Consigli Comunali dei ragazzi... e non solo
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Consigli Comunali dei ragazzi... e non solo
2004 - Anno 3 n°3 -Trimestrale - Euro 5,50 Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 2 - DCB/Gorizia Tassa Riscossa - Terzo trimestre 2004 R I V I S T A I T A L I A N A D I R I C E R C A E F O R M A Z I O N E P S I C O P E D A G O G I C A 2 6-32 editoriale atti del convegno ATTI DEL CONVEGNO SPAZI DI LIBERTÀ AUTONOMIA E SICUREZZA PER I BAMBINI E LE BAMBINE IN CITTÀ Piacenza - 13 maggio 2004 33-43 48 inchiesta consigli comunali dei ragazzi ... e non solo recensioni INCHIESTA RIVISTA ITALIANA DI RICERCA E FORMAZIONE PSICOPEDAGOGICA INC A T S E I H z z a g a r ei d i l a n u m o c i l g olo s C onsi n o n ... e i CRONISTORIA DEI CCR - CONSIGLI COMUNALI DEI RAGAZZI IN ITALIA 1979 In Francia in occasione dell’anno internazionale dei diritti dei bambini nascono i CCR - Consigli Comunali dei Ragazzi, che raggiungono ben presto circa 1000 unità. 1991 Nel 1991 si costituisce l’ANACEJ, associazione francese di coordinamento. Nascono i CCR “spontanei” in Italia a Tolentino e Morrovalle (Marche) con ampio clamore mediatico ma non durano. 1992/93 Dopo un viaggio in Francia di Daniele Novara e Patrizia Londero il CPP - Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti adotta il CCR e lo porta in Italia grazie alla sperimentazione in Piemonte a Mosso, Cossato e Trivero da parte di Davide Bazzini, giovane pedagogista che elabora una particolare forma di Consiglio a carattere fortemente educativo. 1995 Nasce “Democrazia in Erba”, su iniziativa dell’ARCI Ragazzi, presieduta da Luigi Pagliarani, che purtroppo morirà tre anni dopo. Pubblica il primo manuale italiano per la realizzazione dei Consigli Comunali dei Ragazzi. 1995 Significativo il CCR a Corleone nell’ambito di un più ampio progetto di educazione alla pace e alla legalità. È progettato dal CPP. 1996 È Piacenza la prima città capoluogo di Provincia a dotarsi del CCR. È anche una delle esperienze più prolungate (ancora attive ad oggi) di Consiglio Comunale dei Ragazzi in Italia. 1998 Si tiene il Convegno regionale dei CCR in Piemonte animato dal sociologo Claudio Caffarena che nel 2002 pubblica per Erikson I Consigli Comunali dei Ragazzi. 1997/2003 Parte la Legge 285 che incentiva la nascita dei CCR. Impossibile stabilirne il numero, probabilmente si arriva a superare i 2000. La varietà delle forme e delle modalità organizzative è enorme e impressionante per l’estrema differenziazione. 2000 Esce per i tipi delle Edizioni Gruppo Abele il volume I Consigli Municipali dei Ragazzi. Manuale per la gestione pedagogica, il libro del CPP - Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti sui CCR, che raccoglie l’approccio formativo ai CCR del CPP. È curato da Paola Cosolo Marangon che ha sostituito Davide Bazzini nel settore già dal 1997. 2003 Esce il volume La democrazia s’impara a cura di Anna Baldoni e Valter Baruzzi di CAMINA, edito da La Mandragora (Imola), con il Patrocinio della Regione Emilia-Romagna. È un primo interessante e articolato tentativo di bilancio sia critico che storico. 33 INCHIESTA RIVISTA ITALIANA DI RICERCA E FORMAZIONE PSICOPEDAGOGICA I CONSIGLI DEI BAMBINI Come i bambini possono aiutare i politici adulti a costruire una città migliore Francesco Tonucci * I 34 l Consiglio dei bambini non vuol essere né un piccolo Consiglio comunale né un’esperienza di educazione civica e quindi una specie di gioco di ruolo. Non è un gruppo di bambini che si preoccupa dei propri problemi o della realizzazione di un proprio progetto grazie al finanziamento del Consiglio adulto. È un gruppo di bambini che offre agli adulti il proprio punto di vista, esprime i propri bisogni e suggerisce proprie proposte: che “dà consigli” al sindaco per cambiare, migliorare la città. È un gruppo di bambini che lavora con gli adulti del Laboratorio. Gli adulti stanno dalla loro parte, dando loro la possibilità di esprimersi e difendendo il loro punto di vista. Il Consiglio dei bambini nasce per volontà del sindaco, che chiede ai bambini di aiutarlo a tener presenti aspetti e punti di vista che gli adulti spesso dimenticano o preferiscono far finta di non conoscere. Emblematiche le parole del sindaco di Roma quando, il 20 novembre del 2001 aprì in Campidoglio il primo Consiglio dei bambini: “Ho bisogno dei vostri consigli, del vostro aiuto. Capita che i grandi si dimentichino di quando erano bambini. Che non ricordino le cose importanti e necessarie per vivere bene questo tempo della vita e che non si ricordino quali siano i sogni, i desideri, le speranze che si hanno quando si ha tutta la vita davanti a sé. Da oggi cominciamo a lavorare insieme perché vogliamo cambiare la città”. Il Consiglio dei bambini rappresenta la proposta più politica del progetto “La città dei bambini” che propone una nuova filosofia di governo della città assumendo il bambino come parametro di valutazione, di progettazione e di cambiamento della città stessa. Il Consiglio si occupa quindi dei problemi della città. I bambini ne discutono partendo ovviamente dagli aspetti che conoscono, che li riguardano, denunciando eventuali inadeguatezze o ingiustizie e formulando proposte. A seconda degli argomenti che tratta il Consiglio dei bambini può chiedere di incontrare i vari assessori o dirigenti dell’amministrazione. Almeno una volta l’anno si incontra con il Consiglio comunale, il sindaco e la Giunta. Naturalmente non tutte le richieste dei bambini potranno sempre essere accolte, ma è fondamentale che si accolgano le loro esigenze, perché sono sempre esigenze inascoltate di cittadini. Riguardo alle proposte spesso sono concrete e fattibili e in questi casi sarebbe opportuno accoglierle; in altri casi l’amministratore può discuterle con i bambini proponendo cambiamenti e anche migliorie che i bambini non osavano chiedere o di cui magari non conoscevano l’esistenza. Nel caso di Roma per esempio, per difendere la precedenza dei pedoni sulle strisce pedonali, i bambini del Consiglio arrivano a proporre che quando un pedone scende sulle strisce pedonali escano automaticamente dei chiodi dall’asfalto o scendano delle barriere per fermare le macchine. È evidente che queste proposte non si possono attuare, ma servono a far capire quanto è forte la percezione del pericolo dei bambini e quanto poco essi abbiano fiducia nel