manuale - ok - Corte d`Appello di Torino
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NOZIONI DI PRIMO SOCCORSO A CURA DI DR. MARCO FERRI DR. STEFANO ENRICO DR. EUGENIO FRANZERO Sommario 1 – Introduzione 2 – Valutazione 2.1 Valutazione primaria 2.2 Valutazione secondaria 3 – Tecniche di rianimazione cardiopolmonare 3.1 Sostegno dell’attività respiratoria 3.2 Sostegno dell’attività cardiaca 4 – Emorragie e shock 4.1 Emorragie esterne 4.2 Emorragie interne 4.3 Shock 5 – Lesioni traumatiche dei tessuti molli 5.1 Classificazione 5.2 Trattamento 5.3 Terapia d'urgenza delle ferite 5.4 Lesioni ai tessuti molli del collo 5.5 Lesioni ai tessuti molli della testa 6 - Lesioni traumatiche ostreoarticolari 6.1 Quadro clinico 6.2 Terapia d'urgenza 6.3 Trattamento per distretti 7 – Trauma cranico 8 – Trauma della colonna vertebrale 9 – Traumi del torace 10 – Traumi dell'addome 11 – Ustioni 12 – Lesioni da elettricità 13 - Urgenze ambientali Cap. 1 - INTRODUZIONE Precauzioni generali. Chiunque operi in qualità di soccorritore è inevitabilmente esposto al rischio di entrare in contatto con materiale biologico potenzialmente in grado di trasmettere gravi malattie, in primis l’infezione da HIV ( AIDS) e l’epatite virale di tipo B o C. Appare pertanto indispensabile che tali soggetti, a protezione della propria incolumità, seguano scrupolosamente le raccomandazioni proposte dal Ministero della Sanità nelle cosiddette “Linee guida di comportamento per il controllo dell’infezione da HIV”. Le “precauzioni universali” da adottare in tutti i contesti assistenziali, prima di venire a contatto con sangue ed altri materiali biologici, sono di particolare interesse per i soccorritori. Esse vanno applicate al sangue e ad altri liquidi biologici che contengono sangue in quantità tale da renderlo evidenziabile, mentre non sono necessarie - in quanto il rischio di trasmissione di HIV è estremamente basso se non inesistente - in caso di contatto con altri materiali non contaminati da sangue ( saliva, urina, feci, sudore, lacrime, vomito, secrezioni nasali. Tutti gli operatori sanitari devono quindi usare di routine idonee misure di barriera per prevenire l’esposizione cutanea e mucosa nei casi in cui si preveda il contatto con il sangue o altri liquidi biologici. I guanti devono essere indossati prima di venire a contatto con il sangue, la cute o le mucose non intatte degli infortunati, e devono essere sostituiti ad ogni paziente. Mascherine ed occhiali protettivi o coprifaccia devono essere indossati durante l’esecuzione di procedure che possono determinare l’emissione di goccioline di sangue o altri liquidi biologici, per prevenire l’esposizione delle mucose della bocca, del naso e degli occhi. Camici e grembiuli devono essere indossati durante l’esecuzione di procedure che possono determinare schizzi di sangue o altri liquidi biologici. Le mani devono essere lavate accuratamente ed immediatamente se si verifica una contaminazione, e dopo la rimozione dei guanti. Per prevenire punture accidentali con aghi, questi ultimi non devono essere reincappucciati, o volontariamente piegati o rotti, rimossi dalle siringhe o altrimenti manipolati. Dopo l’uso gli aghi, le lame di bisturi ed altri oggetti taglienti devono essere riposti in appositi contenitori resistenti alla puntura. Anche se non è provata l’implicazione della saliva nella trasmissione del virus HIV, per minimizzare la necessità di respirazione bocca a bocca in situazioni di emergenza, è necessario che siano disponibili boccagli, borse di rianimazione ed altre idonee apparecchiature di ventilazione. I soccorritori che sono portatori di lesioni essudative o dermatiti secernenti, se sono disponibili altre persone, devono evitare di prestare attività di assistenza diretta al malato o manipolare apparecchiature usate per la cura del paziente. Approccio al paziente. Il primo passo nell’opera di soccorso consiste in un corretto approccio al paziente e nella valutazione, il più completa possibile, dell’evento. La valutazione del paziente consiste nella raccolta delle informazioni necessarie per stabilire quale tipo di assistenza debba essere prestata. E’ bene ricordarsi, comunque, che nel corso di tale procedura il compito principale del soccorritore sarà quello di identificare e correggere ogni condizione che possa minacciare la vita dell’infortunato La valutazione del paziente è una procedura sistematica, che deve sempre essere effettuata nella maniera più completa possibile. Il soggetto traumatizzato, ad esempio, andrà valutato in modo da determinare la natura e l’entità delle lesioni che presenta, senza dimenticare di rilevare - quando possibile - l’eventuale presenza di patologie preesistenti, che possono essere esse stesse la causa dell’incidente o ne possono amplificare gli effetti. La raccolta delle informazioni non si conclude dopo la valutazione iniziale: il controllo delle condizioni del paziente va infatti ripetuto più volte, in quanto esse tendono a modificarsi col passare del tempo, ed è di vitale importanza saper cogliere ogni peggioramento, che può far variare radicalmente le priorità di assistenza. I compiti del soccorritore consisteranno quindi: 1. - nell’identificare e cercare di correggere in primo luogo i disturbi che minacciano la sopravvivenza immediata. 2. - in un secondo tempo, nel cercare di identificare qualsiasi lesione o condizione patologica sia presente, fornendo un’assistenza di base nel tentativo di stabilizzare le condizioni del paziente e, se possibile, di migliorarle. 3. - infine, nel cercare di mantenere stabili le condizioni del paziente e nel continuare la valutazione (monitoraggio) fino all’approdo ad una struttura di soccorso adeguata. All’arrivo sul luogo dell’incidente, il soccorritore dovrà quindi cercare di raccogliere rapidamente informazioni: - osservando il luogo dell’intervento e la sua pericolosità, che comporterebbe il portare via l’infortunato il più presto possibile. - ascoltando il paziente - se cosciente e se risponde alla domande - e gli eventuali testimoni. - valutando la dinamica dell’incidente, che permetterà di sospettare particolari tipi di lesione ad essa correlate (es.: fratture in caso di caduta dall'alto o di traumi contusivi - ustioni in caso di esposizione a vapore, materiali caldi, sostanze chimiche…) - valutando la presenza di evidenti deformazioni o lesioni (posizione anomala del corpo o degli arti, presenza di sangue o di ferite evidenti...). Cap. 2 - VALUTAZIONE DEL PAZIENTE 2.1 - VALUTAZIONE PRIMARIA Il CONTROLLO PRIMARIO costituisce la procedura da attuare nell’intento di rilevare la presenza di problemi che possono minacciare la sopravvivenza immediata del paziente. Non appena questi vengono identificati, è necessario procedere immediatamente a risolverli al fine di evitare il decesso. L’effettuazione di un primo controllo non richiede l’utilizzo di alcun particolare strumento ed attrezzatura, ed è ben codificata secondo i criteri A B C della rianimazione. A - Airway Per fase A (corrispondente all’inglese AIRWAY = VIE AEREE) si intende il controllare e l’assicurare la pervietà delle vie respiratorie. Durante questa fase si valuterà per prima cosa la facoltà di risposta agli stimoli, cioè il livello di coscienza del paziente. In un paziente NON cosciente, in posizione supina, ovvero sdraiato sul dorso (che è la posizione in cui va sempre messo il soggetto, in quanto è l’unica che permette di effettuare in maniera corretta le manovre di rianimazione) il rilassamento dei muscoli della lingua ne provoca la caduta all’indietro, con conseguente immediata ostruzione delle vie aeree. Un paziente privo di coscienza sdraiato sul dorso è quindi SEMPRE da considerare come un paziente in cui l’aria non può arrivare ai polmoni, se non mettiamo in atto opportuni provvedimenti immediati. Si inizia dapprima con un semplice stimolo verbale, ponendo al paziente domande semplici: il suo nome, la data di nascita, se ricorda cos’è successo… In caso di mancata risposta, uno stimolo tattile, come toccare il soggetto su una spalla o comunque una sede lontana dalle lesioni visibili, servirà a richiamarne l’attenzione, se non è incosciente. Ancora, la risposta ad uno stimolo doloroso può essere evocata pizzicando il margine libero del muscolo trapezio alla spalla, oppure la mano tra il I e il II dito, nella parte carnosa. Particolare cura, specialmente nei traumi da caduta ed in quelli che coinvolgono testa, collo e tronco, andrà posta nel mantenere un corretto posizionamento della colonna vertebrale, non potendosi escludere in questi casi fratture al momento non evidenti. In alcuni casi può essere necessario cambiare la posizione del paziente, specialmente se rinvenuto in posizione prona, per valutare bene la pervietà delle vie aeree e per poter proseguire con le manovre di soccorso: il paziente va quindi portato in posizione supina, sdraiato sul dorso. Per fare ciò, la manovra più semplice consiste in una manovra di rotazione, durante la quale la testa, il collo ed il tronco vanno mossi come se fossero un blocco unico, così da ridurre la possibilità di aggravare eventuali lesioni spinali. Quando da solo, il soccorritore deve inginocchiarsi dietro il paziente, lasciando abbastanza spazio affinché nella rotazione esso non gli venga addosso. Le gambe vanno raddrizzate lentamente ed il braccio più vicino al suolo va portato in alto sopra la testa. Una mano va quindi messa in modo da afferrare saldamente da dietro – a livello della nuca - la testa ed il collo. L’altra mano va invece messa sotto l’ascella libera del paziente, che viene quindi ruotato su di un fianco e poi sulla schiena, sempre mantenendo testa e collo in asse con la colonna vertebrale. La manovra di rotazione riesce meglio ed è più sicura se effettuata da due o più soccorritori, di cui uno si deve dedicare a bloccare testa e collo ed a controllare il riposizionamento del soggetto. La manovra di rotazione effettuata da un solo soccorritore deve essere eseguita solo quando si rendono necessarie immediate misure di rianimazione e non è disponibile personale qualificato. Se, al momento della prima valutazione, il paziente non risponde agli stimoli, ovvero è in stato di incoscienza, la prima cosa da fare consiste nell’assicurare la pervietà delle vie aeree, che in posizione supina vengono ostruite dalla caduta all’indietro della base della lingua. Nei casi in cui non si sospetta una lesione della colonna vertebrale cervicale, la manovra più semplice ed efficace consiste nell’iperestensione del capo e sollevamento della mandibola: posti a fianco della vittima, si utilizza la mano più vicina al suo torace (la destra se si è alla destra del soggetto) per sostenere e spingere in avanti e verso l’alto la mandibola, facendo forza con le dita sulla parte ossea di essa. Nei casi in cui, in base al tipo di trauma (trauma che coinvolge capo e collo, caduta dall’alto, impatto ad alta velocità…) si sospetti la possibilità di una lesione della colonna vertebrale, NON si deve assolutamente iperestendere il capo per evitare di sollecitare la colonna cervicale, e la pervietà delle vie aeree si deve ottenere con la manovra di protrusione della mandibola. A paziente supino, il soccorritore deve inginocchiarsi dietro la sua testa e, immobilizzando capo e collo con gli avambracci e le ultime dita delle mani, deve spingere in avanti e verso l’alto la mandibola, facendo forza con gli indici sugli angoli laterali dell’osso, senza innalzare o ruotare la testa. B - Breathing Per fase B (corrispondente all’inglese BREATHING = RESPIRAZIONE) si intende il controllare e l’assicurare la funzione respiratoria, consentendo così l’ossigenazione del sangue a livello polmonare. Se assente la funzione spontanea, sarà compito del soccorritore mantenere una buona ventilazione facendo ricorso alle tecniche di respirazione artificiale. Come ogni fase della rianimazione cardiopolmonare, il primo momento deve consistere nella valutazione dell’attività respiratoria spontanea del paziente: ponendosi a fianco della vittima, con la testa vicino al suo volto e guardando verso il suo torace, bisogna contemporaneamente Guardare, Ascoltare e Sentire (GAS): - Guardare il torace e l’addome, al fine di rilevare i movimenti che indicano l’attività respiratoria spontanea. E’ utile ricordare che nell’uomo, che ha una respirazione prevalentemente diaframmatici, sono più evidenti i movimenti a livello della parte bassa del torace e dell’addome; nella donna, la cui respirazione è