Beta coupÉ - Autoemotostoriche.it

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Beta coupÉ - Autoemotostoriche.it
Editoriale
3
4 ruote storiche:
Lancia Beta Story (2ª parte)
4
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lancia beta story
4
Ruote storiche al lavoro:
Fiat 618 Ardita
22
Più uniche che rare:
Matra Simca Bagheera
30
Eventi:
Il Treno e l’Autobus
44
Indirizzario Ricambisti e
Specialisti
50
Indirizzario Musei italiani
56
Indirizzario Associazioni,
Clubs e Scuderie
57
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Hanno collaborato
Roberto Gianusso, Francesco Patti
Redazione
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fiat 618 Ardita
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128
sommario
ANNO III - N. 16 gennaio 2008
editoriale
il
cuore
e la ragione
di Franco Trifirò
Lei è sempre lì. E’ austera nella sua elegante mise demodé per
la quale il tempo, i cui segni dell’inesorabile scorrere sono ben
visibili sulla sua “pelle”, ha contribuito ad accentuare il fascino
di anziana signora borghese. E proprio come tale lei si atteggia:
è difatti assolutamente indifferente alle “giovani” iperplastificate
che quotidianamente le si piazzano accanto o vanno e vengono
freneticamente, su e giù lungo la strada dove lei dimora da anni.
“Lei” è una Fiat 1500 C, dal colore grigio topo oramai sbiadito e
reso opaco dal lungo tempo trascorso sotto il sole e la pioggia. L’ho
“adocchiata” oramai da diversi anni, posteggiata lungo la strada che
mi porta quotidianamente al posto di lavoro: mio padre ne aveva
comprata una uguale nel 1965 ed a quella automobile, utilizzata
per diversi anni dalla mia famiglia come “auto della domenica”,
sono indelebilmente associati i più bei ricordi degli anni della mia
fanciullezza. Ecco perché è diventata per me una inconscia abitudine,
quando transito da quella via, ricercare con lo sguardo “la vecchia
signora”, vedere se è ancora lì, se ha resistito ancora, se le manca
qualcosa. Fino a qualche mese addietro era posteggiata sempre in
posti diversi, lungo la “sua”strada: segno questo di una certa vitalità
sua o del suo possessore. Da qualche tempo a questa parte non più
così: lei è sempre lì, al solito posto. Ma non è affatto abbandonata:
i vetri sono sempre ben puliti (la pezzuola gialla, vecchia almeno
quanto lei, è sempre riposta in bella vista, ben ripiegata come si
usava una volta, sopra il cruscotto) ed è munita di contrassegno
assicurativo in corso di validità. Segni evidenti che il proprietario
(o la proprietaria) continuano a prendersene cura amorevolmente,
non cedendo alle facili lusinghe delle continue campagne di
rottamazione. Non per quello che vale economicamente (certamente
pochissimo) ma sicuramente per quello che ha rappresentato e
rappresenta per loro (ed indirettamente anche per me).
Con il cuore e non per la ragione della convenienza.
4 ruote storiche
Lancia Beta
Story
2ª parte:
Beta Coupè, Spider, HPE
di Francesco Patti
4 ruote storiche
4 ruote storiche
Beta CoupÉ
La «Beta Coupé» venne presentata al Salone di Francoforte del
1973. Il corpo vettura non aveva praticamente nulla in comune
alla berlina da cui derivava. Più stretta di 4 centimetri, più corta
di ben 29, più bassa di 12 e con il passo accorciato di 19, la
«Coupé» possedeva un’impronta estetica del tutto individuale.
Il frontale aveva una calandra verticale color argento a maglie
alveolari che niente condivideva con la mascherina spiovente
della berlina; i quattro fari tondi risultavano prospicienti anziché
incassati. Vista di fianco, la «Beta Coupé» metteva in evidenza
il prolungato volume anteriore che conteneva il propulsore. I
deflettori alle porte erano un tocco caratteriale che sottolineava
la sportività della «Coupé» rispetto alla «Beta» d’inizio genesi.
Distintiva la forma trapezoidale dei finestrini anteriori. I vetri
posteriori si aprivano con movimento a compasso in prossimità
di una piccola griglia di estrazione aria. La fiancata era percorsa
da due scalini che creavano una fascia in leggero rilievo estesa per
l’intera lunghezza della vettura. La coda comprendeva due grandi
fanali divisi orizzontalmente (arancione la metà superiore, rossa
quella inferiore) affiancate da una sezione verticale chiara per le
luci di retromarcia. Una cornice cromata era sul bordo del cofano
bagagli. Sul paraurti anteriore in lamiera lucida erano applicate
della fasce in gomma che s’interrompevano per l’alloggiamento
della targa e per le aperture dei gruppi luce di posizione-indicatore
di direzione. Al centro del paracolpi posteriore erano inserite le
luci di targa.
