Junior Training - Buongiorno in musica

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Junior Training - Buongiorno in musica
Junior Training - Buongiorno in musica
Il buongiorno in musica è un’attività psicocorporea di sensibilizzazione sensoriale di gruppo che
apre ogni giornata del Junior Training, che è destinata a tutti e tre i gruppi di bambini (0-3, 3-6, 611) con i loro genitori e che è utile per creare un clima di disponibilità e di apertura alla relazione
tra i partecipanti.
Le idee teoriche di riferimento che guidano il laboratorio sono due. La prima è la “Teoria dei
sistemi”, elaborata dal biologo austriaco Ludwig von Bertalanffy (1901-1972), secondo la quale la
famiglia è un sistema aperto che scambia informazioni ed energia con altri sistemi aperti (le altre
famiglie) attraverso le relazioni, che trasformano un mero agglomerato di persone in un gruppo con
membri interdipendenti.
La seconda teoria è quella psicocorporea, secondo la quale psiche e corpo sono strettamente
congiunti e interconnessi: è da una solidità fisica che è possibile giungere ad una solidità emotiva e
cognitiva. Secondo White (1959) il comportamento esploratorio dei bambini non riflette solo un
bisogno quale può essere la curiosità, ma risponde ad una motivazione intrinseca a padroneggiare e
controllare l'ambiente e le situazioni e a sentirsi competenti ed efficaci, bisogno definito come
"effectance". Harter (1978) esaminando lo sviluppo della motivazione di effectance ha teorizzato un
modello secondo il quale il soggetto, se ottiene rinforzi positivi, interiorizza un sistema di
autogratificazione che fa diminuire il bisogno di gratificazione esterna e aumenta la motivazione a
raggiungere gli obiettivi, grazie alla percezione della propria competenza e del proprio controllo
sull’ambiente. Tale spinta invece diminuisce se i tentativi vengono frustrati o vengono rafforzati nel
bambino comportamenti di dipendenza dagli adulti. Affinché il bisogno naturale di
autorealizzazionei si esprima, è necessario che il soggetto si percepisca come competente e in grado
di affrontare con successo i propri compiti evolutivi. Mc Lean, 1954 (cervello istintivo, motorio,
emozionale e razionale). Cellule specchio (Rizzolatti)
Il laboratorio viene realizzato disponendo le persone in cerchio e riempiendo lo spazio con oggetti
psicomotori di volta in volta diversi: corde e cerchi colorati, foulard, petali di carta che riportano
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alcuni input su tematiche rilevanti per una crescita sia emotiva che cognitiva (ad esempio: amicizia,
fiducia, umiltà). Questi ultimi, in particolare, rispondono al principio dell’esternalizzazione di
Bruner: far si che il prodotto (cartaceo o altro) sia fonte di riflessione continua poiché sempre
presente davanti agli occhi del destinatario. Vengono inoltre utilizzate varie musiche, narrazione e
canto.
Poiché si ritiene che l’adulto abbia maggiore dominanza cognitiva rispetto al bambino, si richiede
una partecipazione di genitori e figli che inizia con una presa di consapevolezza del proprio corpo e
con un maggior contatto con sé stessi (sfregare la mani, battere i piedi, muoversi nello spazio)
prima individualmente, poi per gruppi di appartenenza, successivamente come un solo gruppo, per
ritornare infine ad una dimensione intrapersonale più intima: partendo da una consapevolezza
personale, attraverso il lavoro di gruppo, si approda ad una consapevolezza più intima con sé stessi
e con gli altri.
L’obiettivo generale che il laboratorio vuole raggiungere è far migliorare il genitore attraverso la
relazione con il proprio bambino; quest’ultimo, quindi, è ponte, struttura e stimolo per
l’accrescimento delle competenze genitoriali. Il genitore non è più punto di riferimento assoluto
dell’educazione del bambino, ma apprende come educare osservando il figlio stesso.
