30 secondi e niente più. - supsi

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30 secondi e niente più. - supsi
30 secondi e niente più.
Sapere di persone che dedicano parte del proprio tempo libero alla buona causa, fa stare bene.
In un momento in cui il mondo sembra andare a passo di gambero, è bello pensare a loro come
esempi da seguire. Si tratta di uomini e donne costantemente al servizio della comunità, disposti
a vegliare in silenzio e senza pretese. Un atteggiamento esemplare da preservare nel tempo, per
evitare che, in futuro, l’egoismo di alcuni prevarichi l’altruismo di altri. Far parte da quasi 20
anni di un corpo pompieri volontario mi rende fiero e orgoglioso del tempo speso.
Alessandro Trivilini
Quel giorno il tempo scorreva con un
certo ritardo, era come se il movimento
delle lancette fosse appesantito da un
grosso peso. Stanco del lavoro svolto
durante la giornata, decisi di iniziare a
prepararmi per quella che si prospettava
una serata spassosa in compagnia di
amici e conoscenti. Prima di ogni altra
cosa, avevo bisogno di una doccia
rigenerante, un momento di relax che
potesse ristabilire le forze necessarie per
affrontare con la massima energia
l’imminente sabato sera.
Fuori la pioggia continuava a
cadere, imperterrita, bagnando senza
pietà anche i più piccoli angoli delle
strade, che in quel momento sembravano
deserte e abbandonate. Ho sempre
detestato uscire di casa con l’ombrello,
due volte su tre non faceva rientro a
casa. Quella sera però, purtroppo, non
potevo farne a meno. Un paio di jeans,
una camicia, qualche soldo in tasca e
tutto era pronto per dare il via alla serata.
Dopo una settimana di intenso lavoro
avevo proprio bisogno di un momento di
svago e qualche ora di spensieratezza.
Ricordo di essere uscito di casa
abbastanza presto, intorno alle sette di
sera, e il programma in corso sembrava
perfetto: cena con amici a casa di
Giorgio e a seguire la nottata in una
balera del centro città.
Credevo di essere in ritardo, invece, mi
resi conto del forte anticipo rispetto agli
altri
invitati.
Come
al
solito
l’accoglienza era ottima: il tavolo da
cucina imbandito di ogni prelibatezza,
contornato da un ghiotto aperitivo che
non aveva niente da invidiare a quelli
che si consumano al bar. Giusto il tempo
di entrare in casa, porgere i saluti del
caso e depositare la giacca nell’apposito
guardaroba, che il campanello iniziò a
squillare incessantemente. Uno dopo
l’altro in rapida successione arrivarono
tutti i convocati. E si, perché questo
genere di cene tra amici sembrava un
vero e proprio raduno. Non c’era da
stupirsi, la compagnia era composta
prevalentemente da amici storici
cresciuti attraverso la stessa disciplina
sportiva: la pallanuoto.
I fornelli avevano iniziato a
scaldare le squisite pentole necessarie
alla preparazione di una prelibata
fonduta al formaggio. L’occasione
voleva che per cena ci fosse qualcosa di
particolare e allo stesso poco
impegnativo. Sono bastati pochi minuti
di cottura perché dentro casa regnasse
l’inconfondibile odore che caratterizza
questa specialità. L’atmosfera iniziò a
scaldarsi al ritmo incessante di racconti
di mille avventure passate insieme a
bordo vasca in giro per il mondo. Che il
gruppo fosse affiatato non vi era nessun
dubbio, ma che ogni volta riusciva a
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rivivere con lo stesso entusiasmo i
momenti salienti del passato lasciava di
stucco. La serata era avviata nel migliore
dei modi, e fra una chiacchierata e
l’altra, un buon bicchiere di vino e una
risata, il tempo aveva ripreso a scorrere
con i ritmi di sempre.
che erano solite vivere ogni volta che
venivano sommerse dal formaggio fuso.
Appesantiti dalla cena e con lo
stomaco
ricolmo
di
formaggio,
lasciammo che gli sguardi iniziarono a
calare di intensità per lasciare alla
digestione tutte le energie disponibili in
corpo in quel momento. Anche il rumore
tanto
contestato
dai
vicini
improvvisamente svanì, nessuno aveva
più la forza di parlare. La situazione
aveva dell’incredibile, non era mai
accaduto prima che nessuno avesse più
la forza di proseguire la serata in centro
città. La voglia di fare festa era
stranamente sparita per lasciare il posto a
un inspiegabile silenzio. Evidentemente
era un segnale importante che avremmo
dovuto cogliere, premonitore forse di
quanto sarebbe accaduto a breve.
