ecologici per forza

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ecologici per forza
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www.confronti.info
ECOLOGICI
PER FORZA
Mensile progressista della Svizzera italiana
Fuori dal vasino
I Granconsiglieri leghisti
obbligano Boris a lasciare
la Lega. Ma paparino
non apprezza e li rampogna
Il fumo leghista
Quali le strategie
dei partiti per neutralizzare
la barbarie che cresce?
Isolare, distinguersi,
difendersi, progettare
9 maggio 2012 - numero 39
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di Firmino
Testamenti
Da oltre due millenni l'Antico Testamento insegna che «le colpe dei padri
ricadono sui figli». Siamo ora in
grado di fornirvi una modifica aggiornata e corretta dell'assunto. Anzi capovolta. È la versione TILO, riferita al
partito dominante nelle due regioni:
la Lega. In effetti sia in casa Bossi sia
in casa Bignasca «le colpe dei figli ricadono sui padri». Il trota ha affondato papà e mezza Lega lombarda, il
carpa sta affondando papà e mezza
Lega ticinese. Nell'auspicio che Giovanni Orelli non abbia fretta nel far
testamento, assistiamo a quello curioso del piccolo Boris che lascia la
Lega ma resta direttore del mattinonline.
O non legge o non capisce
«…dove erano questi ben pensanti
quando hanno pesantemente attaccato tua madre? Te li dico io: a battere le mani all'autore durante il
comitato cantonale del Partito Socialista!»: così scrive (con gli stessi errori
citati) Paolo Sanvido a Boris Bignasca
su Facebook. Se il riferimento è alle
«10 domande al carpa», stupisce
assai che Sanvido sappia chi ne è
l'autore, la cui identità non è mai
stata rivelata (e no, non è il direttore
di «Confronti»). Ma soprattutto stupisce che Sanvido le domande non le
abbia lette. O, se le ha lette, che non
le abbia capite. Da quando, infatti,
chiedere se una donna abbandonata
riceveva gli alimenti dal padre di suo
figlio significa «attaccarla»? Oppure
Sanvido ci dica quale delle seguenti
parole dev'essere considerata un «attacco»: mite, signora oppure calabrese?
Monsignor Boris
L'omelia pasquale del vescovo
Grampa ha suscitato l'infastidita reazione di via Monte Boglia. Boris è
scattato con tale zelo a difesa dell'onore di Umberto Bossi da parago-
2
1
ACCIDENTI
nare il leader padano addirittura alla
figura di Papa Wojtyla. Senza lasciarsi
sfuggire l'occasione per rinfacciare al
capo della Curia luganese di essere
italiano, il prode rampollo ha definito
le dichiarazioni del religioso «intemperanze» verbali. La foto di accompagnamento mostrava però il vescovo
senza ritocchi con Photoshop. Paura
della scomunica? E l'Opus Dei che
dice?
La sessualità secondo la Lega
La raffinatissima signora Pantani, già
vicesindaco di Chiasso (dove, puntando al raddoppio, la Lega è uscita
con le ossa rotte), lancia un'iniziativa
popolare federale per evitare che ai
giovani si parli di affettività e sessualità a scuola prima dei 12 anni. Già,
che bisogno c'è di parlarne a scuola?
Ci pensa già l'organo (scusate il termine) del partito della signora Pantani, «il Mattino» dalle cui paginate si
propongono «amante anal», «vibro
show», «stimolazione prostata», «una
grande sorpresa di 22 cm», «piacere
profondo», divertimenti «con il mio
cane e con la cioccolata» (tutto vero,
copiato tale e quale dall'edizione del
15 aprile 2012). Per non parlare del
«10 minuti» e dell'intervista al pornodivo, il quale spiega che, «se uno
pensa di eiaculare troppo presto, non
costa niente fermarsi un attimo e fare
dell'altro per poi riprendere più
tardi», aggiungendo dei piccoli trucchi per «aumentare il minutaggio»
(questo l'abbiamo trovato nell'edizione del 18 aprile). Siccome non ci risulta che i settimanali leghisti siano
vietati ai minori di 12 anni, chiediamo
alla signora Pantani: quest'eleganza,
questa delicatezza e questo rispetto
per l'affettività delle persone sono
preferibili a quelli che i ragazzini troverebbero nell'educazione sessuale
scolastica?
TU CHIAMALA, SE VUOI, COERENZA
«"il Mattino" è il giornale del Nano, non della Lega»: parola di Michele Foletti in un'intervista
a «la Regione» per spiegare la propria scelta di mantenere la candidatura a presidente
del Gran Consiglio dopo essersi dissociato «umanamente e politicamente» dalla battutaccia
di Boris su Giovanni Orelli. E aggiunge: «C'è un gruppo parlamentare, che trovo lavori
bene, con giovani deputati relatori di rapporti anche importanti. E c'è via Monte Boglia
che fa il suo verso. Nessun problema».
Dunque i due giornalacci non sono «organi di partito». Che siano saldamente nelle mani
del presidente a vita della Lega e del suo pargolo non importa. Che la Lega non possa
esistere senza il Nano che la sponsorizza e la promuove coi suoi quattrini nemmeno. Che
i due giornali servano come formidabile macchina da guerra per la raccolta di voti neppure. Che nessuno dei parlamentari e dei consiglieri di Stato leghisti si dissoci dalle porcherie pubblicate lì sopra ogni settimana (se non costretto a furor di popolo, come in
quest'occasione) neanche. Evidentemente per loro tutto questo non conta.
La realtà è ben diversa: nessuno di questi figuri può fare il santerello. Nessuno di loro
può dire: «Mi accusano di colpe non mie». E neppure: «Non ci sto a fare il capro espiatorio».
Quanto meno, se sono stati zitti finora, sono complici. Tutti, senza eccezioni.
E allora a noi piace rileggere le pacate e sensate parole di Chiara Orelli: «Gli "hooligans"
fuori dal parlamento non sono qualcosa o qualcuno con cui noi non abbiamo a che fare:
altrimenti alimentiamo l'idea di un "palazzo" distante da una "piazza" in cui si svolgono le
turpitudini senza che il palazzo ne porti responsabilità. (…) addirittura la creazione di
una realtà artificiosa per giustificare l'esternazione di Boris Bignasca: tutti responsabili,
nessuno responsabile; il guanto di velluto a palazzo, la clava nella piazza». Meglio non
M.C .
poteva esser detto.
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FUORI
di Marco Cagnotti
Sommario
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Accidenti
Fuori dal vasino
Ma io che c'entro?
Energia del futuro
Un quesito ecologico
Trappole
Adolescenza narrata
Ricucire l'Italia
Il fumo leghista
La frontiera è mobile?
La mia reincarnazione
Crash
Hanno collaborato a questo numero
Adriano Agustoni, Firmino, Françoise Gehring,
Caterina Ghirlanda, Marlis Gianferrari,
Roberto Kufahl, Carlo Lepori, Teo Lorini,
Corrado Mordasini, Giancarlo Nava,
Roberto Rippa, Silvano Toppi, Libano Zanolari
Crediti: Copertina, Kraska; 2, N. Suto; 3, A.