cambiamento dei comportamenti degli adulti. A queste esigenze l’amministratore deve dare risposta impegnandosi per esempio ad applicare rigorosamente le sanzioni previste per gli automobilisti che non si fermano ai passaggi pedonali (art. 191 del Codice della strada), o realizzando attraversamenti pedonali rialzati, o modificando l’ampiezza o il disegno delle strade per ridurre la velocità. INCHIESTA RIVISTA ITALIANA DI RICERCA E FORMAZIONE PSICOPEDAGOGICA U N POSSIBILE PERCORSO Il Consiglio dei bambini deve essere costituito da un numero limitato di bambini (preferibilmente non più di venti) in modo che tutti possano esprimere il loro parere sui temi in discussione. Come si diceva, ai bambini si chiede di aiutare gli adulti a tener presenti le esigenze di coloro che sono più lontani dal loro modo di vedere e dai loro interessi; è quindi importante che siano il più possibile diversi da noi. Per questo si è preferito coinvolgere i bambini delle scuole elementari. I consiglieri vengono nominati all’interno delle scuole della città in modo che possano rappresentare tutti i bambini. Si possono poi aggiungere i rappresentati delle diverse condizioni infantili presenti nella città: bambini stranieri, Rom, portatori di handicap, ospedalizzati. Per evitare l’enfasi sulle votazioni e sui meriti personali, la nomina avviene per sorteggio fra tutti i bambini della classe o delle classi se ci sono classi parallele. Se un bambino rifiuta si procede ad altro sorteggio, ma sarebbe bene convincere i bambini che chiunque è adatto per essere consigliere (il bambino timido potrà rappresentare tutti i bambini timidi).. Per creare una facile alternanza si preferisce nominare due bambini per ogni scuola, uno di quarta e uno di quinta, un maschio e una femmina. Alla fine di ogni anno usciranno dal Consiglio i bambini di quinta e all’inizio dell’anno successivo verranno nominati i nuovi di quarta. I piccoli consiglieri hanno un mandato di due anni, per aver il tempo di imparare questo ruolo per loro certamente nuovo. In città di 40.000-50.000 abitanti il Consiglio potrà rappresentare tutte le scuole, in città più grandi si dovrà valutare se procedere alla nomina di Consigli di circoscrizione o se limitare il numero delle scuole coinvolte. Nel caso che si abbiano Consigli di circoscrizione si potrebbero riunire periodicamente alcuni rappresentanti di quei Consigli in un Consiglio cittadino. Il Consiglio dei bambini si riunisce nei locali del Laboratorio “La città dei bambini” o in altro locale pubblico esterno alla scuola ogni quindici giorni. Si può optare per una scansione mensile se si alternano le riunioni con un lavoro di commissioni o di comunicazione all’interno delle scuole. Di solito le riunioni del Consiglio dei bambini avvengono il pomeriggio e i bambini vengono da soli nella sede o accompagnati dai genitori, che non assistono alla seduta. In alcune città si sono coinvolte le scuole ad un livello più alto, proponendo il Consiglio come esperienza di Educazione alla democrazia e come tale inserita nel POF. In questi casi le riunioni avvengono in orario scolastico, ma sempre in locali extrascolastici. È opportuno che l’adulto che lo coordina sia sempre lo stesso, un secondo adulto può redigere il verbale della riunione. È opportuno documentare con riprese video le sessioni del Consiglio: questo materiale potrà essere prezioso per la valutazione dell’esperienza e la formazione degli operatori. Nel periodo intermedio fra due sessioni i bambini comunicano ai loro compagni di scuola (non solo di classe) i temi trattati e raccolgono le loro opinioni e proposte. Si eviterà di adottare metodi e atteggiamenti tipici della scuola come l’alzata della mano, le relazioni scritte, lasciando ai bambini di scegliere le migliori modalità per seguire i lavori e riferire le opinioni raccolte fra i compagni di scuola. Si eviterà di adottare modalità e atteggiamenti imitativi dei Consigli degli adulti, come le votazioni o la proposta di regolamenti elaborati dagli adulti, costruendo un’esperienza nuova a partire dalle esigenze e dalle sensibilità dei bambini. Il regolamento, se necessario, sarà frutto delle regole che insieme si valuteranno utili. Di norma non si vota. Non si cercano proposte maggioritarie, ma quelle che meglio possano difendere i diritti e i bisogni dei bambini, anche se sono espressi da pochi consiglieri. In questi casi è opportuno che le proposte vengano discusse e riconosciute valide da tutti. È importante che i turni di parola siano rapidi, per questo si può scegliere che su un argomento parli uno dei due rappresentanti di una scuola. I bambini avranno dei materiali di lavoro forniti dal Laboratorio come una cartella, un blocco per appunti, una penna, la Convenzione dei diritti dei bambini, un cartellino col nome. Delle riunioni si redigerà un verbale che, in forma breve verrà inviato ai consiglieri. Sarebbe opportuno che la convocazione del Consiglio successivo arrivasse a casa dei consiglieri e contenesse il verbale della seduta precedente e l’argomento di lavoro previsto. Copia della convocazione 35 INCHIESTA dovrà essere inviata per conoscenza all’insegnante di classe in modo che possa favorire la preparazione della seduta. Il Consiglio potrà discutere su temi di attualità per la città proposti RIVISTA ITALIANA DI RICERCA E FORMAZIONE PSICOPEDAGOGICA dagli amministratori attraverso l’operatore che coordina o su temi proposti dai consiglieri. Il Consiglio vigilerà sulla realizzazione delle proposte precedentemente presentate e accolte dall’amministrazione. Alle riunioni non partecipano adulti, tranne gli operatori. L’unico adulto che ha diritto a partecipare ogni volta che lo desidera, per chiedere o ascoltare, è il sindaco. UN ESPERIENZA: IL CASO DI ROMA Per Roma si è scelta un’organizzazione molto complessa in risposta alla grandezza della città. Si è individuata una scuola elementare per ciascuno dei diciannove Municipi (così si chiamano oggi le circoscrizioni). In ogni scuola si sono scelti, tramite sorteggio, un bambino e una bambina, uno di quarta e uno di quinta. Nelle stesse scuole si sono scelti due bambini Rom, uno con handicap e uno con lunga esperienza di ospedalizzazione, mentre il sorteggio aveva già fatto entrare alcuni bambini provenienti da paesi stranieri. Si è così formato un Consiglio di 44 bambini, metà maschi e metà femmine, metà di quarta e metà di quinta. Il