civiltà / civilizzazione

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civiltà / civilizzazione
civiltà / civilizzazione
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Forse il miglior modo per intendere e discutere questi due concetti è provare a
ripercorrerne la storia: metodo in apparenza paradossale, quando l'applichiamo
all'espressione d'un sistema di valori che spesso si è voluto eterno (la civiltà). Connesso
all'origine con il latino civilis, che è lo stato del cittadino (in antitesi a barbarus), il termine
civiltà deriva dal francese civilité, attestato a partire dal secolo XV: dapprima esprime "il
governo d'una comunità", poi passa a significare lo stile di vita (le "buone maniere") di chi
vive in società. Così il termine si allontanava sempre più dal riferimento a un contesto
politico e istituzionale (l'inglese civility amplia il significato fino a comprendervi
l'educazione e l'appartenenza stessa all'umanità). A civilité (che nell'indicare soprattutto le
buone maniere si connetteva a politesse, anch'esso di lontana origine politico-istituzionale)
si affiancò nel corso del Settecento civilisation (inglese civilization, italiano civilizzazione,
spagnolo civilisación, tedesco Zivilisation o Zivilisierung). Sviluppatosi da un antico senso
tecnico giuridico (trasformare in civile una causa penale), questo secondo termine riuscì a
superare la sfera delle "buone maniere" e a occupare un'area semantica nuova: riuscì a
esprimere l'idea moderna di civiltà come insieme coerente delle caratteristiche positive
(variamente determinate) che costituiscono la società. In questo caso è difficile datare il
nuovo uso della parola, perché si tratta in realtà di spiegare una modificazione importante
della coscienza storica europea. Si può dire però che alla fine del Settecento civilisation e i
suoi corrispondenti (in italiano anche "incivilimento") erano ormai d'uso comune, ed
esprimevano tanto lo stato di chi è civilizzato, e come tale si distingue dal selvaggio e dal
barbaro (ricca è la letteratura in cui si trova questa tripartizione), quanto il processo
attraverso il quale si raggiunge quello stato. Tale processo coincide con il progresso: la
genesi dell'idea di civilisation si comprende nel quadro della cultura illuministica, che
guardava al corso storico come a un perfezionamento graduale dell'umanità. Restava
nell'ombra in quel momento l'intuizione di G.B. Vico che le civiltà possono decadere e
morire. L'insieme delle caratteristiche dello stato di civiltà è determinato dunque in modo
vario: sono elementi strutturali della civilisation le istituzioni politiche (in particolare quelle
fondate sulla libertà), le opere dello spirito e dell'ingegno (come nell' Essai sur les moeurs
di Voltaire), le forme della produzione e del commercio (nell'Histoire philosophique et
politique des établissements et du commerce des européens dans les deux Indes di G.T.F.
Raynal, 1770, è proprio il commercio che dà vita alla società civile), le tecniche del diritto,
lo svolgersi della tradizione, la presenza della vita religiosa, la capacità e la potenza
militare. L'approfondimento (e l'ampliamento) di questi elementi di civiltà, grazie anche
alle ricerche etnografiche, alle esplorazioni e ai viaggi, condusse intorno al 1820, in
coincidenza significativa con i rivolgimenti provocati dalla Rivoluzione francese, al
riconoscimento dell'esistenza delle civiltà (al plurale): in un celebre scritto del 1930 L.
Febvre ricostruì questa vicenda precisando che il plurale civilisations comparve in P.S.
Ballanche (1819) e che A. von Humboldt qualche anno prima aveva già parlato della
civilisation dei malesi di Sumatra. La ricerca attorno ai caratteri costitutivi della civiltà, che
era lo stesso approfondimento storico dello sviluppo reale della società moderna, condusse
dunque alla dissoluzione dell'ideale settecentesco d'una civiltà umana unica e coerente. Il
termine civiltà acquistava ora un'ambiguità che non avrebbe più perso. Da un lato esso
designa l'insieme di tutti i caratteri specifici di qualsiasi gruppo sociale individuato nello
spazio e nel tempo. In questo senso ha un significato più ampio di quello del termine
cultura in senso antropologico, che non sempre comprende gli aspetti economico-sociali e
politici, ma soprattutto la "visione del mondo", l'insieme di «concezioni espresse in forma
simbolica, per mezzo delle quali gli uomini comunicano» (C. Geertz). Dall'altro lato indica
l'insieme dei valori positivi del gruppo, ciò che ci rende superiori agli altri: e anche per
questo riferimento ai valori si distingue dal concetto di cultura. Questa ambiguità produce
conflitti. Si alimentò nel corso dell'Ottocento il contrasto, non solo ideale, tra la civiltà e le
civiltà nazionali; prese forma lentamente il dissidio, che esplose apertamente tra il 1870 e
la prima guerra mondiale, tra la civilisation francese (l'universalità della ragione) e la
Kultur tedesca (l'individualità dello spirito). S'affermò sul finire del secolo (F. Nietzsche)
l'idea che la civiltà di massa, risultato dell'estendersi delle democrazie in occidente,
esprima in realtà una crisi della civiltà che si risolve in una decadenza inarrestabile (O.
Spengler). La critica speculativa di queste rappresentazioni ideali non deve far dimenticare
che esse riflettevano, talora con anticipo sui tempi, una crisi reale della civiltà europea nel
corso del nostro secolo, il rischio di una gigantesca perdita di tradizione, la cancellazione
possibile dei valori di libertà e moralità: così, almeno, interpretarono le vicende della
seconda guerra mondiale alcuni osservatori tra i più profondi (B. Croce, T. Mann, M. Bloch,
A. Omodeo, J. Huizinga). Un problema storico del più alto interesse è quello di conoscere
l'esito effettivo di questa crisi della civiltà. La drammaticità stessa di questa crisi non
consente di accettare semplicemente il relativismo che deriva dal sapere che esistono
molte civiltà. Nel contempo va ricercata una fondazione critica del concetto che riesca a
superare i limiti che abbiano a comprendere la diversità. Questo si è riflesso anche sulla
capacità di percepire storicamente la nostra identità. In questo senso si muove la ricerca
storica del Novecento, non solo sul versante storicistico (B. Croce), ma anche su quello
sociologico (N. Elias, A.J. Toynbee).
L. Febvre, Civiltà: evoluzione di un termine e di un gruppo di idee, in Problemi di
metodo storico, Einaudi, Torino 1992; N. Elias, Il processo di civilizzazione, Il Mulino,
Bologna 1982; B. Croce, Storicità della natura, in Il carattere della filosofia moderna,
Bibliopolis, Napoli 1991; A.J. Toynbee, A Study of History, Oxford University Press, Londra
1934-1961; F. Hartog, Lo specchio di Erodoto. Saggio sulla rappresentazione dell'altro, il
Saggiatore, Milano 1992.
M. Mastrogregori