Samara; 4-5, Mikael Damkier, G. Kooijman,
Madlen; 6, J. Wachala; 7, AlexMax; 8,
NASA; 9, G. Andrade; 12, C. Mordasini; 15,
R. Drew
DAL VASINO
«Il figlio di Giuliano Bignasca è molto
più superficiale del padre. E persino,
questo è il brutto, più volgare e truculento»: queste parole sono la
«colpa» di Giovanni Orelli. A distanza
di molti mesi, queste lapalissiane verità sono costate allo scrittore un augurio di morire presto, pubblicato su
«il Mattino della domenica»: «Aspettiamo con ansia la prossima pubblicazione di Giovanni Orelli. Negli
annunci funebri». Per sua esplicita
ammissione, l'estensore di queste
righe è Boris Bignasca: alla faccia
della prontezza di riflessi nella rappresaglia. E stupisce che Lorenzo
Quadri gliel’abbia fatte passare (già,
stupisce?… oppure vorrà dire qualcosa?). Di fronte a tanta barbarie, in
un sussulto di dignità la società civile
si ribella e il giovane Bignasca viene
condannato da tutti. Da tutti tutti,
non solo dalla Sinistra. Ci mancherebbe!
Boris si difende spiegando che si
trattava solo di satira e che Orelli è
solo un «intellettualoide permaloso».
Satira, dunque. Come quella de «il
Diavolo», spiega Boris. Sì, certo.
Come no. Solo che il quindicinale di
sinistra è una vera testata di satira e
non ha la pretesa di fare informazione come i due settimanali leghisti.
E i finti necrologi de «il Diavolo» non
hanno mai augurato a nessuno di
crepare. Ma questi sono concetti probabilmente troppo difficili per il povero bimbo. Che, dopo averla fatta
fuori dal vasino, piange sconsolato su
Facebook: «Scriviamo 300 articoli al
mese su mattinonline. E ho scritto
centinaia di Wikileaks, se una volta
mi scivola la frizione non merito questa gogna mediatica (invece le gogne
mediatiche erette da lui per massacrare dei poveracci?… boh!; NdR) e
questo trattamento da parte del movimento per cui ho dato tanto. È una
questione tra me e Orelli, che mi
aveva pesantemente attaccato».
Ma il piagnisteo non basta. Sicché
Boris, volente o nolente, deve fare un
passo indietro e abbandonare la
Lega (se ne apprezzi la coerenza: siccome commette un errore da giorna-
lista, si dimette da leghista ma non
da giornalista; se Boris non esistesse,
bisognerebbe inventarlo!). «Sono
stato sollecitato a lasciare anche da
alcuni membri del gruppo parlamentare», dichiara a «la Regione». «Il
motivo? C'è chi pensa che nel ruolo
che ricopro potrei alla lunga dar fastidio alla Lega». Uella! Se ne sono
accorti anche loro, finalmente!
La storia potrebbe finire qui. Ma gli
strascichi proseguono. Perché il «10
Minuti» (sempre saldamente nelle
mani di Boris, che lo userà «per osservare da fuori (…) come si comporterà il gruppo leghista»… e chi ha
orecchie per intendere intenda, ché
Boris non perdona) di mercoledì 2
maggio apre con una micidiale sfuriata del Nano in persona, che tira un
terrificante cazziatone ai suoi stessi
Granconsiglieri, accusandoli in sostanza di essere dei fancazzisti. E
chiedendo, per chi non avesse capito
bene il senso dell'operazione: «E il
gruppo parlamentare della Lega nel
frattempo cosa fa? Dorme? Si perde
in polemiche moraliste?». Così, giusto per tirare un po' il guinzaglio e
ricordare chi comanda davvero lì
dentro. Perché, come ha spiegato
Boris al «Corriere del Ticino», «Giuliano Bignasca andrà avanti per
molti anni». Aggiungendo, con sovrano sprezzo della coerenza di pensiero: «La Lega sono i suoi elettori.
Solo loro determineranno il futuro».
Come questa presunta democrazia
della base si possa conciliare con un
inamovibile presidente a vita lo capisce solo lui. Misteri ittici.
3
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MA IO
di Marco Cagnotti
CHE C’ENTRO?
È sempre colpa di qualcun altro. Del governo, di solito. Delle multinazionali. Degli
organismi sovranazionali. Insomma di tutti quei consessi in cui si condizionano le
vite di milioni di esseri umani. Che quindi subiscono passivamente tutto: perdita del
potere d'acquisto, disoccupazione, inquinamento ambientale. C'è non poca verità, in
tutto questo. Ma anche una grande omissione: la responsabilità individuale. Perché
qualcosa posso fare anch'io. Spegnere la luce quando esco da una stanza. Andare un
po' più piano in auto. Fare la spesa a stomaco pieno. Una miriade di piccoli gesti che
non saranno la rivoluzione, ma non costano nulla e possono rendere il pianeta un
posto un pochino migliore. Allora cominciamo dalla casa, per dire…
Solo ciò
che serve davvero
«Sobrietà: proprietà di chi si contiene entro i limiti della necessità
e della sufficienza»: così recita il vocabolario Treccani della lingua
italiana. Difficile trovarne un po' in questa società iperconsumista,
nella quale tutto diventa obsoleto subito dopo l'acquisto, per essere sostituito con un modello più bello, veloce, performante,
trendy. Ma come emanciparsi?
Tutto dipende da una domanda. Che devo pormi prima dell'acquisto: «Che cosa mi serve davvero?». Tutto qui. I bisogni, insomma, vanno considerati prima, non dopo.
Un esempio: se uso l'auto solo per andare al lavoro in città e fare
un po' di shopping, mentre lo sterrato non lo vedo mai… che me
ne frega del SUV? Non sarebbe tanto meglio una city car? E ancora: davvero 3 Megapixel in più sono importanti nel telefonino?
Certo, così potrò stampare le foto grandi come poster… ma
quando mai lo faccio? E quella giacca elegante da 400 franchi…
quante volte l'ho indossata? Dieci? Ora è fuori moda e inutilizzabile (davvero?). Il conto è presto fatto: 40 franchi per indossare
quella giacca una volta. Ne valeva la pena?
La regola è semplice: compro solo ciò che mi serve davvero, e che
cosa mi serve lo decido prima di comprare, non dopo averlo fatto.
Il bucato sul filo
Un simbolo di povertà e di arretratezza: così viene percepito il
bucato steso ad asciugare. La
nonna stendeva i panni. Noi invece abbiamo l'asciugatrice, tsé!
Una bella comodità, pratica e veloce. Peccato che abbia consumi
da paura.
La maggioranza delle famiglie
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ormai ha assimilato l'asciugatrice come già aveva fatto con la
lavatrice e la lavastoviglie. Ma,
mentre queste due erano un simbolo dell'emancipazione femminile
dalle
incombenze
domestiche più pesanti (infatti
nessuno rimpiange il lavatoio
pubblico), l'asciugatrice po-
trebbe essere facilmente sostituita tornando al filo e alle mollette, solo decidendo di correre
un po' meno. Se lo facessero tutti
gli Statunitensi, abbatterebbero
le emissioni di anidride carbonica del 7,4 per cento entro il
2019. Noi potremmo non essere
da meno. E scusate se è poco.
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Menu à la carte
Gli Statunitensi sprecano quasi la metà del cibo. Gli Europei circa
un terzo. Sono molte decine di chili a testa. Tutta roba avanzata
nei supermercati, nelle mense, nei ristoranti. Prodotti ancora commestibili ma rifiutati perché sono esteticamente non attraenti o
perché hanno appena superato la data di scadenza (che però ha
un ampio margine di sicurezza). E anche le economie domestiche
buttano via un sacco di alimenti, magari acquistati compulsivamente approfittando di qualche promozione del tipo «3x2» e poi
lasciati scadere. Risultato: 50 miliardi di dollari all'anno sprecati
nei soli Stati Uniti. Per non parlare delle risorse buttate per immagazzinare, impacchettare, trasportare e distribuire quel bendiddìo che finirà nella spazzatura. Ma che cosa si può fare?