mandato è di due anni. Alla fine di ogni anno scolastico decadranno i bambini di quinta e all’inizio del nuovo anno scolastico verranno eletti i nuovi bambini di quarta. Il Consiglio si riunisce una volta al mese, in orario scolastico, in un locale pubblico apposito coordinato da alcuni adulti. I due bambini e un insegnante accompagnatore di ogni scuola vengono accompagnati da un’auto dei vigili urbani del Municipio di appartenenza: la mattina del Consiglio venti auto dei Vigili parcheggiano di fronte alla sede del Laboratorio “Roma la città dei bambini”. Dato il numero troppo elevato per permettere una adeguata partecipazione, il Consiglio, dopo un’apertura collegiale, si divide in tre gruppi di lavoro e si riunisce alla fine di ogni seduta per socializzare il lavoro svolto. Il Consiglio lavora sui temi proposti dall’amministrazione e su quelli proposti dai bambini con opportuni coinvolgimenti dei compagni delle scuole di appartenenza. Per favorire una esperienza così complessa si è creato un gruppo di lavoro formato dagli insegnanti che hanno in classe i bambini consiglieri, che segue le attività di coinvolgimento dei bambini delle rispettive scuole nella preparazione dei lavori del Consiglio. Ogni anno il Consiglio dei bambini si incontra con il Consiglio comunale in Campidoglio il 20 di Novembre e a giugno, alla fine delle attività. Durante l’anno almeno una volta il sindaco incontra i bambini durante la seduta del Consiglio e spesso partecipano gli assessori competenti degli argomenti su cui sta lavorando. Si sta promuovendo l’apertura di Consigli nei singoli Municipi, che potranno operare più facilmente e più deguatamente. Il Consiglio della città potrà allora essere formato dai rappresentanti dei Consigli municipali. * Responsabile del Progetto internazionale “La città dei bambini”, Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Consiglio Nazionale delle Ricerche e-mail: [email protected] 36 INCHIESTA RIVISTA ITALIANA DI RICERCA E FORMAZIONE PSICOPEDAGOGICA CONSIGLI DEI RAGAZZI, SCUOLA E PARTECIPAZIONE Educare alla democrazia e alla cittadinanza responsabile, usando la città e il territorio come laboratorio per comprendere la realtà urbana e migliorarla Valter Baruzzi * I diritti dell’infanzia, la soggettività e le competenze di bambini e ragazzi, la prospettiva della loro partecipazione e collaborazione ai progetti e ai processi che li riguardano nel presente e prefigurano il futuro si sono da tempo affermati come principi e idee generali, ma se osserviamo la realtà, anche nel nostro Paese non li vediamo pienamente riconosciuti sul piano culturale, né tradotti in azioni e operatività diffusa. Occorre tuttavia riconoscere che da circa due decenni nei confronti di bambini e ragazzi è cresciuta un’attenzione che correla i loro diritti non solo all’ambiente familiare e ai servizi a loro direttamente rivolti, ma anche all’ambiente urbano e al territorio dove vivono. Sono state promosse esperienze innovative che hanno coinvolto bambini e adolescenti, valorizzando il loro sguardo su persone e cose, sulle città e sul mondo, sostenendone la crescita e aiutando le “comunità” a comprendere la complessità sociale e a prendere decisioni che ne tengano conto. Si tratta di esperienze che creano un clima di ascolto e dialogo, aiutando tutti i soggetti coinvolti a crescere e migliorare (anche gli adulti) e preparando i ragazzi all’esercizio di una cittadinanza intraprendente e alla democrazia. Fra di esse ci sono senz’altro i Consigli dei ragazzi, esperienze che in Italia sono promosse prevalentemente da scuole e comuni. A dire il vero ci sono anche interessanti esperienze realizzate a livello extrascolastico, ma intendiamo in questa sede 1 esaminare solo alcuni aspetti, che riguardano il rapporto fra consigli, scuole e comuni. Vediamo innanzitutto che cos’è e come funziona un Consiglio comunale dei ragazzi. I CONSIGLI DEI RAGAZZI I ragazzi che partecipano ad un consiglio si comportano da cittadini e cittadine che, pur essendo molto giovani, interpretano se stessi, entrando nel merito di alcune questioni che li riguardano direttamente, in quanto abitanti di una città, di un paese o semplicemente di un quartiere; dialogando con i coetanei e con altri cittadini (e fra questi anche tecnici e amministratori pubblici), per raccogliere informazioni e pareri, per confrontarsi e fornire suggerimenti o fare richieste che rispecchino il loro punto di vista. “I Consigli dei ragazzi, che possono operare a livello comunale, di circoscrizione o di quartiere, rappresentano un’innovativa modalità di partecipazione dei ragazzi alla vita della collettività sociale in cui vivono, permettendogli di contribuire alle scelte e alle decisioni dalle quali finora sono stati esclusi”. Essi, così il manuale della legge 285/95 li presentava, “costituiscono una modalità educativa che permette ai ragazzi di confrontarsi, di gestire la conflittualità nella ricerca di soluzioni che non soddisfino le esigenze dei singoli ma quelle di tutta la colIettività di cui si è parte, rendendo in tal modo effettiva la pratica della partecipazione attraverso l’espressione delle proprie idee, esigenze e dei propri desideri, nell’esercizio consapevole 2 dei propri diritti. I ragazzi che entrano a far parte di un consiglio vengono scelti dai compagni che li votano o semplicemente sono sorteggiati fra coloro che si sono dichiarati interessati e resi disponibili. Un consigliere si assume l’impegno di portare in consiglio riflessioni, idee, dubbi, domande e proposte espresse dalla classe o dal gruppo di riferimento. Quando un consiglio funziona, i 37 INCHIESTA 38 ragazzi che vi partecipano in primo luogo imparano a stare insieme, perché ogni consiglio nasce come insieme di persone che iniziano un percorso e imparano a conoscersi e diventano col tempo un gruppo di lavoro. Fanno quindi attività di esplorazione e indagine che li aiutano a riflettere sulla realtà, per meglio comprenderla, partendo da se stessi e dalle relazioni con coetanei e adulti, dalla vita quotidiana, dal territorio conosciuto (cortili, strade di percorrenza quotidiana, parchi e altri luoghi di incontro) e dai problemi a loro vicini, per allargarsi progressivamente all’ambiente urbano più ampio e a tematiche più complesse (ma ciò dipende dall’età dei consiglieri e degli elettori); realizzano indagini, studiano e approfondiscono i nodi e le questioni che