Focus sul design - Comitato Leonardo

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Focus sul design - Comitato Leonardo
Le strade del Made in Italy: quale futuro?
IX FORUM DEL COMITATO LEONARDO
Campidoglio, 20 ottobre 2010
FOCUS SUL DESIGN
a cura di Adolfo Guzzini – Presidente Consiglio Italiano Design
Il design è stato per anni lo specchio di una società in espansione, un’avanguardia capace di
rispondere alle trasformazioni moderne dei comportamenti e della tecnica. Il design come metodo
operativo è fatto in egual misura di invenzione formale, sintesi funzionale, innovazione tecnologica.
Oggi quel modello sembra aver rallentato la corsa.
Pur non essendo uno storico credo che sia opportuno ripercorrere velocemente la storia del design
in Italia perché essa ha determinato le caratteristiche peculiari del design internazionale.
In Italia, gli inizi di un’attività moderna del disegno industriale, mancando la tradizione industriale
ottocentesca che troviamo in Inghilterra, Francia e Germania, risalgono al primo dopoguerra e si
intrecciano con quelli della battaglia per l’affermazione dell’architettura razionale che applica le
regole del Bauhaus: la forma di un oggetto o di un edificio deve derivare dalla sua funzione. Non a
caso tra gli artisti-architetti-designer di quell’epoca il maestro indiscusso fu Giò Ponti con le
architetture ( palazzo Montecatini a Milano) con i prodotti ( Richard Ginori, Fontana Arte ) e con la
fondazione della rivista Domus ( 1928). In quel periodo iniziarono a lavorare alcuni nomi che poi
sono diventati delle grandi personalità nel design come Giacosa, Bertone, i fratelli Castiglioni,
Zanuso. I primi esempi furono la Lancia Aprilia ( ’37) l’elettrotreno Breda Etr 200 ( ’36), la radio
Phonola (’39) dei fratelli Castiglioni, il radiogrammofono (’33) di Figini e Pollini.
Milano assunse un ruolo importante grazie a La Triennale che già alla metà degli anni Trenta si era
trasformata da mostra di arti decorative in un polo espositivo per la produzione industriale e
l’architettura.
Le basi teoriche su cui si sarebbe sviluppato il design italiano possono essere fatte risalire entrambe
agli anni ’30: “l’arte per tutti” teorizzata da Edoardo Persico, basata sull’orgoglio della sobrietà, e il
“lusso necessario” di Ugo Ojetti che auspicava dei prodotti per le classi lavoratrici ispirate alla
qualità di quelli destinati alle classi ricche. Il design italiano si è sempre mosso tra queste due
tendenze.
Nell’immediato secondo dopoguerra questa cultura si è evoluta secondo il criterio per cui la forma è
dovuta non solo alla funzione ma anche al rapporto con le arti visive. In particolare fin dai primi
progetti di arredamento di Figini, Pollini, Ponti , Gardella si comincia a dare importanza non solo
all’ambiente ma anche all’oggetto presente in quell’ambiente.
Gli industriali, ancora “artigiani meccanizzati”, inventano oggetti per il consumo, ma colgono anche
la spinta commerciale che viene dalla qualità creativa della forma dei loro prodotti. Adriano Olivetti
fu il precursore con Lexicon ( 1948) e Lettera 22 (1950) di Marcello Nizzolli. Grande successo
ebbero i mobili ispirati al concetto di lusso necessario, mobili costosi, verso cui si orientarono
aziende come Cassina, Tecno, Artflex, che si avvalsero anche di nuovi designer come Bruno
Munari, Enzo Mari, Ettore Sottsass.
A dare una spinta decisiva al design italiano sono stati l’istituzione del premio Compasso d’Oro da
parte de La Rinascente ( 1954 ) e la fondazione dell’ADI ( 1956 ) Associazione per il Disegno
Industriale.
