IL SOLE - Amici del Cabiria

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IL SOLE - Amici del Cabiria
IL SOLE
Anno: 2005
Titolo originale: SOLNZE - THE SUN
Data di uscita: 18/11/2005
Durata: 107
Origine: FRANCIA- ITALIA- RUSSIA - SVIZZERA
Genere: DRAMMATICO
Produzione: DOWNTOWN PICTURES, NIKOLA-FILM, PROLINE FILM, MACT PRODUCTIONS, RIFORMA FILM,
RAI CINEMA, ISTITUTO LUCE, CNC, 'CTC' TELEVISION NETWORK
Distribuzione: ISTITUTO LUCE
Regia: ALEKSANDR SOKUROV
Attori:
ISSEI OGATA
IMPERATORE HIROHITO
ROBERT DAWSON
GENERALE MACARTHUR
KAORI MOMOI
IMPERATRICE
SHIRO SANO
CIAMBELLANO
SHINMEI TSUJI
VECCHIO SERVO
TAIJIRO TAMURA
DIRETTORE ISTITUTO ARTICO
GEORGI PITSKHELAURI
AIUTANTE GENERALE MACARTHUR
HIROYA MORITA
PRIMO MINISTRO SUZUKI KANTARO
TOSHIAKI NISHIZAWA
AMMIRAGLIO MONAI, MINISTRO DELLA MARINA
NAOMASA MUSAKA
ANAMI, MINISTRO MILITARE
ROKURO ABE
GENERALE TOYODA, CAPO COMMANDO GENERALE MARINA
JUN HAICHI
ABE, MINISTRO DEGLI INTERNI
KOJUN ITO
HIRONUMA, PRESIDENTE CONSIGLIO SEGRETO
KOJIRO KUSANAGI
TOGO, MINISTRO DEGLI ESTERI
TORU SHINAGAWA
SAKOMIZU, CAPOSEGRETARIO GABINETTO
YUSUKE TOZAWA
CUSTODE DEL SIGILLO KIDO
TETSURO TSUNO
GENERALE UMEZU
Soggetto: ALEKSANDR SOKUROV
Sceneggiatura: YURI ARABOV
Fotografia: ALEKSANDR SOKUROV
Musiche: ANDREY SIGLE
Montaggio: SERGEI IVANOV - GABRIELLA BRUNAMONTI
Scenografia: YURI KUPER - YELENA ZHUKOVA
Costumi: LIDIA KRUKOVA - ROSSELLA PROCACCINI
Trama:
Giappone, 1945/46. L'imperatore Hiroito, per porre fine al conflitto mondiale decide di collaborare con il generale americano
MacArthur, firma la resa e rinuncia al suo status divino. Due importanti decisioni che segneranno il futuro del paese del Sol
Levante.
Critica:
Aleksandr Sokurov ha completato la trilogia dei dittatori Hitler era Moloch (1999), nome che per gli antichi fenici designava il
sacrificio rituale dei bambini. Uno sfinito Lenin era Taurus (2000). Adesso arriva nelle sale Il Sole, dedicato all’imperatore
giapponese Hirohito, 124esimo discendente della dea del sole Amaterasu. Hitler muore nel bunker della Berlino distrutta.
Lenin muore nel suo letto, Hirohito annuncia il 15 agosto del 1945 la resa del Giappone dopo Hiroshima. Per la prima volta fa
sentire la sua voce, per radio, per dichiarare finita la guerra. Il Giappone imperiale scende a patti con il generale McArthur.
