Nives Banin IL PRINCIPE BIONDO E NIVESSE

Transcript

Nives Banin IL PRINCIPE BIONDO E NIVESSE
Nives Banin
IL PRINCIPE BIONDO
E NIVESSE
Una favola realmente vissuta
prefazione di
Marina Pratici
Edizioni Helicon
© Copyright
Stampato in Italia / Printed in Italy
Tutti i diritti riservati
Edizioni Helicon S.a.s.
52100 Arezzo - Campo di Marte 20
Tel./Fax 0575 043607
www.edizionihelicon.it
[email protected]
A te, perché tu possa volare
nei cieli del mondo
come gli aquiloni
NOTA DELL’AUTRICE
Non sono una scrittrice, è la prima volta e penso anche l’ultima che lo faccio. Non so neppure se questo libro sarà letto da
qualcuno.
Io però ci provo.
Questa che vi sto per raccontare sembra una favola, almeno
lo era per me che la vivevo e continua a esserlo, anche se in
modo diverso.
Invece è una storia realmente accaduta.
È il meraviglioso rapporto d’amore, di gioia, di scherzi, di giochi nato tra me e un bambino che, a poco più di tre anni, è stato
costretto a combattere per due anni, purtroppo inutilmente, contro una terribile malattia:
LA LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA.
Se questa favola sarà letta, per caso, da qualche potente della
Terra, auspico che costui tragga spunto per impegnarsi con atti
concreti a dare ampio spazio alla ricerca scientifica per lo studio
delle malattie infantili, conosciute e rare, perché i bambini sono
il futuro del mondo.
7
Il
principe biondo e
Nivesse
Una favola realmente accaduta
Un giorno del marzo 2004 Giovanna e io, dirette all’Auchan ad
acquistare il mio primo cellulare, parcheggiamo la macchina di
fronte all’abitazione di sua cugina Rita per andare a salutarla.
Rita era fuori nei pressi della sua casa, con il figlioletto in passeggino. Mi avvicino, il piccolo dormiva. Dico a Giovanna:
«Che bel bambino, e che grande per la sua età!».
Lei mi risponde:
«Un anno e tre mesi, e non piange mai».
Non ti avevo mai visto. Tu un anno e tre mesi, io cinquantacinque anni e mezzo. Eravamo estranei l’uno all’altra, ma destinati
a diventare un giorno protagonisti di una favola meravigliosa:
IL PRINCIPE BIONDO E NIVESSE.
Dopo una decina di minuti Giovanna e io lasciamo Rita e il
bambino e ce ne andiamo per la nostra destinazione.
15
Venerdì 24 febbraio 2006 Giovanna doveva partire per Roma
per passarvi il fine settimana e io dovevo occuparmi della sua
gatta, che chiamavo “gatta senza pretese”, per i suoi gusti molto
semplici in fatto di cibo. Telefono a Giovanna ricordando che
doveva darmi le chiavi della sua abitazione, ma lei mi dice che
a Roma non va più perché doveva aiutare sua cugina Rita, il
cui figlioletto era stato ricoverato all’ospedale di Mestre per una
brutta otite.
Domenica sera, 26 febbraio 2006, seduta sulla sponda del letto di mia madre, ho al telefono Giovanna disperata e sconvolta.
Esplodendo in una tremenda crisi mi rivela che al suo cuginetto
era stata diagnosticata una terribile malattia:
UNA GRAVE FORMA DI LEUCEMIA.
Il bambino si trovava ricoverato dal venerdì notte all’ospedale di Padova presso la Clinica di Oncoematologia Pediatrica e
Centro Leucemie Infantili del Dipartimento di Pediatria, dove era
già sottoposto ai trattamenti terapeutici del caso. Lancio un urlo
e un sesto senso mi fa capire subito che questo pargoletto era
entrato nella mia vita e io nella sua. Ho la netta percezione che
un bambino sia precipitato dal cielo fra le mie braccia. Confusa,
non capisco più niente, rimango senza parole. Anche se il mio
rapporto di amicizia è solo con Giovanna, il mio pensiero corre subito al bambino che avevo visto per dieci minuti due anni
prima. A poco più di tre anni, invece di aprirsi alla vita si trova a
fare i pugni con essa! E la giovane mamma come avrà reagito?
Per lei è l’unico figlio, quanto grande sarà la sua sofferenza! è
una tragedia! E la nonna? è l’unico nipote. Inutile che continui a
rompermi la testa. Così non concludo niente. Prendo il cellulare
e invio un sms a Giovanna: “Per qualunque cosa io ci sono”.