Questa cultura già in quegli anni si innestò anche in alcune zone d’Italia come nel Veneto, nell’area
fiorentina, in Emilia grazie alle elevate capacità artigianali già presenti. Un processo che nelle
Marche coinvolge l’esperienza imprenditoriale della nostra famiglia con la Fratelli Guzzini, fondata
nel 1912 da mio nonno e in quel periodo guidata da mio padre e dai miei zii e poi con la iGuzzini
Illuminazione fondata dai miei fratelli nel 1959. Io ero ancora troppo giovane ma qualche anno
dopo iniziai con loro a portare avanti questa nuova avventura imprenditoriale della nostra famiglia.
Ettore Sottsass jr riassume bene lo spirito di quegli anni : “Quel periodo non aveva designer ma
architetti … i produttori erano giovani entrati nell’industria dei padri appena finita la guerra, e
che speravano che l’Italia potesse dire qualcosa di nuovo, socialmente ed esteticamente. Ci hanno
seguito con grande passione etica, ma non erano veri industriali; erano artigiani meccanizzati.”
Negli anni sessanta fino alla metà degli anni ’70 gli oggetti industriali espressione di un design
moderno cominciano ad essere prodotti in medie-larghe serie grazie, anche, alla materia plastica, in
particolare nell’oggettistica per la casa ( Kartell, Fratelli Guzzini), nell’arredo ( B&B, Zanotta ) e
negli elettrodomestici ( Brionvega, San Giorgio ). Ricordo che in questo periodo il design ha
promosso la spinta a riprogettare ogni cosa e ad inventare nuove tipologie per gli oggetti d’uso.
In questi anni erano state avviate anche delle ricerche, prima Domusricerca, promossa da Giò Ponti
con la rivista Domus, diventata poi Eurodomus. Inoltre a Parigi, presso la Galerie Lafayette si
svolse l’iniziativa Formes Nouvelles, per presentare una nuova idea dello spazio domestico. Quando
poi, nel 1972, il MoMA di New York organizzò l’iniziativa “Italy, the New Domestic Landascape”,
si confermò ed amplificò, per il grande pubblico,il valore del design italiano, poco noto all’estero.
Per la prima volta sul palcoscenico più prestigioso a livello mondiale il design italiano si raccontava
attraverso i maestri, le aziende e le riviste, ma anche tanti giovani progettisti che proponevano
novità futuristiche come l’Unità abitativa globale di Joe Colombo.
Era la rappresentazione di questa nuova Italia ove cambiano i modi di vivere e conseguentemente
anche l’arredamento. La poltrona non serve più per fare conversazione ma per vedere la televisione;
le case diventavano più piccole e servivano lampade da terra che servissero sia per il tavolo che per
il salotto.
Gli anni 70 rafforzano il rapporto tra design ed arte: gli oggetti di design entrano nelle gallerie
d’arte e gli artisti si prestano a disegnare prodotti industriali. Ricordo come anche per noi fu una
piacevole sorpresa vedere selezionato dal MOMA il primo box doccia totalmente in plexiglas
disegnato da Fabio Lenci e prodotto da Teuco, l’ultima nostra azienda nata nel 1972. Proprio in
quella occasione questo box doccia è diventato l’archetipo di una nuova tipologia di prodotti per il
bagno: la doccia multifunzione.
I cambiamenti in atto nella società negli anni 70 portarono alla critica verso prodotti intesi come
espressione di status, verso lo sfarzo e l’ ostentazione. Negli stessi anni l’industria nazionale di
oggetti tecnologici andò in crisi ed anche la strategia di puntare su prodotti elitari non funzionò.
Giugiaro abbandonò le carrozzerie di lusso per realizzare la Golf e la Panda. Il concetto di
modernità non era più legato alle materie plastiche, derivate dal petrolio e già con la guerra del
Kippur del ‘73 cominciarono a perdere importanza perché i prezzi della materia prima erano saliti
oltremisura.