Anzitutto ci sono associazioni che vanno a recuperare il cibo sprecato e lo distribuiscono ai poveri. E poi, nel proprio piccolo, ciascuno può fare due cose semplici semplici: non fare mai la spesa
quando si è affamati e organizzarsi con un menu settimanale. È
stupefacente quanto lo stomaco borbottante condizioni le scelte al
supermercato. Inoltre, sapendo in anticipo che cosa si mangerà in
ogni singolo giorno della settimana, si compra esattamente ciò che
serve e nulla di più (magari tenendo a disposizione un po' di pasta,
sughi e surgelati a lunga conservazione per le emergenze). Certo,
il frigo vuoto subito prima della spesa settimanale metterà un po'
tristezza. Ma vuoi mettere il risparmio e, soprattutto, lo spreco evitato? Senza contare la comodità di non dover frugare in frigo e in
dispensa ogni giorno chiedendosi: «E oggi che cosa cucino?».
Altre piccole
cose da fare
Mangia poca carne
(che oltretutto è meglio per
la tua salute).
Smetti di fumare
(idem come sopra).
Isola la tua casa.
Lava i vestiti a basse
temperature.
Installa elettrodomestici
più efficienti.
Riduci la temperatura dello
scaldabagno.
Non lasciare apparecchi
in stand by.
Non superare i 18-20 gradi
di temperatura in casa
durante l'inverno.
Evita l'aria condizionata,
sia in casa sia in auto.
L’invenzione
più geniale
Qual è la più grande invenzione della storia? L'agricoltura? La ruota?
La stampa? Il computer? Difficile dirlo, ma di solito sono questi gli
esempi proposti. Perché si pensa alle grandi rivoluzioni tecnologiche.
Mentre si trascurano gli umili oggetti quotidiani senza i quali la nostra
vita sarebbe tanto più scomoda. Gli occhiali e le lenti a contatto, per
esempio: prova a immaginare la tua visione del mondo senza che i
difetti della tua vista siano corretti. Oppure la carta igienica: prova a
immaginare… ecco, ci siamo capiti.
Inventato a metà dell'Ottocento negli Stati Uniti, il rotolo industriale
più comodo e igienico del pianeta diventa di uso comune solo dopo la
metà del secolo scorso (e prima?… beh, prima… foglie, carta di giornale, stracci e via andare). Oggi ci viene proposto in innumerevoli
forme: multistrato, colorato, decorato, morbido, profumato, ultraresistente. E no, non è uno sfizio superfluo: chiunque abbia provato,
anche per una sola volta, uno dei rotolacci ultraeconomici capisce al
volo la differenza. Ma anche qui si può fare qualcosa per l'ambiente.
La carta igienica più morbida e piacevole è quella derivata dalla carta
nuova. Quella più ecocompatibile è invece quella riciclata. Ma conviene? Certo: 30 litri d'acqua, 3-4 chilowattora e un paio di chili di
anidride carbonica da fonti fossili in meno per produrre un chilo di
carta riciclata rispetto a un chilo di carta nuova. A ciò possiamo aggiungere la parsimonia. Senza esser taccagni, è ragionevole chiedersi
se, con la carta moderna morbida ma resistente, le lunghe strisce
siano davvero indispensabili. In realtà due, massimo tre quadrati per
ogni strappo sono quasi sempre più che sufficienti.
Fa' la doccia, non il bagno.
Usa pneumatici a basso
attrito.
Guida un veicolo a basso
consumo.
Controlla regolarmente
i consumi della tua auto.
Non superare i 90 chilometri all'ora.
Pratica il car sharing.
5
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di Carlo Lepori
6
DEL FUTURO
Chiudono le centrali nucleari. La domanda di energia elettrica però cresce. Il risparmio
sui trasporti e il riscaldamento richiede molto tempo. E avremo sempre più bisogno di
energia elettrica. Ma un futuro energetico fondato solo sulle fonti rinnovabili è possibile.
rinuncia a riscaldare con prodotti petroliferi può comportare un aumento
dei consumi elettrici (per esempio per
un maggior uso di pompe di calore).
Fino a un anno fa la discussione sul futuro energetico della Svizzera sembrava un esercizio intellettuale che
interessava solo pochi ambientalisti,
ostinati nel proporre scenari con meno
consumi, senza energia atomica eccetera. I vari scenari proposti dai tecnocrati lasciavano l'opinione pubblica
indifferente e le compagnie elettriche
con le idee chiare: sempre più elettricità con nuove centrali nucleari.
Nel febbraio del 2011 nel Canton
Berna, in una votazione consultiva, il
51,2% si era espresso a favore della costruzione di una nuova centrale atomica in sostituzione di Mühleberg. I
piani per altri progetti di nuove centrali erano pronti nel cassetto e per la
politica energetica svizzera si prospettava un futuro raggiante (in tutti i
sensi!).
Poi però la tragedia di Fukushima ha
cambiato le carte in tavola: con una
serie di decisioni che gli avversari
hanno subito tacciato di «emozionali»,
come se le decisioni precedenti basate
sulle paure di black-out e gravi carenze nell'approvvigionamento energetico fossero state più razionali,
governo e Parlamento hanno deciso di
abbandonare l'opzione nucleare, con
calma e sfruttando fino alla fine tutte
le centrali esistenti.
Per chiarire i termini della discussione
è opportuno distinguere tra l'energia
totale consumata in Svizzera e l'energia elettrica. La prima comprende i
consumi dei derivati del petrolio per i
trasporti e per il riscaldamento. In questo campo il potenziale di risparmio è
Prima conclusione provvisoria: per i
consumi di prodotti petroliferi (benzina, gasolio, olio da riscaldamento e
gas naturale) ci sono enormi potenzialità di risparmio, ma il loro sfruttamento necessita di tempo e di
denaro.
enorme. Le auto (e i camion) sono sempre più efficienti e le case possono essere costruite in modo da avere
consumi minimi o anche nulli.
Il rovescio della medaglia è che, mentre i nuovi motori consumano sempre
meno, il numero, le dimensioni e il peso
delle vetture continuano a crescere,
così che i consumi in realtà non diminuiscono (c'è stata una crescita dello
0.6% dal 2009 al 20101). L'introduzione di motori ibridi o elettrici diminuirà il consumo di prodotti petroliferi
e migliorerà l'efficienza energetica, ma
avrà evidentemente come conseguenza un aumento, anche se modesto,
dei consumi di energia elettrica.
Le case a consumo energetico ridotto o
nullo o addirittura quelle che producono energia sono ormai una realtà. Il
loro impatto sui consumi non sarà pero
immediato: i costi supplementari per
molti non sono ancora sufficientemente compensati dai risparmi futuri
e inoltre la maggior parte di noi vive in
case costruite in altri tempi, la cui ristrutturazione potrebbe non raggiungere i risultati desiderati e comunque
implicherebbe a propria volta investimenti cospicui. Anche per gli edifici, la
In questo campo, a livello politico troviamo gli accordi internazionali (protocollo di Kyoto e accordi presi in
seguito) e in Svizzera la legge sulla
CO2, con le tasse di incentivazione per
ridurre la produzione di gas serra (e
quindi il consumo di prodotti petroliferi) e con i sussidi alle ristrutturazioni
energetiche degli edifici. L'iniziativa
«Per un clima sano» chiedeva entro il
2020 una riduzione dei gas serra del
30% rispetto al 1990. La revisione
della legge sulla CO2, decisa a fine
2011, pone come obiettivo una riduzione del 20%, garantendo però misure efficaci (tassa sulla CO2, sostegno
al programma Edifici per 200 e poi
300 milioni all'anno, tasse sui veicoli
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che producono più di 130 g/km di CO2,
obbligo di compensazione della produzione di CO2 eccetera).
