Scudo fiscale-ter

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Scudo fiscale-ter
Scudo fiscale-ter
20 luglio 2009
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Introduzione
Nella giornata di mercoledì 15 luglio 2009 è stato presentato dal Governo un emendamento (pubblicato il giorno
successivo sulla stampa specializzata) al decreto legge n. 79/2009 (già commentato nella nostra comunicazione del 30
giugno 2009), con il quale si prevede l’introduzione di un nuovo “scudo fiscale”.
Tale disciplina presenta, da un lato, numerose analogie con i similari provvedimenti di sanatoria introdotti nel 2001,
2002 e 2003, cui il nuovo provvedimento fa peraltro esplicito ed ampio rinvio, dall’altro prevede alcuni elementi di
novità, alcuni dei quali resisi necessari per ottenere il via libera dell’Unione Europea, cui è subordinata l’efficacia dello
scudo fiscale.
L’introduzione della nuova versione dello scudo fiscale accompagna le disposizioni di contrasto alla detenzione di
attività all’estero, già previste dall’art. 12 del D.L. n. 79/2009 il quale prevede che:
i) gli investimenti e attività detenuti negli Stati o territori black-list in violazione degli obblighi in materia di c.d.
monitoraggio fiscale si presumono, salvo prova contraria, costituiti mediante redditi sottratti a tassazione;
ii) le sanzioni per omessa o infedele dichiarazione di cui all’art. 1 del D.Lgs. n. 471/1997 sono raddoppiate.
Nei paragrafi che seguono, vengono dapprima tratteggiati gli elementi essenziali di questa sanatoria e poi discussi più
nel dettaglio i profili applicativi.
A questo proposito, è appena il caso di ricordare che, trattandosi di un emendamento presentato alle commissioni
Finanze e Bilancio della Camera, esso potrà subire nel corso del dibattito parlamentare modifiche, anche significative.
Per una valutazione complessiva del provvedimento occorrerà quindi attendere il testo definitivo licenziato dalle
Camere, cosa che avverrà, presumibilmente, nei primi giorni di agosto. Un monitoraggio precoce del provvedimento è
comunque necessario al fine di valutare le azioni da intraprendere in vista di una eventuale adesione.
1. Sintesi della disciplina
In estrema sintesi, l’istituendo scudo fiscale offre a soggetti (diversi dalle società commerciali) che detengono attività
all’estero in violazione della disciplina sul monitoraggio fiscale (principalmente l’obbligo di indicazione nel quadro RW
della dichiarazione dei redditi) la possibilità di regolarizzare la propria posizione ai fini fiscali e contributivi presentando
una dichiarazione di emersione in via riservata ad un intermediario autorizzato e pagando una imposta straordinaria pari
al 5% del valore delle attività irregolarmente detenute all’estero.
E’ possibile beneficiare dello scudo per le attività già detenute all’estero almeno al 31 dicembre 2008: non possono
quindi essere “scudati” i capitali trasferiti o acquisiti direttamente all’estero a partire dal 2009.
Il rimpatrio o la regolarizzazione potrà essere effettuata a partire dal 15 settembre 2009 e fino al 15 aprile 2010.
Le attività detenute in Paesi UE potranno essere, a scelta del contribuente, rimpatriate (e quindi trasferite in Italia)
ovvero regolarizzate e mantenute all’estero, mentre quelle detenute in Paesi extra UE dovranno essere obbligatoriamente
rimpatriate.
* * *
Di seguito forniamo, anche alla luce dei chiarimenti già forniti dall’Agenzia delle Entrate con riferimento agli analoghi
strumenti in vigore per gli anni 2001-2003, alcune indicazioni e considerazioni sui vari requisiti richiesti dalla norma.
2. Ambito soggettivo
I soggetti che hanno accesso allo scudo fiscale sono individuati con rinvio all’art. 11 del D.L. 350/2001 (c.d. “primo
scudo fiscale”). Si tratta quindi: delle persone fisiche, degli enti non commerciali, delle società semplici e delle
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associazioni a queste equiparate ai sensi dell’art. 5 del TUIR1 (ad esempio associazioni professionali), fiscalmente
residenti in Italia. Restano pertanto escluse le società commerciali, sia di persone che di capitali.
La residenza in Italia deve essere intesa nella accezione fiscale di cui all’art. 2 del TUIR. A questi fini, quindi, si
considerano residenti in Italia, salvo prova contraria, anche i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione
residente e trasferiti in Paesi black-list. Sembra utile rilevare che l’accertamento del requisito della residenza fiscale non
coinvolge la responsabilità dell’intermediario, al quale non compete alcun obbligo di verifica della sussistenza di tali
requisiti.