Giunse finalmente il momento di
sedersi a tavola per cena: una grande
pentola in porcellana di colore giallo,
posizionata al centro del tavolo,
conteneva una colata infinita di
formaggio fuso bollente. Anche i
commenti dei vicini di casa non
tardarono a farsi sentire, infastiditi dal
rumore dalle nostre risate iniziarono a
battere la scopa sul proprio soffitto. Ci
sedemmo al tavolo con grande appetito,
scambiando la conformazione del mobile
per un campo da gioco: Mauro a capo
tavola, quale portiere, Giorgio e Stefano
ai lati, Giacomo all’estremità come unica
punta d’attacco, e il resto a coprire i
posti vacanti. Già, anche in queste
occasioni l’affiatamento era tale che, i
movimenti e le disposizioni risultavano
spontanei e naturali, proprio come i
collaudati schemi di gioco durante le
partite.
Il gruppo di sportivi incalliti, sempre
pronti all’avventura, si era trasformato in
un ammasso di svogliati senza stimoli,
completamente irriconoscibili. Nell’aria
si captava un’atmosfera singolare,
sembravamo tutti tacitamente attratti dal
nulla, con gli sguardi fissi nel vuoto. Il
cambio di programma a quel punto era
scontato, e una breve votazione aveva
confermato quanto proposto da Mauro:
serata tranquilla con la proiezione di un
film alla tv. L’idea aveva trovato
tacitamente i consensi opportuni, e la
scelta del film non lasciava spazio alla
fantasia: il Gladiatore.
Giusto il tempo di premere il tasto di
avvio del film, che iniziò a squillare un
telefono cellulare.
Dal genere dello squillo non poteva che
appartenere al padrone di casa. Strano,
ma anche in quell’ occasione il suono
emesso dal telefono sembrava diverso:
forte e invadente. Per riflesso tutti i
nostri sguardi andarono a convergere
nello stesso punto, senza che nessuno
La cottura era perfetta, e la miscela
eccellente. Un misto di formaggi che
avrebbe conquistato anche i palati più
difficili. Un pasto calorico e in parte
pesante, ma allo stesso tempo prelibato
che andava consumato con calma, e
accompagnato con dell’ottimo vino
bianco. Sono bastati circa trenta minuti
per esaurire tutte le riserve disponibili, e
per appagare il nostro forte appetito.
A un certo punto anche le speciali
forchette a doppia punta erano tutte
appoggiate sul tavolo stanche ed esauste.
Mancava loro la parola perché potessero
esprimere quel senso di soffocamento
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pronunciasse alcuna parola; guardammo
come stocca fissi Giorgio alla ricerca
disperata del suo telefono. Rimanemmo
tutti ammutoliti. Chi seduto sul divano,
chi sul pavimento circostante il
televisore, e chi, ancora in preda alla
digestione, in piedi appoggiato al muro.
La suoneria continuava a strillare.
Passarono soltanto pochi secondi ma era
come se fossero trascorse delle ore
intere, e senza nessuna spiegazione il
nervosismo iniziava a prendere il
sopravvento.
La ricerca sfrenata del telefono
non aveva dato ancora nessun risultato,
per questo iniziammo tutti a rovistare fra
le giacche e le stoviglie lasciate sul
tavolo in pieno disordine. Ormai era una
sfida: i presunti pigri si erano trasformati
in automi impazziti alla ricerca disperata
di un telefono cellulare delirante.
D’un tratto, grazie ad un
movimento ingenuo da parte di Mauro
sul bancone della cucina, venne
finalmente trovato l’apparecchio, e senza
esitare un momento Giorgio lo afferrò
rispondendo alla chiamata. Sono bastati
pochi secondi di conversazione per
carpire dal suo volto che qualcosa di
brutto
doveva
essere
successo.
L’espressione del suo viso si fece scura,
la sua fronte aggrottata e i suoi occhi
impauriti. Si trattava senza dubbio di una
telefonata
atipica.
Infatti,
senza
nemmeno prendere fiato e spinto da un
grosso affanno, continuò a ripetere
all’impazzata la stessa inquietante
parola:
brucia,
brucia,
brucia!
All’estremo opposto del telefono vi era il
padre in evidente stato di agitazione in
cerca di soccorso. L’atmosfera singolare
che da ore serpeggiava in casa, aveva
drammaticamente trovato riscontro.
Tutto in quel momento si fermò, e gli
istanti successivi furono terribili.
La mia testa e il mio corpo vennero
assaliti da una sensazione di panico e
preoccupazione. Ognuno di noi avrebbe
voluto fare qualcosa, ma nessuno
riusciva a muovere un muscolo. Ricordo
come fosse ieri che rimasi in uno stato di
apparente stallo per qualche frazione di
secondo, come fossi ipnotizzato.
