utilizzato, per realizzare un tale elettrodo consiste nel prendere un filo di Ag (puro), ricoprirlo di AgCl solido, che si può fare facilmente per via elettrochimica (elettrolizzando il filo in una soluzione di HCl). Una volta ricoperto l’argento di uno strato di AgCl, si introduce in una soluzione di cloruri e l’elettrodo è costituito. Si può anche prendere la soluzione di cloruri, versarvi una punta di spatola di AgCl (polvere bianca), che sostanzialmente non si scioglie, per cui si deposita sul fondo, e introdurre il filo di Ag. Naturalmente, il primo metodo realizza un contatto più intimo tra le specie chimiche coinvolte, per cui è largamente preferito. Gli elettrodi di seconda specie sono molto stabili e altamente reversibili, per cui costituiscono delle ottime interfacce impolarizzabili. Per tale motivo vengono usati come elettrodi di riferimento nelle misure sperimentali. Oltre all’elettrodo ad argento/argento cloruro, l’altro elettrodo riferimento largamente utilizzato è l’elettrodo a calomelano. Il calomelano è il cloruro mercuroso Hg2Cl2 (il catione è dimero Hg22+) Hg22+ + 2e 2Hg(liq) Hg2Cl2(s) Hg22+ + 2Cl– Hg2Cl2(s) + 2e E EHg 2Hg(liq) + 2Cl– o 2 Cl 2 /Hg, Cl RT 1 ln F aCl L’ equazione di Nernst può essere ricavata con il solito procedimento 35 E EHg 2 /Hg o 2 EHg 2 /Hg o 2 RT RT K o ln aHg 2 EHg 2 /Hg ln PS 2 2F 2F a 2 2 Cl RT RT 1 RT 1 o ln K PS ln EHg Cl /Hg,Cl ln 2F F aCl F aCl 2 2 o EHg 2 Cl 2 /Hg, Cl EHg 2 /Hg o 2 RT ln K PS 2F Sia per l’elettrodo a calomelano che per quello Ag/AgCl, si utilizza per la soluzione di cloruri il KCl. Quasi sempre si utilizza una soluzione satura di KCl, cioè in presenza di un eccesso di KCl, il che garantisce che la concentrazione e, quindi, l’attività degli ioni Cl– rimangano costanti nel tempo, per cui anche il potenziale elettrodico è costante, come si richiede per un buon riferimento. D’altra parte, il KCl ha un altro importante vantaggio, come vedremo più avanti. Naturalmente esistono anche molti casi di elettrodi per i quali il conduttore elettronico svolge solo il compito di serbatoio di elettroni, mentre le specie chimiche che partecipano al processo redox sono presenti nel conduttore ionico (soluzione elettrolitica o altro). In questo caso, il conduttore elettronico deve essere assolutamente inerte dal punto di vista chimico, rispetto a tutte le specie coinvolte nel processo redox. Per tale motivo, si usa molto spesso il Pt, che è tra i metalli più inerti, oppure conduttori a base di carbonio (glassy carbon o grafite). Ad esempio, una soluzione che contenga ioni ferrici Fe3+ e ioni ferrosi Fe2+ (potrebbe essere una soluzione di solfato ferrico Fe2(SO4)3 e solfato ferroso FeSO4) nella quale si introduca un filo di platino costituisce un elettrodo che viene schematizzato nel modo seguente Pt | Fe3+(aq, c = ), Fe2+(aq, c = ) per il quale il processo redox è Fe3+ + e Fe2+ da cui si vede che il Pt non partecipa al processo redox. Il potenziale elettrodico è dato, come sempre, dall’equazione di Nernst E EFe 3 /Fe 2 o RT aFe 3 ln F aFe 2 Ci sono due aspetti che richiedono di essere chiariti. Il primo riguarda l’espressione dell’equazione di Nernst. Per il generico processo redox Ox + ne R l’equazione di Nernst è: E EOx/R o RT aOx ln nF aR dove però, aOx e aR rappresentano rispettivamente le attività di tutte le specie che costituiscono la forma ossidata e la forma ridotta della coppia redox, ciascuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico. Ad esempio, considerando il processo redox di riduzione del permanganato MnO4– a manganese Mn2+ 36 MnO4– + 8H+ + 5e Mn2+ + 4H2O la relativa equazione di Nernst risulta o E EMnO 2 /Mn 4 aMnO RT ln 5F a 4 Mn 2 8 aH H 2 O a 4 o EMnO 2 /Mn 4 RT ln 5F aMnO 4 8 aH aMn 2 dove, in particolare, aH2O si può considerare praticamente unitaria, dato che il solvente è quasi puro (soluzioni diluite). Il secondo aspetto riguarda la cosiddetta convenzione dei segni per il potenziale elettrodico. L’impostazione che abbiamo seguito nel descrivere gli elettrodi corrisponde alla “convenzione IUPAC” (IUPAC = International Union of Pure and Applied Chemistry), storicamente nota come “convenzione europea”, indicata