Tale requisito deve essere soddisfatto dal contribuente nel periodo d’imposta in cui presenta la dichiarazione riservata.
L’Agenzia delle Entrate, con riferimento alla precedente edizione dello scudo, ha peraltro chiarito (C.M. n. 24/E del
13/3/2002) che possono accedere allo scudo fiscale anche coloro che, pur non risultando residenti in Italia alla data di
presentazione della dichiarazione di emersione, acquisiscano la residenza fiscale in Italia successivamente a tale data,
purché comunque nel corso del medesimo periodo di imposta.
3. Le attività “scudabili”
Possono essere oggetto di rimpatrio/regolarizzazione: (i) attività finanziarie (quindi, oltre al denaro, azioni, quote di
società non rappresentate da azioni, titoli obbligazionari, certificati di massa, quote di partecipazione a organismi
collettivi di investimento, finanziamenti esteri, ecc.) e (ii) attività patrimoniali (es. proprietà immobiliari, opere d’arte,
gioielli, imbarcazioni).
Si tratta di attività che possono essere state esportate dall’Italia, ovvero costituite direttamente al di fuori del territorio
dello Stato a fronte, ad esempio, del conseguimento di un reddito erogato direttamente all’estero.
Le attività detenute all’estero alla data del 31 dicembre 2008 possono anche differire, dal punto di vista qualitativo, da
quelle effettivamente rimpatriate ed indicate nella dichiarazione di emersione. Ad esempio, è possibile che al 31
dicembre 2008 fossero detenuti all’estero titoli successivamente ceduti e, pertanto, si potrà effettuare la regolarizzazione
delle disponibilità liquide ricavate dalla cessione ovvero dei titoli acquistati a seguito del precedente disinvestimento
(C.M. 99/E del 4 dicembre 2001).
E’ stato osservato che l’obbligo di compilazione del quadro RW (rientrante tra gli adempimenti previsti dalla disciplina
sul monitoraggio fiscale) è sempre richiesto per le attività finanziarie estere (a meno che non siano affidate in gestione o
in amministrazione ad intermediari italiani) mentre per le altre attività patrimoniali (es. immobili) è richiesto solo se
queste sono suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia. Ci si è quindi chiesti se, ad esempio, un immobile non
locato detenuto in un Paese che non preveda la tassazione figurativa della rendita dello stesso possa beneficiare dello
scudo fiscale, non essendovi stata, in questo caso, una violazione degli obblighi sul monitoraggio fiscale2 A questo
riguardo, con riferimento alla prima formulazione dello scudo, l’Agenzia delle Entrate (C.M. 9/E/2002) ha chiarito che
la circostanza che l’immobile non sia produttivo di reddito (né effettivo, né figurativo) non impedisce l’accesso per lo
stesso allo scudo fiscale, essendo peraltro ben possibile che l’immobile derivi dal reinvestimento di attività finanziarie
illegittimamente costituite all’estero, ed essendo quindi l’esclusione dalla sanatoria potenzialmente discriminatoria.
Riteniamo che la medesima indicazione possa ritenersi valida anche per la nuova versione dello scudo.
Ulteriori dubbi si pongono con riferimento a talune attività patrimoniali detenute in Paesi extra UE (su cui vedi infra).
Sembra utile ricordare che benché l’accesso allo scudo fiscale sia possibile qualora siano state commesse violazioni
relative alla disciplina del monitoraggio fiscale, possono tuttavia essere regolarizzate anche quelle attività per le quali
non è ancora iniziato a decorrere il termine di accertamento delle violazioni di tali disposizioni e non sia scaduto il
termine per la presentazione della dichiarazione (C.M. 9/E/2002). Ad esempio, possono essere scudate anche le attività
acquisite all’estero nel corso del 2008, per le quali, quindi, non sono ancora scaduti i termini dichiarativi.
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Per TUIR si intende il D.P.R. 917/1986, nella versione attualmente vigente.
Ai sensi dell’art. 70, comma 2 del TUIR, per i fabbricati non locati e non assoggettati a tassazione su base figurativa nel Paese
estero non è prevista la tassazione in Italia e, quindi, l’inclusione nel quadro RW della dichiarazione.
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4. La detenzione di attività all’estero tramite soggetti interposti
E’ possibile far emergere attività detenute all’estero anche per il tramite di interposta persona o intestate a società
fiduciarie.
Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha affermato il principio secondo cui se la società estera è un soggetto fittiziamente
interposto (dovendosi ritenere che lo schermo societario è meramente formale) la titolarità dei beni è riconducibile al
socio residente in Italia, il quale potrà effettuare il rimpatrio o la regolarizzazione dei beni intestati alla società,
superando lo schermo societario.
Se invece l’interposizione della società non può essere considerata fittizia, sarà possibile regolarizzare la detenzione
della partecipazione nella società estera (qualora, naturalmente, questa sia detenuta in violazione delle norme sul
monitoraggio).
L’Agenzia delle Entrate (C.M. 99/E/2001) ha chiarito che in merito alla nozione di “interposta persona” la questione
non può essere risolta in modo generalizzato, ma occorre un esame caso per caso, essendo direttamente connessa alle
caratteristiche e alle modalità organizzative del soggetto interposto. A titolo esemplificativo, sono stati considerati
soggetti interposti: una società localizzata in un Paese black-list, non soggetta ad alcun obbligo di tenuta delle scritture
contabili, in relazione alla quale lo schermo societario sia meramente formale; il trust revocabile (in cui il titolare va
identificato nel settlor); il trust non discrezionale, nei casi in cui il titolare può essere identificato nel beneficiario.
Analogamente, è stata affermata la possibilità di regolarizzare anche attività che soggetti residenti in Italia detengano in
Italia per il tramite di società o di altri soggetti interposti non residenti.
5. Modalità di effettuazione della emersione
L’emersione delle attività detenute all’estero può avvenire, in linea di principio, secondo due modalità alternative. E’
possibile rimpatriare le attività, trasferendole quindi in Italia, ovvero regolarizzare le stesse, sanando la posizione fiscale
e contributiva del contribuente, ma mantenendo le attività all’estero.
Entrambe le modalità sono liberamente disponibili per le attività detenute in Paesi UE (salvo naturalmente talune attività
patrimoniali, quali ad esempio gli immobili, per le quali il rimpatrio non è operativamente praticabile), mentre è previsto
che le attività detenute in Paesi extra UE debbano obbligatoriamente essere rimpatriate.
Operativamente, i soggetti interessati devono presentare agli intermediari autorizzati (i.e. banche italiane, società di
intermediazione mobiliare di cui all’art. 1, comma 1, lettera e) del testo D.Lgs. 58/1998, società di gestione del
risparmio di cui all’art. 1, comma 1 lettera o) del D.Lgs. 58/1998, limitatamente alle attività di gestione su base
individuale di portafogli di investimento per conto terzi, società fiduciarie di cui alla L. 1966/1939, agenti di cambio
iscritti nel ruolo unico previsto dall’art. 201 del D.Lgs. 58/1998, Poste Italiane S.p.A., stabili organizzazioni in Italia di
banche e di imprese di investimento non residenti) una dichiarazione delle attività detenute all’estero, secondo modalità
che saranno definite da un emanando provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate.
L’art. 13, comma 1 del D.L. 350/01, specificamente richiamato dall’emendamento in commento, prevede che nella
dichiarazione di rimpatrio il contribuente attesti che, nel caso di specie, le attività erano detenute all’estero almeno alla
data del 31 dicembre 2008. La falsa attestazione in merito alla detenzione all’estero di tali attività alla data indicata è
punita con la reclusione da tre mesi a un anno. Va peraltro rilevato che analoga attestazione non è prevista in caso di
mera regolarizzazione delle attività che vengano mantenute all’estero.
Gli intermediari finanziari che intervengono nel processo di applicazione dello scudo devono assicurare la riservatezza
della procedura di rimpatrio: a questo proposito è fatto loro divieto di comunicare all’Amministrazione finanziaria dati o
notizie relativi alle dichiarazioni riservate, sia al momento del rimpatrio, sia nelle fasi successive. Tale regime di
riservatezza viene meno solo in taluni limitati casi, esplicitamente previsti dalla norma, quali l’avvio di procedimenti
penali, accertamenti per finalità di prevenzione di natura patrimoniale, attività di contrasto del riciclaggio e di altri reati.