Con grande determinazione
Giorgio prese le chiavi della caserma dei
pompieri appese al muro di casa, e di
corsa si precipitò in loco, a poche
centinaia di metri dalla sua abitazione.
Dannazione, ancora oggi mi vengono i
brividi a pensarci. Un momento di festa
improvvisamente spazzato via da una
telefonata inattesa che avrebbe potuto
trasformarsi in tragedia.
Passato il momento di esitazione
che assalì la mia mente e il mio corpo,
lasciai cadere a terra ciò che avevo fra le
mani, per correre a mia volta alla base
operativa. Era arrivata una richiesta di
aiuto attraverso un canale non
convenzionale, e in caserma ancora non
era giunta l’allarme ufficiale. Bisognava
prepararsi senza perdere tempo prezioso,
ogni secondo poteva essere cruciale.
Appena varcato il portone del
deposito del corpo pompieri giunse sul
dispositivo personale l’allarme da parte
del centro soccorso. Era ormai notte, e il
buio dominava le strade del paese. La
luce malinconica dei lampioni circostanti
la strada rendeva la situazione ancora più
drammatica. Aprimmo immediatamente
il portellone principale, e iniziammo
subito a spogliarci per indossare la divisa
di servizio. Le grida dei compagni che
nel frattempo avevano raggiunto la
caserma erano forti e incessanti: muoviti,
muoviti, muoviti, non c’e tempo da
perdere! Raggiunto il numero minimo di
militi necessario per partire con i
soccorsi, ci avviammo velocemente in
direzione dell’incendio.
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Il mio corpo era sommerso di
adrenalina, e il mio volto concentrato su
ciò che stava accadendo. Imboccata la
strada principale, azionammo tutte le
sirene disponibili, e, come per magia, il
colore blu delle luci si mischiò al colore
giallo nostalgico dei lampioni lungo la
strada. Gli automobilisti si fermarono
spontaneamente a lato della carreggiata
per lasciare il posto ai mezzi di soccorso.
Le autoradio di servizio iniziarono a
diramare messaggi, e il capo intervento
iniziò a raccogliere informazioni utili
sull’accaduto.
La situazione non era per niente
facile, e non c’era tempo da perdere. Con
grande coraggio e professionalità diede
subito ordini per intervenire nel migliore
dei modi. Eravamo tutti in silenzio e
fortemente concentrati sull’accaduto,
avevamo capito che non si trattava del
solito finto allarme, e neppure di
un’esercitazione. In transito sul ponte,
con le sirene spiegate, il suono divenne
ancora più forte e grintoso, era come se
il lago e le montagne circostanti avessero
anch’essi contribuito a spianare la strada
ai nostri automezzi, amplificando la
potenza dei segnali acustici. Pochi
minuti di viaggio e arrivammo a
destinazione.
Lo
scenario
era
raccapricciante.
Un denso fumo si innalzava dal tetto
dello stabile, e immense fiamme
fuoriuscivano
dalle
finestre
dell’appartamento al secondo piano.
L’acre odore di bruciato aveva ormai
raggiunto l’intero paese, e gran parte dei
suoi abitanti si erano portati attorno alla
strada incuriositi da ciò che stava
succedendo.
Nuovamente i mie ricordi si
fanno tangibili davanti ai miei occhi:
grida di persone in preda al panico e
sirene spiegate di soccorritori in arrivo
sul luogo dell’incidente.
Bisognava lavorare con la
massima prudenza, cercando di capire le
entità dell’incendio e in caso portare
immediatamente
in
soccorso
le
potenziali
persone
intrappolate
nell’appartamento.
Grazie a nuove e preziose informazioni
raccolte sul posto dal capo intervento, è
stato possibile conoscere la struttura
interna dell’appartamento e il numero di
persone che potevano trovarsi nelle
stanze avvolte dalle fiamme. Un gruppo
specializzato e attrezzato con le
maschere per la protezione della
respirazione si preparò immediatamente
per fare irruzione nello stabile. Il fuoco
era aggressivo, e il fumo nero rendeva il
lavoro dei soccorritori difficoltoso e a
tratti anche pericoloso. In pochi minuti
arrivarono in aiuto il resto dei militi, tutti
carichi di energia e pronti a dare il
proprio contributo. Chi alla segnalazione
del traffico, chi al rifornimento d’acqua e
chi, con gran coraggio, nell’atrio scala
con i respiratori e le lance di primo
intervento.