Anche all’interno non si riscontravano parentele con la berlina.
I sedili, avvolgenti e ben profilati, avevano (sia davanti sia dietro)
appoggiatesta sviluppati in altezza e di bizzarra sagoma. La loro
esecuzione prevedeva tessuto per la zona centrale e delicato velluto
sulle fasce di contenimento. La plancia era sontuosa ma gradevole
oltre che razionalmente progettata. Veramente difficile poi trovare
una dotazione di strumenti ricca come nella «Beta Coupé». Oltre
a tachimetro e contagiri, vi erano livello benzina, termometro
acqua,
manometro
olio, termometro olio,
indicatore livello olio
e voltmetro. E alcuni
di
questi
indicatori
incorporavano addirittura
una spia per integrare le
segnalazioni!
La grafica complessa, con
fondi a circonferenze
concentriche gialle e
bianche, lunghe lancette
nere ed estese linee radiali
scure non privilegiò di certo
la leggibilità e pertanto
dopo breve tempo questo
cruscotto venne sostituito
con uno di medesima
impostazione ma con
strumenti a cifre bianche
e fondo uniformemente
scuro. Val la pena notare
come la grafica originale
sia oggi identificata dai
lancisti più fervidi e competenti con l’appellativo di
“giamaicana” proprio in ossequio alla particolare e
vivace policromia.
Dal bordo inferiore della
tavola
portastrumenti
sbucavano i pomelli
per l’azzeramento del
contachilometri parziale,
per regolare la luminosità
del
quadro
e
per
visualizzare il livello di
olio motore nella coppa.
Davanti al passeggero
era collocato un cassetto
portaoggetti illuminato
e dotato di sportello
con serratura. Nella
zona centrale, sotto al
posacenere, era inserito un
raffinato pannello in legno
che inglobava un piccolo
orologio analogico, con
lancetta per i secondi,
e cinque interruttori
che andavano tirati per
attivarne la funzione e
che recavano una corona
circolare che faceva da spia o da illuminazione
notturna. Essi servivano per accendisigari, lunotto
termico e massima velocità del tergicristallo; gli
4 ruote storiche
Un prolifico casato
come quello originato
dalla Lancia «Beta» è
un vanto di cui poche
auto possono adornarsi. La singolare
fastback del 1972 è
stata infatti la mamma di numerosi modelli, il primo dei quali fu
la coupé, da cui, successivamente, ebbero origine la spider e
un’innovativa station
wagon-coupé denominata «HPE».
4 ruote storiche
altri due erano a disposizione (uno era comunque
demandato all’eventuale installazione delle luci
di emergenza). Più giù si trovavano i cursori
orizzontali per la quantità e la temperatura dell’aria
nell’abitacolo e quelli più piccoli, verticali, per il
ventilatore a due velocità e la deviazione del flusso.
L’insieme era agevolmente visibile anche al buio
grazie ad una deliziosa plafoniera che si accendeva
con le luci di posizione. Più in basso si aprivano due
bocchette d’aerazione. Le uscite per l’aria immessa
in vettura erano completate da due bocchette
laterali e da quattro larghe feritoie orientate verso
il parabrezza. Sul dorso della plancia era una griglia
di predisposizione per un altoparlante. Accanto alla
leva di apertura del cofano motore era alloggiata
una piccola torcia. All’interno dei passaruota erano
fissate due tasche portaoggetti rigide.
Il volante, regolabile e di grande diametro, aveva
supporti metallici alle razze che confluivano nel
pulsante del clacson a forma di “T” capovolta
(l’avvisatore acustico funzionava solo a circuito
elettrico inserito). Il devioluci, privo di simboli,
era a tre levette. Davanti alla leva del cambio, con
pomello in legno e voluminosa cuffia attorno all’asta
cromata, era fissata la targhetta con lo schema delle
marce fissata su un ripiano per piccoli oggetti.
I pannelli delle portiere disponevano di due fasce
imbottite fra le quali era inserita un’area di
tessuto con medesimi fattura e colore del
rivestimento dei sedili. Generosa nelle dimensioni
anche la maniglia di chiusura (impreziosita da un
quadratino di metallo lucido) che confluiva in un
ampio poggiabraccia. Fra i sedili posteriori era
incassata una plafoniera con interruttore a tre
posizioni, identica a quella anteriore. Nel vano
bagagli, di circa 330 litri, era alloggiata la ruota di
scorta.