Nello specifico, sul piano fisico i genitori possono esplorare e conoscere il proprio corpo a ritmo di
musica e attraverso la relazione con lo spazio e con gli altri; da un punto di vista emotivo, da una
dimensione macrogruppale si passa ad una definizione più precisa dei ruoli familiari e all’idea di
appartenenza; da un punto di vista cognitivo, i genitori possono crescere nella consapevolezza che
si è sia distinti sia uniti agli altri. Possono inoltre acquisire dati su sé stessi attraverso la
differenziazione e il raggruppamento rispetto alla propria famiglia e alle altre e sviluppare una
maggiore capacità attentiva.
Per quanto riguarda i bambini, sul piano fisico si vorrebbe ottenere un aumento della
consapevolezza dei propri confini corporei e del contatto con gli altri; da un punto di vista emotivo
si vuole agevolare la dimensione della reciprocità mediandola con la dimensione del sé e del sé
allargato rappresentato dalla famiglia. Da un punto di vista cognitivo, attraverso il gioco corporeo si
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sperimenta una maggiore fiducia della capacità di agire insieme gli altri, esplorando l’ambiente e
intervenendo su di esso.
I laboratori seguono la stessa struttura ma cambiano nel contenuto (vengono aperti con la canzone
del “buongiorno” e conclusi con la canzone “arrivederci piccoli giganti”). Vi è un trainer principale
che gestisce le attività ed altri che lo sostengono. I destinatari entrano nella stanza quando i trainer
sono già attivi e pienamente proattivi, disposti in cerchio, che battono le mani a tempo di musica:
genitori e bambini si uniscono a loro in questo clima gioviale. Nel corso del laboratorio il trainer
propone vari tipi di attività che richiedono di spostarsi nello spazio, ma riconduce poi di nuovo tutti
a distribuirsi nel cerchio, richiamando un momento di silenzio. Nelle diverse sessioni viene ripreso
costantemente il gioco del petalo sul quale è scritta una parola che rimanda a tematiche rilevanti,
finalizzato a focalizzare l’attenzione sugli aspetti che possono avviare una riflessione proficua su di
sé. Si lavora, in questo senso, sulla creazione di riferimenti collegando la parola del petalo con lo
spazio fisico in cui il trainer consiglia di interrare il seme di un’ipotetica pianta collegata alla parola
che ciascuno ha ricevuto (ancoraggio).
Ogni giornata ruota attorno ad un elemento diverso: il primo giorno è la terra, seguono acqua, aria e
fuoco. Il trainer propone esperienze di immaginazione ed astrazione legate ai diversi elementi,
accompagnate da messaggi sonori inerenti.
In particolare, nel primo giorno dedicato alla terra, vengono proposte danze che stimolano
l’equilibrio, la consapevolezza corporea e la cinestesia.
Il trainer stimola una maggiore consapevolezza del corpo e un’attività di esplorazione dello stesso;
fa poi focalizzare l’attenzione dei singoli sulle differenti componenti del gruppo (papà, mamme,
bambini e staff). Viene proposto un gioco di trasformazione in animale (prima lo fanno i bambini e
poi i genitori), che richiama l’idea che si è lì per trasformare qualcosa di se stessi e che il genitore è
chiamato in causa in prima persona.
Il trainer chiede di salutarsi entrando in contatto non solo con le mani o con il contatto oculare, ma
con tutte le parti del corpo (ci si saluta con i piedi, etc…). C’è un forte utilizzo delle metafore,
soprattutto inerenti alla coltivazione, in riferimento ad una crescita interiore); sono frequenti frasi
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come “mettiamo gli occhiali della fantasia, gli occhiali dell’immaginazione” o “prendiamo la
nuvola e appoggiamola sulla schiena”.
Vengono spesso introdotti “elementi” magici per amplificare la capacità astrattiva e creativa
(“mettiamo la scarpetta, cosa possiamo fare con questa scarpetta magica? E’ possibile anche
volare!”, “la magia è dentro di noi!”).
Il trainer accoglie i contributi dei bambini e li utilizza adattandoli allo svolgimento dell’attività
traendone nuove dinamiche.