La riservatezza si estende anche ai futuri rendimenti delle attività scudate nonché ai capital gains realizzati in sede di
successiva cessione, purchè tali redditi siano assoggettati a tassazione definitiva tramite ritenuta alla fonte a titolo
d’imposta o ad imposta sostitutiva da parte dell’intermediario depositario o da altri sostituti d’imposta (restano quindi
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esclusi dal regime della riservatezza taluni redditi di capitale da assoggettare a tassazione nell’ambito della dichiarazione
dei redditi, quali ad esempio i proventi dei fondi comuni non armonizzati o i dividendi relativi a partecipazioni
qualificate in soggetti non residenti ovvero a partecipazioni ricadenti nell’ambito della disciplina c.d. CFC di cui agli
articoli 167 e 168 TUIR). La riservatezza viene inoltre mantenuta anche in caso di trasferimento ad altri intermediari
delle attività depositate nei conti secretati. In caso di prelievi dal conto secretato – al di fuori del trasferimento di cui
sopra operato a favore di altro intermediario - si realizza una riduzione permanente dell’ammontare sul quale opera il
regime della riservatezza, senza possibilità di reintegro della consistenza originaria.
Da rilevare, inoltre, che tale regime non si estende a soggetti diversi dal contribuente che aderisce allo scudo. Pertanto,
in caso di conti cointestati con soggetti che non abbiano presentato la dichiarazione riservata, il conto non può usufruire
della segregazione neanche per eventuali richieste di informazioni riguardanti il soggetto che ha presentato la
dichiarazione riservata (C.M. 24/E del 13/3/2002).
Analoga riservatezza non è invece garantita in caso di regolarizzazione (senza rimpatrio), per la quale è previsto che
l’intermediario che riceve la dichiarazione di emersione deve effettuare le rilevazioni previste dalla disciplina sul
monitoraggio fiscale relativamente alle attività regolarizzate, sebbene nelle circostanze non si verifichi alcun
trasferimento da o verso l’estero, e comunicare tali informazioni all’Amministrazione finanziaria, la quale, quindi, verrà
a conoscenze dei dati relativi al contribuente ed alle attività regolarizzate.
Contestualmente alla presentazione della dichiarazione, i contribuenti, in caso di rimpatrio, devono conferire
all’intermediario l’incarico di ricevere in deposito le attività estere, ovvero, in caso di regolarizzazione, accompagnare la
dichiarazione con una certificazione rilasciata dall’intermediario non residente con la quale si attesti che le attività
regolarizzate sono costituite in deposito presso l’intermediario stesso.
L’adesione allo scudo fiscale si perfeziona con il versamento dell’imposta sostitutiva. A differenza dei similari
provvedimenti adottati negli anni 2001-2003, l’emendamento in commento prevede che l’imposta sostitutiva sia
calcolata:
i) su di un rendimento lordo presunto del 2% per i cinque anni precedenti il rimpatrio o la regolarizzazione, senza
possibilità di scomputo di eventuali perdite,
ii) con aliquota del 50% per anno, comprensiva di interessi e sanzioni e senza diritto allo scomputo di eventuali
ritenute o crediti.
Nella sostanza, quindi, l’imposta sostitutiva è determinata in misura pari al 5% del valore delle attività regolarizzate (2%
x 50% x 5 anni). Tale modalità di computo dell’imposta, commisurata ai rendimenti, è stata adottata allo scopo di
superare il vaglio della UE: qualora l’imposta fosse stata direttamente commisurata al valore delle attività, infatti, si
sarebbero posti problemi di coordinamento con il principio di libera circolazione dei capitali previsto dal Trattato UE.
Per la stessa ragione non è stata prevista (diversamente da quanto fatto nella versione originaria dello scudo) la
possibilità di utilizzare i capitali rimpatriati per la sottoscrizione di speciali titoli di Stato o prestiti da destinare a finalità
specifiche, quali la ricostruzione nelle aree terremotate in Abruzzo: anche in questo caso, infatti, si sarebbe incorsi in
una probabile censura della UE per discriminazione a favore di tali titoli di Stato. L’unica modalità di assolvimento
dell’imposta sostitutiva è, quindi, rappresentata dal versamento in denaro.
Il valore cui commisurare l’imposta sostitutiva è quello indicato dal contribuente nella dichiarazione di emersione. Con
riferimento alle attività non monetarie, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che tale valore non può in ogni caso
superare il valore normale di cui all’art. 9 TUIR (C.M. 99/E/2001) ed ha suggerito, benché ciò non sia richiesto dalla
norma, di ricorrere ad una perizia di stima in assenza di riferimenti di mercato (C.M. 9/E/2002).
Alcune osservazioni:
Al momento, l’obbligo di rimpatrio delle attività detenute in Paesi extra UE rappresenta la novità di maggior rilievo
del nuovo scudo fiscale rispetto alle versioni degli anni precedenti ed è la fonte dei maggiori dubbi interpretativi.