Meccanicamente la «Coupé» conservava lo schema
della «Beta» a cinque porte: motore anteriore
longitudinale, trazione anteriore, sospensioni
McPherson, quattro freni a disco, cambio a cinque
marce. La coupé torinese era offerta nelle due
motorizzazioni di 1600 cm³ con potenza di 108
CV e 1800 cm³ capace di 120 CV.
L’esame dinamico promuoveva la «Beta Coupé» con
un’eccellente tenuta di strada e una buona frenata.
La taratura delle sospensioni era tendenzialmente
rigida, ma va considerato che le sportive di quegli
L’interno della 1300 1ª seie: il sedile posteriore era privo di poggiatesta e
non aveva nè le poltroncine separate nè la plafoniera posteriore.
valore di coppia salire di oltre il 15% (da 15,3
a 17,7 kgm) con un sensibile abbassamento del
regime di erogazione (2800 giri invece dei 4500
del milleotto).
Esternamente non venne apportata alcuna modifica
alla «1600», mentre la «2000» si distingueva
per i fari a vetro unico di forma ottagonale, la
mascherina nera di diversa trama con cinque listelli
lucidi allineati in basso, il cofano motore con la
zona centrale rialzata e un’unica larga presa d’aria
in plastica nera in luogo delle due più piccole colore
argento della «1600». In più, sempre per la 2 litri,
equipaggiamento con servosterzo (denominato
idroguida in casa Lancia). Fra gli optional, la
possibilità di avere il tetto apribile scorrevole e il
lunotto termico a resistenze chiare. L’interno perde
le fasce in velluto dei sedili.
Pochi mesi più tardi la «Beta Coupé» è incaricata
del gravoso compito di colmare la grande lacuna
dell’incipiente uscita dai listini della «Fulvia Coupé».
Per questo motivo si appronta una versione di
cilindrata 1,3 litri alla quale non viene ufficialmente
attribuito il nome di famiglia ma semplicemente
quello di «1300 Coupé» con l’intento di tutelare
quanto meno idealmente una propria individualità
e una sorta di continuità con l’indimenticabile
«Fulvia», saldamente legata al cuore degli
appassionati Lancia in virtù dei suoi ampi successi
commerciali e sportivi. Persino i primi depliant
ufficiali ritraevano la nuova nata con una «Fulvia
Coupé» 3ª serie sullo sfondo dell’immagine.
La piccola coupé si riconosceva per numerosi
particolari esterni di colore nero: calandra, bracci
dei tergicristalli, piastre portafari, gocciolatoi,
retrovisore esterno, modanatura posteriore, griglie
sul cofano motore e sui montanti posteriori. Dentro
fu eliminato l’orologio, e il sedile posteriore era
a panchetta e senza poggiatesta. Via anche la
plafoniera fra i posti dietro e niente intermittenza
al tergicristallo. Semplificati pure i sedili, bordati
con un profilo in skai, e i pannelli porta, di
spessore più esiguo. Dalla strumentazione vennero
tolti il termometro olio e l’indicatore livello olio,
sostituiti dalle spie per lunotto termico e luci di
emergenza (queste ultime non previste per le auto
destinate all’Italia). Un’altra piccola differenza era
l’interruttore del lunotto termico, spostato dove
sulle «Beta Coupé» più potenti era il pulsante per la
verifica della quota dell’olio. La lista degli accessori
a richiesta era nutrita e qualificata, a cominciare dal
condizionatore, una rarità per l’epoca su un’auto
sportiva e per di più di cilindrata così contenuta.
Inoltre, sempre a scelta del cliente, selleria in
4 ruote storiche
anni erano filosoficamente concepite con poche
intersezioni al confort di marcia. Difficoltoso
l’accesso ai posti posteriori per via dei sedili anteriori
mobili solo nello schienale.
L’equipaggiamento, oltre al volante ad inclinazione
variabile e al cambio a cinque marce, includeva la fascia
scura al parabrezza e i cerchi in lega (di serie sulla
«1800»). Nutrita e qualificata la lista degli optional:
cerchi in lega (solo per la «1600»), alzacristalli
elettrici, interno in pelle, aria condizionata con
vetri atermici, lunotto termico (disponibile anche
con vetro azzurrato), vetri atermici, bracciolo lato
guidatore, proiettori fendinebbia + luce retronebbia,
vernice metallizzata. Inoltre, senza sovrapprezzo, si
poteva avere la selleria in skai.