Un primo tentativo di soccorso
fallì, il calore era tale che risultava
difficile varcare la soglia d’entrata. Il
rumore incessante dell’ardere del fuoco
non permetteva di capire se all’interno si
trovassero persone in difficoltà. Rumori,
sensazioni e odori si mescolavano
ripetutamente, tutti orchestrati delle
fiamme e dallo scorrere inesorabile del
tempo. I minuti passavano come
secondi, e i secondi trascorrevano senza
nemmeno lasciare il segno. Le fiamme
assassine continuavano imperterrite a
divorare le pareti dello stabile, dentro e
fuori. Era come vedere un grosso mostro
impazzito in preda a una crisi di fame.
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L’incendio divampava e il capo
intervento fu costretto a definire una
nuova strategia d’azione. Vennero
immediatamente richiamati i militi in
azione nell’atrio per dar loro nuove e
importanti
indicazioni,
affinché
potessero tentare una nuova incursione e
avanzare con maggiore sicurezza con le
manovre di spegnimento. Tutti i
soccorritori arrivati sul posto erano
operativi e ben gestiti dall’ufficiale in
comando, il quale aveva assunto il pieno
controllo delle operazioni con grinta e
determinazione. La sua sicurezza
alimentava il nostro coraggio, e
permetteva di rimanere concentrati sulla
missione in corso. Presto scelse i
pompieri che sarebbero dovuti entrare
nell’appartamento, per portare a termine
la missione appena ricevuta.
Equipaggiati
del
materiale
necessario, e seguendo i nuovi ordini, i
due prescelti riuscirono questa volta a
penetrare nei locali in fiamme, e senza
perdere tempo iniziarono le ricerche
sistematiche di eventuali persone in
difficoltà. La comunicazione fra
l’esterno e l’interno dello stabile
avveniva attraverso le radio di servizio,
ma spesso risultava irregolare a causa
dell’affanno dovuto al fumo e al calore
del fuoco. In quelle circostanze non era
semplice gestire le emozioni e
l’adrenalina, e la comunicazione spesso
ne portava le conseguenze. I messaggi
frastagliati e ridondanti fecero capire che
non vi era niente da fare, nonostante
fossero
all’interno,
dovettero
abbandonare
immediatamente
la
missione causa il divampare inaspettato
del fuoco sul lato ovest dello stabile. Il
capo intervento era sempre vigile sulla
situazione generale e in particolare sul
comportamento instabile del fuoco
governato dalla brezza che tirava
all’esterno.
Per questo, diede subito la ritirata
ai due nell’appartamento, appurato che
le minime prescrizioni di sicurezza in
quel momento non erano più garantite.
Nonostante ciò, nessuno aveva la
minima intenzione di arrendersi,
tutt’altro. L’ufficiale in comando,
continuamente sollecitato dal mutare
delle situazioni, diede così nuovi
importanti ordini. Un effetto a
fisarmonica estenuante che poneva i
militi a importanti e cospicui sforzi
fisici. Ma proprio pochi secondi prima di
tentare una nuova penetrazione, giunse
via radio un messaggio che nessuno
avrebbe mai voluto ricevere: la conferma
di
una
persona
all’interno
dell’appartamento avvolto dalle fiamme.
La tensione era alta sin dall’inizio delle
operazioni, ma dopo questa notizia il
nervosismo salì alle stelle. Di nuovo,
l’ufficiale richiamò ai suoi ordini i
pompieri destinati al salvataggio della
persona intrappolata tra le fiamme, gli
stessi del tentativo precedente.
Il loro sguardo era fisso negli occhi di
chi, in quel momento, stava parlando.
Non era permesso sbagliare, qualcuno
dentro l’appartamento aveva bisogno del
loro aiuto e nessuno poteva tirarsi
indietro. L’espressione sul volto dei
militi dava speranza, quell’ apparente
speranza che contribuiva a divulgare
fiducia e sicurezza fra i compagni. Il
nucleo scelto per il salvataggio era
pronto e focalizzato all’obiettivo: salvare
la persona intrappolata nel fuoco.
Entrarono nell’appartamento e si
misero immediatamente alla ricerca
sistematica dell’anziana persona, ma il
fuoco e il forte calore ostacolarono le
ricerche. Le manovre erano limitate,
servivano maggiori dettagli sulla
conformazione dei locali, bisognava
localizzare la posizione esatta di porte e
finestre necessarie per liberare la casa
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dal fumo. Le azioni non potevano
riprendere senza la sua parziale
evacuazione, sarebbe stato come cercare
l’ago in un pagliaio all’interno dei un
fienile senza luce. Passarono ancora
alcuni minuti, quando d’un tratto, a
seguito di un tentativo spontaneo dei
militi all’interno dell’appartamento,
venne per caso individuata la finestra
principale del soggiorno, poco distante
dal grande focolaio. La situazione
sembrava essersi sbloccata. Per quanto
possibile venne aperta la finestra, e parte
del fumo iniziò a defluire. A quel punto
il problema principale riguardava
l’ossigeno, che a seguito di quell’azione
alimentava ulteriormente il fuoco. Ma
era un rischio da prendere in
considerazione e da affrontare senza
indugio.