In primo luogo si può osservare che il diverso trattamento applicabile a seconda del luogo di detenzione delle
attività potrebbe comportare qualche censura in ambito comunitario in merito ad una possibile violazione del
principio di libertà di circolazione dei capitali previsto dal Trattato UE. Ciò sembra particolarmente rilevante posto
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che, come affermato dallo stesso Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, “prima di diventare legge, lo scudo
fiscale deve avere il via libera dell’UE”.
Anche a voler prescindere da questo, un primo interrogativo si pone in merito alla possibilità di sanare la detenzione
di talune attività patrimoniali detenute in Paesi extra UE. Sembrerebbe, infatti, che in questo caso potrebbero restare
escluse dalla sanatoria tutte quelle attività, quali ad esempio gli immobili, che per loro natura non possono essere
trasferite in Italia. Tale effetto non sembrerebbe del tutto coerente con la finalità della norma, che è comunque
quella di fare emergere attività sconosciute al fisco italiano. Si potrebbe certamente procedere alla vendita
dell’attività detenuta all’estero ed alla successiva regolarizzazione delle somme ottenute dalla cessione. Ciò,
tuttavia, sembrerebbe aggravare i problemi di coerenza della disciplina con i principi del Trattato UE. Così pure,
secondo alcuni, sarebbe possibile prevedere il conferimento dell’asset in una società e procedere alla
regolarizzazione delle quote o azioni di quest’ultima, ma questo presuppone una interpretazione estensiva della già
ampia lettura data dalla Amministrazione al requisito della detenzione alla data del 31 dicembre 2008; e così pure
potrebbero sorgere problematiche interpretative derivanti dalla natura fittizia o meno dello schermo societario
interposto, con conseguente ed eventuale obbligo di riferire la regolarizzazione all’asset sottostante ed eventuali
dubbi sulla possibilità di ritenere risolta la questione del rimpatrio.
Ma interrogativi simili si pongono anche con riferimento a talune attività finanziarie detenute in Paesi extra UE, per
le quali il rimpatrio (come detto obbligatorio) potrebbe essere difficoltoso o per via di eventuali limitazioni al
trasferimento o per via della inefficiente tassazione delle attività in Italia nella fase successiva alla regolarizzazione
Si pensi ad esempio ad investimenti in strumenti finanziari non armonizzati, quali hedge fund o altri fondi esteri
(soggetti a tassazione in base alla aliquota progressiva Irpef), o ancora a partecipazioni in società localizzate in
paesi black-list e soggette al regime di tassazione per trasparenza dei relativi redditi ex normativa c.d. CFC (artt.
167 e 168 TUIR) ovvero ad investimenti in titoli non facilmente liquidabili, come talune obbligazioni strutturate.
Anche in questi casi il rimpatrio potrebbe essere effettuato previa cessione degli strumenti finanziari che tuttavia
potrebbe non essere agevole In questi casi, quindi, la valutazione dell’opportunità di aderire allo scudo fiscale
richiederà un esame preventivo della tipologia degli strumenti finanziari detenuti, della loro localizzazione e dei
termini e costi di una eventuale vendita degli stessi.
Va peraltro osservato che l’opzione della vendita potrebbe porsi anche con riferimento ad attività finanziarie
detenute in Paesi UE (si pensi a titolo di esempio a partecipazione in holding del 1929 lussemburghese soggetta alla
disciplina CFC).
Ulteriori dubbi emergono anche in merito alla modalità di computo dell’imposta sostitutiva nel caso in cui le attività
siano state detenute all’estero per un periodo inferiore ai 5 anni. Non è chiaro, infatti, se sia possibile/necessario
ricostruire tutte le movimentazioni intercorse nel periodo di detenzione e calcolare i rendimenti presunti solo sulle
giacenze effettive. Sembrerebbe tuttavia che il meccanismo disegnato nell’emendamento non richieda (né
probabilmente consenta) tale analisi: l’imposta dovrebbe essere quindi commisurata all’ammontare delle attività
rimpatriate, come risultanti dalla dichiarazione riservata, indipendentemente dalla loro precedente movimentazione.
6. Trattamento fiscale dei redditi derivanti dalle attività finanziarie rimpatriate
I proventi conseguiti relativamente alle attività oggetto di emersione a partire dal 1 gennaio 2009 dovranno essere
assoggettati a tassazione in capo al contribuente residente.