Sokurov è attratto dai personaggi che hanno esercitato il potere con il terrore, le stragi, il sangue e le guerre: anche dentro una
crepuscolare e fantasmatica luce di celeste distanza, come il regista immagina sia accaduto con Hirohito. Sokurov è
affascinato dall’aspetto quotidiano e banale del potere, dalla vita che Hitler, Lenin e l’imperatore conducono nelle loro stanze,
in una intimità che ne rivela l’incerta natura, le debolezze e la piccolezza. Cosa si dicevano Hitler ed Eva Braun nella villa
fortilizio di Berchtesgaden, di cosa chiacchieravano con Bormann e Goebbels mentre i camini di Auschwitz filmavano senza
sosta. Com’è il potere nella sua veste familiare, quando Eva Braun può prendere a calci il suo piccolo dittatore. Cosa si
dicevano, nel 1922, il moribondo e impotente Lenin e il rampante e sorridente Stalin. Cosa pensava Lenin nella sua lunga
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agonia, circondato da infermieri e spie. Sokurov è stregato dall’altra faccia delle cose. Dalla faccia nascosta della grande
storia, come dall’altra faccia di ogni esistenza celata dall’opacità di un volto. Guarda dietro le cose, si interroga sulla storia del
suo mondo, russo e sovietico, cerca rifugio nell’elegia, nell’incanto di un paesaggio nebbioso. Si immagina lo splendore
rifulgente del potere e la sua marcia cancrena. Nato in Siberia, vicino a Irkutsk nel 1951, ha diretto dal 1978 a oggi una
quindicina di film di finzione e una trentina di lavori di vario genere, documentari ed “elegie”. Cineasta affascinato dalla
leggerezza di ciò che è effimero e dalla pesantezza di ciò che è potente, sperimenta tecniche nuove, sa fondere immagini di
repertorio con altre di finzione, ama la vecchia Russia, per la quale prova compassione e rimpianto, si abbandona alla
commozione quando traccia i ritratti parentali di Madre e figlio (1997) e di Padre e figlio (2003). È stato Andrej Tarkovskij ad
aiutare il giovane Sokurov in difficoltà con le autorità sovietiche che non volevano saperne di lasciar circolare il suo primo
film, La voce solitaria dell’uomo, pronto nel 1978, uscito soltanto nel 1987. Formalismo, manierismo, intellettualismo, le
solite accuse. Stupide. Dopo la scomparsa di Tarkovskij, è Sokurov a continuare quel percorso di scavo e di preservazione di
tutto quello che ci viene alla mente quando pensiamo la parola Russia. Canti, salmodie ed elegie nella spettrale Elegia
sovietica (1989), nell’intensa Elegia moscovita (i989), nella lirica Elegia semplice (1990), con la lunga sequenza del
presidente lituano Landsbergis che suona il piano, nel vuoto della storia. Documentari commoventi come quello
sull’inaugurazione del monumento a Dostoevskij, a San Pietroburgo. Viaggi nell’arte e nella storia come in Arca russa (2002),
itinerario senza stacchi dentro il museo dell’Hermitage, tra personaggi che emergono dal passato e un ballo alla corte dello zar
che è sontuosa rievocazione, nostalgica meditazione e addio definitivo a un mondo inghiottito dalle nebbie del tempo. E
testimonianze amorevoli di affetto verso altri artisti, come il documentario che registra, senza commenti, un’esecuzione del
Requiem di Mozart (2004). Sokurov è astratto e realista, lirico e documentaristico, si volta nostalgicamente indietro per
rimanere ben dentro la tradizione ed è già tecnologicamente avanti (Scorsese l’ha definito «un pioniere nelle tecnologie»). Ci
ridà la sanguinaria pesantezza della storia, il rumore del tempo, l’elegiaca dolcezza di un attimo. Ci ricorda che «l’arte non è
mai vecchia o nuova, è semplicemente eterna». (Bruno Fornara, Film TV - 15/11/2005)
Il 15 agosto 1945, milioni di giapponesi ascoltarono per la prima volta la voce del loro divino imperatore, che ordinava a
militari e civili la cessazione delle operazioni belliche della seconda guerra mondiale. Più tardi, in un messaggio, rinunciò
pubblicamente alla propria natura divina. L’imperatore HiroHito voleva salvare il suo popolo, dopo la tragedia provocata dalle
bombe atomiche sganciate dagli americani su Hiroshima e Nagasaki. Salvò anche se stesso, resta il solo componente
dell’alleanza Hitler-Mussolini-HiroHito a non essere finito per morte violenta (scomparve vecchissimo nel 1989). Aleksandr
Sokurov, siberiano, 54 anni, oggi il massimo regista russo, narratore del crepuscolo di Hitler (Moloch) e di Lenin (Taurus),
ripercorre ne «Il sole» il crepuscolo di HiroHito, 124° discendente della Dea Sole Amaterasu’, e la strana amicizia che unì
l’imperatore al generale americano Douglas MacArthur, capo degli occupanti del Giappone vincitori della guerra.