Bisognava approfittare della
situazione e senza paura rischiare il tutto
per tutto. Ancora una volta, con grande
coraggio, i militi provarono un primo
tentativo, ma non ci fu niente da fare,
della persona non vi era traccia. Senza
esitare riprovarono con un secondo
tentativo, e questa volta trovarono
qualcosa. Durante le ricerche la gamba
di uno di loro si era bloccata fra due
apparenti oggetti posti al centro del
soggiorno. Nel tentativo disperato di
liberarla il milite capii immediatamente
che non si trattava di un mobile bensì di
una persona svenuta al suolo. Non c’era
tempo da perdere, bisognava intervenire
senza mettere in pericolo la propria vita.
Una volta adottate le precauzioni di
sicurezza necessarie, per come potevano
muoversi, iniziarono a fatica il trasporto
del corpo verso l’esterno della casa.
Purtroppo, si trattò di un’operazione
difficile: il pavimento era ricolmo di
detriti e piccoli focolai, e la mobilità era
difficoltosa.
Ma la professionalità, la freddezza e il
coraggio dei due militi evitarono il
peggio. Non appena raggiunsero con
tutte le loro forze l’anticamera
dell’appartamento, a pochi metri
dall’uscita principale, il salvataggio si
poteva ritenere concluso. Venne
immediatamente
ristabilita
la
comunicazione radio, e i commenti che
seguirono erano veloci, nervosi e
irregolari. I soccorritori dell’ambulanza
presero in consegna il corpo all’ ingresso
principale con tutti i mezzi di primo
soccorso utili alla rianimazione del
malcapitato.
La
conferma
dell’avvenuto
salvataggio non tardò ad arrivare anche
al resto dei militi presenti all’esterno
della casa, e le radio di servizio
iniziarono a rimbalzarla da un nodo
all’altro della rete con grande intensità.
Nonostante ciò, nessuno si fermò, tutti
continuammo incessantemente il nostro
lavoro di spegnimento del fuoco fino a
quando la situazione fu completamente
sotto controllo. La persona tratta in salvo
passò nelle mani esperte dei medici, i
quali con grande professionalità e
tempismo riuscirono a mantenerla in vita
e ad apportarle le dovute medicazioni.
Nel
frattempo
la
piazza
circostante la palazzina era diventata una
piccola arena, in cui all’interno era in
corso
un
maledetto
spettacolo
pirotecnico che nessuno avrebbe mai
voluto vedere. Il capo intervento si
congratulò con i militi per l’ottimo
lavoro svolto, e i militi per riflesso
fecero lo stesso con lui per l’ottima
gestione dell’intervento.
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Il peggio sembrava alla spalle, e i segni
di fuliggine sul volto dei pompieri ne
erano la prova tangibile. In breve tempo
anche gli ultimi focolai vennero domati,
e tutti gli inquilini dello stabile vennero
evacuati per ragioni di sicurezza. Anche
i due valorosi pompieri, una volta
concluse le operazioni di soccorso,
vennero soccorsi per precauzione
dall’ambulanza. Iniziammo così la
ritirata, stanchi ed esausti per il lavoro
svolto. Rimanevano centinaia di metri di
tubo da pulire e il ripristino di tutto il
materiale di spegnimento impiegato
nell’intervento. Un’importante lavoro
che richiedeva lucidità e forza, in un
momento in cui tutti avrebbero preferito
andare a casa a dormire.
Il giorno seguente l’incidente, gli
specialisti appurarono che le origini
dell’incendio erano da attribuire a una
maledetta pentola dimenticata sulle
piastre accese del banco cottura, una
distrazione comune che poteva scatenare
un inferno dalle tragiche conseguenze. In
questo caso, per fortuna, il tempestivo
intervento dei vigili del fuoco ha evitato
il peggio, e per soli trenta secondi la
vita di una persona e stata tratta in salvo.
Trenta maledetti secondi che avrebbero
potuto cambiare drasticamente l’esito
dell’intervento: trenta secondi e niente
più.
NOTA
A tutela della privacy dei diretti interessati, i nomi e i
luoghi citati nel testo sono puramente casuali.
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