prevalentemente toracica, sono più evidenti i movimenti a livello della parte superiore del torace. - Ascoltare attentamente per rilevare i suoni prodotti durante la respirazione dai movimenti dell’aria nelle vie aeree del paziente. - Sentire, mettendo il volto vicino alla bocca della vittima, per rilevare la presenza dell’aria espirata da naso e bocca. Questa valutazione, effettuata correttamente per dieci secondi, permette di rilevare la presenza di un respiro difficoltoso (dispnea) o assente (apnea). Se il paziente non respira, bisogna immediatamente intraprendere le procedure di rianimazione respiratoria, in quanto rapidamente, nel giro di 4 – 5 minuti, si possono instaurare l’arresto cardiaco e la morte clinica del paziente, ovvero l’arresto delle funzioni vitali. Nel volgere di 5 minuti dalla morte clinica (cioè dall’arresto cardiocircolatorio) iniziano i danni cerebrali irreversibili, e nel giro di 10 minuti si arriva alla cosiddetta morte biologica del soggetto. Se invece il paziente respira in maniera adeguata e le vie aeree sono sicuramente pervie, si può procedere con il terzo punto della valutazione primaria. C - Circulation Per fase C (corrispondente all’inglese CIRCUOLATION = CIRCOLAZIONE) si intende il controllare e sostenere un’adeguata funzione cardiocircolatoria. Anche in questa fase, la presenza di attività cardiaca e di una adeguata circolazione sanguigna va ricercata e valutata per dieci secondi, rilevando il battito di un polso centrale, ovvero la pulsazione a livello dei grossi vasi del collo (polso carotideo). Il polso carotideo è facilmente rilevabile dal soccorritore che sta al capo della vittima e si occupa di immobilizzare la testa di mantenerne la posizione che consente la pervietà delle vie aeree. Localizzata la cartilagine tiroidea sporgente al centro del collo (il cosiddetto “pomo di Adamo”), si posizionano su di esso la punta dell’indice e del medio, che vengono fatte poi scorrere lateralmente – verso il lato del collo più vicino al soccorritore – fino all’incavo che si crea con i muscoli situati lungo il lato del collo: qui, con una minima pressione, è possibile sentire il polso carotideo. E’ opportuno sentire il polso dal lato del paziente a fianco del soccorritore e non dal lato opposto, e solo da un lato per volta, in quanto comprimendo entrambe le arterie carotidi c’è il rischio di interrompere l’afflusso di sangue al cervello. E’ bene infine annotare la regolarità e la forza del battito, e se possibile la frequenza del polso. Se non si rileva nel giro di 10 secondi un’attività cardiocircolatoria apprezzabile, bisogna subito passare alle manovre di rianimazione cardiopolmonare. Se invece è presente il polso carotideo in assenza di attività respiratoria, bisogna proseguire con le tecniche di respirazione artificiale, controllando periodicamente il polso, in quanto l’attività cardiaca può interrompersi anche in caso di ventilazione assistita. Se infine il paziente, oltre a respirare spontaneamente in maniera efficace, presenta un polso carotideo regolare, si può proseguire con il momento successivo della fase C del controllo primario, che consiste nel ricercare e provvedere al controllo di ogni emorragia profusa, potenzialmente pericolosa per la vita del paziente. La ricerca dei punti di emorragia deve essere accurata, ma deve essere fatta con molta attenzione, tenendo sempre a mente che il paziente può avere lesioni vertebro-spinali o altre lesioni gravi che ne impediscono od ostacolano lo spostamento. Innanzitutto, in caso di emorragia esterna è opportuno valutare, anche solo grossolanamente, la quantità di sangue visibile nell’ambiente, per farsi un’idea delle possibili perdite subite dalla vittima. Bisogna sempre tener presente che le ferite sanguinano possono essere molto evidenti, ma non sempre sono così gravi da mettere a repentaglio la vita del paziente, mentre ci possono essere lesioni di organi interni tali da provocare importanti emorragie, potenzialmente mortali e non così facilmente evidenziabili. Si ricorda a questo proposito che non solo le emorragie che si sviluppano a livello del cavo addominale o del cavo toracico sono difficilmente apprezzabili ad un esame esterno, ma che anche in occasione di frattura di ossa molto vascolarizzate, come il bacino od il femore, l’emorragia che ne consegue può essere tale da provocare uno stato di shock (la perdita di sangue è valutabile intorno ad 1,5 litri nelle fratture di femore e a 2 – 2,5 litri o anche di più nelle fratture di bacino!). Il soccorritore dovrà prendere provvedimenti immediati in caso di ferite in cui il sangue stia zampillando (emorragia di tipo arterioso) o fluendo liberamente, tenendo presente che la compressione diretta in corrispondenza della ferita è spesso il metodo migliore per controllare un’emorragia esterna. Nei casi in cui vi sia un sanguinamento profuso, è importante monitorizzarne l’andamento, ricordandosi di tenere sempre sotto controllo l’attività respiratoria. Nel caso invece di un’emorragia lenta, ma che perduri da parecchio tempo, bisogna considerare che la perdita ematica, anche se quantitativamente importante, può essere tenuta sotto controllo dai meccanismi di compenso dell’organismo, ma che qualsiasi ulteriore emorragia può essere pericolosa per la vita, portando il paziente verso una fase di shock non più compensato. Dopo aver completato il primo controllo, cercando di correggere tutti i fattori che possono minacciare la vita del paziente a mano a mano che vengono riscontrati, e ripartendo tutte le volte da capo con il controllo primario fino ad essere sicuri che le vie aeree siano pervie, che vi sia una buona attività respiratoria, che il polso carotideo – indice dell’attività cardiaca – sia presente e che si sia arrestata qualsiasi evidente abbondante emorragia, si potrà procedere al trasporto del paziente in ambiente idoneo alla fase successiva della valutazione, cioè alla cosiddetta VALUTAZIONE SECONDARIA. 2.2 – VALUTAZIONE SECONDARIA L’obiettivo della VALUTAZIONE SECONDARIA consiste nello scoprire disturbi medici e problemi collegati alle lesioni che, pur non costituendo una minaccia immediata alla sopravvivenza, possono diventarlo o comunque possono causare gravi disagi se non vengono trattati. Ovviamente, se il paziente presenta una lesione traumatica tale da minacciarne la sopravvivenza, si rende necessario il trasporto immediato ad un centro di soccorso immediato dove verranno prestate le cure necessarie a garantire la sopravvivenza e verrà poi iniziata la valutazione secondaria. E’ opportuno a questo punto riesaminare il luogo dell’ intervento di soccorso, valutando se sia sicuro sia per il paziente sia per il soccorritore, se siano stati tralasciati o dimenticati particolari della dinamica dell’incidente degni di nota, o se vi siano altre vittime con lesioni di minor entità che hanno bisogno di cure. La valutazione secondaria prevede in primo luogo il colloquio con il paziente – se cosciente – e con eventuali testimoni dell’evento. Bisogna cercare di rilevare i principali sintomi accusati dalla vittima, chiedendo quali siano i più importanti, verificando se il paziente soffre e localizzando la zona dolente – la maggior parte degli infortunati sarà infatti in grado di indicare le parti del corpo dolenti – ed indagando sulla presenza di intorpidimenti, formicolio, bruciore o altre sensazioni insolite a carico degli arti, possibili indici di lesioni spinali se conseguenti a traumi della colonna vertebrale, che sconsigliano di muovere il paziente più del necessario durante il resto della valutazione. Nel caso di lesioni, è opportuno informarsi sulla dinamica dell’incidente: ogni volta che ci troviamo di fronte ad un paziente disteso bisogna cercare di sapere se si è messo spontaneamente in quella posizione, se vi è stato messo da altri, se è caduto o se ha perso i sensi e vi si è ritrovato alla ripresa della coscienza. Ancora, bisogna indagare sulla presenza di malattie concomitanti, che possono influire sulla prognosi, o sull’eventuale assunzione di farmaci. Se le medicine assunte dal paziente sono presenti sul luogo dell’infortunio, è importante raccogliere tutti i contenitori – specie se la vittima è incosciente - e portarli in ospedale. Se possibile, informarsi anche se il paziente riferisce allergie a qualche medicinale. Il colloquio non deve essere condotto come una parte isolata del controllo secondario, ma n va effettuato contemporaneamente all’esame obiettivo ed ella rilevazione dei parametri vitali. • Per prima cosa, bisogna dare rapidamente un’occhiata generale alla vittima, al fine di rilevare subito qualsiasi cosa sembri insolita nelle sue condizioni, quali la presenza di ferite evidenti, ustioni, fratture ed ogni deformazione o tumefazione evidente, ulcere o chiazze sulla pelle, tracce di sangue. • Bisogna quindi valutare il livello di coscienza, monitorandolo fino all’arrivo del personale di soccorso e soprattutto cercando di cogliere ogni possibile peggioramento. Per fornire una semplice scala di valutazione, il paziente si può presentare: o Vigile e cosciente di quello che sta succedendo, orientato sia nel tempo che nello spazio (sa quindi facilmente rispondere a domande quali “Che giorno è?”, “Dove siamo?”…). o Con risposta agli stimoli verbali: il soggetto risponde, magari in maniera confusa, alle domande che gli vengono poste, oppure esegue ordini semplici quali “Apri la bocca”, Apri gli occhi”,”Tira fuori la lingua”… o Con risposta solo agli stimoli dolorosi: Il soggetto reagisce a stimoli dolorosi quali il pizzicamento della spalla o della mano. o Non cosciente: il paziente NON risponde agli stimoli. • Tenendo sempre presente che anche i pazienti che sembrano stabili possono peggiorare improvvisamente, mentre si procede con la valutazione bisogna sempre prestare attenzione ad eventuali cambiamenti, e soprattutto all’insorgenza di perdita di coscienza, di nuove emorragie o di ripresa di emorragie che sembravano sotto controllo, di sintomi ch e possono precedere uno stato di shock come irrequietezza, ansia, sudorazione abbondante, pallore cutaneo. • La determinazione dei parametri vitali (polso, respirazione, pressione del sangue e temperatura corporea) richiede poco più di un minuto ed è di grande importanza per valutare la gravità delle condizioni della vittima di un trauma. Solitamente la prima valutazione dei parametri vitali viene eseguita al termine della valutazione primaria e va poi ripetuta più volte, fino all’arrivo in ospedale del paziente, al fine di monitorare le variazioni e riconoscere prontamente un eventuale peggioramento. o Polso: per “polso” si intende la percezione del battito cardiaco a livello di un’arteria periferica palpabile, provocato dalla dilatazione – o pulsazione – del vaso al passaggio del sangue. Normalmente, in un paziente cosciente viene valutato il polso radiale, che si rileva palpando l’arteria radiale all’altezza del polso, 2-3 cm a monte della base del I dito. Se non si può o non si riesce a valutare il polso radiale da un lato, bisogna provare dall’altra parte. Se anche così non è possibile rilavare il battito, e come regola in caso di grosso trauma o do soggetto non cosciente, si valuta il polso carotideo, come spiegato in precedenza. Il primo fattore da valutare consiste nella frequenza del polso: si tratta cioè di determinare il numero di battiti al minuto. La frequenza del polso – e quindi la frequenza cardiaca – varia da individuo ad individuo, ed è influenzata dall’età, dal sesso, dalle condizioni e dall’attività fisica, da farmaci e da altri fattori estrinseci. In un adulto normale, a riposo, essa è compresa solitamente tra i 60 e gli 80 battiti al minuto; se supera i 100 si parla di tachicardia, sotto i 60 di bradicardia. Il ritmo del polso si riferisce alla regolarità delle pulsazioni: il polso può quindi presentarsi ritmico o aritmico, qualora gli intervalli tra le pulsazioni non siano costanti. La forza del polso è data dalla pressione del sangue sulle pareti del vaso. o Respiro: un atto respiratorio completo è costituito da una fase di inspirazione, in cui l’aria viene immessa nei polmoni, e da una fase di espirazione, in cui viene espulsa. La frequenza respiratoria rappresenta il numero di atti eseguiti in un minuto, ed è normalmente compresa tra 12 e 20 atti al minuto nell’adulto a riposo. Valori superiori ai 28 atti respiratori al minuto o inferiori a 10 sono da considerare indice di grave compromissione respiratoria, che richiede un intervento medico