l`altro mare della sardegna

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l`altro mare della sardegna
Acque
L’ALTRO MARE
DELLA SARDEGNA
Sono le cascate, i laghi e i fiumi: scenari sconosciuti ai visitatori occasionali,
quasi ignorati dagli stessi abitanti dell’Isola, assenti dal tradizionale circuito
turistico che cerca soltanto i colori abbacinanti delle spiagge
Gianmario Marras
DI DANIELE CASALE
Il salto spettacolare della cascata
di Sos Molinos, tra Santu
Lussurgiu e Bonarcado: le acque
dell’omonimo rio cadono in
mezzo alla fitta vegetazione
sul fondo di una forra.
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giungibili dalla statale Nuoro-Lanusei, strada che consente tra l’altro di arrivare ad alcuni sentieri panoramici,
tra cui quello per il torrione di Perda Liana, e di inoltrarsi nelle ultime, secolari foreste del Gennargentu.
Non può mancare un accenno al bacino più grande,
l’Omodeo, famoso perché custodisce ancora nei suoi
fondali i resti di una savana pietrificata, risalente all’era
miocenica. Anche in questo caso, i paesi rivieraschi (tra
cui Soddì e Sorradile) si stanno attrezzando per offrire
diversi servizi ai turisti, come le canoe e un piccolo battello con cui attraversare lo specchio d’acqua.
Le cascate nascoste
L’altro mare della Sardegna appare in primavera, quando la neve libera le acque intrappolate in strette e
profonde gole inaccessibili agli sguardi, e prima che l’estate torrida lo prosciughi. L’altro mare non bagna le coste, ma gorgheggia tra vallate silenziose. Ma la bellezza
ha un costo. Raggiungere una cascata, nella maggior
parte dei casi, non è impresa facile. Le indicazioni poi
non aiutano: dovunque assenti, se si eccettuano i sentieri nel massiccio del monte Linas, in territorio di VillaciSopra: le morbide insenature di sabbia giallissima
incorniciate da una folta pineta movimentano il lago Baratz,
a nord di Alghero. Nella pagina accanto: il lago Alto
del Flumendosa, nei pressi di Villanova Strisaili, è il più
scenografico dei laghi artificiali della Sardegna.
Le acque del suo invaso, posto a 800 metri di quota,
alimentano tre centrali idroelettriche, vengono utilizzate per
l’irrigazione e “danno da bere” ai comuni limitrofi;
sotto: Sa Spendula, nei dintorni di Villacidro, è l’ultimo salto
del rio Coxinas verso la pianura del Campidano.
dro e Gonnosfanadiga. Eppure, lo spettacolo ripaga la
fatica: lo scrosciare impetuoso dell’acqua fa da colonna
sonora a paesaggi segreti, dove la natura è protagonista
incontrastata e l’uomo una fuggevole comparsa.
Dal Gennargentu all’Ogliastra, dal Montiferru ai
monti di Villacidro, dal Limbara al Supramonte, ogni
zona dell’Isola ha la sua cascata. Sadali, piccolo centro
della Barbagia di Seulo, è l’unico paese dell’Isola a ospitare un piccolo salto d’acqua, la cascata di Valentino,
persino tra le graziose casette del centro storico. E basta
addentrarsi nel sentiero che conduce alle grotte di Is Janas (delle Fate), a pochi chilometri dal paese, per scoprire il fascino di Su stampu ‘e su turrunu: tra i lecci e i sambuchi la rumorosa cascata si riversa in un laghetto dopo un
salto di 16 metri da un foro nella roccia, scavato nel corso dei
millenni dalla forza dirompente dell’acqua. Lungo lo stesso
sentiero, attrezzato da un corrimano d’acciaio, dopo appena
300 metri di passeggiata si possono ammirare altre due cascatelle, una a fianco all’altra. Altro
spettacolo unico in Sardegna.
Ancora in Ogliastra attraverso i tacchi e i picchi calcarei caratteristici di questa regione: a
Ulassai (località Santa Barbara)
vicino alle grotte di Su Marmuri, un gigantesco anfiteatro na-
turale incornicia la cascata di Lequarci, dove un getto
d’acqua salta nel vuoto da 50 metri. Chi non teme un bagno fuori stagione può provare a passare dietro la cascata: non troverà il tesoro, ma un arcobaleno multicolore
catturato dalle goccioline d’acqua.