Nell’autunno del 1975 la «Beta» si aggiornò nei
propulsori, determinando la seconda serie del
modello. Il motore di 1,6 litri di cilindrata venne
leggermente ridotto nella cubatura e perse 8 CV di
potenza, ma guadagnò in trattabilità abbattendo il
regime di coppia massima da 4500 a 3000 giri/
min. L’unità di 1800 cm³ raggiunse quota 2 litri,
mantenne pressoché invariata la potenza massima
(119 CV a fronte dei precedenti 120), ma vide il
4 ruote storiche
pelle, vetri elettrici, lunotto termico a fili invisibili
(azzurrato o incolore), cerchi ruota in lega leggera
ad otto razze, fendinebbia con retronebbia incassato
al centro del paraurti, tetto apribile, alzacristalli
elettrici. Oltre che dalla denominazione, il simbolo
ß venne rimosso anche dalla targhetta sul cofano
bagagli, proprio a rimarcare un’indipendenza dal
resto della gamma.
Il motore della «1300 Coupé» aveva cilindrata di
1297 cm³ in grado di sviluppare 82 CV a 5800
giri/min e coppia massima di 11 kgm a 3300 giri.
La terza serie della sportiva Lancia è del 1978 e
prevede l’unificazione estetica fra le varie cilindrate.
Tutte le «Beta Coupé» (anche la «1300» divenne
ufficialmente una «Beta») adottano il cofano della
«2000», i quattro proiettori rotondi sono inseriti in
alloggiamenti neri, e neri sono anche i tergicristalli.
Nuovo lo specchietto retrovisore esterno, più grande,
regolabile dall’interno e fissato al deflettore invece
che alla portiera. L’impostazione della plancia
rimane grosso modo invariata, ma la strumentazione
è ridisegnata nella grafica (il fondo rimane scuro ma
tornano le linee radiali su tachimetro e contagiri) e
le scale degli strumenti secondari ricevono settori
colorati. Riposizionati e di design più moderno anche
i comandi dei servizi elettrici e della climatizzazione.
In luogo dell’orologio analogico viene assunto un
display digitale a cifre rosse. Nuovo pure il volante,
i tessuti, la sagoma degli appoggiatesta, le bocchette
d’aerazione e il devioluci, ora dotato di simboli e
con tutte le velocità del tergicristallo integrate.
Diversa anche la leva del cambio, con pomello
sferico, e la plafoniera anteriore circolare e con spot
di lettura a fianco. Di serie le cinture di sicurezza
anteriori e le luci di emergenza. Tutte le cilindrate
adottano l’accensione elettronica (Marelli sulla
«1300», Bosch per le motorizzazioni di 1,6 e 2 litri
di cilindrata).
La «Beta Coupé 2000» introdusse la seconda serie del modello torinese.
Si riconosceva per i proiettori anteriori a vetro unico.
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Speedline con motivo a triangoli.
Nel 1981 giunge il quarto ed ultimo ammodernamento
della fortunata vettura italiana. Il mutamento più
evidente è nella calandra con stile “a scudo”, ispirata
alla «Delta» e prerogativa del family feeling di casa
di quegli anni. Tutti i profili esterni divengono
neri, maniglie di apertura porte comprese; viene
rinnovato il disegno dei cerchi in lamiera stampata.
Lungo i fianchi dell’auto è applicata una modanatura
di protezione. Il tappo di rifornimento carburante è
ora in vista e non più dietro uno sportellino. Sul
bordo del cofano posteriore compare uno spoiler in
gomma con l’indicazione di modello e cilindrata. I
rinnovati paraurti assumono disegno avvolgente e si
spingono a lambire gli archi passaruota. La modifica
non riguarda la piccola «1300» che mantiene i
precedenti paracolpi dipinti però interamente in
nero. Sotto al paraurti posteriore vengono installate
due luci retronebbia.
Nell’abitacolo vi sono nuovi tessuti e la
strumentazione (inalterata nella dotazione) ha una
diversa grafica, con settori colorati ulteriormente
evidenziati.
Interventi anche ai motori: il piccolo 1300 cresce
di due millimetri nell’alesaggio e raggiunge la
cilindrata effettiva di 1366 cm³ a cui corrisponde
un progresso di 2 CV nella potenza (ora sono 84).