E’ un film meraviglioso. Nella luce nebbiosa come il passato, descrive la vita quotidiana imperiale in un bunker (HiroHito
viene servito, vestito, nutrito, trattato con la rispettosa devozione dovuta all’incarnazione di Dio). Racconta le sue occupazioni
mentre il Paese va in rovina (ricerche idrobiologiche, conversazioni scientifiche sull’aurora boreale, contemplazione
nostalgica delle fotografie d’infanzia e delle immagini dei divi Charlie Chaplin, Mae West, Myrna Loy). Narra il suo scoprire
il nuovo mondo (cognac, cioccolato, la concessione del permesso di fotografarlo ai reporter militari, l’amorosissimo e
compassato ritrovare la moglie). La grande regia di Sokurov, la sua attenzione esatta e insieme compassionevole, condensano
il declino di un potere assoluto, il coraggio intelligente di un capo, il tramonto di un’epoca: bellissimo. (Lietta Tornabuoni, La
Stampa - 23/11/2005)
Le notizie rimbalzano da Berlino in curiosa contraddizione fra loro. Da un lato, pare che in Giappone molti si siano offesi per
il film Il sole, diretto dal regista russo Aleksandr Sokurov; e che Issei Ogata, l’attore che interpreta l’imperatore Hirohito,
abbia ricevuto minacce di morte. Dall’altro, lo stesso Sokurov al Filmfest descrive Hirohito nelle interviste come un padre
della patria preoccupato dal destino dei suoi sudditi. O la seconda notizia è una mossa tattica per addolcire la prima, o
qualcosa non torna. Per capire di più, conviene partire dall’oggetto: che cos’è Il sole? Con questo film, Sokurov compone una
trilogia iniziata nel 1999 con Moloch e proseguita nel 2001 con Taurus. Il primo era un film su Hitler. Il secondo, su Lenin.
Quest’ultimo, come detto, su Hirohito. Tre giganti del ‘900, tre tiranni (anche se su Lenin molti continueranno a pensarla
diversamente). Nello svolgersi di questa trilogia (che nella filmografia di Sokurov è stata interpolata ad altri film, tra i quali il
suo più famoso: Arca russa, del 2002) il regista pietroburghese ha precisato e modificato i termini stilistici e politici del suo
approccio. Moloch era un film quasi astratto nel quale Hitler veniva colto al massimo del suo potere. Taurus giocava su
immagini altrettanto deformate, sembrava girato in un acquario, ma descriveva Lenin negli ultimi giorni della sua vita, malato
e ormai incapace di controllare la propria «creatura» (il nuovo stato sovietico). Il sole è, al confronto, un film realistico. Dal
punto di vista ideologico è il film-gemello di Taurus: anche Hirohito viene colto in un momento di crisi, la fine della seconda
guerra mondiale, la resa del Giappone agli americani. Dal punto di vista stilistico è diversissimo: meno sperimentale, più
intimo. L’uomo viene descritto come un imperatore in pantofole, che discute gli ultimi sussulti della guerra con ministri e
generali in preda a crisi di nervi. Soprattutto, è un imperatore che somatizza: il sonno e il cibo sono per lui, ormai, ingombri,
sofferenze; lo tiene in vita solo lo struggente desiderio di rincontrare moglie e figli, sfollati da Tokyo per motivi precauzionali.