Nel secondo giorno, inerente all’acqua, il trainer propone una stimolazione sensoriale inerente a
questo elemento e alla sua fluidità, prima individualmente, poi con il gruppo famiglia tramite il
contatto con diverse parti del corpo (schiena, piedi, testa) e, infine, con le varie famiglie, facendoli
girare in cerchio a tempo di musica a differenti velocità.
Nel terzo giorno il trainer propone una canzone famosa sul tema del vento e, a quel ritmo, conduce
il gruppo a muoversi tenendosi per mano. Stimola il contatto sensoriale tra le persone con un’altra
musica in cui, alternando pause a momenti di movimento, genitori e figli devono girare e
incontrarsi.
Propone poi a ciascuna famiglia di prendere una stoffa colorata (che rappresenta una nuvola) alla
quale attribuirà diverse caratteristiche (emotive -gioia, curiosità, tristezza, rabbia- e spaziali –
vicinanza, lontananza, sopra, sotto), scandendo il ritmo con un tamburello.
Fa cantare ad ogni gruppo una parte di canzone, ciascuno con una diversa intonazione, prima con
gli occhi aperti, poi chiusi e con un tono sempre più basso. La modulazione della voce è un ottimo
esempio di controllo volontario propriocettivo e di allenamento all’inibizione di risposte
automatiche come parlare con voce normale o, in alcuni casi, urlare.
Nel quarto giorno, inerente al tema del fuoco, il trainer propone un canto con diverse variazioni di
intensità, momenti più lenti e momenti di attivazione più intensa, con un gioco di
avvicinamento/allontanamento dal centro del cerchio. Alla base di questa attività c’è la
considerazione per la quale il fuoco serve a creare la giusta distanza (né troppo vicino né troppo
lontano) per poter osservare e comprendere gli altri e se stessi.
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Propone la canzone “Le fate del fuoco”, in cui ciascuno agita un foulard colorato e durante la quale
trasporta un piccolo gruppo ad andare a prendere gli altri: man mano tutti si alzano e si ritorna in
una dimensione macrogruppale.
Nell’ultimo giorno non viene aggiunto nulla di nuovo ma si ripercorrono tutte le tappe affrontate
precedentemente, con costante riferimento alla piantina della quale i bambini devono prendersi cura
per farla crescere nel miglior modo possibile.
Le continue generalizzazioni del trainer creano ponti metaforici di riferimento con la quotidianità
della vita: “Nel percorso di ognuno si trovano altre famiglie”.
Si rendono evidenti alcune incongruenze interpretative tra ciò che il genitore crede di sapere e ciò
che accade (una bimba piange, la mamma dice al papà che si è spaventata, invece era caduta).
I genitori facilitano e sostengono il bambino nell’esecuzione delle attività ma sono coinvolti
anch’essi in prima persona (quelli che hanno bambini molto piccoli che devono essere accuditi,
trovano comunque il modo affinché almeno uno di loro possa partecipare alle attività). Si pongono
come mediatori e, attraverso una strategia di scaffolding, sostengono l’esplorazione di spazi e
relazioni da parte dei bambini e, in alcuni casi, compaiono idee originali di stimolazione sensoriale
del proprio figlio che il trainer accoglie e rinforza.
La maggior parte dei bambini cerca il riferimento genitoriale, lo osserva e, partendo da questo,
comprende che la situazione è sicura e da inizio all’esplorazione: il genitore è riferimento sociale.
Con il passare dei giorni, il coinvolgimento, la partecipazione e il divertimento di genitori e bambini
sono aumentati in maniera esponenziale: entrano nella stanza ancora prima che venga dato il
segnale, sono più responsivi nei confronti del trainer, cantano, danzano, aumentano le parole di
condivisione, i sorrisi, i saluti, il contatto fisico, gli applausi alla fine del laboratorio sorgono in
maniera spontanea, i genitori diventano più espressivi nei confronti dei propri figli e questi ultimi
sono sempre più a loro agio e più contenti di partecipare (un bambino grida: “ci vediamo ancora
domani! Siii!!!”: il gruppo è sempre più unito e l’obiettivo principale del laboratorio è stato
raggiunto.
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