Seconda conclusione provvisoria: il
problema del futuro energetico sta
essenzialmente nell'approvvigionamento di energia elettrica sufficiente
a soddisfare i nostri consumi, che
negli ultimi decenni sono cresciuti
enormemente (1980-90: +32%; 19902000: +12,5%; 2000-10: +35%)2 e ora
oscillano per la crisi economica e le
variazioni climatiche (2010: +4,0%;
2011: –2,0%3).
Finché l'opzione atomica era aperta,
l'approvvigionamento elettrico era
considerato tecnicamente risolto. Rimaneva solo la questione politica di
riuscire a costruire le centrali. L'affermazione che il fabbisogno elettrico
svizzero può essere soddisfatto con
energie rinnovabili incontrava lo scetticismo (per non dire lo scherno) dei
tecnocrati.
Già da anni l’ex consigliere nazionale
socialista Rudolf Rechsteiner è l'alfiere
della svolta energetica. I suoi argomenti, ora riuniti nel libro «100 per
cento rinnovabili»4, dimostrano che un
approvvigionamento basato unicamente su fonti rinnovabili di energia
(solare, eolico, idroelettrico, geotermico
eccetera) è possibile: «La Svizzera ha
tutte le premesse per approvvigionarsi
in futuro solo con energie rinnovabili.
Solo per la produzione elettrica, i potenziali facilmente sfruttabili, senza
impatto ambientale degno di nota, raggiungono entro il 2030 90'000 GWh
annui, ossia 3-4 volte l'attuale produzione delle centrali nucleari (25'000
GWh)».
Anche il consigliere nazionale socialista Roger Nordmann, nel suo libro «Liberare la Svizzera dalle energie
fossili»5, dichiara che «passare a un
approvvigionamento energetico totalmente rinnovabile costituisce una prospettiva favolosa per il futuro del
Paese. Quest'ambizione non è solo garanzia di impiego e di prosperità a
lungo termine, ma è anche portatrice
di un senso e sorgente di un'identità
rinnovata».
Terza conclusione provvisoria: è tecnicamente possibile produrre l'energia di cui abbiamo bisogno facendo
capo solo a fonti rinnovabili. La dimostrazione e i dettagli si trovano nei
testi citati e in molte altre pubblicazioni.
Restano due domande sul nostro futuro energetico: «Come raggiungeremo
gli obiettivi?» e «Come vivremo?».
Per la seconda domanda, ricordiamo
che gli obiettivi a lungo termine propongono per ogni persona un consumo
di 2'000 W (17,5 GWh annui) e di una
tonnellata l'anno di CO2. Attualmente
consumiamo il triplo e produciamo sei
tonnellate di CO2: si tratta quindi di
modificare i nostri modelli di consumo
e di vita. Questo dovrebbe essere possibile senza una diminuzione della
qualità di vita, anzi.
Alla prima domanda troviamo varie risposte. Il Piano energetico cantonale
(PEC)6 nel suo piano d'azione «clima»
«nel lungo periodo (2050) consente
una riduzione complessiva dei consumi
pari al 31% rispetto ai valori registrati
nel 2008. (…) I consumi dei vettori
energetici da fonte fossile sono più che
dimezzati rispetto al 2008, raggiungendo una riduzione del 64% nel 2050.
In maniera marcata diminuiscono
l'uso di olio combustibile (-95% nel
2050) e di carburanti (-68% nel 2050)».
Nella sua presa di posizione alla consultazione
(nell'ottobre
2010!…
quando arriveranno le proposte del governo?) il Partito Socialista diceva di
considerare «le proposte del PEC un
primo passo verso un futuro energetico
rinnovabile. In questo senso uno strumento utile, nonostante il ritardo e la
timidezza, per impostare finalmente
una politica energetica in Ticino degna
di questo nome». E proponeva un
piano d'azione Clima+ che considerasse per ogni settore la variante
più promettente e in genere
obiettivi più ambiziosi.
L'ultima risposta, per
ora, è quella di pochi
giorni fa della Consigliera
federale
Doris Leuthard7.
Per la prima tappa
(2020)
prevede
vari aumenti a livello finanziario:
da 200 a 600 milioni annui per il
programma Edifici,
da 32 a 60
CHF/t della
tassa
sulla
CO2, da 0,45
a
1,86
cts/kWh
del
contributo per
la rimunerazione
per l'immissione di
energia a copertura
dei costi (RIC). Per la seconda tappa (2050) è prevista una riforma del sistema che
sostituirebbe la tassa sulla CO2 e la
RIC. Ha suscitato molto scalpore la
proposta di costruire una centrale a
gas quale misura di transizione. Con la
compensazione integrale della produzione di CO2, la proposta potrebbe
anche essere accettabile. Prima però
dovrebbero essere sfruttate a fondo
tutte le alternative possibili.
Considerando le prospettive favorevoli per lo sfruttamento dell'energia
eolica sulle coste marine e dell'energia solare nelle zone desertiche, per
la Svizzera, in un'ottica continentale,
sarà importante la partecipazione
allo sviluppo di una rete di distribuzione elettrica a livello europeo e la
messa a disposizione dei propri bacini idroelettrici quale sistema di
compensazione delle oscillazioni
delle fonti alternative.
1
Ufficio federale dell'energia, «Schweizerische Gesamtenergiestatistik 2010 - Statistique globale suisse de l'énergie 2010»,
Berna (2011), p. 3
2
ibidem, p. 20
3
http://bit.ly/consumoelettricita
4
Rudolf Rechsteiner, «100 Prozent erneuerbar», Orell Füssli (2012)
5
Roger Nordmann, «Libérer la Suisse des
énergies fossiles - Des projets concrets
pour l'habitat, les transports et l'électricité», ed. Favre (2010).
6
http://bit.ly/pianoenergeticocantonale
7
http://bit.ly/pacchettomisure
7
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UN QUESITO
di Roberto Kufahl
ECOLOGICO
È solo nel breve tempo dal secondo dopoguerra a oggi, da
quando una parte sensibile della società e una parte degli intellettuali iniziarono a manifestare pubblicamente contro la minaccia di un degrado ambientale già visibile, che l'ecologia è
diventata un tema politico invalicabile, che pone problemi teorici e pratici di difficile soluzione.
Nell'ontologia comunicativa della vita odierna siamo condizionati dall'ansia di non farcela, dall'ossessione del
soldo, dalla smania di cambiare forma. Della percezione
di qualcosa di immutabile si è persa l'esperienza. I ritmi
della tecnica hanno prodotto la lontananza dall'abitudine
a pensarsi legati alle leggi ripetitive dei viventi, della Terra
e del cosmo. Pochi si lasciano distrarre dall'affermazione
che col distruggere la natura c'è il rischio reale di distruggere la Terra e la stessa vita umana. A differenza dei vegetali e degli animali che evolvono secondo l'autoregolazione naturale, l'uomo, che ha sviluppato la tecnica,
esce da questo tipo di evoluzione, perché la sua seconda
natura è in grado di dominare l'ambiente, di eliminare vegetali e animali a piacimento, e può quindi annientare lo
stesso genere umano.
L'ecologia come equilibrio di un insieme di elementi si sovrappone al principio del ritorno ai cicli naturali di ciò che
è stato preso. È la definizione di ecologia. Se a un sistema
tolgo e rendo, non lo cambio. Se gli tolgo e basta, il sistema
cambia. Se alla Terra togliamo risorse, essa si impoverisce
e va verso il disfacimento. Il consumo delle risorse naturali
non può evitare la distruzione della Terra, mentre il consumo parsimonioso (dello sviluppo sostenibile?) ritarda
unicamente la distruzione. Questo è quello che intende
Emanuele Severino, dando per inconciliabili l'economia
(almeno quella che va per la maggiore, ossia quella della
crescita e del profitto) e l'ecologia. Con un'economia che
ha per fine il profitto non c'è ecologia che tenga. Se voglio
preservare l'ambiente, non posso perseguire un'economia
dove il profitto costituisce il primo e l'ultimo senso (E. Severino, «Il declino del capitalismo», Rizzoli).