Un maggiordomo lo accudisce cercando di tenere in vita fino all’ultimo gli assurdi, complicatissimi rituali dai quali è scandita
la vita del dio in terra. L’incontro con i militari americani venuti a trattare la sua resa è doloroso in modo fisico: Sokurov
riesce a farci sentire sulla pelle, e sullo stomaco, il senso di chiusura che le nuove restrizioni imporranno a Hirohito, eppure
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c’è un senso di liberazione, perché anche prima, nel fulgore del potere, tutto era, questo monarca assoluto, meno che un uomo
libero. Gli ambienti sono bui, claustrofobici, con luci soffuse e colori marci: è un mondo che si sta decomponendo
(esattamente come il Giappone martoriato dalle bombe americane) e che ricorda certi interni lividi e rossastri creati da David
Lynch. Anni fa, quando l’Urss ancora esisteva ma cominciava - appunto - a decomporsi, Sokurov ne aveva testimoniato la
fine in una serie di film denominati «Elegie». Erano un curiosissimo esperimento di cinema a cavallo tra finzione e
documento, con un uso del materiale di repertorio e una dilatazione dei ritmi narrativi che sembravano mescolare la lezione
(sovietica, e gioiosamente comunista) di Dziga Vertov con quella (sovietica, e dolorosamente mistica) di Andrei Tarkovskij.
Alcune di quelle Elegie erano dedicate a Boris Eltsin, che Sokurov aveva scelto come simbolo, diciamo così, della «fatica del
potere». Sappiamo bene quale discutibile personaggio sia stato in realtà Eltsin, esattamente come sappiamo quale noncurante
macellaio sia stato Hirohito. Il problema, naturalmente, è un altro: Sokurov non ci sta dando ritratti «realistici» di tiranni o
governanti (nemmeno Il sole, in fondo, lo è); ci sta invece raccontando un suo personalissimo viaggio filosofico nei dintorni
del potere, nel quale la paura si mescola alla compassione, l’indignazione alla solidarietà. C’è un nome per tutto ciò, ed è
molto «sovietico», paradossalmente - ma anche molto russo: fascino. In Russia, chi comanda può anche essere un sanguinario,
come Stalin o Ivan il Terribile, ma sarà anche (sempre!) un Piccolo Padre. È una contraddizione irrisolvibile, profondissima,
che spiega molte cose di quell’immenso e incomprensibile paese, e che Sokurov incarna meglio di chiunque altro. Il suo
Hirohito è un piccolo uomo sofferente che vorrebbe uscire dalla piega della storia, troppo grande per lui, in cui si trova
impelagato; ma è anche un tiranno. Per inciso, il film è bellissimo. Lo ha prodotto la Downtown Pictures di Marco Muller in
collaborazione con Raicinema e Luce, e sarà proprio il Luce, prima o poi, a distribuirlo. Tenetelo d’occhio: è la risposta
minimalista ad Alexander, le biografie dei grandi della storia andrebbero fatte così. (Alberto Crespi, L'Unità - 20/02/2005)
Come sono piccoli i grandi. Gli eroi dei libri di storia scendono dal piedestallo, nei film di Aleksandr Sokurov: prima Hitler e
Lenin, ora Hirohito, il divino imperatore del Giappone. Il sole ce lo mostra negli ultimi giorni della Seconda guerra mondiale,
mentre dal bunker del Palazzo imperiale assiste alla disfatta del suo Paese. Ma è come se se ne rendesse conto solo di tanto in
tanto: la riunione con i ministri è sì drammatica, ma poco dopo è già di ritorno alle sue vere passioni, in primo luogo la
biologia marina.
Un dio, per il suo popolo. Un povero uomo qualunque, per se stesso, costretto dalla tradizione a vestire panni che sembrano
assolutamente metterlo a disagio. I servitori che continuano a importunarlo con i loro formalismi, gli ossequi eccessivi; i figli
e la moglie mandati lontano, per sfuggire alle “bestie”americane. Giù, perché la prospettiva è rovesciata: tutto un mondo
crolla, e le rovine ancora fumanti di Tokio fanno da tragica quinta alle elucubrazioni dell’imperatore, convinto con i suoi che
non ci potrà più essere salvezza per il Giappone.
È il momento di un incontro con un altro “piccolo uomo”, il baldanzoso vincitore, il generale MacArthur. Le “bestie”, per lui,
sono ovviamente gli altri, gli attaccanti a tradimento di Pearl Harbor. I lunghi colloqui tra i due hanno qualcosa di surreale:
mentre sta finendo la più grande catastrofe vissuta dall’umanità, Hirohito trova forse qualcuno che, finalmente, potrà stano a
sentire mentre racconta le meravigliose caratteristiche del pesce gatto...