non appena possibile. Il ritmo si riferisce alla regolarità o meno con cui si susseguono gli atti respiratori. La profondità si riferisce invece alla quantità di aria che viene inspirata ed espirata, distinguendosi quindi un respiro superficiale, poco efficace, da un profondo. o Pressione sanguigna: la pressione va misurata non appena siano state completate al rilevazione del polso e del respiro. Bisogna tener presente che, non conoscendo quale sia la pressione normale di un soggetto, un’unica determinazione della pressione può essere poco significativa: sarà quindi necessario effettuare ripetute misurazioni della pressione mentre si presta assistenza e si provvede al trasporto del paziente, in quanto le variazioni della pressione sono un indice molto importante dell’andamento clinico. Si distingue una pressione massima, o sistolica, corrispondente alla fase di contrazione del cuore, nella quale il sangue viene spinto in circolo, ed un pressione minima o diastolica, corrispondente alla fase di rilasciamento cardiaco. Si parla di ipertensione arteriosa quando i valori sono superiori a 160/100 mmHg e di ipotensione quando la P massima è inferiore a 100 mmHg ( i millimetri di mercurio – mmHg – si riferiscono all’unità di misura dello sfigmomanometro, lo strumento che serve a misurare la pressione sanguigna). Per misurare la pressione sanguigna mediante auscultazione è necessario avere sfigmomanometro e stetoscopio. Il bracciale dello sfigmomanometro va applicato al braccio, circa 3 cm sopra la piega del gomito, dopo essersi assicurati che il braccio non presenti lesioni manifeste o sospette. Non ci devono essere vestiti tra la cute del paziente ed il bracciale, e l’eventuale manica arrotolata non deve stringere il braccio (meglio togliere maglie e camicie, se possibile, o tagliare gli abiti, se necessario). Il paziente deve essere seduto o sdraiato, con il braccio alla stessa altezza del cuore. Gli auricolari dello stetoscopio vanno posti, puntati in avanti, nelle orecchie, ed il diaframma dello strumento va appoggiato al livello della piega del gomito. Il bracciale dello sfigmomanometro viene quindi gonfiato fino a 20 – 30 mmHg oltre il valore in cui si avverte la scomparsa delle pulsazioni. Facendo defluire quindi lentamente l’aria dalla valvola si arriva ad un valore di pressione al quale la pulsazione sarà nuovamente avvertibile: quello corrisponde alla pressione massima. Sgonfiando ancora il bracciale, ad un certo punto i suoni delle pulsazioni si trasformano in colpi attutiti e soffocati, fino a scomparire: a quel valore corrisponde alla pressione minima. o Temperatura corporea: Non è necessario misurare con un termometro la temperatura orale o ascellare del paziente; spesso è sufficiente valutarne la cosiddetta “temperatura relativa”, tastando semplicemente la fronte col dorso della mano. Facendo questo, si può anche rilevare se la cute del paziente si presenta secca oppure umida e sudata. L’ESAME OBIETTIVO eseguito nel corso della valutazione secondaria deve essere sistematico, condotto dalla testa ai piedi. È opportuno che il soccorritore, mentre esegue l'esame obiettivo, indossi tutte le attrezzature protettive necessarie per evitare la contaminazione con il sangue del paziente. L'esame deve cominciare con il controllo della regione cervicale, in modo da identificare subito possibili lesioni spinali, da non aggravare con movimenti incongrui, o gravi lesioni della trachea o della laringe che possono provocare l'ostruzione delle vie aeree. La valutazione non dovrà essere effettuata fase per fase in tutti i pazienti: dovrà invece essere incentrata sul principale sintomo manifestato dal paziente, sulla natura dell'incidente e sulla gravità delle condizioni. Nell'approccio adottato sarà quindi opportuno usare buon senso. È importante fare attenzione a non infettare eventuali ferite e a non aggravare le lesioni esistenti. Se l'emorragia si è fermata, non bisogna tirare i vestiti o la pelle intorno alla ferita, ne tantomeno tentare di ispezionarla, pena la ripresa del sanguinamento. Vanno scostati e rimossi solo i capi di vestiario che interferiscono, senza tentare di sfilare i vestiti dagli arti del paziente, ma piuttosto tagliandoli. Vediamo quindi come condurre l'esame obiettivo regione per regione - COLLO: la prima cosa da fare consiste nel controllare il rachide cervicale al fine di rilevare eventuali deformazioni o zone dolenti alla palpazione. L'esplorazione inizia con la valutazione della parte posteriore del collo, e viene effettuata infilando delicatamente le mani con i palmi rivolti verso l'alto sotto i lati del collo del paziente, facendo scorrere le dita lungo l'area della colonna cervicale. Si deve controllare la parte posteriore del collo dalle spalle alla base del cranio, esercitando con le dita una moderata pressione. Se si evidenziano segni che indicano una possibile lesione vertebrale, bisogna interrompere momentaneamente l'esame, immobilizzare temporaneamente testa e collo (se possibile con un apposito collare) e riprendere poi la visita trattando paziente come se fosse portatore di una lesione vertebro-spinale finché non sia possibile escluderne radiologicamente la presenza. Si ispeziona quindi la parte antero-laterale del collo, cercando i segni di eventuali lesioni, quali tumefazioni o deviazioni della laringe (pomo d'Adamo), ferite, ecchimosi evidenti. - TESTA: si controlla dapprima tastando delicatamente con le dita il cuoio capelluto per individuare tagli, e mattoni, tumefazioni ed altri segni di lesione. In caso si sospettino lesioni vertebrali, particolare attenzione dovrà essere riposta nell'esaminare la zona della nuca senza muovere il collo del paziente. Con la palpazione, bisogna stare attenti anche a rilevare qualsiasi affossamento o deformazione che potrebbe indicare la presenza di una lesione cranica. È opportuno inoltre controllare le zone facciali e palpare delicatamente fronte, zigomi, mascelle e mandibola per cercare di identificare eventuali segni di frattura. Si controllano quindi gli occhi del paziente: in caso di presenza di tagli, ustioni o altre lesioni delle palpebre bisogna presumere che sia presente anche una lesione oculare e praticare le cure del caso. Ad occhi aperti, vanno valutate inoltre le dimensioni, la simmetricità e la reattività delle pupille allo stimolo luminoso. Vanno poi ispezionati il naso ed orecchie - sempre senza ruotare la testa del paziente ricercando la presenza di lesioni, sangue o scolo di liquido trasparente, il c.d. liquido cerebro spinale, da ritenere sempre indice di frattura della base cranica. Va infine riesaminata attentamente la bocca, cercando e controllando qualsiasi cosa possa essere sfuggita al primo controllo ed in grado di causare ostruzione alle vie aeree, quali corpi estranei, denti rotti, protesi dentarie, sangue o vomito. - TORACE: l’ispezione è finalizzata alla rilevazione di lesioni evidenti, quali tagli, ematomi, ferite penetranti, presenza di oggetti conficcati e di fratture. È bene ricordarsi che, in un paziente traumatizzato grave od incosciente, l’ispezione richiede di spogliare il paziente, eventualmente tagliando gli abiti per rimuoverli. Bisognerà quindi comprimere delicatamente il torace per evidenziare eventuali fratture, tastando le clavicole, lo sterno, i lati della cassa toracica ed infine le scapole, infilando delicatamente le mani sotto il paziente. Si controlla poi che il torace si espanda in maniera uniforme, appoggiando i palmi delle mani alle basi ed ai lati di esso, cercando di rilevare eventuali movimenti abnormi, e si ascoltano con lo stetoscopio i rumori che indicano un corretto ingresso di aria nei polmoni. - ADDOME: anche qui l'esame ha lo scopo di rilevare la presenza di lesioni, quali tagli, ematomi, ferite penetranti ed oggetti conficcati. È importante valutare se il paziente cerca di proteggere l'addome flettendo di arti inferiori e quindi procedere alla palpazione delicata di tutto l'addome in modo da rilevare l'esistenza di zone particolarmente dolenti o di masse evidenziabili. - PELVI: anche qui, si ricerca dapprima la presenza di lesioni evidenti, poi si procede ad esercitare con le mani una leggera compressione delle anche, rilevando qualsiasi risposta dolorosa e deformazione. - REGIONE INGUINO-GENITALE: la zona non va generalmente scoperta a meno che non si sia ragionevolmente sicuri della presenza di una lesione, che può consistere in una ferita, in un’ustione, nella presenza di oggetti conficcati o nei segni di lesione spinale. - ARTI INFERIORI: per esaminare gli arti inferiori ed i piedi può essere necessario scostare o tagliare i vestiti: le lesioni vengono osservate meglio ed i danni ridotti al minimo, se i gambali dei panta-loni vengono tagliati ed allontanati dal punto della lesione. Bisogna ispezionare ogni arto, uno alla volta, dall'anca al piede, cercando segni di lesione (quali deformità, tumefazioni, ferite ed emorragie, protrusioni ossee) evitando inizialmente di muovere o sollevare gli arti del paziente. Dopo aver controllato visivamente gli arti, bisogna palparli delicatamente alla ricerca di zone di iperestesia, in corrispondenza di possibili focolai di frattura. È quindi opportuno controllare se la circolazione in corrispondenza degli arti è compromessa o addirittura interrotta, valutando la presenza del polso distale di ogni piede, che va ricercato palpando il dorso del piede appena a lato del tendine dell'alluce. Infine, va controllata la funzionalità nervosa e la presenza di eventuali paralisi, valutando prima la sensibilità tattile, semplicemente toccando in diversi punti i piedi e poi la funzione muscolare, facendo flettere ed estendere i piedi. - SCHIENA: è l'ultima parte del corpo che va esaminata. Dopo essersi accertato che non vi siano segni di lesioni craniche, cervicali, alla colonna vertebrale ed agli arti, il soccorritore deve ruotare delicatamente il paziente verso di sé tenendolo come se fosse un blocco unico, per poterne ispezionare e palpare la superficie della schiena alla ricerca di lesioni evidenti e di eventuali punti di emorragia. Si ricorda che questa manovra è più opportunamente eseguita da almeno due soccorritori che lavorino in coppia, di cui uno sarà impegnato nel mantenere la testa ed il collo sempre in asse con la colonna vertebrale, soprattutto in caso di pazienti privi di coscienza. Cap. 3 - TECNICHE DI RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE Esistono diverse condizioni che possono causare un rapido decesso, tra cui l'arresto respiratorio, spesso accompagnato dall'arresto dell'attività cardiaca. Il ripristino della corretta attività respiratoria ha quindi la precedenza su tutte le altre misure di assistenza di pronto soccorso. Le tecniche utilizzate per mantenere in vita un paziente con un disturbo che ne minaccia la sopravvivenza vanno sotto nome di tecniche di base per la rianimazione. Le procedure utilizzate non fanno uso di farmaci né di stimolatori elettrici, come avviene invece con le tecniche avanzate di rianimazione. Applicare le corrette misure di rianimazione può contribuire a rendere stazionarie o migliorare le condizioni del paziente durante l'assistenza ed il trasporto in ospedale, garantendo così le più alte possibilità di sopravvivenza. 