Anche la nostra azienda, che allora si chiamava Harvey Guzzini e che produceva lampade e
complementi d’arredo in materiale plastico, compì una svolta radicale riconvertendo la sua
produzione verso gli apparecchi di illuminazione tecnica, ponendo le basi della attuale iGuzzini
illuminazione. Cogliemmo un trend emergente negli USA che portava le tecnologie usate nel teatro
negli spazi di vita quotidiana, pubblici e privati. Da ciò derivavano prodotti in cui contava la
capacità tecnica di realizzare regie luminose ma che già alla fine degli anni 70 sviluppammo in
modo innovativo, riscuotendo successo grazie proprio alla nostra cultura sul design.
Similmente nella moda, negli anni 70, i consumatori iniziarono a preferire abiti più accessibili e
contemporanei. Ebbe inizio da parte del prêt-à-porter italiano la conquista della leadership a livello
mondiale a danno della haute couture francese. In questo stesso periodo i produttori tessili italiani,
già affermatisi a partire dagli anni Cinquanta, iniziano la collaborazione con alcuni giovani designer
tra cui Armani e Versace, quest’ultimo, mi piace ricordare, iniziò la sua carriera nella Genny, una
tra le più importanti firme a livello internazionale che ha sede nelle Marche.
Pur con molte similitudini ( dalla cultura del consumo, alla tradizione manageriale e produttiva) il
mondo del design e della moda si sono mantenuti, almeno sino a qualche anno fa, a debita distanza.
Una delle ragioni principali è stata la quasi totale estraneità delle "comunità professionali" che
operavano nei due settori. Per il mondo dell’industrial design la cultura di riferimento era
principalmente quella delle scuole di architettura ed era alimentata dal dibattito delle tante riviste di
settore, soprattutto milanesi. Un clima culturale molto vivace che trovava nelle Triennali, nel Salone
del Mobile, nel MACEF momenti di dibattito, che raramente coincidevano con il calendario della
moda.
Un avvicinamento tra i due mondi inizia negli anni 80 sotto il segno del design post-moderno:
fondato sull’arte e sull’artigianato in polemica anti-industriale e anti-razionalista. L’effetto più
significativo fu l’apertura dei giovani designer a nuovi linguaggi e il delinearsi di una nuova figura
di
designer-creativo
caratterizzato
da
un
segno
forte
e
“mediaticamente”
riconoscibile,analogamente a quanto stava accadendo nella moda italiana, in cui lo stilista era la
figura dominante.
Negli ultimi venti anni le aziende hanno consolidato il loro ruolo di laboratori di sperimentazione ed
innovazione attraverso di progetti di designers di tutto il mondo, che si esprimono con un
linguaggio innovativo: Nouvel, Citterio, Starck, De Lucchi, Meda, Dixon, Arad, Kita. Accanto a ciò
le imprese si aprono a giovani designer che provengono da aree geografiche emergenti che non
trovano altrettante disponibilità nelle aziende di quelle zone. Per questo nel nuovo millennio sono
soprattutto le aziende italiane ad esprimere quel design internazionale in equilibrio tra
modernizzazione ed identità locali.
FOTOGRAFIA DEL SETTORE
La complessa rete delle risorse del sistema design italiano è oramai abbastanza ben delineata ,
tuttavia non è ancora possibile attribuire dei valori quantitativi che permettano di determinarne il
peso economico.
Compongono il network:
I professionisti del design e le principali associazioni di professionisti: Tra 1991 e 2001 gli addetti
al design e styling aumentano da 6.860 a 9.721 con un incremento del 41,7%. Nel 1991 ogni cento
imprese del Made in Italy vi erano 1,80 addetti al design; dieci anni dopo questa percentuale era
salita a 2,77.