Sokurov entra sotto la superficie del mondo, nel retrobottega dei potenti: quel piccolo uomo che confessa di non essere mai
andato al cinema (ma guarda di nascosto un album di foto di divi hollywoodiani) assomiglia tanto, proprio tanto a Charlot. Ma
stavolta, purtroppo, non c’è nulla da ridere. (Luigi Paini, Il Sole-24 Ore - 28/11/2005)
Sokurov non alza mai il tono emotivo per produrre suggestioni inappropriate (usando per esempio requiem di cori bulgari, o il
silenzio o la furia o le lacrime), nel suo kammerspiel «in tonalità minore» e per un solo personaggio, Il sole. Non ne ha
bisogno perché la tetralogia storica che ha realizzato negli ultimi anni, siamo al terzo capitolo, ci parla di grandi culture vive
alla resa dei conti con gli individui che ne vollero forzare la natura, e che qualcuno ha torto a dare per cancellati dalla
globalizzazione. Conservatore per eccellenza, ma russo, Sokurov elogia, con perfidia e meraviglia esotica, il misterioso vicino
giapponese. Anche se lì attorno, siamo nel 1945, nel palazzo imperiale dove Hirohito, 124esimo discendente del dio del sole
Amaterasu, dorme, scrive, legge, cammina, la pulizia etnica di Nagasaki e Hiroshima e di circa il 75% delle città giapponesi
bruciate dai bombardieri, è già avvenuta. E mentre i domestici spiano scandalizzati la sua sovversiva deambulazione, e
qualche generale fa hara kiri, non solo si arrende, ma rinuncerà solennemente alla radio, il 15 agosto, alla sua essenza divina,
di figlio del Sole. Sessant'anni permettono di mettere la storia se non più a (ferro e) fuoco (come Sokurov ha fatto con Lenin)
certo in «formalina», come i crostacei samurai che Hirohito colleziona. Di arrivare meglio al senso oscuro e segreto delle
cose. L'imperatore che assomigliava a Chaplin, anche per i suoi frac demodè, che era darwinista convinto, biologo,
modernizzatore del paese (anche troppo?) viene colto nel silenzio assoluto dell'uomo che, avendo enormi responsabilità, ha
portato il suo Impero alla disfatta. Fiero e degno di rispetto, per Sokurov, anche se affiancò il militarismo totalitario,
l'aggressione dell'Asse nel Pacifico, i genocidi in Cina, Hirohito è ormai pronto alla resa e a simboleggiare l'unità di un altro
Giappone, benché abbia davanti a sé quel che appare un illetterato zoticone, il generale Douglas MacArthur. Sokurov
immerge il suo terzo protagonista gigante del novecento, dopo Hitler e Lenin, in un liquido amniotico, fatto di luci gelate, di
grigi e marroni dalle mille sfumature innaturali e esiziali. Ma Hirohito sopravvive anche a quelle. Che sia avvenuto poco
prima un fallito colpo di stato di irriducibili della guerra «fino all'ultimo essere vivente», non è detto. Che le leggi razziste Usa
contro l'emigrazione giapponesi del 1924 siano una scusa poco plausibile per l'attacco di Pearl Harbour, si saprà. Ma Sokurov,
che gira come un dio, e di queste cose se ne intende, restituisce al Giappone con questo Il sole, il suo figlio, il suo
«Amaterasu», solo travestito da persona qualunque. E se ne accorse Oshima giovane studente rivoluzionario quando assieme
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agli Zengakuren espose, venti anni dopo, striscioni all'università, ancora molto poco convinti della «convinzione» di quel
gesto illuminista. In fondo un dio può passeggiare nel campus, no? (Roberto Silvestri, Il Manifesto - 19/11/2005)
Si chiude con Il sole la trilogia iniziata da Moloch (1999) e seguita da Taurus (2001). Dopo Hitler e Lenin, tocca
all’imperatore giapponese Hirohito passare sotto il microscopio di Sokurov, entomologo del potere, incuriosito dai momenti
apparentemente meno rilevanti delle vite dei grandi. Proprio come l’imperatore, che studia la biologia marina nel suo
gabinetto scientifico. Qui siamo al momento della sua resa, tra il ‘45 e il 46, di fronte all’arrivo statunitense. Contro il volere
del suo popolo in guerra e della servitù, che gli oppone una cieca deferenza, l’imperatore rinuncia pubblicamente al proprio
scomodo status divino. Con l’appoggio del generale MacArthur, mette fine al conflitto tramite un appello radiofonico.