16
Si crea così una rete. Mentre i genitori e la nonna si alternano in ospedale per assistere il bambino ventiquattr’ore su ventiquattro, Giovanna e io ci occupiamo di tutte le pratiche burocratiche che devono essere espletate in questi frangenti. Io
sono più fortunata perché lavoro presso il Servizio Sociale della
Municipalità di Mestre. Il posto giusto al momento giusto. Per il
momento non posso conoscerti. Ti posso solo amare. Sei sempre uno sconosciuto per me, ma da quando lavoro per te sento
dentro un qualcosa di forte, di profondo che ti avvicina sempre
di più a me. Ogni giorno che passa questo sentimento si fa più
intenso, mi coinvolge completamente. Sei ormai il primo pensiero del mattino e l’ultimo prima di addormentarmi. Anche al
lavoro, quando mi distraggo un attimo, ci sei sempre tu, solo tu.
Ormai ho stabilito un legame d’amore.
Un bambino che ha poco più di tre anni quanto sarà alto?
è una domanda che mi tormenta sin dall’inizio di questa avventura. Quando sono per strada, quando entro nei negozi, in
qualunque luogo mi trovi guardo solo i bambini. Chi avrà la tua
età? Non ho coraggio di chiederlo a nessuno. Temo di essere
considerata una pedofila. In realtà cerco te. La risposta alla mia
assillante domanda l’avrò solo più avanti, ad agosto, quando finalmente ti incontrerò.
17
Le malattie non portano solo sofferenza, ma anche problemi
economici. Spesso il portafogli deve essere a fisarmonica: apri
e chiudi. Una famiglia con notevoli possibilità economiche ce la
fa, ma quando queste non sono così le difficoltà arrivano presto. Ho impiegato una giornata intera a informarmi presso enti e
associazioni se i loro bilanci prevedevano contributi economici
a favore di bambini colpiti da quella brutta malattia. Tutte porte
chiuse! Il deserto più arido! Quando l’ultimo ente interpellato mi
risponde che l’unica possibilità è la domanda di invalidità, nella
speranza di una pensione, sento un pugno che mi trapassa lo
stomaco. Per me dichiarare invalido un bambino di pochi anni
è la cosa più folle del mondo! Nonostante la rabbia in corpo per
le barriere che incontro, continuo a lavorare per te con passione
ed entusiasmo. Ma non mi basta. Ormai sono legata a te da un
affetto immenso. Desidero vederti, ma so che non posso farlo
perché sei ricoverato in ospedale in un reparto particolare. Mi
accontento di una fotografia. La inserisco dentro un semplice
portafoto che appoggio sul comodino accanto al mio letto (dove
è ancora).
Finalmente ti vedo!
Ti osservo molto attentamente. Hai i capelli biondi, i lineamenti
minuti. Occhi scuri e profondi, naso piccolo come la bocca, il
mento con la fossetta. Le orecchie perfette. Sei proprio bello!
Non hai una bellezza normale, i tuoi tratti rivelano qualcosa di
aristocratico. Un piccolo principe. IL PRINCIPE BIONDO, così ti
nomino e così ti chiamerò per sempre.
18
Finalmente ti dimettono dall’ospedale. Ma non sono tutte rose
e fiori. A causa della tua malattia devi evitare i luoghi affollati e
qualsiasi altra possibile fonte di contagio infettivo.
Non puoi più frequentare la scuola materna, devi rimanere a
casa, il più possibile lontano dagli altri. Ti devi difendere dalle
persone. Hai bisogno di assistenza continua, ventiquattr’ore su
ventiquattro. La tua mamma deve lasciare il suo lavoro anche
se a termine. Le rare volte in cui ti porta fuori a passeggiare
deve scegliere i posti giusti e proteggerti con una mascherina.
Se qualcuno viene a trovarti, costui deve tutelarti indossando lui
la mascherina. Vista la situazione, tua cugina e io presentiamo
domanda d’invalidità, solamente perché è l’unico sistema per
ottenere un contributo economico.
Non puoi più giocare con gli altri bambini: non posso lasciare
il Principe biondo a giocare da solo. Devo fare qualcosa. Sono
fortunata. Una mattina, in ufficio, la prima voce che sento per
telefono è quella dolce di una giovane assistente sociale che,
tra i suoi compiti, si occupa di fornire il servizio di assistenza
domiciliare ai bambini che hanno dei problemi. Si interessa a te.
Così un bel giorno le Fate arrivano alla dimora del Principe per
giocare insieme, portandogli in dono gioia e serenità.
19