Ma la novità di maggior rilievo è l’adozione di
un’alimentazione ad iniezione elettronica Bosch sul
propulsore due litri, la cui potenza massima sale a
122 CV.
L’apoteosi prestazionale della «Beta Coupé» arriva
nel 1983 e si chiama «Volumex». Il nome è legato
alla sovralimentazione mediante compressore volumetrico, una soluzione molto cara alla Lancia, e
che costituì un pregio tecnico di cui la Casa italiana
fu la più audace sostenitrice negli anni Ottanta. A
differenza del turbocompressore, il volumetrico era
attivo ad ogni regime di funzionamento del motore
ed era quindi esente da curve di potenza irregolari
ed appuntite tipiche dei propulsori turbo. Le prestazioni del bialbero Lampredi di 1995 cm³ salgono
al rispettabile valore di 135 CV. Esteticamente la
«Beta Coupé Volumex» si riconosce dal rigonfiamento asimmetrico sul cofano motore, dal pronunciato
spoiler anteriore in plastica, dal monogramma VX
nella calandra e dai codolini allo spoiler posteriore.
Dentro erano state apportate modifiche di dettaglio
alla strumentazione con il fondo scala del tachimetro innalzato da 200 a 220 km/h e l’aggiunta di un
settore verde nel contagiri per evidenziare la zona
di miglior sfruttamento del propulsore. Optional
esclusivi della «VX» erano il retrovisore esterno de-
4 ruote storiche
L’unità motrice più piccola sale a 1301 cm³ e la
potenza del 2000 scende a 115 CV ma registra
un aumento di coppia. Tra gli optional anche il
cambio automatico a tre marce per le due cilindrate
superiori.
Diverse furono le edizioni in serie limitata della
«Beta Coupé», ma di queste solo una rimase entro i
confini nazionali. Fu la «Laser», ricavata sulla terza
serie e disponibile con le motorizzazioni di 1,3 e
1,6 litri di cilindrata. Si riconosce per calandra
e paraurti neri e per l’adozione di una coppia di
proiettori fendinebbia curiosamente protetti da una
retina parasassi. Solo tre le tinte disponibili per
la carrozzeria: rosso, azzurro e grigio scuro, tutte
metallizzate e inframmezzate da un sottile profilo
nero sulla fiancata che terminava con la scritta
“Lancia ß Laser”. Le «Laser 1300» montavano i noti
cerchi in lega ad otto razze di provenienza FPS o
Cromodora, le «1600» avevano invece degli inediti
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4 ruote storiche
stro e i sedili anteriori sportivi Recaro che prevedevano
una levetta in posizione più
comoda per il ribaltamento
degli schienali. Curiosa la
presenza, fra gli attrezzi di
bordo, di una maniglia alzavetri da utilizzare in caso
di guasto agli alzacristalli
elettrici. Di serie il volante
con corona rivestita in pelle
e cuciture in vista.
La scheda di manutenzione
prevedeva il controllo della
lubrificazione del compressore verificando il livello
dello specifico olio nel piccolo serbatoio trasparente
inserito nel vano motore.
Beta spIDER
La terza serie della
sportiva Lancia è del
1978 e prevede l’unificazione estetica fra le
varie cilindrate. Tutte
le «Beta Coupé» (anche
la «1300» divenne ufficialmente una «Beta»)
adottano il cofano della «2000», i quattro
proiettori rotondi sono
inseriti in alloggiamenti
neri, e neri sono anche i
tergicristalli.
Dire che dalla «Beta Coupé» si ricavava la «Beta
Spider» è quanto mai esatto non solo sotto l’aspetto
concettuale bensì anche dal punto di vista strettamente materiale. Il processo produttivo della «Beta
Spider» era infatti decisamente articolato. Scocche
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complete di «Beta Coupé»
partivano da Torino alla
volta degli stabilimenti Zagato dove venivano modificate nella zona posteriore.
Da qui tornavano alle officine Lancia per il processo
anticorrosivo. Quindi si
imbarcavano nuovamente
alla volta di Milano, per
essere verniciate e arredate
negli interni e nella componentistica. Un successivo viaggio le riportava allo
stabilimento di Chivasso
per l’installazione degli organi meccanici.
Ma non ci sono solamente
Lancia e Zagato fra i blasonati marchi di cui può
fregiarsi la spider: diversamente della coupé,
concepita dal Centro Stile Lancia, il disegno
della versione aperta è legato al nobile nome di
Pininfarina. Altra particolarità della «Beta Spider»
era la possibilità di apertura modulare. Sopra i
passeggeri anteriori era infatti installato un tetto
rigido che poteva essere agevolmente rimosso. Il
lunotto era invece inserito in una capote che, una
B
agendo su due ganci anteriori inseriti nella cornice
del parabrezza, e due ganci erano da manovrare
anche per l’abbassamento della capote.