incontrano sul loro cammino, individuano risorse, riconoscono problemi e si adoperano per comprenderne le cause e immaginare soluzioni. Dialogano con i loro compagni di scuola, coi quali tengono un costante collegamento, circa l’andamento dei lavori e sui temi aperti; informano gli abitanti del loro territorio sui risultati del loro lavoro e, quando è possibile, mettono a punto proposte concrete costruendole insieme agli adulti, in modo che accanto agli elementi di creatività siano presenti le condizioni che le rendano fattibili. Mentre sono impegnati in queste attività si trovano ad affrontare divergenze di opinione e contrasti dovuti, ad esempio, alla compresenza di interessi incompatibili nell’ambito della collettività degli abitanti e dei gruppi. Si scontrano - talvolta anche con le difficoltà dovute alle RIVISTA ITALIANA DI RICERCA E FORMAZIONE PSICOPEDAGOGICA procedure e al dialogo insufficiente fra i diversi settori delle amministrazioni comunali. Accade a volte che fra i ragazzi eletti e gli elettori non ci sia dialogo e così i bambini eletti in un consiglio fanno un’esperienza che può essere anche molto interessante, ma riguarda solo loro. Si vanifica in tal modo la possibilità di dare sostanza al concetto di rappresentanza. Si richiede quindi un concreto impegno della scuola per evitare l’isolamento dei delegati e mantenere aperto un dialogo costante con tutti i ragazzi e per evitare di riproporre i riti un po’ formali dei consigli degli adulti, negando nei fatti le premesse educative. I Consigli dei ragazzi sono esperienze che mantengono le promesse, quando sono sostenute da una vitalità democratica, che fornisce ai ragazzi anche occasioni in cui il confronto e la discussione illumina e precede le decisioni, in quelle forme tipiche della democrazia diretta che si fondano sulla fiducia nella capacità di governarsi da sé e funzionano nell’ambito di gruppi di dimensioni circoscritte, in cui ci si vede tutti e si può parlare insieme, ci si influenza reciprocamente, si hanno opinioni che possono mutare, si precisano, si rafforzano o si abbandonano dialogando. Come si intuisce non basta dar vita a un consiglio e poi immaginarsi che le cose vadano da sè: questo tipo di esperienza richiede attenzione educativa e va curato e sostenuto nel tempo. Occorre anche essere consapevoli che la qualità delle esperienze che vivono bambini e ragazzi (rappresentati e rappresentanti) dipende dal contesto nel quale un consiglio è inserito, dipende dal clima della scuola, da come è organizzata e da come vi si svolge la vita quotidiana e dipende anche dalle dinamiche politico amministrative di un territorio, dalla sua vitalità e dagli spazi di partecipazione che i cittadini (e quindi anche i ragazzi) hanno nelle decisioni che riguardano le cose pubbliche e da come effettivamente li occupano. LA SCUOLA OLTRE LA DIDATTICA Nelle intenzioni dei promotori, fin dall’esordio dovuto dall’intraprendenza di alcuni amministratori pubblici francesi (1975), le esperienze dei Consigli dei ragazzi risposero e rispondono a due esigenze principali che seppur con diverse centrature, dosaggi e intensità - si possono riassumere nella volontà di “rispettare il diritto di bambini, bambine, ragazzi e ragazze a esprimere le loro opinioni, creando contesti in cui queste vengano debitamente prese in considerazione dagli adulti; educare alla democrazia e alla cittadinanza responsabile, in collaborazione con la scuola e con modalità a essa complementari, usando la città e il territorio come laboratorio per comprendere la realtà sociale e urbana e adoperarsi per migliorare il presente e progettare il futuro.” La scuola, luogo istituzionalmente vocato all’ascolto e alla tutela dei diritti dell’infanzia, dove bambini e ragazzi crescono e apprendono gli strumenti culturali necessari a prendere parte consapevolmente alla vita democratica, è anche ambiente sociale nel quale essi INCHIESTA RIVISTA ITALIANA DI RICERCA E FORMAZIONE PSICOPEDAGOGICA possono sperimentare quelle forme di partecipazione e di impegno, indispensabili in un percorso di educazione alla cittadinanza e alla democrazia. Diritti, apprendimento e socialità, dunque, sono intimamente connessi. Come si conciliano apprendimento individuale e vita sociale nella scuola? Noi immaginiamo che si compongano in un’esperienza in cui impegno e studio individuale si accompagnano all’esercizio quotidiano e intraprendente di capacità critiche e argomentative, ad esperienze che potenziano la coscienza di sé in quanto cittadini in formazione: bambini e ragazzi, cioè, che stanno acquisendo gli strumenti del “prendere parte”, che stanno maturando le motivazioni e la volontà di “intervenire”, che sanno di poterlo fare, perché questo è uno degli scopi della scuola ed è ciò gli adulti si aspettano da loro. Noi sappiamo che quanto appena affermato presuppone una partecipazione effettiva dei ragazzi ai processi sociali della scuola, che rappresentano tirocinio di dialogo e confronto, occasione per imparare ad apprezzare l’immagine di sé e degli altri, in quanto persone competenti nella gestione delle cose che riguardano la comunità della classe, la scuola, le cose civiche, per maturare un senso di vicinanza e di interesse nei confronti della dimensione pubblica e politica accanto a quella privata e per avvicinarsi alla comprensione del carattere dialettico delle diverse visioni della vita (competizione / cooperazione, pluralismo / assimilazione, individualismo / solidarismo…), per imparare le regole e la cultura della democrazia. A questo punto sorge una domanda: potrà la scuola accompagnare e sostenere l’apprendimento della democrazia, senza testimoniarla quotidianamente nelle relazioni fra adulti, nelle relazioni fra adulti e ragazzi e nelle relazioni dei ragazzi fra loro? I racconti di vita che ascoltiamo abitualmente dai ragazzi che frequentano le scuole medie inferiori e superiori, ad esempio, raccontano di una scuola dove sono ancora molto diffusi metodi prescrittivi e normativi imperniati sulla trasmissione di informazioni, concetti, nozioni, che separano nell’apprendimento l’aspetto razionale da quello emozionale, limitandosi a una formazione tecnicistica, che penalizza la relazionalità. Come sappiamo, i modi dell’insegnare e dell’organizzare la vita comunitaria celano messaggi valoriali impliciti (curricolo nascosto), che vengono acquisiti dai ragazzi insieme ai contenuti