3.1 - Sostegno dell’attività respiratoria. Come già detto, il ripristino di una corretta respirazione è la prima misura di assistenza che deve essere adottata. La respirazione consiste nel processo che porta l'ossigeno dell'atmosfera ai polmoni, dove viene poi immesso nel flusso ematico. Sempre durante il processo respiratorio, l'anidride carbonica passa dal sangue ai polmoni, e da qui viene poi espulsa nell'atmosfera. La funzione respiratoria, inoltre, non può essere separata dalla circolazione sanguigna. Non è sufficiente, infatti, ricevere ossigeno a livello di scambio dei polmoni: l'ossigeno deve anche essere trasportato dal sangue alle cellule. Contemporaneamente, l'anidride carbonica, prodotta nei tessuti dell'organismo, deve essere trasportata verso i polmoni per essere poi eliminata. Respirazione e circolazione sono quindi processi strettamente collegati, la cui insufficienza porta a morte dell'individuo. Si distingue quindi una fase di morte clinica, che corrisponde al momento in cui la respirazione e l'attività cardiaca si arrestano, ed una di morte biologica, che corrisponde al momento in cui le cellule cerebrali del paziente vanno incontro a danni irreversibili: mentre le prime lesioni cerebrali si hanno nel giro di 4-6 minuti alla morte clinica, alla morte biologica si arriva nell’arco di dieci minuti dall'arresto cardio-circolatorio. L’atto respiratorio è, normalmente, una funzione automatica. Anche se è possibile, per brevi periodi di tempo, controllare la frequenza e l'ampiezza del respiro, per la maggior parte del tempo questa è involontaria, e viene controllata dai centri del sistema nervoso centrale preposti alla respirazione e sensibili al livello di anidride carbonica e di ossigeno presenti nel sangue. Normalmente, il processo respiratorio si ripete da 12 a 20 volte al minuto in un individuo adulto a riposo, e ad ogni atto respiratorio viene inspirata, e poi espirata, una quantità di aria pari a circa mezzo litro (500 cc.). Si parla quindi di insufficienza respiratoria per indicare sia l'interruzione della normale respirazione, sia la riduzione della funzione respiratoria fino al punto in cui l'apporto di ossigeno non è più sufficiente a mantenere in vita il paziente. Quando la funzione si interrompe completamente, si ha la condizione dell'arresto respiratorio. Nel prestare soccorso d'un infortunato, sarà quindi importante saper riconoscere i segni di una respirazione normale. Bisogna perciò controllare che vi siano i movimenti di sollevamento ed abbassamento del torace che solitamente accompagnano la respirazione, e che questi movimenti siano equilibrati da entrambi i lati. Si ricorda, a questo proposito, che i movimenti respiratori sono più evidenti a livello del torace nella donna, mentre nell'uomo possono essere più evidenti a livello dell'addome in quanto la respirazione è prevalentemente di tipo diaframmatico. Si ascoltano poi i suoni prodotti dall'aria che entra ed esce dalle vie aeree, e si deve sentire con la mano o sul viso il movimento dell'aria che entra ed esce dal naso del paziente. All'ispezione visiva è importante inoltre controllare la colorazione della pelle che deve essere rosea e non bluastra o grigia. Nel rilevare poi i segni vitali, si valuteranno la frequenza e l'ampiezza degli atti respiratori La posizione migliore per attuare le procedure per la valutazione delle vie respiratorie e per effettuare eventualmente la respirazione artificiale del paziente è quella supina. Se, per raggiungere tale posizione, il paziente deve essere spostato, si dovranno adottare tutti gli accorgimenti necessari per proteggere il collo e la colonna vertebrale, per evitare ogni possibile aggravamento di lesioni o fratture potenzialmente presenti. Si ricorda, questo proposito, che la manovra di rotazione è la manovra più semplice per spostare il paziente da una posizione prona ad una posizione supina. Questa manovra è inoltre più facile e meno rischiosa se è effettuata da due o più soccorritori, uno dei quali si deve occupare di bloccare la testa ed il collo del paziente, mantenendoli allineati al rachide ed in leggera trazione. Pervietà delle vie aeree La prima cosa da fare, durante la valutazione primaria dell'infortunato, consiste nel controllare ed assicurare la pervietà delle vie respiratorie del paziente. A parte la possibile presenza di corpi estranei, la causa più comune di ostruzione delle vie respiratorie è la lingua: mentre la testa si flette in avanti, la lingua può facilmente scivolare indietro causando un'ostruzione delle prime vie aeree. Inoltre, se il paziente é privo di coscienza, la muscolatura della mandibola e del pavimento della bocca si rilassa, aumentando ulteriormente il rischio di ostruzione delle prime vie aeree da parte della base della lingua. La pervietà delle vie respiratorie, può essere quindi spesso ho ottenuta semplicemente attuando le corrette manovre che impediscono l'ostruzione delle vie aeree da parte della lingua. Nel trattare un paziente traumatizzato, specialmente in casi di trauma al volto, al collo, o comunque sopra la linea della clavicola, o in caso di perdite di coscienza, l'unica procedura attuabile, che garantisca una buona pervietà delle vie aeree senza rischio di aggravare una possibile lesione spinale, è la manovra di protrusione della mandibola. Messo supino il paziente, ci si inginocchia dietro la sua testa, appoggiando i gomiti alla stessa superficie su cui è disteso. Ci si piega quindi in avanti e si posiziona una mano su ogni lato del mento del paziente in corrispondenza degli angoli laterali della mandibola. Si immobilizza quindi la testa tra gli avambracci, e si spinge in avanti verso l'alto la mandibola, esercitando gran parte della pressione con indice e medio. La testa del paziente non va assolutamente ruotata né innalzata. Può inoltre essere necessario abbassare leggermente il labbro inferiore del paziente con il pollice onde permettere un migliore afflusso di aria. Le altre manovre che garantiscano la pervietà delle vie respiratorie comprendono un movimento di iperestensione della testa, e vanno quindi assolutamente vietate in caso di traumi con possibili lesioni alla testa, al collo o alla colonna vertebrale. Sono quindi manovre molto utili impazienti privi di sensi, ma che non abbiano subito traumi, e sono altresì attuabili in paziente traumatizzati, ma che sicuramente non presentano lesioni al capo o al collo. La semplice manovra di iperestensione del capo consiste nel cambiarne la posizione in maniera tale che non sia troppo flesso sul torace. Se il paziente è disteso a terra, spingere semplicemente in maniera delicata verso il basso la testa utilizzando il palmo della mano sarà sufficiente a iperestendere il capo. Eventuali cuscini o oggetti posizionati sotto la testa del paziente vanno rimossi, così da prevenire una eccessiva flessione in avanti. All’iperestensione della testa, è possibile e molto utile associare la manovra di sollevamento del mento, che viene effettuata con la punta delle dita della mano libera. Le dita vengono infatti utilizzate per spingere in avanti e verso l'alto il mento del paziente e sostenere la mandibola. È importante, durante questa manovra, non comprimere i tessuti molli presenti a livello del pavimento della bocca, cioè sotto la mandibola. La bocca del paziente non deve essere chiusa: per ottenere l'adeguata apertura, sarà necessario a volte utilizzare il pollice per spingere indietro il labbro inferiore. Respirazione artificiale. La respirazione artificiale viene definita rianimazione polmonare. Questa consiste nell'immettere artificialmente aria nei polmoni del paziente, al fine di consentire i normali scambi gassosi, ovvero di permettere all'ossigeno di entrare in circolo e di eliminare l'anidride carbonica. È utile ricordare che, ad ogni atto respiratorio, il nostro organismo utilizza soltanto ¼ dell'ossigeno presente nell'aria inspirata; nell'aria espirata, quindi, la percentuale di ossigeno è ancora di circa il 16%, più che sufficiente a garantire l'ossigenazione del paziente. È utile e raccomandabile, al fine di evitare il contatto con materiale biologico potenzialmente infetto, praticare la respirazione artificiale utilizzando una maschera con valvola unidirezionale, oppure un respiratore tipo pallone ambu. Respirazione bocca a bocca. Questa tecnica può essere eseguita da una persona senza alcuna attrezzatura particolare; si tratta della tecnica di rianimazione di base più utile ed è abbastanza semplice, per il soccorritore, valutarne i risultati. E’ importante eseguire la respirazione bocca a bocca utilizzando contemporaneamente le manovre prima descritte per mantenere la pervietà delle vie aeree. Una volta iniziato il sostegno respiratorio, questa procedura dovrà essere proseguita fino a quando l’infortunato riprenderà la respirazione spontanea, oppure fino a quando verrà affidato ad un altro soccorritore qualificato. Se, monitorando le funzioni vitali durante la rianimazione polmonare, viene rilevato l’arresto cardiaco, si dovrà immediatamente iniziare la rianimazione cardio-respiratoria, ovvero la respirazione artificiale associata al sostegno della funzione cardiaca. Per quanto riguarda la respirazione artificiale su di un paziente adulto, la frequenza ottimale è di 12 atti respiratori al minuto ovvero 1 ogni 5 secondi: per stabilire questa frequenza, è utile contare “mille-uno, mille-due, mille-tre, mille-quattro, mille-cinque…”. Mentre il respiro medio di un adulto a riposo provoca il movimento di circa 500 cc. di aria, per ottenere una ventilazione artificiale efficace sarà necessario somministrare al paziente circa il doppio di questa quantità. Vediamo ora, punto per punto, come applicare le manovre di rianimazione polmonare: 1. nell’approccio con il paziente bisogna innanzitutto stabilire se è in grado di rispondere agli stimoli: se non lo è, è opportuno chiedere aiuto ad un altro soccorritore. 2. Il paziente va posizionato in maniera adeguata e bisogna assicurarsi che le vie respiratorie siano pervie. Se necessario, occorre rimuovere vomito, sangue o corpi estranei che ostruiscono le vie respiratorie. 3. Bisogna quindi determinare se il paziente respira e se la respirazione è adeguata: saranno sufficienti per fare questo 10 secondi, dopo di che, se è il caso, si procede con le manovre di rianimazione polmonare. 4. In caso non vi sia pericolo di lesioni spinali, il paziente va mantenuto nella condizione ottimale di iperestensione della testa. Inginocchiati a fianco del paziente, si utilizzano il pollice e l’indice della mano che viene usata per tenergli la fronte per tappargli in naso. Si ricorda ancora che è meno rischioso, per la possibile trasmissione di malattie infettive, impiegare una mascherina facciale con valvola unidirezionale. 5. A questo punto bisogna fare un ampio respiro e poi posizionare la bocca sull’estremità superiore della maschera, quando disponibile, o in corrispondenza della bocca del paziente, in modo che vi sia una stretta aderenza tra le labbra del soccorritore e la bocca del soggetto. Ricordarsi di tenere tappato il naso! 6. Si soffia quindi nella bocca del paziente fino a quando il torace si solleva e si avverte la resistenza opposta dai polmoni che si espandono. E’ opportuno fermarsi nell’insufflazione quando si nota il sollevamento del torace del paziente in modo da non fornire una ventilazione eccessiva. Se il primo tentativo di respirazione artificiale non riesce, è bene riposizionare la testa del paziente e quindi riprovare. 7. Si stacca quindi la bocca da quella del paziente per consentirgli di espirare passivamente. Si riprende quindi da capo il ciclo. 8. Se il paziente non inizia a respirare spontaneamente dopo due respirazioni, bisogna controllare il polso carotideo: se il cuore pulsa ma il paziente ancora non respira si continua nella maniera sopra descritta con la respirazione artificiale; se invece l'attività cardiaca risulta assente, bisogna immediatamente procedere con le manovre di rianimazione cardio-polmonare associate. È abbastanza facile verificare che la ventilazione artificiale praticata sia efficace: il torace si solleva e si abbassa in corrispondenza dell'immissione ed emissione di aria, e sarà inoltre possibile udire ed avvertire sulla guancia l'aria che lascia i polmoni del paziente. I problemi più comuni riscontrati applicando la tecnica di respirazione bocca a bocca comprendono: - la mancanza di una perfetta aderenza alla bocca del paziente - la mancata chiusura del naso che permette la fuga di aria - la mancata pervietà delle vie respiratorie, sia per la presenza di un'ostruzione da corpi estranei, sia per una manovra di iperestensione della testa non corretta o di un posizionamento non preciso del capo. Durante le procedure di respirazione artificiale, facilmente può entrare dell'aria delle vie digestive del paziente, provocando quindi la dilatazione dello stomaco: questo può significare che le vie respiratorie sono bloccate, con la conseguente deviazione dell'aria delle vie digestive, oppure che l'aria viene insufflata in quantità eccessiva o troppo violentemente. Un leggero rigonfiamento gastrico non desta normalmente preoccupazione, ma se è importante può causare due gravi problemi. In primo luogo, lo stomaco pieno d'aria riduce il volume polmonare e quindi riduce l'efficacia della ventilazione. In secondo luogo, è molto probabile che si verifichi rigurgito o vomito, aggravando l'ostruzione delle vie respiratorie o provocando l'aspirazione del vomito di polmoni del paziente, con conseguente possibile insorgenza di una grave polmonite. Il modo migliore per evitare la dilatazione gastrica è quello di posizionare accuratamente la testa del paziente, al fine di evitare le deviazioni