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La critica della filosofia occidentale sembra mettere sul
banco degli imputati la volontà di potenza. Sembra che la
perdita del rispetto delle cose (degli enti, come dicono i filosofi) sia concomitante con l'avvento della volontà di potenza, il fattore che più di ogni altro si è fatto carne
nell'uomo e nella sua storia. Ci siamo emancipati dalla filosofia naturale dell'Antichità e dalle leggi degli astri incontaminate dal pensiero e dalla volontà. Ricorda
Umberto Galimberti: «L'antico Greco non pensa storicamente, perché pensa cosmologicamente. Là dove tutto è
immutabile o diviene nella forma dell'eterno ritorno,
manca una memoria del passato o un'anticipazione del
futuro». (U. Galimberti, «Il tramonto dell'Occidente», Feltrinelli)
Armati di questa volontà, la volontà di «essere come Dio»,
indaghiamo intensamente il mondo e lo cambiamo continuamente. E tutti sanno − ma quel «sanno» è poi vero? −
che stiamo sconvolgendo, forse irreversibilmente, i cicli
del clima e della vita. Secondo Severino, l'idea che la
scienza ha di sé stessa è quella di un'attività in grado di
cambiare le cose come se decidesse di farle apparire e
sparire perché vengono dal niente e vanno al niente. La
scienza è la verità di questo divenire che fa perdere il valore agli enti, che fa perdere il rispetto dell'essere degli
enti. Pensando l'essere come divenire, come storia, come
tempo, l'Occidente fa sorgere, modella, rimodella e distrugge l'ente, perché la legge del divenire identifica l'ente
col niente. Il nostro pensiero contemporaneo è nichilista:
«Nichilismo significa affermare che le cose sono niente,
ossia che il non-niente è niente».
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TRAPPOLE
di Silvano Toppi
Il consumo, da un punto di vista Le colpe dell'attuale situazione econo- Il reddito (salario) o il potere d'aceconomico, indica la finalità del la- mica sono generalmente rovesciate sul- quisto possono permetterci di ritevoro. Il quale serve a produrre dei l'esterno: capitalismo selvaggio, indivi- nere accettabile e perfino benedetta
beni e dei servizi che ci permettono dualismo imperante, finanza onnipotente la crescita fondata su consumi
di far fronte ai nostri bisogni o, con e predatoria, politica servile o mente- senza limiti. Qui però siamo finiti
il salario, di poterli acquistare. catta, globalizzazione distruttrice o scon- nell'altra trappola, che è pure un
Senza consumo, ci si dice, non c'è quassante, organismi internazionali cerchio infernale. Il meccanismo
crescita. Se la crescita va spinta ciechi o paralizzati. Quasi mai osiamo economico adottato (non c'è cresenza requie al massimo per far gi- partire da noi stessi, perché impliche- scita senza spinta continua al conrare l'economia, è giocoforza non rebbe mettere in discussione i nostri sumo), la filosofia o la «cultura»
solo rispondere ai bisogni reali ma comportamenti. Siamo finiti in due trap- rese essenziali (se non consumo non
pole dalle quali non riusciamo o non vo- esisto) e i mutamenti politici intercrearne sempre dei nuovi, anche fitgliamo liberarci: la trappola del consumo
nazionali sopravvenuti (globalizzatizi. Con qualche rischio: di sovrape quella del reddito.
zione, apertura dei mercati,
produzione e di saturazione, di
impossibilità di risparmio (di progettualità) o di cronica concorrenza spietata fondata su enormi disparità soinsufficienza del potere d'acquisto. Qui si annida la ciali e legislative) hanno generato esigenze e conseguenze perverse e contraddittorie a ogni livello. Come
crisi.
Non c'è però solo un punto di vista economico. Per il ad esempio il drastico contenimento dei costi con la
suo stretto e ovvio rapporto con la stratificazione e l'or- continua e sistematica riduzione degli oneri e della
dine sociale, il consumo riveste anche una dimensione massa salariali, la ricerca della massima produttività
politica di solito poco o per nulla rilevata. Già Marx (minor lavoro) per continuare a percepire profitti più
(sempre più attuale) aveva analizzato il «feticismo della elevati, la sistematica revisione e riduzione dei diritti
merce», constatando come i prezzi dei prodotti nascon- del lavoro (precariato, flessibilità), l'attacco ai bilanci
dano sempre i rapporti sociali soggiacenti. Anche il con- pubblici per finalità fiscali e ottimizzazione (evasione)
sumo, dopo il lavoro, può diventare strumento di fiscale. Agli effetti nefasti e contraddittori che comporta
alienazione. Ciò è avvenuto in due modi: imponendo tutto questo si è risposto con due mosse boomerang: la
l'idea e soprattutto la pratica dell'«io consumo, dunque mitizzazione del prezzo sempre più basso che accelera
sono», e dando la possibilità a un'oligarchia dominante, la spirale negativa e l'indebitamento come droga in sostituzione dell'inadeguato e calante potere
attraverso l'utopia della crescita materiale senza fine e
d'acquisto.
dell'inganno dell'abbondanza per tutti, di crearsi e aliQuindi, se non ci rendiamo conto
mentare un alibi o una sorta di anestesia politica genedi ciò che implica in termini e
ralizzata nei confronti delle ineguaglianze e della
condizione di rapporti sociali
distruzione delle risorse naturali.
e politici il nostro consumo, se
non ci rendiamo conto che il
prezzo di un bene non può essere solo rapportato al reddito disponibile ma prioritariamente all'incidenza o alle conseguenze sociali e politiche di quel prezzo, non usciremo mai
dalle mefitiche trappole dell'economia attuale. Ce lo sta dimostrando come non
mai la situazione contingente.
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ADOLESCENZA
NARRATA
di Adriano Agustoni
Il periodo adolescenziale richiama l'attenzione degli adulti quasi sempre per la sua
delicatezza e per i suoi aspetti problematici. Raramente il mondo degli adolescenti
costituisce invece motivo di interesse per la sua intrinseca, rassicurante e diffusa ordinarietà. Con il libro «Adolescenti in cerca d'autore» (Armando Dadò editore, 2011),
Linda Martinoli e Ilario Lodi hanno voluto cristallizzare la riflessione sulle molteplici
dimensioni dell'adolescenza che la definiscono come una risorsa, un tema da considerare restando lontani dagli stridenti pregiudizi che spesso lo ammantano.
L'elemento propulsivo, il viatico che
ha reso possibile quest'avvincente
esplorazione, è stata la narrazione,
il racconto degli adolescenti stessi
che si sono rappresentati nelle loro
prerogative esistenziali di giovani
appena sconfinati fuori dalla loro
stessa realtà. Il desiderio di occuparsi di adolescenti è stato mosso
dalla curiosità di avvicinarsi al loro
modo di pensare e di vivere la quotidianità. Tutto questo al riparo
da scivolose tentazioni di ricondurre questo passaggio
evolutivo a un paradigma
scabroso e problematico.