brevemente come “zinco-meno/rame-più”. Anche se la comunità scientifica internazionale ha adottato la convenzione europea, sopravvive, soprattutto in qualche testo americano, l’atra convenzione, che è, appunto, la “convenzione americana”, indicata brevemente come “zinco-più/rame-meno”. Come si capisce, le due convenzioni danno il segno esattamente opposto ai valori del potenziale elettrodico, mentre il valore è lo stesso. Questa differenza di segno dipende dal modo in cui si scrive il processo redox ed il relativo rG. Per la convenzione IUPAC, come abbiamo sempre scritto, abbiamo: Ox + ne R l’equazione di Nernst è: E EOx/R o RT aOx G ln r nF aR nF dove rG è la variazione di energia libera del processo di riduzione (per tale motivo, si parla anche di serie dei potenziali di riduzione). Conseguentemente, la differenza di potenziale interfacciale è definita = M – S. Viceversa, secondo la convenzione americana, il processo redox viene scritto R Ox + ne o E ER/Ox RT aR G' ln r nF aOx nF l’equazione di Nernst è: dove rG ’ è la variazione di energia libera del processo di ossidazione (per tale motivo, si parla anche di serie dei potenziali di ossidazione). Ovviamente o o EOx/R ER/Ox II.6 Celle elettrochimiche Abbiamo visto che, per ottenere una qualche informazione su un elettrodo, è necessario “accoppiarlo” con un altro elettrodo (magari impolarizzabile). Tale accoppiamento viene realizzato 37 collegando elettricamente i due conduttori ionici, costituendo così una cella elettrochimica. In taluni casi il conduttore ionico è lo stesso per i due elettrodi (ad esempio la medesima soluzione elettrolitica), per cui non c’è alcun problema di collegamento elettrico, dato che il conduttore ionico è unico, nel quale sono introdotti i due metalli elettrodici. In questo caso il sistema elettrochimico è costituito da almeno tre interfacce per realizzare una catena galvanica regolarmente aperta, cioè una catena che abbia alle due estremità lo stesso conduttore elettronico. Nel caso più frequente di sistema elettrochimico con lo stesso conduttore ionico abbiamo la seguente situazione M2 | M | S | M1 | M2 dove M2 potrebbe essere il metallo dei terminali dello strumento misuratore. Ad esempio, potremmo avere una cella galvanica del tipo: Cu | Pt-H2(g) | H+(aq, c1 = ), Ag+(aq, c2 = ) | Ag(solido) | Cu cioè una soluzione di acido nitrico HNO3, di concentrazione c1, nella quale sia sciolto anche del nitrato di argento AgNO3, di concentrazione c2, e nella quale siano introdotti un filo di Ag e un filo di Pt attorno al quale ci sia una campana contenente H2 gassoso. I due Cu alle estremità sono, appunto, i due terminali del voltmetro che misura la differenza di potenziale tra i due elettrodi. Molto spesso però i due conduttori ionici sono diversi e devono essere mantenuti separati per evitare reazioni chimiche dirette tra i componenti degli stessi (ad esempio due soluzioni elettrolitiche che non possono essere mescolate). In questo caso il contatto elettrico tra i due conduttori ionici deve essere realizzato in modo tale da garantire il veloce trasporto di cariche elettriche, che deve essere però reversibile. Se abbiamo a che fare con due soluzioni elettrolitiche non si può pensare di mettere un filo metallico come contatto, non solo perché si costituirebbero due nuove interfacce, che renderebbero il sistema elettrochimico affatto diverso da quello originario, ma anche perché difficilmente il trasferimento di carica potrebbe essere reversibile. Peraltro esistono casi in cui questo tipo di contatto elettrico è possibile, ma si tratta di casi abbastanza particolari. Un modo molto diffuso di realizzazione del contatto elettrico tra due soluzioni elettrolitiche è quello di frapporre un setto poroso. Il setto poroso, normalmente di vetro sinterizzato, è dotato di pori sufficientemente larghi da lasciar passare facilmente gli ioni e garantire quindi un buon contatto elettrico, senz’altro reversibile, dato che gli ioni possono muoversi senza difficoltà in entrambe le direzioni. D’altra parte il setto impedisce il mescolamento delle due soluzioni, salvo la lenta diffusione attraverso i pori, che però è generalmente più lenta del tempo