dell'aria nelle vie digestive, e di non effettuare ventilazioni troppo violente o troppo veloci e limitarne il volume: per questo è opportuno osservare il sollevamento del torace ad ogni ventilazione. È importante non attuare nessun tentativo per fare uscire l'aria dello stomaco a meno che non siano immediatamente disponibili dispositivi di aspirazione, proprio per evitare la possibile inondazione delle vie aeree da parte del vomito. Se si nota quindi l'insorgenza della dilatazione gastrica, bisogna in primo luogo cercare di riposizionare la testa del paziente in modo da aumentare la pervietà delle vie aeree. Se c'è l'oggettivo pericolo che il paziente si metta a vomitare, è opportuno girarlo su di un fianco. Respirazione bocca a naso A volte, per fortuna raramente, la respirazione artificiale con la tecnica bocca a bocca non è applicabile, sia per la configurazione atomica del soggetto (il mento può essere molto sfuggente specialmente in un paziente senza denti), sia per la possibile presenza, in un paziente traumatizzato, di lesioni gravi alla bocca o alla mandibola. In questi casi sarà da utilizzare la tecnica di respirazione bocca a naso. Tenendo una mano sulla fronte del paziente per tenere la testa iperestesa e quindi mantenere pervie le vie respiratorie, l'altra mano verrà utilizzata per chiudere la bocca del paziente. La bocca del soccorritore dovrà quindi aderire perfettamente al naso del paziente, nel quale verranno praticate le insufflazioni; durante questa fase la bocca del paziente dovrà quindi essere chiusa. Quando viene invece fatto effettuare al paziente l’espirazione passiva, bisognerà a staccarsi dal naso di aprirgli leggermente le labbra, per favorire la fuoriuscita dell'aria. Respirazione bocca a maschera. L’aria utilizzata proviene sempre dai polmoni del soccorritore, ma si utilizza una mascherina dotata di un boccaglio con una valvola unidirezionale, che permette il passaggio di aria solo verso la vittima e protegge il soccorritore dal contatto con la saliva. La maschera è inoltre dotata di un bordo morbido, che aderisce in maniera ottimale al volto della vittima. Respirazione con pallone Ambu. Il pallone di Ambu è un particolare dispositivo che permette di ottimizzare le manovre di ventilazione. Ad una maschera facciale come quella descritta prima si applica un pallone autoespansibile. Comprimendo il pallone, si invia aria alla vittima; rilasciandolo, questo si espande aspirando aria dall’ambiente, aria che contiene una percentuale di ossigeno maggiore dell’aria già espirata dal soccorritore (circa il 21% contro il 16%). L’aria può essere ulteriormente arricchita applicando al pallone una sorgente di ossigeno (bombola) si arriva così ad una percentuale vicino al 45 – 50%. Se poi si applica un secondo pallone (reservoir), si può giungere a dare al paziente ossigeno praticamente puro (più del 90%) Ostruzione delle vie respiratorie La pervietà delle vie aeree, nel paziente traumatizzato, può essere minacciata in diverse circostanze. Una frequente causa di ostruzione è la lesione diretta dei tessuti, che può essere presente in caso di ferite trapassanti o di lesioni da schiacciamento che coinvolgono la regione del collo o del volto. Ancora, in caso di immissione di aria molto calda nelle vie aeree, come avviene negli incendi, o in caso di ingestione accidentale o volontarie di veleni o di sostanze caustiche o corrosive, può verificarsi il rigonfiamento dei tessuti della faringe e delle prime vie aeree, con conseguente ostacolo al transito di aria. Infine, tra le cause di ostruzione meccanica bisogna considerare la presenza di corpi estranei. Spesso, si tratta di alimenti introdotti accidentalmente nelle vie respiratorie. Nel soggetto traumatizzato, invece, si tratta più frequentemente di protesi dentarie, denti rotti, vomito o sangue che si accumula in gola. In caso di incidente, il meccanismo che ha prodotto la lesione e l'esame del luogo in cui si è verificato l'evento possono dare qualche informazione par valutare la gravità della ostruzione delle vie respiratorie. Il paziente cosciente cercherà probabilmente di indicare la bocca o si terrà il collo cercando di segnalare un problema alle vie respiratorie. È importante, in questo caso, domandare al paziente se può parlare e quindi invitarlo a tossire: una tosse forte e potente indica infatti un passaggio sufficiente di aria. L'azione della tosse, inoltre, è spesso sufficiente a sbloccare le vie respiratorie e ad espellere il corpo estraneo. Nei casi in cui il paziente presenti una parziale ostruzione delle vie respiratorie, ma non possa tossire, o la tosse sia molto debole, esso va considerato e trattato come se fosse presente una ostruzione completa delle vie respiratorie, in quanto questa situazione può instaurarsi rapidamente. Il paziente non cosciente con un'ostruzione completa delle vie aeree non presenterà alcun segno di respirazione, ovvero movimenti ritmici del torace e passaggio di aria attraverso il naso e la bocca. Poiché, nella maggior parte dei casi, l'ostruzione è causata dalla caduta indietro della lingua, la prima cosa da fare sarà di assicurarsi delle vie aeree siano libere, attuando le manovre descritte in precedenza (iperestensione del capo; ispezione del cavo orale). Le tecniche utilizzate per liberare le vie aeree variano a seconda che il paziente sia cosciente oppure privo di coscienza. Compressioni manuali sull'addome ( manovra di Heimlich). Le compressioni addominali vengono impiegate per fare uscire dei polmoni bruscamente una notevole quantità di aria, sufficiente in genere a rimuovere l'oggetto causa dell'ostruzione. È importante ricordarsi di non utilizzare mai le compressioni addominali su donne in gravidanza o su neonati o bambini molto piccoli. La procedura cambia a seconda che il paziente sia cosciente e quindi in grado di rimanere in piedi o seduto, oppure sia incosciente e quindi coricato in posizione supina. Con il paziente cosciente, in piedi o seduto, si procede nel seguente modo: 1) il soccorritore si mette alle spalle del paziente e passa un braccio sotto le ascelle, intorno alla parte bassa del torace. 2) Si stringe quindi la mano a pugno e la si porta all'altezza della zona epigastrica, ovvero nella zona sopra l'ombelico. 3) Con l'altra mano, passata sotto l'ascella opposta, si afferra il pugno della prima mano e si esercita una decisa pressione verso l'interno e verso l'alto, in direzione del diaframma del soggetto, con un movimento rapido ed uniforme. Questo farà sì che il pugno comprima l’addome del paziente, provocando l'innalzamento del diaframma e la fuoriuscita dell'aria dei polmoni. La manovra va ripetuta per cinque volte. Con il paziente in posizione supina va effettuato in maniera diversa: 1) il soccorritore si inginocchia e si posiziona a cavalcioni del paziente a livello delle cosce, rivolto verso il torace del soggetto. 2) Si posiziona la base del palmo di una mano nella zona epigastrica del paziente, leggermente al di sopra dell'ombelico. 3) Si appoggia quindi la mano libera sopra la mano già posizionata e si tendono le braccia fino ad irrigidirle a livello delle spalle e dei gomiti. Le spalle dovranno essere quindi quasi perpendicolari all'addome del paziente. 4) Si esercita quindi una serie di compressioni premendo le mani in profondità e verso l'alto in direzione del diaframma del paziente. Questa sequenza va ripetuta cinque volte. Compressioni manuali sul torace. La compressione del torace viene utilizzata in sostituzione di quella addominale quando si tratti una paziente gravida oppure quando la persona è di dimensioni tali da non consentire al soccorritore posto dietro di essa di circondarne la vita con le braccia. Anche in questo caso la metodica è differente a seconda che sia applicata ad un paziente cosciente in piedi o seduto oppure ad un paziente incosciente o comunque in posizione supina. Nel primo caso, analogamente a quanto descritto in precedenza, il soccorritore si posiziona alle spalle del paziente e gli infila le braccia sotto le ascelle in modo da circondare il torace. La mano stretta a pugno va posizionata sullo sterno del paziente sulla linea mediana del torace. Si afferra quindi il pugno chiuso con l'altra mano e si esercitano in rapida sequenza delle compressioni dirette posteriormente. In caso il paziente sia privo di sensi, una volta posizionatolo in posizione supina, il soccorritore deve inginocchiarsi a fianco di esso a livello del torace, con le ginocchia rivolte verso di lui. Si appoggia il palmo di una mano sulla linea mediana dello sterno, a 2-3 dita di distanza dall'estremità inferiore; l'altra mano va quindi posizionata sopra la prima e, anche in questo caso, si distendono le braccia e il soccorritore si sporge in avanti fino a che le spalle non siano perfettamente perpendicolari alla linea mediana del torace del paziente. Si pratica quindi una serie di compressioni distinte verso il basso applicando una forza sufficiente a comprimere la cavità toracica. (è la stessa posizione che vedremo utilizzare per fare il massaggio cardiaco) Colpi sulle spalle. Violenti colpi dati a mano aperta sulle spalle possono favorire l’espulsione del corpo estraneo che occlude le vie respiratorie. Ovviamente, questa manovra si può eseguire solo nel paziente cosciente, non sdraiato. In un primo momento, quindi, si alterneranno 5 manovre di Heimlich a 5 colpi sulle spalle, fino ad espulsione del corpo estraneo o alla perdita di coscienza da parte del paziente. Rimozione diretta di un corpo estraneo con le dita. Se l'oggetto che occlude le vie aeree è in parte o completamente sbloccato, può essere tentata la rimozione manuale. È importante in questo caso indossare sempre guanti di protezione e, soprattutto, fare attenzione a non spingere l'oggetto ancora più in profondità nella gola. In ogni caso, se non si riesce a vedere l'oggetto, è bene e evitare di usare le dita alla cieca o delle sonde per trovarlo. In caso il paziente sia privo di coscienza, si può ottenere una buona apertura della bocca mediante la tecnica di sollevamento della lingua e della mandibola: in questo caso sia la lingua che la mandibola vanno afferrate tra il pollice e le dita della mano, eventualmente aiutandosi con un fazzoletto od una garza per evitare che scivolino, e vanno sollevate per allontanare la lingua dal retro della faringe. A questo punto, è possibile inserire l'indice della mano libera nella bocca, e passarlo lungo la parete interna della guancia verso la base della lingua. Utilizzando quindi il dito come se fosse un uncino, si cercherà quindi di smuovere l'oggetto per spingerlo nella bocca, da dove può poi essere rimosso. È bene ricordarsi che un paziente cosciente, durante queste manovre, presenta dei riflessi faringei che possono provocare il vomito, e che questo a sua volta può essere aspirato nei polmoni ed essere causa di ulteriore ostruzione. Schema di comportamento da adottare in caso di ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo secondo i criteri BLS (Basic Life Support): In caso si intervenga su un paziente adulto e cosciente bisognerà: 1. determinare in primo luogo se è presente un'ostruzione completa delle vie aeree e controllare se il paziente quindi può parlare o può produrre una tosse violenta ed efficace. 2. In caso ciò non avvenga, applicare 5 compressioni addominali (Heimlich) in rapida successione. 3. Se anche in questo caso non si ha avuto successo, alternare alle compressioni addominali 5 colpi sulle spalle, e ripetere la sequenza fino a quando il corpo estraneo ostruente non verrà espulso oppure il paziente arriverà a perdere coscienza. In caso di intervento sul paziente adulto che perde coscienza all'arrivo dei soccorsi, sia spontaneamente, sia perché le tecniche eseguite non hanno avuto efficacia, si procederà come segue: 1. utilizzando la manovra di sollevamento della mandibola e della lingua si apre la bocca e si attua la tecnica di rimozione dei corpi estranei con le dita ad uncino. 2. Si inizia quindi la respirazione artificiale (2 ventilazioni). 3. Se questa non ottiene risultati desiderati, si passerà a praticare 15 compressioni toraciche a paziente supino. 