Sul finire del 1975 giunge la seconda serie, che
reca le modifiche estetiche e tecniche praticate alla
«Coupé». Dal frontale alveolare d’esordio con fari
tondi per le due versioni si passa alle cinque barrette
e ai fari ottagonali per la sola 2 litri. In più già qualche
tempo prima erano state adottate le portiere della
coupé (dotate quindi di cornici) e si inseriscono dei
rinforzi longitudinali che congiungono parabrezza e
roll-bar. Dietro cambia anche il paraurti, che perde
il caratteristico scalino centrale per l’alloggio delle
targhe quadrate. Lievi differenze anche ai fanali
posteriori.
Nel 1978 giunge la 3ª serie, con le modifiche viste
sulla coupé. Quindi unificazione di cofani e calandre
per le due cubature (la «Beta Spider» non ebbe mai
il propulsore di 1300 cm³) e plancia e interni
rinnovati. Ci fu anche una quarta serie, con frontale
aggiornato con la mascherina di famiglia, ma essa
non venne mai ufficialmente commercializzata in
Italia e prese la via dei mercati esteri.
4 ruote storiche
Beta
volta abbassata, scopriva il cielo sopra gli occupanti
dei sedili posteriori. Di fatto la «Beta Spider» riuniva
le soluzioni delle vetture targa e cabriolet. Sino alla
portiera, il disegno della spider è identico a quello
della «Beta Coupé», ad esclusione degli sportelli,
privi di montanti. Dopo iniziano i tratti caratteriali.
Un largo montante con feritoia di estrazione aria fa
da roll-bar e si interpone fra le due sezioni apribili
della vettura. La zona posteriore è completamente
dissimile dalla «Coupé» e spicca per l’esteso volume
del bagagliaio con cofano ad andamento piatto
anziché inclinato. In coda sono diversi anche i
gruppi ottici e il paraurti. Nella fascia sottoporta era
fissato un profilo plastico.
L’abitacolo non ha differenze sostanziali con la
«Coupé» (strumentazione “giamaicana” compresa,
ad inizio serie), se non per l’ovvia assenza
dell’interruttore del lunotto termico nel pannello
centrale. Diversi erano anche i rivestimenti e
la profilatura dei sedili (quelli posteriori senza
poggiatesta).
La «Beta Spider» venne ufficialmente presentata
a Ginevra nel 1974. La sua meccanica ricalcava
quella della coupé, comprese le cilindrate di 1600
e 1800 cm³. La «Beta» aperta era più lunga della
coupé di 4 centimetri. Il tetto amovibile si asportava
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4 ruote storiche
HpE
La sigla “HPE” nacque come acronimo di High
Performance Estate, riferendosi non certo alla bella
stagione bensì alla tipica dicitura anglosassone per
individuare automobili dalle spiccate capacità di
carico. Sta di fatto che la «HPE» si propose come
vettura dall’elevata versatilità in grado di abbinare un
design in cui si mischiavano armoniosamente tratti
stilistici da berlina, da coupé e da station wagon.
E tecnicamente l’«HPE» era realmente un misto
fra berlina e coupé, dato che aveva le sospensioni
anteriori della coupé mentre pianale e sospensioni
HPE prima serie
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al retrotreno provenivano dalla «Beta» berlina.
La parte anteriore dell’auto riproponeva fedelmente
la «Beta Coupé» ma, indipendentemente dalla
motorizzazione, i proiettori erano a vetro unico,
come quelli introdotti sulla prima «Beta Coupé» con
propulsore 2 litri. La sezione posteriore era del tutto
nuova grazie all’ampio portellone con estesa superficie
vetrata che consentiva di disporre di un grande vano
per i bagagli. Elegante l’accenno di spoiler sul tetto.
I finestrini laterali allungati si aprivano a compasso,
e le feritoie per la fuoriuscita dell’aria dell’abitacolo
erano inserite sul montante posteriore in un largo
e caratteristico decoro scanalato che si raccordava
adottò la seconda edizione della strumentazione,
quindi niente “giamaicana”) con un ovvio diverso
disegno del divano posteriore, sdoppiato e privo
di poggiatesta. Fra gli accessori di serie vi era
il tergilunotto e il livellamento automatico del
fascio luminoso, il cui principio di funzionamento
era lo stesso adottato sulla «Beta» berlina tramite
un tirante in funzione del carico sulla vettura.
I rivestimenti dei sedili erano in tessuto skai con
seduta in velluto.
Il debutto ufficiale della «HPE» avvenne al Salone
di Ginevra del 1975 e pochi mesi più tardi la nuova
Lancia giunse nelle concessionarie con i motori di
4 ruote storiche
alla “veneziana” frangisole interna al lunotto. Alle
estremità laterali della coda erano i gruppi ottici.
Il volume del bagagliaio si avvaleva di 370 dm3 di
capacità (circa 40 più della coupé) che giungevano a
ben 1100 abbattendo lo schienale.