Si sta passando sempre più da una professione caratterizzata fino agli anni 70 da un ristretto numero
di progettisti qualificati, in gran parte architetti nelle città del nord, a una nuova situazione di
disseminazione nei territori di giovani progettisti, spesso con laurea triennale, distribuiti in modo
assai meno squilibrato tra il nord e il sud.
Il sistema della formazione : La formazione universitaria in Disegno Industriale in Italia ha trovato
negli ultimi 10 anni uno spazio riconosciuto e autonomo accanto alla tradizionale formazione in
architettura ed in ingegneria. Il lato artistico della formazione universitaria in Design è
rappresentato dalle Accademie di Belle Arti e dagli Istituti Superiori per le Industrie Artistiche.
Dal censimento effettuato presso le università e le scuole italiane, risulta che, dal 1991 al 2005,
24.932 persone si sono diplomate/laureate in discipline riconducibili al mondo del design. La
progressione è tuttavia esponenziale, se si considera che la media annua di laureati/diplomati è
passata dai 1.662 del periodo 1991-2001 (con un tasso di crescita medio annuo del 9%), ai 3.426 del
periodo 2002-2005 (tasso di crescita medio annuo del 27%).
Il sistema della ricerca di design pubblico e privato: Sono stati censiti 139 soggetti potenzialmente
attivi nella ricerca:16 Università, 4 Istituti Superiori per l’Industria e l’Artigianato ), 44 Accademie
di Belle Arti e analoghi istituti Legalmente Riconosciuti e 75 Centri di ricerca e formazione sul
design pubblico/privati.
La ricerca universitaria in design è giovane ed è in crescita, questo dato non va comunque
sottovalutato soprattutto in una fase in cui in Italia, gli investimenti nella ricerca vivono una fase di
contrazione in termini di risorse e strumenti. Oltre il 48,5% delle ricerche (184 su 382) è applicata,
mentre la ricerca di base e quella strumentale raggiungono quote più basse, rispettivamente del 16%
e dell’11%.
Il sistema fieristico espositivo: gli spazi di visibilità per imprese, prodotti e designer come le fiere e
le manifestazioni e gli eventi dedicati al design. In generale il sistema fieristico italiano ospita 200
manifestazioni internazionali il 25% di quelle che si svolgono in Europa ( secondo dopo alla
Germania che ne ospita il 37%) .
La Lombardia, dove primeggiano i quartieri fieristici di Rho-Pero, è in testa con 69 fiere
internazionali nel 2009, pari al 34,5% dell'intera offerta nazionale: prevalgono le categorie moda,
design, arredamento, Ict, meccanica e servizi.
Segue l'Emilia-Romagna, che assomma 48 appuntamenti, pari al 24% del totale, concentrati in
particolare a Bologna, Parma e Rimini: costruzioni, entertainment, wellness, automotive, arte.
Il Veneto, che conta 33 saloni, ovvero il 16,5%, con gli expo di Verona, Padova e Vicenza in primo
piano: enologia, oreficeria, nautica e abitare.
Tali eventi rappresentano la produzione delle aziende più dinamiche e creative del mercato, sono
visitati da operatori economici e commerciali provenienti da tutto il mondo e costituiscono un
importante contributo alla promozione e diffusione dei settori produttivi italiani più sensibili al
design.
Nel sistema fieristico milanese, il Salone Internazionale del Mobile, il Salone del Complemento
d'Arredo ed Euroluce hanno assunto nel settore, fin dall’inizio, un ruolo di leadership mondiale.
Il sistema culturale: i luoghi dell'offerta culturale di design rappresentati dai musei e dagli archivi
d'impresa, dalle mostre e dalle esposizioni, fino agli spazi espositivi temporanei che organizzano
eventi e performance sul design. La Triennale è il punto di riferimento ancora oggi ed ospita il
Design Museum della Triennale di Milano. E’ uno spazio permanente dedicato ad esposizioni
tematiche di grande interesse. La Triennale ha aperto e sta aprendo sedi estere ( a Seul nel 2009 e a
New York nel 2010, previste altre sedi a Mosca e Istanbul ) per esportare le proprie iniziative
culturali, ponendosi tra i maggiori riferimenti internazionali del design. Altre recenti istituzioni sono
sorte a Roma come la Collezione Design Farnesina presso il Ministero degli Esteri; anche il
MAXXI (Museo nazionale delle Arti del XXI secolo) ha una sezione espositiva dedicata al design.