4. Si ripete quindi la manovra di sollevamento di lingua e mandibola e la rimozione di eventuali corpi estranei con le dita. 5. Si tenta quindi nuovamente di praticare la respirazione artificiale (2 ventilazioni) 6. Si prosegue alternando 15 compressioni toraciche a 2 ventilazioni, sempre precedute da un tentativo di rimozione manuale dei corpi estranei, fino ad ottenere il risultato desiderato. A volte, ciò può non avvenire, ed indipendentemente dalla volontà del soccorritore il paziente va incontro a morte. Qualora non si riesca a sbloccare l'ostruzione, è indispensabile l'immediato trasporto del paziente presso una struttura medica. È opportuno continuare comunque nei tentativi di rimozione dell'ostacolo, in quanto la possibilità di successo possono aumentare col tempo mentre i muscoli del paziente progressivamente si rilassano. È bene inoltre ricordarsi di controllare l’attività cardiaca, in quanto facilmente all'arresto respiratorio segue l'arresto cardiaco, e può rendersi necessaria una rianimazione di tipo cardio- polmonare. Si ricorda che le compressioni toraciche in questa fase non hanno lo scopo di far circolare il sangue, ma unicamente di far uscire l’aria dai polmoni per smuovere l’ostacolo: è perfettamente inutile infatti far circolare del sangue che non è ossigenato, in quanto non arriva aria nei polmoni! 3.2 - Sostegno dell’attività cardiaca (rianimazione cardiopolmonare). Esiste uno stretto rapporto tra la funzione del cuore, dei polmoni e del cervello. Nel paziente in arresto respiratorio, di solito il cuore continua a pompare sangue per alcuni minuti, ma il sangue che raggiunge il cervello non contiene più abbastanza ossigeno per alimentarne le cellule. Viene così ad essere alterato il funzionamento dei centri del sistema nervoso centrale che governano l’attività cardiaca, con conseguente alterazione del ritmo e quindi arresto cardiaco. Senza un adeguato apporto di sangue ossigenato, inoltre, il cervello andrà incontro a danni irreversibili. D’altra parte, in caso di arresto cardiaco, quasi immediatamente si arresta anche l’attività respiratoria. Il sangue non arriva più ai polmoni e non si ossigena, né tantomeno circola nei tessuti dell’organismo: senza un corretto apporto di ossigeno, anche il cervello subisce quindi dei danni irreversibili. In entrambi i casi, dalla morte clinica, condizione non ancora irreversibile caratterizzata appunto dall’arresto dell’attività cardiorespiratoria, si passerà pertanto in pochi minuti alla morte biologica, caratterizzata questa da danni irreversibili delle cellule cerebrali. Le tecniche di rianimazione cardiopolmonare (RCP) associano il sostegno della ventilazione, come già visto, al sostegno dell’attività cardiocircolatoria. Lo scopo delle manovre è di garantire una buona ossigenazione del sangue a livello polmonare, insieme alla circolazione di esso nei tessuti dell’organismo, anche in assenza dell’effetto di pompa del cuore. Il sangue viene infatti fatto circolare dal soccorritore mediante l’applicazione di compressioni esterne sul torace del paziente. L’azione pompante prodotta dal massaggio cardiaco esterno ha un’efficacia pari soltanto ad un terzo di quella della normale attività cardiaca: per aumentare l’arrivo di ossigeno nei tessuti, è perciò necessario somministrare ossigeno supplementare durante le manovre di RCP in tutti i casi in cui sia possibile (presenza di bombola di ossigeno – ventilazione con pallone Ambu). Massaggio cardiaco esterno Il paziente in arresto cardiaco (valutazione del polso carotideo per 10”) deve essere posizionato su di una superficie rigida (il pavimento!) in posizione supina: bisogna evitare gli spostamenti inutili, ma in caso di arresto cardiaco la RCP va iniziata il più presto possibile, e può essere effettuata con efficacia solo in questa posizione. Il soccorritore si inginocchia a lato del paziente, rivolto verso di lui. Si identifica il punto di compressione: con una mano si palpa il margine dell’arcata costale e lo si segue fino al punto in cui si congiunge con lo sterno. L’altra mano viene fatta scendere sulla linea mediana lungo lo sterno fino a congiungersi con la prima, e si posiziona con il palmo a piatto adiacente ad essa. Le due mani si sovrappongono , con le dita rivolte in direzione opposta al corpo del soccorritore, senza appoggiare sul torace della vittima. Si irrigidiscono e si tendono le braccia ed i gomiti, che non devono piegarsi durante il massaggio. Ci si sporge quindi in avanti finchè le spalle non sono perpendicolari alle mani, direttamente sopra lo sterno del paziente. Si praticano quindi le compressioni schiacciando la cassa toracica verso il basso, con una forza tale da far abbassare lo sterno di circa 4-5 cm. quando s rilascia la compressione sul torace, si riportano le spalle nella posizione iniziale senza mai piegare i gomiti né sollevare le mani. Ogni volta che si allontanano le mani dal punto di compressione, bisogna ripetere la manovra di identificazione per essere sicuri di comprimere sul punto giusto. È importante che il rilascio della pressione abbia la stessa durata dell fase di compressione, per permettere al cuore di riempirsi di sangue. Il ritmo ottimale di compressioni è di 80 – 100 colpi al minuto. Sia che si lavori da soli, sia che i soccorritori siano due, bisogna alternare 2 ventilazioni ogni 15 compressioni cardiache esterne. Da soli, sarà necessario spostarsi al capo del paziente per le ventilazioni ed al fianco per le compressioni: ogni volta andrà reperito in maniera corretta il punto di compressione. Se si è in due, un soccorritore si occupa delle valutazioni e si pone al capo del paziente: sarà suo compito inoltre provvedere a ventilare la vittima. Il secondo soccorritore, oltre ad occuparsi di chiamare il soccorso avanzato nei primi momenti, si pone a fianco della vittima e provvede a sostenere il circolo con il massaggio cardiaco esterno. Indicazioni alla RCP. La rianimazione cardiopolmonare è una procedura che prevede l’applicazione dell’ ABC di primo soccorso. La ventilazione della vittima, infatti, è inutile se le vie aeree non sono pervie e non lasciano arrivare l’aria ai polmoni, sede degli scambi gassosi; d’altra parte, non serve far circolare il sangue se questo non è ossigenato. La decisione di iniziare una RCP deve essere pertanto suggerita dai dati delle valutazioni primarie, eseguita secondo lo schema dell’ABC del pronto soccorso (v. cap. 1). Ogni AZIONE deve essere preceduta da un momento di VALUTAZIONE. Inoltre, bisogna ricordarsi che con la RCP non si rimuove la causa dell’arresto cardiorespiratoria, ma si mantiene solo più a lungo ossigenato – e quindi in vita – il cervello della vittima: si ritarda cioè l’instaurarsi delle lesioni cerebrali irreversibili che caratterizzano la morte clinica del paziente. Questo significa che per far riprendere un’attività cardiaca e respiratoria spontanea alla vittima è necessario intervenire con mezzi di soccorso più avanzati, defibrillazione, farmaci: DA SOLI NON SI RISOLVE IL PROBLEMA, quindi la prima cosa da fare è DARE L’ALLARME. Vediamo dunque qual è la sequenza corretta delle manovre di RCP: 1. Si valuta la coscienza rilevando la risposta agli stimoli (chiamare e scuotere la vittima). 2. Se la vittima non è cosciente, si grida aiuto. 3. Si posiziona la vittima supina e si scopre il torace. 4. Si garantisce la pervietà delle vie aeree con l’iperestensione del capo o – in caso di trauma – sollevando la mandibola. 5. Si valuta la presenza di attività respiratoria spontanea per 10 secondi (G.A.S. = Guardo – Ascolto – Sento) 6. Si effettuano 2 ventilazioni di emergenza. 7. A questo punto, prima di procedere e quindi di non potersi più staccare dal paziente, se non sono ancora arrivati i soccorsi o se non si è certi che qualcuno li abbia chiamati, se si è da soli si va a chiamare aiuto. 8. Si valuta la presenza di attività cardiaca spontanea, cercando il polso carotideo e valutandolo per 10 secondi. 9. Se è assente, si iniziano le compressioni cardiache esterne e se ne fanno 15. 10. Si prosegue alternando 2 ventilazioni e 15 compressioni cardiache esterne fino all’arrivo dei mezzi di soccorso avanzato o finchè il paziente non da segni di ripresa dell’attività cardiorespiratoria spontanea (movimenti degli arti, colpi di tosse…) 11. Se avviene ciò (è raro), si ripetono le valutazioni al contrario: C –B – A - C: si valuta il polso carotideo per 10” : - se assente si prosegue con massaggio e ventilazioni - se presente si passa a valutare B - B: si valuta l’attività respiratoria (G.A.S.) per 10” : - se assente si prosegue con il sostegno della respirazione (12 ventilazioni al minuto) - se presente si passa a valutare A - A: si valuta la coscienza, chiamando e scotendo la vittima. Le tecniche di RCP possono risultare inefficaci a causa di diversi fattori, sia nella fase di ventilazione sia in quella di supporto ventilatorio: - la testa del paziente non è nella posizione corretta, e di conseguenza le vie aeree sono chiuse per la caduta all’indietro della lingua. - la bocca del paziente non è aperta a sufficienza per permettere il passaggio dell’aria. - l’aderenza alla bocca o al naso del paziente non è perfetta, oppure la maschera facciale o quella dell’Ambu non aderiscono bene al volto. - il naso non è ben chiuso durante la respirazione bocca a bocca. - il paziente non è sdraiato su una superficie rigida, il che non consente una buona compressione de cuore. - le mani del soccorritore non sono posizionate correttamente sul torace della vittima. - il torace non viene compresso con forza adeguata - la frequenza delle compressioni è troppo rapida o troppo lenta.. - le compressioni sono irregolari, ovvero non si da abbastanza tempo al cuore per riempirsi. La complicazione più comune della RCP è la lesione della gabbia toracica: anche quando il massaggio cardiaco viene effettuato nel modo migliore, le cartilagini costali possono staccarsi o le coste si possono fratturare. La RCP è una manovra INVASIVA. In questi casi , non si deve comunque interrompere le manovre di rianimazione: semplicemente, vanno ricontrollate la posizione delle mani e l’ampiezza delle compressioni, e va continuata la rianimazione. Ancora, bisogna fare attenzione a non effettuare ventilazioni troppo violente e profonde, per evitare che l’aria passi in faringe e vada poi a dilatare lo stomaco, col rischio di provocare vomito e quindi inalazione di materiale gastrico. - Cap. 4 - EMORRAGIE E SHOCK Il sangue è un particolare tessuto, composto dal plasma e da elementi corpuscolari. Il plasma è liquido, ed è formato da acqua in cui sono disciolte sostanze saline e proteine. I componenti corpuscolari sono invece le cellule, rappresentate da globuli rossi, che hanno il compito di trasportare l’ossigeno ai tessuti e rimuovere da essi l’anidride carbonica, globuli bianchi, la cui funzione è quella di combattere direttamente o indirettamente i microrganismi e le sostanze estranee all’organismo, e piastrine, che permettono la coagulazione del sangue. Quando il cuore batte, il sangue circola: spinto attraverso le arterie ad una pressione elevata, il sangue raggiunge il letto capillare, dove avvengono gli scambi di gas e sostanza nutritizie con le cellule dei tessuti, per poi ritornare al cuore attraverso i vasi venosi, a bassa pressione. Il volume ematico circolante differisce da persona a persona, a seconda delle dimensioni corporee. L’uomo adulto ha, solitamente, dai 5 ai 6 litri e mezzo di sangue, che rappresentano circa il 7% del peso corporeo. Per garantire l’efficienza del sistema cardiovascolare, è importante che la quantità di sangue in circolo non scenda sotto certi livelli: la rapida perdita ematica di circa 2 litri, pari ad un terzo del volume circolante, conduce ad un’insufficienza di circolo rapidamente letale. Classificazione delle emorragie Per emorragia si intende la perdita di sangue dal letto vascolare. Le emorragie possono quindi essere classificate in interne all’organismo oppure esterne, quando il punto di sanguinamento è superficiale e quindi apprezzabile. A seconda del tipo di vaso da cui proviene l’emorragia, le emorragie esterne possono essere distinte in tre tipi. L’emorragia arteriosa è caratterizzata da una perdita di sangue spesso rapida e cospicua; il sangue, di colore rosso vivo perché ossigenato, fuoriesce normalmente a fiotti, pulsando secondo i battiti cardiaci. L’emorragia venosa è invece caratterizzata dal flusso costante ed in quantità spesso abbondante di sangue di colore rosso scuro. L’emorragia capillare, infine, è data dalla perdita di sangue attraverso un letto capillare: il flusso è solitamente lento, e sembra quasi trasudare dal tessuto. Nella maggior parte dei casi, l’emorragia arteriosa, provenendo da vasi in cui il sangue scorre ad alta velocità, ha meno possibilità di arrestarsi in seguito alla formazione di