All’interno del portellone, alla base del lunotto
era vincolata una tendina avvolgibile: essa poteva
essere allungata sino al bordo superiore del sedile
posteriore in modo da coprire i bagagli qualora
questi non eccedessero in altezza, oppure poteva
essere estesa parallelamente al vetro così da celare
alla vista l’intero vano di carico. L’interno era il
medesimo della «Beta Coupé» (ma sin dall’inizio si
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4 ruote storiche
1600 e 1800 cm³ seppur un po’ addolciti nella
curva di potenza.
La seconda serie ebbe le già note modifiche alla
mascherina e al cofano anteriore per la sola versione
di cilindrata più elevata. Ovviamente anche la
«HPE» seconda serie adottò il millesei di 1585 cm³
in luogo del precedente da 1592. Diversamente
dalla consorella con carrozzeria coupé, per la «HPE»
l’utente poteva scegliere fra due diversi disegni
di cerchi in lega leggera. Oltre ai noti elementi
ad otto razze, c’era un altro cerchio, denominato
“turbo”, contraddistinto da numerose piccole
aperture trapezoidali lungo la fascia perimetrale. In
La «H.P. Executive Volumex»
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entrambe le varianti i mozzi riportavano al centro
la “L” iniziale di Lancia, presente sin dalla prima
«Beta Coupé».
Il restyling successivo, del 1978, riprese le
modifiche esterne e interne contemporaneamente
introdotte nella «Beta Coupé», cambio automatico
AP in opzione compreso.
La quarta serie, anch’essa immessa sul mercato
insieme alla corrispondente coupé, si caratterizzò
per i profili neri, il nuovo frontale e l’alimentazione
ad iniezione elettronica sul motore due litri.
Le indicazioni di modello e cilindrata vennero
elegantemente riportate su una fascia satinata alla
restauro non pone difficoltà sotto l’aspetto meccanico
(condiviso con numerosi modelli Fiat del tempo)
ma può essere più problematico per gli elementi di
carrozzeria e la componentistica. Un paio di grosse
aziende specializzate in ricambi d’epoca Lancia
possono esser d’aiuto (anche se non sempre a prezzi
popolari), ma per altri elementi occorre armarsi di
grande pazienza.
(la prima parte è stata pubblicata sul n° 12 Settembre
2007)
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base del portellone. E la quarta serie portò novità
anche nella denominazione, che passò da «HPE»
a «H.P. Executive» determinando quindi una
variazione di significato alla “E” della sigla.
Arrivò pure la sovralimentata «Volumex», con il
vistoso spoiler in plastica sotto il paraurti anteriore
e un altro sul bordo del cofano bagagli. Impossibile,
a differenza della «Coupé», avere lo specchio
retrovisore destro e gli interni sportivi.
Tutte le «Beta» sportive hanno quotazioni accessibili.
Sia che si tratti di una prima serie, di una «Volumex»
o di una meno carismatica terza serie, la spesa per
entrare in possesso di un esemplare non è esosa. Il
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La HPE 3ª serie
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Una soPRAVVISSUTA
Non sono molte le «Beta Coupé» giunte ai nostri
giorni. Lamiere aggredite della corrosione e
campagne di incentivi alla rottamazione hanno
ristretto il numero di unità in giro. Gli esemplari
della quarta serie sono poi forse ancor meno comuni,
sia perché ritenuti poco accattivanti in quanto
troppo “plasticosi” sia perché l’ultimo restyling
giunse quando l’appeal della coupé torinese iniziava
la fase calante. Pensate quindi quanto può essere
significativo imbattersi oggi in una «Volumex», il cui
arrivo sul mercato si collocò oltre due anni dopo il
lancio dell’ultima serie.
La vettura, in strepitose condizioni di conservazione,
è di proprietà di Dante Tagliabue, un appassionato
con la “L” maiuscola! Sì, la “L” della passione
Lancia. Dante ha infatti un passato automobilistico
perennemente costellato da «Beta». Fra coupé e
spider sono diversi gli esemplari avvicendatisi fra
le sue mani fin dal conseguimento della patente.