Avvolto nella consueta luce verdastra e in interni ovattati, dentro stanze chiuse ai grandi movimenti di massa della Storia
(evocati da ben dosati effetti speciali), l’uomo di potere, che non è mai entrato in un cinema, sogna i divi di Hollywood mentre
i fotografi lo immortalano per la prima volta. Sokurov ripete il miracolo di una precisa rarefazione del passato, sostenuto
dall’interpretazione camaleontica di uno ieratico, ossessivo lssey Ogata. Saggio riservato, figura chapliniana, poeta che sa che
il “tempo indifferente” cancella sia la neve dell’inverno che il fiore del ciliegio. (Raffaella Giancristofaro, Film Tv 29/11/2005)
Terzo capitolo della tetralogia sul potere (dopo l’Hitler di Moloch e il Lenin di Taurus) pensata, fotografata e diretta dal
grande regista turkmenopolacco Alexander Sokurov, Il sole affronta crepuscolo, caduta e rinascita dell’ultimo Tenno,
l’imperatore del Giappone Hirohito, 124mo discendente della dea sole Amaterasu. Il mite, malaticcio, studioso di idrobiologia
è raccontato in sei mesi cruciali, dal 15 agosto 1945 quando i suoi sudditi odono per la prima volta la voce del loro
Imperatore-Dio che li invita a cessare le operazioni militari contro gli Stati Uniti: una rinuncia alla sua natura divina che
contemporaneamente significò la salvezza per milioni di giapponesi disposti a morire per lui. Quasi tutto girato nella
claustrofobia e nel chiaroscuro di un bunker da cui si esce solo per raccontare, mirabilmente, l’incontro tra Hirohito (uno
straordinario Issey Ogata) e il generale MacArthur e quello con un gruppo di soldati yankee che battezzano quell’omino buffo
Charlie Chaplin, Il sole è una altissima riflessione sul peso imprevedibile del fattore umano nella gestione del potere. Ma
anche un film di tale perfezione formale da richiedere la definizione, oggi rarissima, di capolavoro. (Sandro Rezoagli, Ciak 15/11/2005)
"'Il Sole' del russo Alexandr Sokurov onora sino allo spasimo la sua scelta d'autore. Coprodotto dall'Italia (con lo zampino di
Marco Muller, direttore della Mostra), il film ricostruisce i colloqui dell'imperatore Hirohito con il generale americano
McArthur che precedettero la dichiarazione di resa del Giappone: l'incontro/scontro fra il simbolo divino del suo popolo e il
comandante in capo delle forze d'occupazione si sviluppa su tonalità preziosamente oniriche e intimamente lancinanti, del
tutto in grado di trasmettere la psicologia dei personaggi e, soprattutto, il senso della decisione di Hirohito di assumere
interamente su di sé le responsabilità dell'alleanza bellica col nazismo. L'attore Issey Ogata emerge, così, dall'oscurità della
storia con una forza degna di Orson Welles, in cui si mescolano onnipotenza feudale, stupore da bambino mai cresciuto,
umorismo da gentleman e abnegazione da patriota." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 18 febbraio 2005)
"Nelle geniali evocazioni di Sokurov la storia diventa un kammerspiel e gli eventi macroscopici trovano riscontro nella realtà
minimalista. Stupendamente interpretato da Issey Ogata, un noto attore il cui nome era stato tenuto segreto perché in
Giappone chi osa raffigurare il Tenno rischia il ferro dei fanatici, il protagonista si muove nell'ombra e nel silenzio del suo
bunker (la fotografia in stile 'ti vedo e non ti vedo' è dello stesso Sokurov), circondato dalla devozione degli accoliti, tutti
inchini e genuflessioni. Ben presto però scopriamo che questo manichino venerato e manipolato è un sensibilissimo essere
umano, poeta a tempo perso, serio ricercatore di biologia marina, capace di trascorrere ore sfogliando l'album di famiglia o