L'esperienza ha coinvolto alcuni adolescenti
che hanno socchiuso lo
scrigno in cui si cela il
loro denso vissuto rendendolo accessibile ad altrettanti giovani adulti che
lo hanno raccolto e consegnato alla parola. E la parola
ci ha restituito uno spac-
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cato sideralmente distante dai fatti
eclatanti che a scadenze irregolari
richiamano l'attenzione dell'opinione pubblica. Ne scaturisce al
contrario un prospetto variegato di
vite narrate attraverso frammenti
di quotidianità che fanno risaltare
fragilità, senso di incompletezza,
smarrimento, ma anche una quotidianità intrisa di una confortante
normalità fertile di speranza, di curiosità, di desiderio di ascolto da
parte del mondo degli adulti.
Ed è proprio il rapporto con il
mondo degli adulti che richiama alcune doverose riflessioni. Le incomprensioni tra adolescenti e adulti
non sono certo prerogative di questo tempo. Le difficoltà di comunicazione, i silenzi, i comportamenti
ostili riferiscono anche nel nostro
tempo della necessità dell'adolescente di mantenere l'incomprensione come strumento di protezione
da un mondo adulto da cui desidera
affrancarsi. I criteri degli adulti utilizzati ai fini della valutazione della
maturità dei giovani non vengono
sempre riconosciuti come efficaci
dai giovani stessi. E questo è un divario che non si può colmare ma
solo tentare di contenere.
«Adolescenti in cerca d'autore» non
ha la pretesa di fornire un quadro
esaustivo del mondo adolescenziale.
Le testimonianze narrate da Alex
Rusca, Piero Schmid, Ludovica Gianocca, Monica Muraca, Giorgia
Franzi, Elisa Iuva e Virginia Gentilini offrono tuttavia una trama appassionante e significativa, dove la
scoperta dell'adolescenza è solo introdotta, interrotta in attesa di essere rilanciata con il coinvolgimento di nuovi autori ma soprattutto di nuovi interpreti desiderosi di consegnare alle
parole esperienze di
vita meritevoli di
essere narrate.
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RICUCIRE
L’ITALIA
di Teo Lorini
Nato nel 2005 come rivista, «Il primo In principio fu «Il primo amore»: un col- quando la marcia si è conclusa, le due
amore» non si è accontentato di esi- lettivo di scrittori, fotografi, critici, tra- città fra le quali essa si era dipanata –
stere nella forma ormai logora della duttori (Tiziano Scarpa, Dario Voltolini, Milano e Napoli – avevano voltato paconfraternita intellettuale, ripiegata Antonio Moresco, Carla Benedetti, Gio- gina, eleggendo (anche qui, contro
sul dibattito estetico o su quello lette- vanni Giovannetti, Andrea Tarabbia, giu- ogni previsione) i sindaci Pisapia e De
rario. Al contrario, ha da subito cer- sto per fare qualche nome). E adesso Magistris. Ora, tra poco, «Il primo
amore» rilancia con un'impresa ancato di produrre una spinta diventa un viaggio.
cora più ardita.
aggregante di coinvolgimento collettivo e di rigenerazione. E ora replica un'esperienza di Stella d'Italia sarà una marcia che si snoderà dal 12 maggio al 5 luglio, in tappe di 20-25 chilometri al giorno, da
viaggio collettivo già affrontata l'anno scorso.
Questi auspici hanno portato alla nascita di numerose ini- cinque punti della Penisola convergendo su L'Aquila, la
ziative – raduni, comizi, incontri – fra i quali Tribù d'Italia città che più di ogni altra è l'emblema della distruzione
(2009), un convegno di artisti e di gruppi, di attori come lasciata da quest'epoca di squassanti lacerazioni e che nel
Marco Baiani, di realtà virtuose, attive in ambiti dramma- contempo incarna il bisogno di ricostruzione dell'Italia e
tici come il Centro Hurtado di Scampìa o in centri di asso- di tutta la nostra società.
ciazione solidale come la Cascina Cuccagna di Milano. A All'iniziativa hanno già aderito centinaia di singoli, pronti
Tribù d'Italia ha fatto seguito «Cammina Cammina», un a condividere la strada per qualche ora o per tutto il camviaggio a piedi che la scorsa estate si è snodato da Milano mino, e di associazioni come il Coordinamento nazionale
a Napoli. Si è trattato di un incontro, non solo ideale e in- dei Piccoli Comuni, l'Associazione Nazionale dei Comuni
tellettuale ma anche fisico, per riconquistare un'unione Italiani, numerose Regioni e Province e ancora associazioni ambientali, festival, gruppi e associazioni culturali,
che appare di giorno in giorno più instabile.
Alla partenza da Milano, l'Italia sembrava imprigionata in tra cui ARCI, CAI, Centro Hurtado di Scampìa, Festival Letlogiche sempre più inumane: era un Paese nel quale pa- teratura di Mantova, Generazione TQ, Legambiente, Movireva arduo persino celebrare un anniversario cruciale mento Lento e Suq di Genova.
come il 150.esimo dell'Unità, uno Stato diviso tra bande I cinque bracci del cammino partiranno da Genova (27
di politici e affaristi spregiudicati, frastornato da istanze maggio: è il tragitto che può interessare di più i cammiseparatiste, da pulsioni di razzismo e cattiveria fra gruppi natori ticinesi), da Venezia (25 maggio), dalla Calabria (12
umani e sociali, pulsioni che parevano impossibili da scar- maggio), dalla Puglia (2 giugno) e da Roma (30 giugno) e
dinare. Eppure via via, spontaneamente e al di là delle arriveranno il 5 luglio a L'Aquila, dove Stella d'Italia si
stesse previsioni degli organizzatori, oltre 700 persone concluderà con un incontro internazionale di tre giorni inhanno impegnato i propri corpi e le proprie menti in un titolato «I fuochi dell'Aquila – da terremotati a terremoatto essenziale come quello di chi mette un piede davanti tanti». L'elenco completo degli aderenti, il tragitto
all'altro, riappropriandosi del suo spazio e del suo tempo, dettagliato e le modalità per iscriversi si trovano on line
ricordandosi di quali imprevedibili risorse è capace di (camminacammina.wordpress.com).
sprigionare ciascuno di noi. Con sincronia singolare,
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IL FUMO
di Giancarlo Nava
LEGHISTA
Secondo Pinoja, «i Leghisti sono pre- Un dirigente di partito molto vicino alla leghista. Lo ha scritto molto bene il
suntuosi, pensano di avere sempre ra- Lega, il presidente dell'UDC onorevole compagno Sergio Roic in un recente
gione e prendono posizione in modo Gabriele Pinoja, ha dato un preciso giu- articolo su «il Caffè».
arrogante. Dimostrano poca affidabi- dizio negativo sui suoi alleati. Se per- Altro auspicio nei confronti del PS è
lità, soprattutto nel rispettare gli im- fino lui ci è arrivato, che dire di tutti gli che sappia difendere in modo efficace
pegni presi, hanno scarso interesse e altri?
i propri militanti e dirigenti, specialscarsa coerenza verso il rigore finanmente quelli che operano nelle istituziario per il bilancio dello Stato, fanno
zioni e nei media. Di recente Simonetta
proposte demagogiche, come la trediSommaruga è stata violentemente incesima AVS, che creerà più problemi
sultata dai Leghisti senza che ciò
di quanti ne risolva». Pinoja presuscitasse reazioni. Lo stesso è
conizza poi il declino della
accaduto con alcuni nostri parLega «perché non ha un rilamentari e giornalisti, colpecambio generazionale per il
voli solo di aver svolto il
Parlamento e per il goproprio dovere. Penso per
verno. Bignasca è in
esempio all'attacco indegno
grosse difficoltà per le
portato da Tuto Rossi condenunce a suo carico.
tro Nenad Stojanovic e
La linea politica onIvan Cozzaglio. Invece la
divaga alla fine invibrante reazione in difesa
crinerà
la
dello scrittore Giovanni
credibilità nel
Orelli, barbaramente atmovimento e,
taccato da Boris Bignasca,
se Borradori
sembra essere il segno di
dovesse
un cambiamento che fa
mollare, la
ben sperare.