Per le attività finanziarie oggetto di rimpatrio, la tassazione di tali redditi può essere effettuate secondo due metodi
distinti: analitico o presuntivo, applicabili eventualmente per comparti di attività.
Il metodo analitico comporta la determinazione dei redditi effettivamente conseguiti dal 1 gennaio 2009 e fino alla data
di presentazione della dichiarazione di emersione e l’assoggettamento a tassazione da parte del contribuente secondo le
regole applicabili a ciascuna tipologia di attività, nell’ambito della propria dichiarazione dei redditi.
In alternativa il contribuente ha la facoltà di comunicare all’intermediario presso il quale sono depositate le attività
rimpatriate l’ammontare di tali redditi e di richiedere che gli stessi siano assoggettati a tassazione dall’intermediario
come se questi li avesse già detenuti in deposito. Tale modalità di tassazione può quindi trovare applicazione per quei
redditi per i quali è ordinariamente prevista la tassazione sostitutiva a cura dell’intermediario (ne restano quindi esclusi,
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ad esempio, le plusvalenze relative a partecipazioni qualificate, che dovranno essere tassate dal contribuente nella
propria dichiarazione dei redditi o talune tipologie di fondi). L’Agenzia delle Entrate ha inoltre precisato (C.M. 25/E del
30 aprile 2003) che le plusvalenze realizzate, nel caso di specie, dopo il 1 gennaio 2009 possono essere compensate con
eventuali minusvalenze realizzate nell’ambito di un rapporto di amministrazione già esistente presso il medesimo
intermediario prima del rimpatrio e, in ogni caso, prima della realizzazione della plusvalenza stessa, a condizione che
ciò sarebbe stato ammesso nel caso in cui le attività rimpatriate fossero state sin dall’inizio oggetto di deposito.
Con il metodo presuntivo, invece, in luogo dei redditi effettivi realizzati dal 1 gennaio 2009 al momento di
presentazione della dichiarazione di emersione, viene assoggettato a tassazione un reddito forfetario determinato in
misura corrispondente al tasso ufficiale medio di sconto (ora denominato tasso di riferimento) in vigore nel periodo
d’imposta. In particolare, il rendimento presuntivo verrà determinato applicando il tasso così determinato al valore che
le attività oggetto di rimpatrio avevano al 31 dicembre 2008 (come indicato nella dichiarazione di emersione). Tale
rendimento verrà assoggettato a tassazione con un’imposta sostitutiva del 27% applicata a cura dell’intermediario.
Per i redditi relativi ad attività oggetto di regolarizzazione, invece, è prevista un’unica modalità di tassazione,
consistente nell’assoggettamento dei redditi effettivi (con esclusione quindi del metodo presuntivo) a cura del
contribuente nell’ambito della propria dichiarazione dei redditi.
Alcune osservazioni:
Ai fini della determinazione dei redditi derivanti dalle attività finanziarie rimpatriate per i quali venga chiesta la
tassazione a cura dell’intermediario, è previsto che il costo fiscalmente riconosciuto dell’attività (rilevante ai fini
della determinazione della plus/minusvalenza realizzata in sede di cessione) è possibile assumere alternativamente:
a) il costo di acquisto, come risultante dalla relativa documentazione; ovvero, in mancanza della documentazione di
acquisto, b) il valore fornito all’intermediario mediante un’apposita dichiarazione sostitutiva; c) l’importo indicato
nella dichiarazione di emersione.
In caso di attività regolarizzate, è previsto che si producano, salvo specifiche esclusioni puntualmente indicate, i
medesimi effetti previsti in caso di rimpatrio. Si dovrebbe quindi ritenere che anche per le attività regolarizzate e
mantenute all’estero il costo fiscalmente riconosciuto da assumere ai fini della determinazione dei redditi realizzati
successivamente al 1 gennaio 2009 possa essere determinato, in mancanza della documentazione relativa
all’acquisto, facendo riferimento al valore indicato nella dichiarazione di emersione.
Permane qualche incertezza in merito alla modalità di computo della plusv/minusvalenza fiscalmente rilevante
realizzata successivamente al 1 gennaio 2009, nel caso in cui si sia in possesso della documentazione di acquisto ed
il valore di acquisizione sia inferiore rispetto a quello determinato con riferimento al 31 dicembre 2008 ed oggetto
di emersione. Infatti in questo caso si dovrebbe osservare che la plusvalenza latente al 31 dicembre 2008 è già stata
assoggettata a tassazione (nell’ambito della regolarizzazione) e quindi la plusvalenza realizzata dovrebbe essere
determinata assumendo come costo fiscale quello indicato nella dichiarazione di emersione. Diversamente si
avrebbe una doppia tassazione dello stesso reddito che non sarebbe coerente con i principi generali del TUIR né con
la situazione in cui la documentazione relativa all’acquisto non fosse disponibile.