contemplando le foto dei divi di Hollywood. Proprio a uno di questi, Charlie Chaplin, lo paragonano gli scanzonati fotografi
in divisa chiamati a eternare la sua immagine. Perché Hirohito si muove con la dignità un po' buffa del grande clown e piace
anche al vincitore, il generale MacArthur, che lo salva dal finire alla sbarra come criminale di guerra." (Tullio Kezich,
'Corriere della Sera', 18 febbraio 2005)
"Si può fare Storia col Cinema? Certo, purché si faccia cinema appunto, non storia. Nel 'Sole', terzo capitolo della trilogia dei
tiranni dopo 'Taurus' (Lenin) e 'Moloch' (Hitler), Sokurov rievoca la capitolazione del Giappone e l'agosto 1945 con gli occhi
dell'imperatore Hirohito. (...) La fine di un'epoca insomma, e di una guerra spaventosa culminata nell'orrore di Hiroshima,
vista come in sogno. Il sogno di un artista, Sokurov, più che mai prezioso oggi che perfino 'La caduta' di Hitler diventa
materia da fiction tv." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 18 novembre 2005)
"'Il sole' di Alexander Sokurov, terzo capitolo di una tetralogia del potere dopo 'Moloch' (Hitler) e 'Taurus' (Lenin); e in attesa
di un Faust che il regista ha annunciato in questi giorni. Hirohito è colto nei quattro o cinque mesi che videro due eventi
cruciali: l'annuncio della resa agli Usa (15 agosto 1945) e quello (1 gennaio 1946) in cui il sovrano rinunciò alla condizione di
dio in terra. Nelle geniali evocazioni del cineasta russo la storia diventa un kammerspiel che riflette gli accadimenti
macroscopici nella dimensione di una poetica realtà minimalista. Stupendamente interpretato da Issey Ogata, un popolare
attore comico il cui nome nel corso della lavorazione era stato tenuto segreto perché in Giappone chi osa raffigurare il Tenno
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rischia il ferro dei fanatici, il protagonista si muove nell'ombra e nel silenzio delle catacombe del palazzo imperiale,
circondato dalla devozione degli accoliti, tutti inchini e genuflessioni. (...) All'ultima Berlinale, dove 'Il sole' fu molto
apprezzato pur non ottenendo alcun riconoscimento, i critici tedeschi non mancarono di rilevare le differenze fra il
borghesissimo semidio giapponese e il suo 'bunkerkollege Adolf', tenuto conto che tutti e due trascorsero annidati in un
sotterraneo i giorni cruciali del conflitto che avevano scatenato. Se Chaplin strappò molte risate incarnando Hitler, che in tutti
gli altri film è una figura inquietante e tragica, qui Sokurov propone a sorpresa un Hirohito non privo di sfumature
umoristiche. Forse l' idea è nata dalla constatazione di MacArthur che i giapponesi vinti si presentarono come un popolo di
bambini, inconsapevoli dei loro errori e delle crudeltà perpetrate. In realtà questa rassicurazione assolutoria, intesa a
cancellare l'odio antinipponico diffuso dalla propaganda bellica, fu dovuta alla necessità di assicurarsi in Asia un forte alleato
nel confronto con la crescente potenza cinese." (Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 19 novembre 2005)
"Incapace di morire per qualcuno, dunque anche di vivere per qualcosa, Sokurov riduce l'immensa figura mistica
dell'imperatore-Dio alla sua esigua figura fisica. Crede di spiegare tutto come un equivoco. Invece, ancora una volta, non
capisce. Peggio: ancora una volta annoia." (Adriano De Carlo, 'Il Giornale', 25 novembre 2005)
"Coprodotto dall'Italia (con lo zampino di Marco Muller, direttore della Mostra di Venezia), 'Il Sole' di Aleksandr Sokurov