Lega perPS, PLR e PPD doderebbe una
vranno infine dotarsi
certa immadi una concreta progine e molti
gettualità, per dare
consensi». Sono
una risposta ai veri
difetti e atteggiaproblemi del Paese
menti che noi desenza lasciarsi dinunciamo da mesi
strarre da quelli
e che lentamente,
falsi, sbandierati
facendo discutere
per opportunila gente, stanno
smo elettorale.
portando
nel
Paese molti dubbi su
questo movimento ventennale.
«Incolpare sempre e comunque di tutte le malefatte coloro che non si
Intanto il Partito Liberale Radipossono difendere (gli stranieri in loco non possono votare; le nazioni
cale, che detiene la maggioranza relaestere non hanno un interesse primario a partecipare al dibattito potiva nel Parlamento, ha deciso di non
litico svizzero) è facile e, a quanto pare, pagante. Non pare vero che
più partecipare agli incontri dei presiquesta possa essere l'unica via percorribile in un luogo, il Ticino, al
denti e dei capigruppo, ritenuti inutili per l'inaffidabilità
della Lega. Si comincia a capire che non è con i muri alti
centro di vie di comunicazione e di fermenti intellettuali ampi e variegati,
10 metri o con Stampanamo che risolveremo il problema
e che questa politica debba essere perseguita, in toto o in parte, da
degli asilanti. Oppure con insulti gratuiti ogni domenica ai
forze politiche con ben altra tradizione, come il Partito socialista. Ci si
governanti italiani o ai ministri svizzeri che riusciremo a
augura, allora, che la distanza tra Partito socialista e Lega dei ticinesi
trattare efficacemente con Roma o con Berna. E la gente
rimanga grande, concreta e ferma, perché se la politica ha i suoi modi
comincia anche a rendersi conto che i voti ai populisti non
e i suoi tempi, lo sviluppo di una società complessa e moderna come
servono a niente, perché troppi sono gli slogan facili e
quella ticinese richiede un dibattito e delle soluzioni politiche in grado
poche le realizzazioni.
di guardare ben al di là del cortile di casa».
Mi auguro che anche il Partito Socialista, come già in pas(Sergio Roic, da «il Caffè»)
sato, sappia distinguere bene la propria azione da quella
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È MOBILE?
di Caterina Ghirlanda
Una petizione impazza su Internet: chiede l'annessione della Lombardia alla Svizzera.
Abbiamo cercato, tra il serio e il faceto, di tracciare uno scenario (inverosimile e abbastanza fantasioso) per immaginare che cosa cambierebbe per noi Ticinesi se la nostra vicina regione italiana diventasse il 27.esimo Cantone svizzero.
A metà aprile la petizione on line per
l'annessione della Lombardia alla
Svizzera aveva raccolto poco più di 27
mila firme. L'obiettivo di quest'iniziativa, che ha i contorni della boutade e
non ha alcun valore legale, è raggiungere mezzo milione di firme, quelle
necessarie per un'improbabile iniziativa referendaria. Riuscite però a immaginare come potrebbe essere se
fosse tutto vero? Un po' come si divertono i bambini: ipotizzare l'impossibile e vedere che effetto fa.
Il consigliere federale Ueli Maurer,
capo del Dipartimento federale della
difesa, ha dimostrato di sapersi destreggiare bene in quest'esercizio ludico e, senza scomporsi, con tutta la
serietà di chi sa giocare, ha dichiarato
che annettere la Lombardia non sarebbe un problema, «poiché rappresenta circa il 90% del totale di tutti gli
scambi commerciali con l'Italia». Poi
si è sovvenuto che è «un'ipotesi irrealistica». E, considerata la popolazione
lombarda e quella elvetica, si dovrebbe chiarire chi annette chi. Ma,
visto che i cavilli legal-costituzionali
rovinano il divertissement, proviamo
a fantasticare che cosa sarebbe la
Svizzera italiana negli equilibri confederali fra regioni con una Lombardia targata CH.
La nostra non sarebbe più la Cenerentola delle lingue nazionali e sparirebbe una bella assurdità consolatoria: la conoscenza passiva dell'italiano da parte dei dipendenti della
Confederazione, che dovrebbero attivarsi nel padroneggiarla. Anche il baricentro economico subirebbe un bel
terremoto. E forse traballerebbero
anche i pregiudizi più duri a morire
degli Svizzerotedeschi verso i Ticinesi.
Noi, dal canto nostro, dovremmo
scrollarci di dosso l'attitudine da vittima piagnona, ribaltando la situazione: da minoranza a maggioranza.
Ruolo di responsabilità… ma sai che
vita senza alcun logoramento da assenza di potere? Anche la discussione
i sogni di gloria della grande Svizzera
italiana si infrangono… sull'orlo di un
buco nell'asfalto. Ma il gioco di immaginare a 3 metri sopra il suolo può
continuare.
oziosa su un consigliere federale svizzero italiano troverebbe uno sbocco
naturale e concreto.
A eccezione del caso dei Comuni piemontesi di frontiera (ma sembra che
in Piemonte sia stata lanciata una petizione analoga a quella lombarda), la
questione dei ristorni sarebbe risolta.
La piazza finanziaria svizzera non
potrebbe più attingere alla regione-locomotiva d'Italia, ma
più a Sud, a Est, a Ovest. Sarebbero spazzati via tutti i
commerci che corrono
sulla linea di confine attuale: dai benzinai in territorio elvetico fino alle
edicole, ai negozi di
mobili, ai supermercati
in quello italiano. I
nuovi frontalieri sarebbero veneti, emiliani,
addirittura
liguri…
In ogni caso, la
frontiera a Sud si
allontanerebbe. Ci
sarebbero degli Elvetici più a Sud dei
Ticinesi. Roba da tirare un sospiro di
sollievo. Bignasca potrebbe farsi carico dei
cocci della frantumata
Lega lombarda. La RSI
potrebbe giustificare la
propria struttura e la
quota di canone televisivo.
Non staremmo più qui a fare
la conta di quanti docenti frontalieri insegnano nei licei cantonali.
Se avessimo voluto punire in modo
più consono le ditte ticinesi coinvolte
nello scandalo di asfaltopoli, ad esempio con un'esclusione dagli appalti
pubblici, avremmo potuto contare su
quelle ex lombarde. Che però saprebbero pavimentarci le strade come tavoli da biliardo? Valicate la frontiera,
quella attuale, e troverete la risposta:
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LA MIA
REINCARNAZIONE
di Roberto Rippa
«My Reincarnation», grazie alla sua complessità, non smette mai di sorprendere.
Dramma epico nell'arco di due decenni e
tre generazioni, tratta di spiritualità,
identità, famiglia, fede e aspettativa. Il
film segue il Maestro spirituale tibetano
Chögyal Namkhai Norbu, il primo a portare in Occidente il Dzogchen (ossia il
più alto percorso verso l'illuminazione
secondo il Buddhismo), e suo figlio
Yeshi, italiano di nascita e di educazione.
La regista Jennifer Fox inizia a filmare la famiglia alla fine degli Anni
Ottanta, quando lei è allieva del Maestro e Yeshi un adolescente non in
particolare sintonia con il padre, al
quale rimprovera di comportarsi più
da Maestro che da genitore. Anche
Norbu ha una storia particolare. Riconosciuto a cinque anni come la
reincarnazione di un Lama, è stato
tolto alla famiglia e portato a vivere
in un monastero affinché si dedicasse
solo allo studio. In fuga dal Tibet e
dalle persecuzioni cinesi, negli Anni
Sessanta il Maestro giunge in Italia,
dove si sposa e forma una famiglia.