Sta nascendo sempre a Roma presso il Palazzo della Civiltà Italiana l’Esposizione permanente per il
Made in Italy della Fondazione Valore Italia (Ministero dello Sviluppo Economico) e ospiterà la
Collezione Storica del Compasso d’Oro.
Gli ultimi dieci anni hanno visto la nascita di molti musei ed archivi di impresa che di fatto sono
promotori di iniziative di grande interesse tanto da far parte della rete del Design Museum. I
maggiori musei si sono raccolti nell’Associazione Museimpresa.
Il sistema editoriale: l’editoria del progetto comprende un vasto insieme di libri, riviste, ma anche
pubblicazioni di settore di grande diffusione presso gli operatori economici e commerciali, segmenti
di editoria specializzata, volumi dedicati ai designer e alla cultura del progetto.
In Italia sono 125 le riviste, alcune di esse di grande prestigio internazionale, dedicate
all’arredamento, alla grafica e multimedia, al prodotto, agli allestimenti, alla moda e agli accessori.
Un numero decisamente superiore a quanto si riscontra a livello internazionale. L’interesse dei
grandi quotidiani nazionali per il design è testimoniato da numerosi servizi, ma anche dagli inserti
dedicati
Le imprese eccellenti di design e le principali associazioni di settore: alla data dell’ultimo
censimento 2001 le oltre 500.000 imprese delle quattro specializzazioni del Made in Italy
occupavano oltre 3 milioni di addetti, pari al 65% dell’occupazione manifatturiera nazionale,
veicolando il 57% dell’export nazionale.
All’interno di questo universo le aziende che operano con il design sono un arcipelago di circa
4.000 medie imprese internazionalizzate che galleggia in un mare di piccole e micro imprese,
localizzate in 200 distretti e 20 piattaforme produttive. In questo contesto, nel 2002, il 41,3% delle
medie imprese ha investito in progettazione di prodotto, ampliando per lo più il proprio staff interno
dedicato o acquistando servizi all’esterno.
Negli ultimi venti anni, il sistema del design, accanto ad alcuni grandi poli metropolitani come
Torino, Roma e Napoli, che insieme a Milano funzionano da poli attrattori, ha visto emergere una
fascia di province strutturate su economie di distretto legate alle produzioni del Made in Italy. Una
prima direzione è lungo un’asse est-ovest che congiunge area torinese, ora centro del design legato
al settore dell’automotive, fino alla marca trevigiana, passando per Milano, polo mondiale della
moda e del design e porta dei mercati globali per le merci prodotte nella città infinita pedemontana.
La seconda direttrice corre in direzione nord-sud: incardinata sul sistema urbano della Via Emilia
con i suoi distretti della meccanica, del tessile e della ceramica struttura una grande area che
comprende le province della Toscana settentrionale e i distretti marchigiani.
Se nel caso delle maggiori aree urbane il design si collega al fenomeno dell’high-tech con il ruolo
importante delle grandi istituzioni della ricerca (universitarie e non), si evidenzia nelle province un
modello di design per il quale la via della creatività high-tech sembra una condizione non
necessaria.