Il trattamento fiscale applicabile a tali redditi è particolarmente rilevante, ad esempio, anche ai fini della valutazione
dell’opportunità di smobilizzo di taluni investimenti esteri in vista dell’adesione allo scudo fiscale: si pensi ad
esempio a fondi non armonizzati che si pensasse di cedere nel corso del 2009 per poi “scudare” la liquidità
conseguita dalla vendita. Nel caso in cui i fondi siano stati acquistati ad un prezzo significativamente più basso
rispetto al valore degli stessi al 31 dicembre 2008, il costo (e la convenienza) dell’operazione sarebbe diverso a
seconda che si assuma come costo fiscalmente riconosciuto quello di acquisto o quello al 31 dicembre 2008.
7. Effetti dell’emersione
L’adesione allo scudo fiscale preclude ogni attività di accertamento tributario e contributivo nei confronti del dichiarante
e dei soggetti solidalmente obbligati per le annualità per le quali, alla data di entrata in vigore del provvedimento, non
siano ancora decorsi i termini di accertamento e limitatamente agli importi regolarizzati da intendersi a questi fini,
ragionevolmente, come i valori attribuiti alle attività oggetto di sanatoria nella dichiarazione di emersione. In particolare
vengono estinte le sanzioni amministrative, tributarie e previdenziali ed i reati di omessa o infedele dichiarazione.
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Restano, invece, punibili (salvo alcuni dubbi di cui si dirà in seguito) tutti gli altri reati (come, ad esempio, il falso in
bilancio, che era invece sanato in una prima stesura dell’emendamento).
Gli effetti estintivi prodotti dall’adesione allo scudo fiscale si producono anche per le sanzioni relative alla violazione
delle disposizioni previste dalla disciplina sul monitoraggio fiscale. A questo riguardo ricordiamo che il D.L. 79/2009
prevede il raddoppio di tali sanzioni, la cui misura sarà compresa tra il 10% ed il 50%. Lo stesso decreto prevede,
invece, l’eliminazione della confisca dei beni per un valore corrispondente a quello non dichiarato, nel caso di specie,
nel quadro RW. Tale abrogazione dovrebbe rendersi applicabile anche agli illeciti compiuti prima della modifica
legislativa per i quali, quindi, la confisca non dovrebbe poter essere disposta.
L’attività accertativa degli uffici non viene sospesa: tuttavia i contribuenti sottoposti ad accertamento potranno
contrastare la pretesa impositiva, in aggiunta alle modalità ordinarie, opponendo gli effetti preclusivi ed estintivi
conseguenti al rimpatrio, fino a concorrenza degli importi indicati nella dichiarazione di emersione.
L’Agenzia delle Entrate (C.M. 99/E/2001) ha affermato che “la preclusione opera automaticamente, senza necessità di
prova specifica da parte del contribuente, in tutti i casi in cui sia possibile, anche astrattamente, ricondurre gli imponibili
accertati alle somme o alle attività costituite o detenute all’estero oggetto di rimpatrio o di regolarizzazione.
Conseguentemente, l’effetto preclusivo dell’accertamento può essere opposto, ad esempio, in presenza di contestazioni
basate su ricavi e compensi occultati. Per converso, gli effetti della dichiarazione riservata non possono essere fatti
valere a tali fini qualora l’accertamento abbia ad oggetto elementi che nulla hanno a che vedere con attività per le quali
si è usufruito del regime di emersione, come nel caso, ad esempio, di rilievi sulla competenza di oneri e in altre ipotesi
in cui non possa configurarsi in astratto una connessione tra i maggiori imponibili accertati e le attività emerse”. E’
pertanto richiesto che l’evasione sia astrattamente idonea a costituire la premessa per la costituzione delle attività
all’estero, senza che, tuttavia, sia posto a carico del contribuente l’onere di fornire la prova specifica del legame tra
l’evasione e la costituzione dell’attività all’estero. Al riguardo qualche incertezza si potrebbe porre in merito alla
eventuale possibilità che tale prova specifica sia fornita, in senso contrario, dall’Amministrazione finanziaria,
disconoscendo gli effetti preclusivi dello scuso fiscale nel caso in cui riuscisse a dimostrare la mancanza di tale nesso.