e alle regole proposte esplicitamente: temiamo fortemente che i messaggi profondi che i ragazzi ricevono alimentino in loro la sensazione e la convinzione che il loro punto di vista non conta, non interessa. Se consideriamo come indicatore il fatto che i ragazzi appaiono oggi tendenzialmente in difficoltà quando debbono esprimere le loro opinioni, “per paura del giudizio degli amici o dei familiari, per paura di risultare diversi dagli altri”, comprendiamo che il problema è serio. Viene da chiedersi, allora, quanto siano diffuse le esperienze scolastiche dove, per dirla con Morin, l’autorità dei docenti non è incondizionata e si sono instaurate “regole di messa in discussione delle decisioni giudicate arbitrarie”. Quanto sono diffuse le scuole dove si apprendono il dibattito argomentato, le regole necessarie alla discussione, la “presa di coscienza delle necessità e delle procedure di comprensione dell’altrui pensiero, dell’ascolto e del rispetto delle voci minoritarie e devianti”, dove l’apprendimento della comprensione svolge un ruolo fondamentale nell’apprendimento della partecipazione democratica? È attraverso un vissuto di questa natura che si può trasmettere/apprendere la capacità di partecipare, un saper fare che richiede sviluppo delle “capacità di pensare e procedere autonomamente, attraverso una continua ricomposizione del fare e del pensare (…) come condizione indispensabile per un fare che sia incisivo, orientato a gestire il cambiamento e non semplice scarica di tensione o di frustrazione”. Questo tema è ben sviluppato in un testo di Ferdinando Maria Ciani, dove si propone “la scuola del gratuito”, una scuola che “motiva alla scoperta e alla ricerca senza ricorso a ricatti e costrizioni. Non si limita a istruire ma educa, cioè aiuta a far emergere le capacità e le diversità dell’individuo. Favorisce le differenze e produce quindi una ricchezza di esperienze, idee e scambio di doni. Pone al suo centro gli ultimi perché ricchi di diversità e richiamo alla centralità della persona. Fonda il suo metodo sulla relazione, sull’ascolto e la partecipazione. Non giudica, ma valorizza. Non si fa determinare dai programmi ma dai bisogni 39 INCHIESTA individuali. Non trasmette il sapere ma lo discute. Non usa l’autoritarismo ma è autorevole perché stimata. Non pone in competizione ma sviluppa il gusto del vivere insieme. Non emargina ma crea integrazione e solidarietà. Non ignora i conflitti ma propone modelli pacifici di risoluzione degli stessi. È luogo di fiducia dove perde senso il sistema del dubbio 3 e della bugia tra ruoli opposti”. Se i consigli dei ragazzi diventano la ciliegina da mettere su una torta insipida, che cosa succede? Forse occorre occuparsi anche della torta/scuola; oggi più di ieri, di fronte al rischio (quasi realtà) che la torta riformata si trasformi in un vassoio di vecchi pasticcini, venduti come freschi. LA PARTECIPAZIONE COME ESPERIENZA DI CRESCITA E DI DEMOCRAZIA 40 Chiediamoci ora che cosa incontrano bambini e ragazzi, quando entrano a contatto con le dinamiche amministrative di un comune, e si trovano (per loro intraprendenza e/o per scelta dell’amministrazione) nella condizione di collaborare con i tecnici alla progettazione di un’opera pubblica - anche piccola, ma sempre pubblica - che li riguarda come cittadini e come ragazzi (cittadini, cioè, di età minore). Ci pare necessario ricordare che il 4 tema della partecipazione - nella fase di transizione che stiamo attraversando, nella quale si stanno ridisegnando i rapporti tra economia, politica e società rientra a pieno titolo nel dibattito sulla governance: termine col quale si intende quell’insieme di regole, meccanismi e prassi che RIVISTA ITALIANA DI RICERCA E FORMAZIONE PSICOPEDAGOGICA influiscono sull’articolazione dei diversi poteri esercitati (government), aprendo il processo decisionale delle amministrazioni pubbliche, per consentire la partecipazione dei cittadini (e fra essi bambini e ragazzi) e delle comunità (la società civile) alle decisioni che li riguardano. Ed è in questa direzione che ci pare vadano le esperienze in cui la scuola si apre al territorio nell’ambito di attività correlate all’Agenda 21 o nei percorsi di progettazione partecipata di aree verdi, piazze, cortili, giochi, ma anche affrontando tematiche legate alla viabilità e alla mobilità. Attività che riguardano spazi e strutture, ma sempre più spesso chiamano in causa comportamenti e stili di vita, e che possono essere avviate direttamente dalle classi oppure attraverso percorsi di partecipazione più articolati, promossi nell’ambito dei Consigli dei ragazzi. Nell’uno o nell’altro caso troviamo un ente locale che mette a disposizione temi e oggetti progettuali per affrontare i quali è necessario mettere in gioco metodologie fondate sull’ascolto e sull’esercizio della cittadinanza attiva. Entrando nel cuore del tema, riconosciamo che la partecipazione ad attività di rilievo sociale nelle quale sono spesso coinvolti i Consigli dei ragazzi favorisce la crescita e il cambiamento (di bambini e ragazzi, di giovani e adulti), ma siamo altrettanto convinti che attraverso esperienze cosiddette di “partecipazione promossa dall’alto” si possono far passare decisioni già prese altrove, si possono perseguire obiettivi di cui bambini e ragazzi, le altre persone e le comunità coinvolte non sono pienamente o per nulla consapevoli. È sempre presente il rischio che si realizzi una sorta di teatro della democrazia, su un palcoscenico che rappresenta una realtà fittizia ben illuminata, mantenendo in ombra il livello delle decisioni e delle ragioni che le motivano, sconosciuto ai più. Tutto ciò è noto ed è stato spiegato in modo convincente e 5 documentato. Sherry Arnstein, ad esempio, in un saggio del 1969, analizzando le esperienze partecipative statunitensi, elaborò una scala della partecipazione strutturata in otto tipologie, classificate in ordine crescente dalla manipolazione fino al controllo dei risultati da parte degli abitanti, descrivendo così anche le modalità attraverso cui si conquista in modo ingannevole il consenso. Roger Hart, su mandato dell’Unicef, adattò la scala alle esperienze con i bambini, pubblicando i risultati nel testo Children’s participation. From tokenism to citizenship (Unicef, Firenze, 1992). Arnstein e Hart descrivono come la manipolazione, primo gradino della scala, sia una forma illusoria