necessario per le indagini. MS MD V S SS SD D EL V = D S [ (MD/MS) + EL] EL può essere zero (soluzione unica) o minimizzato (ponte salino) la terza interfaccia è inevitabile se i metalli elettrodici sono diversi M MS SS SD MD M Il contatto elettrico tra le due soluzioni crea una interfaccia tra due fasi in qualche modo diverse. Si tratta naturalmente di una interfaccia elettrificata, cui corrisponde un che viene denominato potenziale interliquido EL. Per poter ottenere informazioni termodinamiche e/o cinetiche su un singolo elettrodo, è però necessario che le due soluzioni abbiano lo stesso potenziale elettrico, cioè 38 EL dovrebbe essere nullo. Purtroppo il valore di EL dipende dalle due soluzioni a contatto, per cui non abbiamo possibilità di intervenire sul suo valore. Esistono alcune teorie che consentono di calcolare il valore di EL per tenerne conto nell’espressione su scritta e poter calcolare correttamente il valore della differenza dei due potenziali elettrodici. Una metodologia largamente utilizzata per minimizzare il contributo di EL al sistema elettrochimico consiste nell’utilizzazione di un ponte salino, cioè di una soluzione elettrolitica frapposta tra le due soluzioni elettrodiche. La separazione tra la soluzione del ponte salino e le soluzioni elettrodiche viene realizzata attraverso due setti porosi, per cui si costituiscono due interfacce, anziché una. La particolarità del ponte salino sta nel fatto che la teoria del potenziale interliquido dimostra che EL è originato dalla differenza di mobilità degli ioni che costituiscono l’elettrolita (o gli elettroliti), cioè la diversa velocità di movimento in soluzione tra cationi e anioni. Se gli ioni avessero la stessa mobilità, il potenziale interliquido sarebbe nullo; d’altra parte se ad una interfaccia liquido-liquido è presente un elettrolita binario in cui catione ed anione abbiano la stessa mobilità e questo elettrolita fosse presente in grande eccesso rispetto a tutti gli altri, EL risulta ancora pressoché nullo. Il ponte salino sfrutta proprio questa proprietà: il KCl è un elettrolita binario per il quale K+ e Cl, in acqua, hanno praticamente la stessa mobilità; il ponte salino è costituito da una soluzione satura di KCl, quindi molto concentrata. A ciascuno dei due setti porosi di contatto con le due soluzioni elettrodiche si realizza proprio la situazione di un contatto interliquido con la presenza di un elettrolita in grande eccesso e costituito da due ioni con uguale mobilità. I due potenziali interliquido sono quindi molto piccoli, molto più piccoli di quello che si avrebbe tra le due soluzioni elettrodiche direttamente a contatto. Inoltre i due potenziali interliquido hanno generalmente segno opposto per cui l’effetto complessivo è ancora più efficace, portando le due soluzioni elettrodiche ad avere praticamente lo stesso potenziale interno. La presenza di un ponte salino viene indicata con una doppia barra, proprio perché si hanno due interfacce M MS SS SD MD M Per ciascuno degli elettrodi (al quale avvenga un processo redox reversibile) si hanno le seguenti relazioni termodinamiche Ox + ne E Eo R RT aOx ln nF aR rG = nFE rGo = nFEo dove i valori delle grandezze in questione sono tutti relativi alla convenzione elettrochimica per l’elettrodo standard ad idrogeno, per il quale il processo H+(aq, a = 1) + e EHo H2 ½H2(g, p = 1 bar) 0 a tutte le T, il che significa rGo = 0 e rSo = 0 Ciò significa che i valori di qualsiasi potenziale elettrodico E sono sempre relativi a E o dell’elettrodo standard ad idrogeno, mentre i valori di rG e rGo sono relativi al rGo del processo dell’elettrodo ad idrogeno su riportato. Per una cella galvanica regolarmente aperta in condizioni di equilibrio, quando cioè non si ha passaggio di corrente elettrica (cosiddetto circuito aperto) esiste una differenza di potenziale elettrico tra i due metalli terminali, che viene definita forza elettromotrice (fem o Erev) della cella, che è data esattamente dalla differenza tra i due potenziali elettrodici nernstiani (che si hanno, appunto, in condizioni di equilibrio per ciascun elettrodo e, quindi, anche per la cella). fem = Erev = E+ – E– = –rG/nF 39 40