onora sino allo spasimo la sua cifra minimalista. (...) 'Il Sole' costituisce - dopo 'Moloch' (Hitler) e 'Taurus' (Stalin) - il terzo
capitolo di una tetralogia sul potere che il regista russo suggellerà con l'annunciato 'Faust': l'intellettualismo di base e la
catalettica lentezza vengono mitigati dalle doti di un cinema da camera in grado di trasferire gli esterni della storia negli
interni di una psicologia. Il leitmotiv più sorprendente dell'excursus su Hirohito è che il potere non coincide con aggressività e
lotta, come avveniva per le altre due figure: il Tenno è un ometto sensibile alla lirica, appassionato di micologia e dei divi di
Hollywood, sempre pronto, però, a incarnarsi in semidio indifferente ogni qualvolta lo esigono la devozione degli accoliti e la
venerazione del popolo." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 26 novembre 2005)
La più recente pellicola di Aleksandr Sokurov, in concorso all’ultimo Festival di Berlino, chiude la trilogia dedicata al potere,
alle dittature, al totalitarismo del secolo scorso. Un progetto iniziato nel 1999 con il ritratto di Adolf Hitler in “Moloch” e
preseguito tre anni dopo con Lenin in “Taurus”. Ognuno di questi film possiede peculiarità differenti. Figure scolpite
attraverso profondi paradossi, sbeffeggiate, rese a volte attraverso connotati infantili, pazzi, paranoici.
L’attenzione di Sokurov è ora rivolta verso una figura insolita rispetto alle altre due: l’imperatore del giappone Hiro Hito, dio
in terra, centoventesimo della dinastia. Un personaggio non proprio prossimo alla morte (governerà il paese ancora per
quarant’anni), ma analizzato partendo dal momento preciso nel quale inizia a perdere quella sua aura di divinità, quel sole che
ne caratterizza la luce e lo spessore. Nel caso di Hiro Hito, il potere non è, come avveniva per le altre due figure, aggressività
e lotta. L’imperatore giapponese non è un soldato, né un generale, né un comandante. E’ semplicemente un piccolo scienziato,
interessato al dettaglio del cosmo, paziente, quasi indifferente rispetto a ciò che sta accadendo all’esterno.
Sokurov si muove attraverso due spazi contigui: l’esterno, con una città distrutta, a terra, priva di luce; e l’interno, il bunker
illuminato a crepuscolo. Caos e ordine. Il rito della distruzione di massa, delle bombe che lacerano la carne, e il rigore di un
cerimoniale composto, brillante: inchini e saluti rispettosi. Alla fine, quando l’esterno sembra essere caduto il vincitore, il
generale MacArthur, incontra l’imperatore all’interno del palazzo. Dapprima freddo nel suo rigido ruolo da colonizzatore,
riesce mano a mano a capire il suo avversario/non avversario, attraverso la massima contraddizione che lo vuole uomo di pace
nonostante i massacri dei suoi generali.
Il regista sceglie di ritrarre l’imperatore nelle uniche due volte in cui parla ai sudditi: 15 agosto 1945, per comunicare la resa
agli americani, cercando di evitare inutili spargimenti di sangue; e il 1° gennaio 1946, quando rinunciò alla sua aura di dio in
terra, per salvare migliaia di uomini pronti ad immolarsi per lui. Alla fine lo stesso generale americano lo difese impedendo
l’incriminazione come criminale. Regnerà ancora per molti decenni, ma sottratto del suo essere dio.
Un film forte, claustrofobico, coraggioso. Uno dei migliori film del regista turkmeno-polacco. (www.fice.it)
Note:
-BERLIN INTERNATIONAL FILM FESTIVAL 2005
Nominated Golden Berlin Bear: Aleksandr Sokurov
- TERZO CAPITOLO DELLA TRILOGIA SUL POTERE REALIZZATA DA SOKUROV CHE COMPRENDE
'MOLOCH' (1999) E 'TAURUS' (2001).
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