di partecipazione che si ha quando adulti e ragazzi vengono coinvolti in un processo decisionale, nel cui ambito essi non hanno nessuna reale possibilità di influenza sulle decisioni e anzi - con la loro presenza - rafforzano le relazioni di potere esistenti. Spesso, tuttavia, anche le situazioni in cui si forniscono informazioni o si consultano cittadini (adulti e/o bambini) sono gestite in modo da disincentivare le domande imbarazzanti, l’espressione di dubbi o ipotesi di proposte alternative e sono gestite in modo INCHIESTA RIVISTA ITALIANA DI RICERCA E FORMAZIONE PSICOPEDAGOGICA formale e asettico, per consentire ai decisori di affermare che i cittadini erano informati ed erano stati consultati. L’informazione è il gradino della scala che introduce una possibilità di accrescimento di consapevolezza e di riconoscimento dei diritti dei cittadini. Ma diviene esperienza di partecipazione quando essi hanno la possibilità di contribuire all’analisi dei contesti alla descrizione dei problemi, alla scelta degli ambiti d’azione, intervengono nella definizione degli obiettivi, interagendo con tecnici e decisori, o - se già parzialmente definiti - propongono modifiche a programmi o progetti ipotizzati. Non solo sono consultati, quindi, ma coinvolti in un processo di “costruzione” delle decisioni, lungo il quale si prendono in considerazione anche le loro proposte. Si determina così una reale possibilità di influenzare le decisioni nel corso di processi di negoziazione e i partecipanti (adulti o bambini) riconoscono il loro contributo nella realizzazione di programmi o progetti. Un oggetto progettuale di rilievo non è, per fare un esempio, un parco giochi che un’amministrazione ha deciso di dedicare ai bambini, mostrando con ciò una visione asfittica dell’infanzia e del gioco, del suo rapporto con la città e l’ambiente. Un intervento importante potrebbe prendere avvio con un’indagine sugli spazi verdi di un quartiere o di una città, per capire le condizioni in cui si trovano, chi e come li frequenta, la loro accessibilità e come ciò interagisca col desiderio dei bambini dei ragazzi di gioco e vita all’aria aperta, con il loro bisogno di autonomia e le loro competenze, con la loro mobilità, con la percezione del rischio da parte degli adulti, con gli interessi e i bisogni di altre fasce di cittadini, con le risorse di cui il comune dispone, eccetera. E i ragazzi, in percorsi del genere, possono essere coinvolti e hanno titolo per intervenire, fin dalle fase di analisi, muovendo dalla conoscenza della loro vita quotidiana, dai problemi che percepiscono e dai desideri che avvertono. Non dimentichiamo poi che la partecipazione di bambini e ragazzi a un progetto è autentica quando essi comprendono le intenzioni del progetto, conoscono chi ha preso le decisioni riguardo al loro coinvolgimento e perché, hanno un ruolo significativo (non solo decorativo), si offrono volontariamente per il progetto dopo che è stato chiarito di che cosa si tratta. Potrebbe sembrare ovvio, ma non lo è, aggiungere che possiamo individuare alcune condizioni che i promotori debbono soddisfare, per garantire l’autenticità e la correttezza di un processo di coinvolgimento dei cittadini, che immaginiamo nella prospettiva di un approccio intergenerazionale, dove bambini e adolescenti collaborano con gli adulti. Gli amministratori pubblici e gli operatori debbono: ! percepire che il coinvolgimento dei cittadini (e fra essi bambini e ragazzi) nei processi decisionali è legittimo; ciò significa che non ci si accontenterà di una presenza simbolica, ma ci sarà promozione di dialogo autentico e riconoscimento di ruolo reciproco; ! mettere in gioco un progetto aperto, con scelte e decisioni che debbono essere prese; ciò significa che i ragazzi saranno posti di fronte a domande legittime (von Foerster), che sollecitano un percorso di dialogo, ricerca e impegno creativo, per la costruzione di risposte possibili e condivise; ! coinvolgere cittadini che rappresentino età e generi, diverse provenienze culturali e stili di vita, molteplici punti di vista, compresi quelli delle persone disabili; ciò significa che i ragazzi saranno sollecitati a maturare una visione che tenga conto anche degli altri e della complessità; ! coinvolgere cittadini in tutte le fasi del processo, dalla costruzione di scenari condivisi alla realizzazione e gestione delle trasformazioni; ciò promuove consapevolezza della storia dei problemi e una visione delle risposte in termini di processi; Dal punto di vista metodologico i promotori e coordinatori di queste esperienze debbono: ! accettare la complessità, resistendo alla tentazione di semplificarla; una tentazione che risponde al desiderio di accelerare i tempi, dà l’illusione di mantenere la situazione sotto controllo, agevola nell’opera di emarginazione di chi pone questioni importanti, ma difficili da affrontare…; ! evitare di ricorrere a parametritipo e criteri standard che non tengono conto delle esperienze e delle condizioni materiali di vita, delle contraddizioni e dei conflitti, della storia e dello spessore sociale della città e del territorio; 41 INCHIESTA ! saper sostare nell’incertezza, senza precipitare nell’affannosa ricerca delle conclusioni e della conferma dei propri punti di vista; ! non temere l’esplicitazione di opinioni, desideri, interessi divergenti e quindi il conflitto, ma attraversarlo cogliendolo come opportunità per evidenziare l’esistenza di opzioni incompatibili tra loro e proporre la costruzione negoziata di soluzioni che tengano conto delle diverse esigenze. I consigli e le altre forme di partecipazione sociale, di cui sono protagonisti i ragazzi, presuppongono consapevolezza politica ed educativa in chi le promuove. La democrazia, per non ridursi a vuoto e formale involucro, va nutrita costantemente coi valori su cui si fonda il rispetto dell’umanità che è RIVISTA ITALIANA DI RICERCA E FORMAZIONE PSICOPEDAGOGICA in noi e negli altri, ravvivata con l’esercizio di una cittadinanza intraprendente e con uno sguardo caldo e attento sul bene pubblico. Si comprende, quindi, quale importante ruolo giochi l’educazione in questa partita. Ma occorre essere chiari a questo proposito. L’educazione non va identificata con la didattica: i Consigli dei ragazzi e le altre esperienze cui abbiamo fatto riferimento non sono riconducibili alla didattica, che anzi le nega, col suo