Un mantello di calcare caratterizza invece la cascata
Middai, nel territorio di Seui. Ci si arriva comodamente grazie a un sentiero sistemato dalla Forestale, pochi
minuti dopo aver parcheggiato l’auto. Siamo in una
delle zone più belle della Sardegna, nel Montarbu. La
cascata Middai è suggestiva quando è in piena, ma anche nei periodi di secca grazie alla sua parete dai toni
giallo oro con concrezioni che ricordano ampi mantelli.
Lasciati i tacchi dell’Ogliastra,
il viaggio per cascate prosegue
verso nord, sulle cime più alte
dell’Isola. Il versante del Gennargentu di Arzana è ricco di
corsi d’acqua. Nelle selvagge
vallate, habitat preferito dai
mufloni, i torrenti sono spesso
impetuosi e la loro forza si rovescia in strette forre e in salti
d’acqua spettacolari molto
spesso nascosti. L’accesso alla
gola di Pirincanes è facile, si arriva in auto percorrendo la strada che dalla Nuoro-Lanusei
conduce al caratteristico tacco
di Perda Liana. Una volta incontrato, sulla destra, il grande
Gianmario Marras
L
a Sardegna è sempre stata una terra assetata,
ecco perché nell’arco di un secolo si è cercato
di rimediare dando vita a vari bacini artificiali. In diversi casi questi laghi, una decina circa, sono nati in un contesto ambientale di primitiva bellezza impreziosendo i boschi secolari e il verde della macchia mediterranea.
Ma c’è un’eccezione, il lago Baratz. Unico lago naturale della Sardegna, vicino all’insenatura di Porto Ferropoco a nord di Alghero. Le sue rive sono davvero particolari, con dune giallo oro che si inoltrano all’interno di
una fitta pineta. Lo specchio d’acqua, 50 ettari di estensione, offre riparo a una variegata avifauna, tra cui aironi cinerini, svassi e gruccioni.
Ma forse il lago più pittoresco dell’Isola è quello di
Gusana, stretto tra i boschi della Barbagia, a pochi chilometri dal paesino di Gavoi. Il colore blu cobalto delle
sue acque contrasta con il verde delle chiome di lecci e
roverelle. Il modo migliore per apprezzare le sue placide acque è salire su una canoa o su uno dei pattini che si
possono noleggiare chiedendo informazioni ai tre hotel
ubicati sulle sponde. Assieme ai vicini Cucchinadorza e
Benzone, il lago di Gusana fa parte del grande gruppo
di bacini idroelettrici del Tirso.
Ai piedi del Gennargentu e vicino alle sorgenti del
secondo fiume più lungo dell’Isola, si trova il lago Alto
del Flumendosa, così chiamato perché il sistema idrografico comprende anche il bacino Medio, creato nel
1952 per irrigare il Campidano, non distante dal piccolo
lago Mulargia. Le sponde del lago Alto, che ricade in
territorio di Villagrande Strisaili e Arzana, sono rag-
Daniele Pellegrini
Marco Melodia/Il Dagherrotipo
PRIMAVERA
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PRIMAVERA
Sopra: il pozzo nuragico di Santa Cristina
a Paulilatino risale a circa 3.000 anni fa.
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Sopra: il lago Omodeo, nell’alto Oristanese. Formatosi
dopo la costruzione della diga di Santa Chiara tra il 1919
e il 1923, posta a sbarramento del Tirso, questo bacino
artificiale ridisegnò l’intera vallata.
masso che segnala il Gennargentu si deve percorrere
la strada carrareccia che dopo pochi tornanti giunge a
un leccio secolare. Lasciata l’auto, si risale la sponda
del rio Calaresu. Dopo un’ora di cammino, in un paesaggio dominato da ginepri, piscine e archi naturali, le
tre cascate del Riu ‘e forru sono quasi una sorpresa,
nascoste da un imponente costone di granito. Tre salti,
uno dopo l’altro, visibili solo dopo una breve ma impegnativa arrampicata.