Provincie come Macerata, Treviso, Novara, Pistoia, ecc. rappresentano un modello d’economia
territoriale in cui l’alta presenza di risorse di design si collega più alle tradizioni produttive dei
luoghi che alla potenza dei grandi apparati di ricerca ed innovazione. Qui lo sviluppo e
l’innovazione passano attraverso il protagonismo di medie imprese che si qualificano ormai come
autentico architrave del modello italiano. Sono imprese infatti che non interrompono i rapporti
locali nel nome della proiezione internazionale, bensì rinsaldano la propria presenza su scala
globale utilizzando e trasferendo risorse di conoscenza alla rete delle imprese minori, alle imprese
cioè, che continuano magari a operare nella ristretta dimensione locale, ma che in questo modo si
aprono all’innovazione di cui le medie imprese si fanno interpreti.
TENDENZE E PROSEPETTIVE FUTURE
In questi ultimi anni il design sembra essere diventato una questione di stile o di tendenza.
Il pericolo è che nell’opinione pubblica venga a consolidarsi unicamente il legame
design=qualità=lusso. Il luxury design, in sviluppo già da qualche tempo, offre ad alcune aziende la
possibilità di affermarsi nel mercato internazionale grazie alla capacità del design di creare prestigio
agli oggetti, imponendoli come riferimenti per il mercato del lusso.
Al contrario la maggioranza del settore economico che opera nel campo del design è assolutamente
convinta, ed opera di conseguenza, che il design, attraverso gli oggetti che determinano il nostro
modo di vivere, deve promuovere un nuovo modello di sviluppo materiale e culturale.
La ricchezza e i consumi sono concentrati in una limitata porzione dello spazio (i così detti paesi
sviluppati ) ma una larghissima parte della popolazione mondiale aspira giustamente a migliorare le
proprie condizioni di vita. Per raggiungere questo obiettivo il design e l’innovazione potranno
percorrere un’unica strada: quella dello sviluppo sostenibile.
Il design inoltre attraverso la progettazione di nuovi servizi e sistemi di interazione e comunicazione
con il cittadino può intervenire anche su temi di natura sociale come la coesione sociale, la
protezione dei soggetti più vulnerabili, l’ammodernamento dei sistemi di protezione sanitaria, ecc…
Per far questo al design è richiesto di sviluppare nuove competenze e metodologie per intervenire
insieme a diverse discipline (da quelle umanistiche a quelle tecniche, economiche e sociali).
Fino a qualche anno fa il design era presente solo in pochi paesi industrializzati: l’Italia, la
Germania, i paesi scandinavi, gli USA , il Giappone e poco altro. Oggi il design viene considerato
un fattore strategico di sviluppo economico in aree geografiche fino ad ora estranee a questo
approccio ( Cina, Korea, Singapore, Brasile).
Ben chiara è la strategia della Cina, la “fabbrica del mondo” da cui arriva la metà dei prodotti che
si trovano sui mercati internazionali, che vuole passare dall’essere “the manufactory of the world”,
al diventare: “a world class original brands producer”). Per questo il numero dei designer e delle
agenzie di design cresce vertiginosamente. Lo stesso si può dire per le scuole di design: oggi in
Cina ci sono 200 scuole di design che diplomano 10.000 designer all’anno (nel 2001 erano non più
di 1500 all’anno).
Fino a 5 anni fa, termini come design strategico, design dei servizi, design per la sostenibilità erano
assenti dal vocabolario del design cinese. Ora nelle scuole di design cinesi se ne parla e, in alcune,
ci si attrezza per praticarli. Sul biglietto da visita del direttore della scuola di design di Guangzhou
(Canton) c’è scritto “Integrated design” definizione che viene spiegata come design sistemico di
prodotti, servizi e comunicazione. Significa cioè design strategico e interaction design.
Il sistema-design non si limita alla sola progettazione del prodotto come risultato di
un’innovazione, ma è il motore dell’intero processo di innovazione, che coinvolge un sistema
economico ampio favorendo i cambiamenti dei linguaggi, dei valori e dell’identità. Il design
rivitalizza tutte quelle competenze del saper fare, fondamentali per rinnovare e sviluppare la
competitività economica di un Paese.