fondarsi prevalentemente su domande illegittime. Eppure i consigli e la progettazione partecipata, per essere vissuti pienamente dai ragazzi, presuppongono il possesso di strumenti e capacità culturali, quegli strumenti e quelle capacità che si suppone spetti alla scuola fornire e che nelle esperienze partecipate possono essere valorizzati, potenziati e arricchiti di senso. E certamente i ragazzi vivendo queste esperienze imparano, ma si tratta di apprendimento esperienziale e di riflessioni (cui, come abbiamo visto, può e deve contribuire anche la scuola), nell’ambito di un ampio respiro politico ed educativo, nel quale gli adulti che promuovono e coordinano le attività sono sostenuti da motivazioni e competenze centrate sull’ascolto, l’osservazione e il dialogo. Ai livelli più alti della scala della partecipazione, dunque, ci stanno esperienze di collaborazione e condivisione fra adulti e ragazzi. Ma le esperienze condivise sono piuttosto rare, segnalava Hart, soprattutto per la scarsa presenza di adulti attenti ai particolari interessi di ragazzi e adolescenti e capaci di dialogare con loro. Ma allora eravamo negli anni Novanta del secolo scorso. NOTE 1 A chi fosse interessato ad avere informazioni più organiche e riflessioni più approfondite ricordiamo che nel 1995 l’associazione Democrazia in Erba ha prodotto il Manuale dei consigli comunali dei ragazzi, edito dal Centro stampa della Provincia di Perugina. Altri testi su questo tema: - Paola Cosolo Marangon (a cura di) 2000, I Consigli municipali dei ragazzi, Edizioni Gruppo Abele, Torino - Valter Baruzzi, Anna Baldoni 2003, La democrazia s’impara. Consigli dei ragazzi e altre forme di partecipazione, Quaderni di Camina/Regione Emilia Romagna, 3, La Mandragora editrice, Imola I quaderni di Camina si possono scaricare gratuitamente dal sito www.camina.it oppure richiedere all’editrice La Mandragora [email protected] 2 Centro nazionale di documentazione ed analisi sull’infanzia e l’adolescenza 1998, Infanzia e adolescenza, diritti e opportunità. Orientamenti alla progettazione degli interventi previsti nella legge n. 285/97, Istituto degli Innocenti, Firenze, pag. 47 3 Francesco M. Ciani 2001, La scuola di Pinocchio, verso un’educazione del gratuito, Ed. Esperienze, Fossano (Cn) 4 A questo tema è stato dedicato un gruppo di lavoro nell’ambito del convegno Future città, nuovi cittadini, promosso dalla Regione Emilia Romagna e dal Centro Camina, tenutosi a Bologna il 4 e il 5 febbraio 2004, di cui sono in corso di pubblicazione gli atti. 5 Sherry Arnstein 1969, The Ladder of Citizen Participation, Journal of the Institute of American Planners, vol. 35, 4 * Pedagogista (Camina) - e-mail: [email protected] 42 INCHIESTA RIVISTA ITALIANA DI RICERCA E FORMAZIONE PSICOPEDAGOGICA DA UNA ESTETICA DELLA PARTECIPAZIONE A UNA PEDAGOGIA DELLA PARTECIPAZIONE Come raccontiamo, descriviamo, valutiamo l’esperienza CCR? Quale la ricaduta formativa ed educativa su ragazzi e mondo adulto? Domande aperte Davide Bazzini * L a crisi del tradizionale modello di Welfare, unitamente al venir meno del potere dello Stato-Nazione nell’occuparsi delle politiche territoriali e sociali ha indotto una crescente enfatizzazione delle azioni condotte nella dimensione locale, diventate di conseguenza attente al contesto territoriale, all’integrazione con il territorio, alla costruzione di partenariati locali, all’incremento della partecipazione. È in questo contesto che, implicitamente, si colloca l’esperienza partecipativa dei Consigli Comunali dei Ragazzi. Il rischio che vedo è quello di enfatizzare la dimensione partecipativa accontentandosi però della sua declamazione, evitando nel contempo di confrontarsi con la fatica di costruire nuove competenze, con il coinvolgimento di molteplici attori, con la modificazione dei ruoli tradizionali. La domanda che dobbiamo porci allora è: ma i CCR sono una esperienza partecipativa? Servono a fare partecipazione? Quale tipo di partecipazione promuovono? Per tentare di rispondere, parto dal constatare che se c’è una necessità di partecipazione, essa non è fine a se stessa ma è fondata su ed evidenzia la necessità di: ! ricostruire percorsi di definizione dell’identità; ! attivare forme di facilitazione alla partecipazione; ! sperimentare forme di educazione civica attiva. Detto altrimenti, la domanda di partecipazione è sterile se non la leggiamo in relazione alla necessità di sperimentare nuove forme di legami sociali. I CCR sono una possibile risposta a questa necessità, nel senso che sicuramente sono un’esperienza molto interessante rispetto alle costruzioni (ed alle ricostruzioni) di nuove forme di legame sociale; bisogna però anche partire dal considerarne tutta una serie di limiti. Il tentativo che intendo condurre è relativo alla esplorazione di questi limiti, attraverso quattro interrogativi. Prima domanda: una esperienza autonoma e nata dal basso? Il primo ambito da esplorare è relativo appunto all’autonomia organizzativa; provo a esemplificarlo in questo modo: a 20 anni dall’avvio dell’esperienza francese e a 10 anni dall’avvio di quella Italiana, il grosso dei Consigli Comunali dei Ragazzi o Consigli Municipali che dir si voglia ha avuto inizio con il primo triennio, della legge 285.Da alcune esperienze pilota, che erano autogestite ora dai Comuni, ora dalle scuole, ora da queste due entità insieme e ora da altri ancora, si è passati improvvisamente a una crescita esponenziale - per altro auspicabile e ancora incrementabile - ma che è dovuta semplicemente al fatto che ci sono stati dei finanziamenti da utilizzare. Nel momento in cui viene meno questo canale, che resta di questa esperienza? Che cosa ha sedimentato? Intendo dire che la sperimentazione di approcci bottom-up, orientati a valorizzare e 43 INCHIESTA a far crescere le competenze presenti all’interno della società locale, è riuscita nel caso dei CCR a mettere solo parzialmente in discussione il modello top-down, caratterizzato dalla volontà di “calare dall’alto” decisioni e strategie “applicandole” ai contesti locali. Per autonomia dei CCR intendo la possibilità di descriverli a partire dai due differenti approcci top-down e bottom-up . Mi sembra che ci troviamo di fronte ad esperienze, talora anche interessanti e ben gestiste, che però rispondono a quello che viene definito un meccanismo topdown, ovvero proposto e generato dall’alto: a fronte della disponibilità di finanziamenti la scuola o nella maggior parte dei casi i Comuni decidono di fare un Consiglio dei Ragazzi, lo propongono, mettono a disposizione delle risorse per attivarlo e condurlo. Ma ci sono delle esperienze bottom-up? Cioè qualcosa che è nato con un’ altra direzione di crescita, dal basso verso l’alto. E se esistono in che maniera si autofinanziano? Seconda domanda: esiste un sistema di verifica? 