Non constano contestazioni di tal genere.
Gli effetti dello scudo fiscale possono essere fatti valere sia in occasione di accertamenti analitici che di accertamenti
sintetici ed anche con riferimento a tributi diversi dalle imposte sui redditi quali, ad esempio, l’IVA (salvo indicazioni
contrarie che dovessero pervenire dalla UE) o l’imposta sulle successioni e donazioni, sempreché si tratti di
accertamenti relativi ad “imponibili” che siano riferibili alle attività oggetto di emersione.
Alcuni commenti:
Qualche dubbio potrebbe emergere in merito alla delimitazione della copertura offerta dallo scudo. In particolare, la
nuova modalità di determinazione dell’imposta sostitutiva commisurata agli interessi presuntivi maturati nel
quinquennio precedente alla emersione potrebbe comportare qualche incertezza in merito all’importo per il quale
fare valere la copertura in caso di accertamento (es. l’importo delle attività scudate indicato nella dichiarazione di
emersione? L’importo degli interessi cui è commisurata l’imposta sostitutiva?). Al riguardo si ritiene che la
copertura della emersione possa essere fatta valere, analogamente alle precedenti versioni dello scudo, nei limiti
dell’importo indicato nella dichiarazione di emersione.
Il (ragionevole) principio di astratta corrispondenza tra evento evasivo e costituzione all’estero delle attività scudate
induce, inoltre, a ritenere che la copertura della sanatoria possa essere fatta valere solo in occasione di accertamenti
relativi al periodo 2008 e precedenti.
Si ritiene peraltro che la preclusione ad accertamenti operi anche con riferimento ai redditi relativi a partecipazioni
CFC (localizzate in paradisi fiscali) che avrebbero dovuto formare oggetto di tassazione “per trasparenza”, a
prescindere dalla loro effettiva distribuzione. Pare infatti indiscutibile che le attività oggetto di “scudo”, siano esse
costituite da partecipazioni dirette o indirette nelle predette società, presentino i profili di connessione richiesti dalla
norma ai fini della preclusione di futuri di accertamenti. Conseguentemente, dovrebbe ritenersi che i dividendi
provenienti dalle predette società – anche se percepiti successivamente al 31 dicembre 2008 – dovrebbero, non
senza qualche dubbio, essere trattati come se i redditi sottostanti abbiano formato oggetto di regolare tassazione, e
quindi concorrere alla formazione del reddito solo per l’eccedenza la cui determinazione è prevedibile crei –
tuttavia – non poche difficoltà applicative.
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Si segnala, infine, qualche incertezza in merito alla portata del comma 3 dell’emendamento, secondo cui il rimpatrio
o la regolarizzazione “non possono in ogni caso costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente, in ogni
sede amministrativa o giudiziaria, in via autonoma o addizionale”. Sembrerebbe che la ratio di tale inciso sia
semplicemente quella di chiarire che l’adesione allo scudo fiscale non può costituire un elemento di prova contro il
contribuente in eventuali procedimenti che lo dovessero coinvolgere (lo scudo, quindi, non si può trasformare da
elemento di tutela a strumento di accusa per il contribuente). E’ stato tuttavia osservato che il riferimento alla tutela
anche in sede giudiziaria, oltreché amministrativa, ed in via addizionale, oltreché autonoma, potrebbe lasciare
presagire la volontà di mantenere aperto un varco per consentire eventuali sanatorie successive più ampie che, ad
esempio, si estendessero anche ad altri reati, quali falso in bilancio, bancarotta, riciclaggio o ricettazione, per i quali
nella prima formulazione dell’emendamento presentata alla commissioni Finanze e Bilancio della Camera era già
stata prevista la copertura dello scudo, poi rimossa.
8. Situazioni preclusive alla efficacia dello scudo fiscale
Non é possibile accedere allo scudo fiscale qualora, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, siano già
state constatate violazioni in materia di monitoraggio fiscale o in materia fiscale/contributiva, ovvero siano già state
avviate attività di accertamento fiscale, contributivo o penale di cui il contribuente abbia avuto formale conoscenza.
Per avere maggiori informazioni, vi preghiamo di contattare:
Carlo Maria Paolella: +39 06 462024 1 [email protected]
Mario Martinelli: +39 06 462024 1 [email protected]
Andrea Tempestini: +39 02 89096073 [email protected]
Simone Serretti, dell’Ufficio di Milano, ha attivamente contribuito alla stesura di questo documento
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