un coagulo; d’altra parte, le arterie, che sono dotate di una parete muscolare, quando vengono completamente recise hanno la proprietà di restringersi e di chiudere autonomamente il proprio lume. Se invece l’arteria non viene completamente recisa, ma la sua parete è soltanto lacerata, difficilmente questo meccanismo può realizzarsi e difficilmente l’emorragia si può arrestare spontaneamente. Un’emorragia proveniente dalle vene, specialmente da quelle superficiali, è più facilmente arrestabile rispetto ad un’emorragia arteriosa, anche quando il flusso è abbondante, proprio per la scarsa pressione con cui scorre il sangue nel letto venoso. L’emorragia proveniente dal letto capillare, come ad esempio in caso di abrasioni cutanee più o meno estese, è solitamente lenta e tende ad arrestarsi spontaneamente per la coagulazione del sangue nel giro di 6-8 minuti. Emorragie esterne Fa parte della prima valutazione, dopo aver assicurato le vie aeree e garantito una buona attività respiratoria, individuare e il controllare un’emorragia che minaccia la vita del paziente. La stima dell’entità della perdita ematica esterna richiede una certa esperienza, ma è importante per prevedere la possibile insorgenza dello shock, stabilire la priorità di assistenza e valutare la gravità di un’emorragia prolungata e lenta. La perdita del 25-40% del volume ematico totale (ovvero 1,5 – 2 litri in un individuo adulto) crea una condizione che mette a repentaglio la vita del paziente. È importante inoltre la rapidità del sanguinamento, in quanto i meccanismi di compenso dell’organismo richiedono un certo tempo per instaurarsi: l’emorragia è quindi tanto più grave, quanto più si sviluppa rapidamente. Esistono diversi sistemi per arrestare un’emorragia esterna: la pressione diretta sul punto di emorragia, il sollevamento della sede dell’emorragia quando origina da un arto, la compressione su determinati punti arteriosi a monte della sede di emorragia, l’applicazione di stecche gonfiabili agli arti, oppure di tute pneumatiche antishock, oppure di altri dispositivi a pressione, e infine l’applicazione ad ogni arto di un laccio emostatico che impedisca il flusso di sangue. 1 - La pressione diretta, esercitata in corrispondenza della ferita, è il metodo migliore per controllare un’emorragia esterna. E’ possibile esercitare la pressione direttamente con una mano, con una medicazione o con un bendaggio compressivo; è importante, dato il quasi certo contatto con il sangue del paziente, indossare sempre guanti protettivi durante queste manovre. Quando l’emorragia è modesta, bisognerà comprimere la sede della ferita mettendo, se possibile, una medicazione sterile sulla superficie della stessa; se questa non è disponibile, può essere utilizzato anche un fazzoletto pulito, un pezzo di tessuto o un assorbente igienico. La pressione va mantenuta costante per 10-30 minuti, il che solitamente provoca l’arresto dell’emorragia o, limita comunque ulteriori perdite ematiche significative. Una volta arrestata l’emorragia, la medicazione va assicurata fasciando la ferita e poi non va più rimossa, in quanto potrebbe ricominciare il sanguinamento. Qualora la garza applicata sulla ferita sia inzuppata di sangue ci si deve limitare a comprimerla con altra garza pulita e a mantenerla in posizione. Se l’emorragia è profusa e importante, solitamente di origine arteriosa, è meglio non sprecare tempo cercando una benda o una garza, ma posizionare immediatamente la mano, coperta e protetta da un guanto, direttamente sulla ferita, esercitando una pressione stabile e decisa. Una volta che l’emorragia si è fermata, o comunque si è notevolmente ridotta, è possibile togliere la mano ed assicurare sulla ferita alcune garze in modo da formare un bendaggio compressivo. Dopo aver arrestato l’emorragia in un arto utilizzando una medicazione compressiva, bisogna controllare la circolazione tastando il polso distale, in modo da essere sicuri che la medicazione non abbia compromesso l’arrivo di sangue all’arto trattato: se il polso non è percepibile, bisogna allentare la pressione per ristabilire la circolazione sanguigna a valle. 2 - Quando l’emorragia origina da un arto, oltre alla pressione diretta sul punto dell’emorragia, si può sollevare l’arto in modo tale che la ferita si trovi sopra il livello del cuore: la forza di gravità riduce così la pressione sanguigna e rallenta il sanguinamento. Questa tecnica non deve però essere utilizzata in caso si sospettino fratture o lussazioni dell’arto, oppure quando vi siano corpi estranei conficcati negli arti. 3 - Qualora la pressione diretta, associata all’eventuale sollevamento della sede dell’emorragia, non sia sufficiente a garantirne il controllo, potrà essere utile la compressione effettuata su determinati punti arteriosi a monte della sede dell’emorragia. Questi punti di compressione corrispondono a sedi in cui un’arteria principale passa vicino alla superficie del corpo e direttamente sopra ad un osso ed è quindi facilmente comprimibile. In caso di emorragie degli arti superiori, la pressione andrà esercitata in corrispondenza dell’arteria brachiale, localizzata nell’incavo tra il bicipite e l’omero, sulla faccia mediale del braccio, circa a metà strada tra gomito e ascella. Per le emorragie degli arti inferiori, invece, la compressione va eseguita sull’arteria femorale, a livello della piega inguinale. 4 - In caso di emorragia agli arti associata a fratture, l’applicazione di stecche o di stecche gonfiabili è spesso in grado di controllare l’emorragia, soprattutto quando gli spezzoni ossei taglienti vengono immobilizzati impedendo ulteriori danni ai vasi dell’arto danneggiato; nel caso delle stecche gonfiabili, la pressione prodotta dalla stecca è inoltre una forma di pressione diretta sulla sede dell’emorragia. 5 - L’applicazione di un laccio emostatico dovrà essere utilizzata solo come ultima risorsa per bloccare un’emorragia profusa, non altrimenti controllabile. La larghezza ideale dei lacci emostatici è di circa 5-7.5 cm: se non ne è disponibile uno in gomma, se ne può ricavare uno di fortuna utilizzando una calza, una cravatta o una cintura; non devono invece essere utilizzate corde o altri materiali con diametro limitato, che possono penetrare nella pelle o nei tessuti del paziente. Solitamente, l’applicazione di un laccio emostatico va riservata ad ampie ferite o ad amputazioni a margini frastagliati, conseguenti a lesioni da schiacciamento o da strappo, in cui l’emorragia non è dominabile con i metodi di pressione diretta, sollevamento né punti di pressione.. Il laccio va applicato a monte della ferita, posizionando sotto di esso alcune garze o un fazzoletto piegato lungo il decorso dell’arteria principale, in modo da fornire una pressione ulteriore sull’arteria. Bisogna sempre informare il personale di soccorso del fatto che sia stato posizionato un laccio emostatico, indicando l’ora di applicazione: un buon sistema è quello di scriverlo sulla fronte del paziente, cosicché sia praticamente impossibile non vedere l’avvertimento. Emorragie interne In questi casi, il sanguinamento non è immediatamente evidenziabile. Esso infatti può avvenire all’interno della cavità toracica o addominale, per lesione diretta o indiretta dei vasi o degli organi in essa contenuti, oppure nei tessuti dell’organismo, senza peraltro essere evidente all’esterno. Ferite profonde, penetranti il torace o l’addome, possono danneggiare direttamente i vasi e gli organi in essi contenuti, con conseguente emorragia nelle cavità corporee. Un’emorragia importante può anche essere prodotta da un trauma chiuso, cioè da una lesione provocata da un oggetto non abbastanza tagliente da danneggiare la pelle: l’urto si trasmette comunque all’interno dell’organismo danneggiando i vasi sanguigni e gli organi interni. In questi casi, conoscere la dinamica del trauma è importante per sospettare la presenza di emorragie interne. Ancora, gravi emorragie possono essere conseguenti a fratture o a traumi che provocano lo schiacciamento di grosse masse muscolari: in seguito alla frattura di un femore si perde in poco tempo circa un litro e mezzo di sangue. E’ nella valutazione secondaria del paziente che va valutata la presenza di una possibile emorragia interna. Shock Lo shock consiste in un’insufficienza acuta circolatoria, per cui il sistema cardiovascolare non riesce più a fornire un apporto sufficiente di sangue a tutti i tessuti vitali: la pompa (il cuore) funziona bene, ma non rimane abbastanza liquido nel circuito vascolare per irrorare in maniera adeguata tutti gli organi: si parla in questi casi di shock ipovolemico (emorragico). Quando si assiste un paziente traumatizzato, in presenza di emorragie visibili e quando si sospetta un’emorragia interna, si devono cercare con particolare attenzione i segni di shock, ovvero di insufficienza acuta di circolo, correlati al sanguinamento: il paziente si presenta spesso irrequieto, con alterazione della coscienza; la respirazione è rapida, spesso superficiale, ed il polso è rapido e debole (tachicardia); la pressione sanguigna tende a scendere in maniera più o meno rapida, ed il paziente si presenta pallido, freddo e sudato. Poiché è molto difficile valutare sul luogo dell’incidente la perdita ematica interna, bisogna sempre tener presente che può insorgere un grave stato di shock che minaccia la vita del paziente. Quando si assiste un paziente in stato di shock, è bene attenersi ad alcune regole di base: • Per prima cosa, bisogna assicurare un’adeguata pervietà delle vie aere ed un’adeguata respirazione (punti A e B). • Bisogna quindi cercare di arrestare l’emorragia, quando possibile, per evitare ulteriore perdita di volume ematico circolante. • Vanno quindi immobilizzate le fratture, per rallentare l’emorragia e ridurre il dolore, fattori che possono aggravare lo stato di shock. • Il paziente va sistemato in posizione supina, se possibile sollevando gli arti inferiori , per favorire il ritorno venoso del sangue al cuore. Questa tecnica non va utilizzata in presenza di fratture agli arti inferiori o al bacino, né in caso di lesioni al collo o alla colonna vertebrale, né in presenza di traumi toracici o addominali importanti. • Ancora, il paziente va coperto per prevenire la perdita di calore. • Anche se il paziente riferisce di avere sete, è meglio non somministrare nulla per bocca, né liquidi, né ghiaccio: questo sia per la possibilità di lesioni interne, sia perché potrebbe provocare il riflesso del vomito. • Per migliorare l’ossigenazione del sangue, infine, è bene somministrare ossigeno al paziente non appena possibile.. Cap. 5 - LESIONI TRAUMATICHE DEI TESSUTI MOLLI I tessuti molli dell’organismo comprendono la pelle, i muscoli, i vasi sanguigni, i nervi, i tessuti adiposi ed i tessuti che rivestono e coprono gli organi interni. Inoltre, anche gli organi interni e le ghiandole del corpo sono composti da tessuti molli. Le lesioni più evidenti dei tessuti molli riguardano la pelle ed il tessuto sottocutaneo, ovvero i cosiddetti tessuti molli superficiali, che rivestono l’organismo. In presenza di queste lesioni il soccorritore deve mettere in atto alcune misure immediate che prevengano ulteriori danni al paziente: il controllo di un’emorragia ed un’adeguata medicazione di una ferita sono molto importanti e possono essere determinanti per la sopravvivenza. Le lesioni dei tessuti molli possono essere genericamente distinte in lesioni chiuse e lesioni aperte, o ferite. 