Suo figlio Yeshi viene riconosciuto sin
da bambino come la reincarnazione
dello zio di suo padre, un altro Maestro tibetano. Un riconoscimento che
lui rifiuta come un trauma ma di cui
riconosce alcuni segni, come i sogni
circostanziati che lo accompagnano.
La prima apparizione di Yeshi mostra
un giovane alla ricerca della propria
identità, ricerca che per lui ha un significato più profondo. La sua eredità
familiare e l'aspettativa spirituale riposta in lui appaiono più un fardello
che una benedizione. Sarà proprio il
suo percorso a dare la spinta narrativa al film.
Dopo un salto di una ventina d'anni,
la regista torna a occuparsi di Yeshi e
della sua famiglia. Colui che era un
adolescente con un destino da cui fuggire è diventato un uomo con una famiglia, attivo nel campo dell'informatica. Finalmente l'uomo che
aspirava a essere, libero dal sospetto
di un destino incontrovertibile, si reca
in Tibet, dove il suo arrivo era atteso
da molti.
Jennifer Fox non si limita a seguire la
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formazione di Yeshi ma, scegliendo di
non compiacere nessuno, racconta
anche come essere scelti possa diventare un problema. Anche dal peculiare sguardo sul Buddhismo tibetano
svolto osservando le lezioni di Norbu
ai suoi studenti, ma pure la sua personale lotta contro il cancro, si capisce come il Buddhismo si sia costruito
un forte interesse in Occidente.
«My Reincarnation» è un film mirabile e mai meno che appassionante.
Portando lo spettatore a porsi molte
domande, è capace di parlare a tutti.
A Roma con pigrizia
L'opera numero 47 (includendo due progetti televisivi) di Woody Allen,
«To Rome With Love», ha il potere di mettere a dura prova la fede dei
suoi estimatori più incrollabili. Non solo degli amanti della prima ora, ma
anche di chi in anni recenti, dopo prove scarse come «Vicky Cristina Barcelona» e «Melinda and Melinda», aveva gioito della ritrovata freschezza
di «Basta che funzioni» o «Midnight in Paris».
Questa tappa italiana del lungo tour europeo (il continente in cui il cinema di Allen è da sempre accolto meglio), in cerca più di coproduzioni
che di folgorazioni, è desolante: una manciata di episodi messi insieme
in qualche modo, personaggi raffazzonati che non di rado cadono nella
macchietta, un pizzico di Fellini («Lo sceicco bianco») e una Roma da cartolina (come la Parigi di «Midnight in Paris», che godeva però di ben altra
ispirazione), per di più fotografata da Darius Khondji senza alcun guizzo.
Si ha l'impressione che da anni Allen sfogli il suo libro di battute memorabili per dispensarne con estrema parsimonia in ogni film. Anche qui ce
ne sono, ma ovviamente non bastano. E un film all'anno in queste condizioni di scarsa ispirazione è davvero troppo. Forse le immagini che ritraggono Allen mentre dormiva sul set possono spiegare qualcosa.
Prossima tappa: Copenhagen.
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di Libano Zanolari
Ad bestias! Nella sua fase finale, Roma
trasforma i Giochi Olimpici greci in macello. Lo spettacolo è dato dalla morte:
uomo contro uomo (mors tua vita mea),
uomo contro bestia. Solo il sangue eccita
lo spettabile pubblico dell'arena. Quello
moderno, tecnologico, cerca in TV e nel
Web il «crash», il cozzo in cui si rischia la
pelle. Ma, contrariamente ai frequentatori del Colosseo, lo fa di nascosto…
Di nascosto? Nemmeno tanto, se
prestiamo attenzione ai «lanci» televisivi di sport come lo sci alpino,
l'automobilismo e il motociclismo:
per accalappiare qualche spettatore in più, le immagini alludono
spesso al «crash», al cozzo strisciante (le bighe di Ben Hur!), alla
perdita del controllo della macchina o dello sci quasi sempre per
eccesso di velocità, il mito-mostro
del tempo che, come gli dei aztechi,
reclama sangue umano. Solo di
fronte alla morte, forse in virtù di
una remota «pietas» cristiana, il
dramma non è usato per soddisfare
morbose tendenze e incitare al
«Venghino, signori, venghino!» da
baraccone di periferia. Ci viene in
parte risparmiata la scena del ragazzo che rotola sulla neve inanimato, del pilota intrappolato che
rischia la vita fra le fiamme, del
motociclista al suolo travolto da chi
sopraggiunge. O almeno non la si
ripropone con continuità ma solo
poche volte (con la scusa del dirittodovere di informazione).
Gli impresari e gli schiavi delle
emozioni forti cercano lo spettacolo
senza un minimo sforzo di definizione del termine, filosofica o tecnica che sia. Spettacolo è ciò che
sposta in avanti il limite della sfida
con l'indicibile. Se la velocità è insufficiente, il rischio è aggravato da
mano umana. Si veda, per esempio,
il salto provocato artificialmente
per il sollazzo dei 30 mila spettatori
sullo «schuss» di Kitzbühel che ha
rischiato di togliere la vita a Daniel
Albrecht.
Per misurare la velocità – da mettere in evidenza nelle dirette televisive – vengono installate inutili
fotocellule, come quella che per la
maggioranza degli osservatori è costata la vita a Ulrike Maier, la campionessa austriaca che girava il
Circo Bianco con una bimba in
braccio. Certo, Ulrike per un errore
tecnico cadde proiettata a monte e
non, come sarebbe dovuto capitare
in quel punto, a valle. I giudici decretarono che Ulrike morì sul colpo
al primo impatto con il suolo e non
andando a sbattere contro il paletto. Una tragica fatalità, insomma.
Ma intanto in quel punto la fotocellula è stata tolta, esattamente come
molte reti di protezione sulle piste
di sci, sostituite da materassi che
resistono all'urto degli spigoli: quegli spigoli che rimasero agganciati
alle maglie provocando la lacerazione del bacino e la morte del ventenne austriaco Gernot Reinstadler
a Wengen. Solo dopo il sacrificio di
qualche vita umana le misure di sicurezza aumentano assieme alle
spese e spesso con una netta diminuzione dei profitti.
Non c'è nemmeno bisogno di uno
scritto per siglare il patto diabolico
che regge lo sport moderno. Tutti
sanno. L'impresario (nell'anno
olimpico 2012 il CIO) sa che, se lo
spettacolo non è gradito al pub-
blico, la TV non lo riprende e lo
sponsor non caccia la moneta. La
TV sa che, se l'indice d'ascolto è
basso, a sua volta non ha pubblicità
né sponsor e cancella il programma, evento sportivo o Miss/Mister Svizzera che sia. Il cerchio si
chiude troppo spesso con un
dramma, come nel caso del ventiduenne georgiano Nodar Kumaritashvili alle Olimpiadi del 2010 a
Vancouver in una disciplina poco
attrattiva come lo slittino, a forte rischio di esclusione. La velocità della
pista venne portata a punte che
sfioravano i 150 chilometri orari: 10
in più della norma. Dopo la tragedia
la pista fu accorciata e imbottito il
«fatale» palo di metallo contro cui
andò a cozzare Nodar. Troppo tardi.
Baudelaire si rivolgeva ai suoi lettori con un «Toi, hypocrite lecteur,
mon semblable, mon frêre».
Ognuno decida se e fino a che punto
vale anche per chi assiste a certe
gare. Per sport.
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