44 La seconda considerazione, il secondo ambito a mio giudizio problematico riguarda i sistemi di verifica. I CCR sono attivi ormai da una decina di anni. In che modo è finora storicizzata questa esperienza . Come la raccontiamo, la descriviamo, la valutiamo? Quali sono gli indicatori che possiamo condividere? E quindi qual è la ricaduta educativa e formativa su una distanza che permette già di fare considerazioni di questo tipo? Credo che non possiamo accontentarci della trasposizione RIVISTA ITALIANA DI RICERCA E FORMAZIONE PSICOPEDAGOGICA di strumenti di verifica semplicemente mutuati dalla didattica. Credo invece che si debba immaginare un sistema di verifica e valutazione che sia anch’esso partecipato. Infatti, le azioni finalizzate all’incremento della partecipazione sono sicuramente attività complesse: tanto sono molteplici le variabili in gioco quanto imprevedibili gli esiti delle azioni. Prevediamo allora la costruzione di un sistema complesso di osservazione / valutazione / verifica all’interno del quale oltre alle similarità (che permettono di classificare e riconoscere strutture comuni) contano le differenze, i segni - più o meno evidenti - che permettono di ricostruire ciò che è successo, sia rispetto alla qualità del processo che alla congruenza dei prodotti e dei risultati. In quest’ottica, sottolineare punti di forza e di debolezza delle azioni e delle relazioni è da considerarsi più come una possibilità a disposizione per la precisione progettuale in itinere delle stesse azioni e relazioni che non, semplicemente, come analisi ex post dell’avvenuto. Si tratta di attivare un vero e proprio sistema di valutazione che permetta - prima, durante e dopo il controllo delle singole azioni e dell’intero processo da parte sia degli operatori che dei partecipanti coinvolti. Ritengo pertanto importante precisare che la scelta di individuare in maniera partecipata il set di indicatori per descrivere l’esperienza CCR rappresenti la volontà progettuale di innescare il controllo delle azioni e del processo da parte di tutti i partecipanti. Terza domanda: i CCR producono cambiamento ed innovazione amministrativa? Come ho già affermato precedentemente, nella quasi totalità dei casi il CCR parte dall’alto, dall’idea di alcuni adulti che decidono scientemente e consapevolmente di progettarlo e di attivarlo. In che maniera poi quegli adulti cambiano le loro pratiche, educative, relazionali, amministrative e gestionali, a fronte dell’attivazione di un Consiglio dei Ragazzi? Che cambiamento produce l’ascolto? Dove sono i cambiamenti e le innovazioni generate dal Consiglio dei Ragazzi? Perché se misuriamo quella che è stata la ricaduta educativa sui ragazzi dobbiamo vedere anche se su di noi, come adulti, ci siamo coeducati, se siamo cambiati, almeno un po’; perché altrimenti viene meno uno dei fondamenti, quello coeducativo, dell’aprire un canale di ascolto coi ragazzi. Ad esempio, non possiamo accontentarci che i tecnici comunali ci forniscano delle informazioni, ci diano ascolto, siano disponibili ad un incontro con i ragazzi. Il problema è : in che maniera poi la sua pratica si struttura in una maniera diversa? In che misura contempla nel suo agire l’innovazione rappresentata dal contatto con il CCR? Perché se no, se resta un’operazione straordinaria, se non produce innovazione nel sistema, tra due anni, quando si ripresenterà la classe nuova dovremo riattivare tutta quella procedura straordinaria affinché ci sia un canale di collegamento tra, gli uffici tecnici e le scuole. INCHIESTA RIVISTA ITALIANA DI RICERCA E FORMAZIONE PSICOPEDAGOGICA Gradi di potere dei cittadini 8 - Controllo da parte dei cittadini 7 - Delega del potere 6 - Partenariato Gradi di partecipazione simbolica 5 - Consultazione 4 - Informazione 3 - Attenuazione, contenimento Mancanza di partecipazione 2 - Trattamento terapeutico 1 - Manipolazione Quarto punto: una partecipazione estetica o una pedagogia della partecipazione? Con il termine partecipazione possiamo descrivere un intero universo di significati; molte volte controversi . Un utile strumento di analisi delle dinamiche partecipative è la “scala della partecipazione” redatta dalla Arnstein. La scala descrive la partecipazione in termini di livelli di coinvolgimento nei programmi e nei processi. Ogni gradino rappresenta il livello crescente di intensità della partecipazione. La scala della partecipazione, se non altro, ci propone una pedagogia della partecipazione. Essa infatti non è né un dato di partenza e nemmeno una situazione di arrivo che raggiungeremo un giorno in cui tutto sarà luminoso e felice. È invece un processo del tutto umano e raggiungibile che è fatto di gradini, di obiettivi successivi uno all’altro, di impegni e di consapevolezze, di apprendimenti personali ed organizzativi. In altri termini, la partecipazione non è un obiettivo “escatologico”, un fine ultimo: facciamo partecipazione tutte le volte che da una situazione precedente di coinvolgimento andiamo in una anche minimamente più alta. Senza una pedagogia della partecipazione, il rischio è di appiattirsi su una dimensione “estetica” della partecipazione, sul “partecipare è bello”, perdendo di vista i reali rapporti di potere che informano i momenti decisionali. Una partecipazione estetica non mette in discussione i meccanismi di delega che creiamo, i poteri che cerchiamo di trasferire, l’educazione a rapportarsi con il potere, la capacità di accettare e gestire i conflitti. Si accontenta della contemplazione di se stessa, del suo essere leggera e piacevole. Del suo rappresentare le dinamiche decisionali, incentivando il ruolo di spettatori anziché diventare consapevoli di esse, in un ruolo di potenziali attori. NOTE 1 S.R. Arnstein, A leader of citizen partecipation, in “Journal of the American Institute of Planners”, vol. 34, n. 4, 1969 * Disef - Dipartimento Scienze dell’Educazione e della Formazione - Università di Torino - e-mail: [email protected] 45