L’Oristanese, ricco di pianure e poco montuoso, non
delude. Il Montiferru, primigenia zona vulcanica che
impressionò il geografo e storico Alberto La Marmora,
custodisce l’unica cascata della Sardegna che si getta in
mare, dopo un salto di 40 metri. Siamo nel territorio di
Cuglieri, poco dopo Santa Caterina di Pittinuri, dove alte falesie di basalto proteggono questo tratto della costa
occidentale. La cascata a picco di Capo Nieddu è davvero spettacolare, specie quando soffia impetuoso il maestrale che spinge con forza l’acqua indietro, dando vita a
un’eterna battaglia tra acqua e vento. Sul versante opposto del massiccio del Montiferru, in una valle selvaggia si trova la cascata di Sos Molinos (Santu Lussurgiu),
così chiamata perché fino a pochi decenni
fa erano ancora in funzione alcuni mulini.
Si raggiunge lungo la provinciale che da
Bonarcado arriva a Santu Lussurgiu.
A Villacidro e Gonnosfanadiga le cascate
sono diventate una risorsa per il turismo
ambientale: ecco perché ai piedi del massiccio del monte Linas si trova una delle
poche zone, dove la segnaletica biancorossa viene in aiuto di chi vuole ammirare le
sei cascate del massiccio. Rio Arrusarbus,
Gutturu Fenugu, Sa Spendula, Piscina Irgas, Muru Mannu, rio Linas: questi i loro nomi, perle
incastonate in gole insidiose ma ricche di fascino. Marco Melodia/Il Dagherrotipo
I sardi e l’acqua, un legame particolare che si perde
nella notte dei tempi. Da sempre sospettosi del mare, i
primi abitanti dell’Isola, in età nuragica, hanno ritenuto
questo elemento sacro, sia che provenisse dal cielo
sia che sgorgasse dalle viscere della terra.
Già dall’antichità sono stati studiati dei modi per conservare la preziosa acqua piovana in cisterne naturali
(sas nurras) in previsione di lunghi periodi siccitosi.
Nei circa 40 templi a pozzo che si contano sparsi in
tutta la Sardegna avvenivano poi i rituali cultuali e si
deponevano le offerte. Uno dei meglio conservati è il
pozzo di Santa Cristina a Paulilatino (Oristano), costruito circa 3.000 anni fa. Un’area sacra dove ci si
riuniva, anche se probabilmente solo il sacerdote poteva bagnarsi. Il pozzo di Paulilatino venne edificato tenendo conto degli equinozi: il sole ancora oggi illumina il fondo attraverso la scalinata quadrangolare, mentre ogni 18 anni, in inverno, la luna piena, da un piccolo foro sopra la cisterna, si specchia sull’acqua. Altre
importanti testimonianze sono quelle di Santa Vittoria a
Serri (Cagliari) e il pozzo di Su Tempiesu a Orune (Nuoro), che si discosta leggermente dalla struttura classica, caratterizzata da un vano di ingresso (al livello del
suolo), la scala e il vano interrato dove si trova la fonte. La volta è solitamente a cupola. In superficie, l’area
sacra è quasi sempre delimitata da un recinto di pietre
e sorge nei pressi di una sorgente.
All’acqua i nuragici attribuivano inoltre poteri taumaturgici: i bagni termali rupestri di Oddini, in territorio di
Orani (Nuoro) e noti ai Romani, sono frequentati ancora
oggi tra la fine dell’estate e l’autunno dai pastori per
guarire i reumatismi. Nel villaggio di Teti, in mezzo al
Gennargentu, fino alla seconda metà dell’Ottocento gli
anziani si radunavano in periodi di siccità, convinti
che, agitando i loro lunghi bastoni e percuotendoli
contro le rocce, si scatenasse un temporale.
Infine, l’acqua è sempre stata considerata portatrice di
fertilità: nell’antica cerimonia nuziale ripetuta da secoli in alcuni paesi della
Sardegna, la suocera
gettava ai piedi della
sposa dell’acqua mista
a grano, frumento e sale. Un mix che doveva
servire a risvegliare le
forze produttrici naturali e a stimolare la fecondità della donna.
Gianmario Marras
Il culto delle acque
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