La «VX» in suo possesso è sempre appartenuta a lui
ed è stata immatricolata nel giugno 1985, quando
la produzione era ormai cessata da diversi mesi. Si
La «Beta Coupé Volumex» di Dante Tagliabue
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trattava infatti di una vettura rimasta in giacenza
presso una concessionaria di Cesano Maderno (MI)
e dotata dei poco comuni proiettori fendinebbia
ottenibili a richiesta. In permuta venne data una
«Beta Coupé 2000» 3ª serie e la «Gamma 2000»
del papà, da cui Dante ha ereditato l’amore per le
automobili Lancia. Ritirata l’auto nuova al lunedì, il
venerdì successivo Dante è già in officina. Ma non c’è
alcun problema da segnalare: occorre solo eseguire
l’allora previsto tagliando dei 1500 km! Per i due
anni seguenti l’auto viene utilizzata quotidianamente,
totalizzando quasi 30 mila chilometri e divagando
di tanto in tanto oltre i confine italiani. Poi Dante
intuisce che un’auto particolare quale la «Beta
Coupé Volumex» doveva essere oggetto di riguardi
particolari e ne limita quindi l’utilizzo al solo tempo
libero e, più in là, unicamente alle manifestazioni
dedicate agli appassionati d’auto. I chilometri
accumulati ad oggi dalla vettura (nel frattempo
omologata ASI) sono appena 40 mila, nei quali
non vi è stato bisogno di alcun intervento al di là
dell’ordinaria manutenzione.
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Fiat 618Ardita
di Roberto Gianusso
ruote storiche al lavoro
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ruote storiche al lavoro
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a
ll’inizio degli anni cinquanta il signor
Bongiovanni, garzone di bottega, spinto
dal miraggio del boom economico avviò
una attività di commercio di prodotti alimentari
all’ingrosso.
Il lavoro del signor Bongiovanni consisteva nel ridistribuire prodotti alimentari che le grosse aziende
di produzione spedivano presso il suo magazzino di
Villanova di Mondovì.
Mentre oggi si parla di magazzini centralizzati,
distribuzione just in time, ed il termine logistica è
usato sempre più frequentemente, negli anni venti,
quando le industrie alimentari iniziavano a confezionare in scatola i loro prodotti, attività come
quella che il signor Bongiovanni andavano per la
maggiore. Il lessico italiano coniò un termine per
indicare questo genere di attività: commercio di prodotti coloniali.
Prodotti coloniali, poiché il confezionamento dei generi alimentari in grezze scatolette, era stato
un
procedimento generato
dalla necessità di supportare
le esigenze alimentari delle nostre truppe, in quegli
anni impegnate in Africa
sul fronte delle colonie.
Uno dei primi prodotti
alimentari confezionati
e distribuite in scatola
furono le acciughe, ed è
per questo motivo che il
lessico piemontese coniò
il termine “anciuè”, cioè
venditori di acciughe,
per indicare coloro che
svolgevano l’attività del
signor Bongiovanni.
Il signor Bongiovanni inizia la sua attività all’inizio
degli anni cinquanta, inve-
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stendo tutti i suoi risparmi nella costruzione di un
moderno e funzionale magazzino e decide di risparmiare sull’acquisto dell’autocarro che dovrà utilizzare per servire i suoi clienti, rimandando l’acquisto
di un autocarro nuovo a quando l’attività sarà più
sviluppata. La scelta cade su un vecchio Fiat 618,
con cassone montato all’origine presso le officine
Fiat Lingotto di Torino, dove all’epoca è concentrata buona parte della produzione della casa torinese.
Il Fiat 618, piccolo autocarro dalle grandi
prestazioni era la versione utilitaria della più diffusa
vettura di classe media Fiat 518, chiamata “Ardita”,
per enfatizzarne le buone prestazioni.
L’azenda del signor Bongiovanni è cresciuta molto
negli anni successivi e autocarri più moderni, con
una maggiore capacità di carico, hanno preso il
posto del Fiat 618 che, messo definitivamente in
congedo nel 1965, è rimasto a riposare in garage
per più di trent’anni.
Si usa dire che il primo amore non si scorda mai e,
forte di questo principio, il signor Bongiovanni non
ha mai dimenticato il suo primo autocarro, cosicchè nel 1997, dopo aver liquidato la propria azienda, decide di restaurare la sua piccola creatura, con
l’aiuto del figlio appassionato collezionista e restauratore di auto d’epoca. Il restauro è radicale, il protagonista del nostro servizio
viene completamente smontato, il
telaio è stato sabbiato e riverniciato, i lamierati della cabina
completamente sverniciati,
rasati con stucco metallico
e riverniciati come si usava fare negli anni trenta,
il cassone ricondizionato
da un falegname.
Le parti meccaniche sono
state revisionate minuziosamente con la sostituzione di tutti i particolari usurati e anche la
pegamoide della selleria
è stata sostituita, quasi
a voler testimoniare la
minuziosità del restauro.
Ad avvenuto restauro il
piccolo autocarro Fiat è
stato omologato dal Regi-
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