5.1 - CLASSIFICAZIONE A) – Lesioni chiuse Una lesione chiusa è una lesione interna, non comunicante con l’esterno, cioè senza interruzione del rivestimento cutaneo. Queste lesioni sono causate solitamente dall’impatto con un oggetto non appuntito: benché la pelle possa rimanere intatta, si possono creare gravi lesioni dei tessuti sottostanti. Le lesioni chiuse possono quindi essere costituite da semplici spandimenti emorragici (ecchimosi ed ematomi), lacerazioni interne, perforazioni interne causate da ossa fratturate, lesioni da schiacciamento o rottura di organi interni. Queste lesioni, sono normalmente accompagnate da emorragie, la cui entità può andare da una perdita molto lieve fino ad una condizione che mette in serio pericolo la vita del paziente (shock emorragico). La contusione è la forma più comune e meno grave di lesione chiusa. Nel momento in cui avviene l’impatto di un agente esterno sui tessuti dell’organismo, si verifica sempre un’emorragia, la cui entità è estremamente variabile. Spesso, questa si manifesta con la cosiddetta ecchimosi, ovvero con la diffusione del sangue nei tessuti, senza che si crei una raccolta circoscritta; quando invece il sangue si accumula nei tessuti o nello spazio sottocutaneo, si forma un ematoma, che può raggiungere, in alcuni casi, volume considerevole. E’ inoltre caratteristica la comparsa, nella zona lesa, di una tumefazione dovuta all’edema dei tessuti. Ecchimosi di grandi dimensioni possono indicare la presenza di una grave perdita di sangue e di fratture o di danni tessutali estesi sotto la zona contusa. Lacerazioni e perforazioni di organi interni si possono verificare quando, in seguito ad un trauma, le ossa si fratturano: estremità o frammenti ossei taglienti possono lacerare o perforare muscoli, vasi sanguigni, nervi, organi e ghiandole costituite da tessuti molli. In questi casi l’emorragia è quasi sempre abbondante. L’ultimo tipo di lesione chiusa è rappresentato dalle cosiddette lesioni da schiacciamento. In questi casi, la pressione esercitata può essere trasmessa dall’esterno del corpo alle strutture interne, causando lo schiacciamento dei tessuti molli, superficiali e profondi, con possibile rottura di organi interni. Anche in questi casi, l’emorragia è spesso importante; il contenuto degli organi cavi può inoltre defluire nelle cavità del corpo, causando gravi quadri potenzialmente mortali (per esempio, peritonite da rottura del colon o dello stomaco..) B) – Lesioni aperte o ferite Si parla di ferita quando un trauma provoca la rottura della pelle ed espone i tessuti sottostanti. La causa può provenire dall’esterno, come in caso di lacerazioni, o dall’interno, come quando i monconi di un osso fratturato fuoriescono attraversando la cute. Con il termine di escoriazione si indicano semplici sfregamenti o graffi in cui viene danneggiato solo lo strato esterno della pelle, cioè l’epidermide, lasciando intatti gli strati più profondi. L’emorragia è spesso molto scarsa, dovuta a una piccola fuoriuscita di sangue dal letto capillare. L’escoriazione, o abrasione, è quindi un tipo di ferita che non desta preoccupazione, anche se può essere molto dolorosa e necessita di cure per evitare il rischio di infezioni. Per ferita da taglio si intende una incisione netta, solitamente provocata da un oggetto tagliente, ben affilato: i margini della ferita sono lineari ed uniformi. Se la ferita è profonda vi può essere la lesione di grandi vasi sanguigni e di nervi: l’emorragia dovuta ad una ferita da taglio importante può essere difficile da arrestare, benché di solito basti esercitare una pressione diretta sulla sede della lesione. Più frequenti sono le ferite lacero-contuse. Queste sono solitamente provocate da oggetti taglienti e non uniformi, come vetri rotti o pezzi di metallo dentellati, che provocano la lesione dei tessuti con margini frastagliati ed irregolari. Una ferita lacero-contusa può essere anche prodotta da un colpo violento o dall’impatto con un oggetto non appuntito, che supera però la resistenza della cute e ne provoca la lacerazione. Quando un oggetto appuntito e tagliente attraversa la pelle o altri tessuti, si ha una ferita da punta. Solitamente le ferite da punta sono causate da oggetti quali chiodi, punteruoli, schegge o coltelli. Spesso l’emorragia esterna non è grave, ma se la ferita è abbastanza profonda l’emorragia interna può essere massiccia. Si distinguono quindi ferite penetranti, che possono essere superficiali o profonde, e ferite trapassanti, che presentano un foro di entrata, un tragitto ed un foro d’uscita, in quanto l’oggetto che causa la lesione passa attraverso il corpo ed esce dalla parte opposta. In caso di avulsioni, vengono strappati o completamente asportati lembi di pelle o di tessuti:si ha quindi una perdita di tessuti molli superficiali, che può comprendere cute, sottocute e tessuti muscolari. Quando l’avulsione dei tessuti comprende anche segmenti ossei più o meno importanti degli arti, si parla di amputazione. Questa può interessare le dita, le mani, i piedi o gli arti a diverso livello ed è causata da un meccanismo di taglio o di strappamento. Si verifica infine la lesione da schiacciamento quando una parte del corpo rimane imprigionata tra due masse pesanti, come ad esempio gli ingranaggi di una macchina: vengono lesionati in maniera diretta vasi, nervi e muscoli. Anche le ossa possono rimanere fratturate e possono protrudere attraverso la sede della lesione, mentre l’emorragia che accompagna queste lesioni è spesso importante. 5.2 - TRATTAMENTO DELLE LESIONI DEI TESSUTI MOLLI Lesioni chiuse Le contusioni costituiscono le lesioni chiuse più frequenti ma la maggior parte di esse non richiede misure d’urgenza sul posto. La presenza di un’ecchimosi, tuttavia, può indicare l’esistenza di una lesione interna a cui è associata un’emorragia. In caso di contusioni importanti alla testa o al collo, bisogna ricordarsi che può esserci anche una lesione alle vertebre cervicali. Bisogna sempre controllare anche la presenza di sangue nella bocca, nel naso e nelle orecchie, segnale di lesioni interne spesso gravi. La presenza di ecchimosi sul tronco può essere indice di una lesione toracica: se, in presenza di tosse, viene emesso un espettorato sanguinolento e schiumoso, questo può indicare la perforazione di un polmone. In caso di traumi toracici, bisogna sempre rilevare eventuali difficoltà respiratorie. In caso di contusioni a livello addominale, denunciate dalla presenza di ecchimosi più o meno vaste, bisogna considerare la possibilità di lesioni a carico degli organi interni, sia dei visceri cavi, sia degli organi parenchimatosi quali il fegato e la milza. Se , dall’esame clinico del paziente, appare la possibilità che vi sia una lesione interna, il paziente va immediatamente trattato come se ci fosse un’emorragia interna in atto, e vanno prestate immediatamente le cure specifiche per lo stato di shock. Il paziente va quindi monitorizzato (polso, pressione…) e trasportato il più presto possibile in ospedale. Ferite Nel trattamento delle ferite è importante che il soccorritore indossi sempre idonei mezzi di protezione per evitare il contatto col sangue e i liquidi corporei del paziente: guanti di lattice, occhiali e, se disponibile, camice impermeabile. Si intende per medicazione qualsiasi tipo di materiale applicato ad una ferita nel tentativo di arrestare un’emorragia o con lo scopo di prevenire un’ulteriore infezione. A questo scopo le medicazioni dovranno essere sterili, ovvero trattate in maniera tale che tutti i microrganismi e le spore vengano eliminati. Le medicazioni più comuni reperibili in commercio sono costituite da compresse di garza sterile confezionate singolarmente, di diverse dimensioni. Nelle situazioni di urgenza, quando medicazioni già predisposte non sono disponibili, è possibile utilizzare anche materiali non sterili, ma comunque i più puliti possibile, quali fazzoletti, lenzuola, asciugamani o altro. Sono disponibili in commercio anche grosse medicazione a tampone, utili quando è necessaria una medicazione spessa per arrestare un’emorragia massiccia o quando deve essere coperta una ferita di grandi dimensioni. Queste medicazioni sono utili soprattutto per immobilizzare oggetti conficcati. Quando non sono disponibili, è possibile utilizzare al loro posto dei normali assorbenti igienici, che sebbene non siano sterili, sono confezionati singolarmente e hanno superfici ben pulite. In presenza di ferite multiple, ogni ferita dovrà essere medicata singolarmente per assicurare un controllo adeguato dell’emorragia e un corretto bendaggio. Le medicazioni occlusive vengono impiegate quando è necessario formare un’aderenza a tenuta d’aria, ad esempio nel caso di ferite aperte nell’addome, emorragie esterne provenienti dai grossi vasi del collo e alcuni tipi di ferite toraciche esposte. Anche in questo caso , sul mercato sono disponibili medicazioni occlusive già preparate in confezione sterile. In situazioni d’urgenza possono essere utilizzati anche prodotti non sterili come i fogli di cellofan di uso domestico( es. domopak) . Si intende invece per benda un qualsiasi tipo di tessuto utilizzato per tenere a posto una medicazione. Non essendo a diretto contatto con la ferita, non è necessario che le bende siano sterili. Normalmente, vengono utilizzati come bende rotoli di garza normali o autoaderenti. Anche qui, in caso di necessità si possono utilizzare strisce di tessuto, fazzoletti o altre stoffe disponibili. Le bende elastiche impiegate in genere per gli strappi e le distorsioni non devono essere utilizzate per fissare le medicazioni, se non in casi eccezionali: quando i tessuti intorno alla ferita cominciano a gonfiarsi, queste infatti possono diventare facilmente dei bendaggi costrittivi, che interferiscono con la circolazione sanguigna. Nella medicazione delle ferite si devono quindi rispettare alcune regole generali. - Bisogna utilizzare materiali sterili o comunque molto puliti, evitando di toccare la medicazione nella zona che verrà a contatto con la ferita. - La ferita va coperta totalmente, insieme alle zone immediatamente circostanti. - Lo scopo della medicazione è quello di arrestare l’emorragia: una medicazione non può quindi essere fissata in sede se non è stato prima controllato adeguatamente il sanguinamento. - Una volta che una medicazione è stata applicata su una ferita, essa non deve più essere rimossa: l’emorragia può infatti ricominciare ed i tessuti corrispondenti della lesione possono essere danneggiati. Se l’emorragia continua, bisogna invece aggiungere nuove medicazioni sopra quelle già intrise di sangue mantenendo un’adeguata pressione sulla sede della ferita. Anche per quanto riguarda i bendaggi è opportuno seguire alcune regole di base. - La benda non deve essere stretta troppo, per consentire un adeguato flusso di sangue alla parte lesionata. La fasciatura, d’altra parte, non deve allentarsi: lo scopo è quello di fare aderire la medicazione alla ferita in modo tale che non si muova, e fermi il sanguinamento. - Le estremità delle bende non vanno lasciate libere, in quanto possono rimanere impigliate durante il trasporto del paziente. - Quando si bendano gli arti, se possibile, è meglio lasciare libere le dita delle mani e dei piedi per poter osservare eventuali modificazioni del colore della pelle, che indica l’alterazione della circolazione a livello dell’arto. Ovviamente, questo non può essere fatto se la lesione interessa proprio le dita delle mani o dei piedi. - Il bendaggio deve coprire tutti i margini della medicazione, in modo da ridurre il rischio di una possibile infezione. - Nel bendaggio degli arti, bisogna evitare di esercitare una pressione eccessiva su una zona ristretta dell’arto, ovvero evitare che la benda faccia da laccio, impedendo la circolazione sanguigna. E’ meglio invece avvolgere un’ampia zona dell’arto, assicurando una pressione costante e uniforme, applicando le bende da una posizione distale a una posizione prossimale, ovvero verso la radice dell’arto. - Quando si effettua un bendaggio che interessa la zona di un’articolazione, è importante non piegare più l’arto per evitare di stringere il bendaggio, riducendo la circolazione, oppure di allentarlo, spostando la medicazione. 5.3 - TERAPIA D’URGENZA DELLE FERITE Nel trattamento delle ferite vi sono alcuni principi generali che vanno seguiti in ogni caso. 1) Esporre la ferita. E’ importante vedere in maniera adeguata la sede della ferita. I vestiti che coprono la lesione devono quindi essere sollevati, eventualmente tagliati con le forbici e rimossi. Non bisogna cercare di togliere i vestiti come si fa in condizioni normali per non rischiare di aggravare le lesioni. 2) Liberare la superficie della ferita. Con l’aiuto di un pezzo di garza sterile, bisogna cercare di eliminare i corpi estranei più grossi dalla superficie della ferita, senza peraltro perdere tempo. Un’accurata pulizia della ferita verrà fatta in un secondo tempo, in ambiente idoneo, dal medico che sarà poi in grado di esplorare e trattare in maniera adeguata la lesione. 3) Arrestare l’emorragia. Si inizia con la pressione diretta sulla sede della lesione, associando eventualmente l’elevazione dell’arto. Se necessario si può impiegare la tecnica dei punti di pressione, ricordandosi che il laccio emostatico dovrà essere utilizzato soltanto come ultima risorsa. 4) Prevenire l’ulteriore contaminazione. Se possibile, bisogna utilizzare una medicazione sterile; in caso contrario, si può usare il pezzo di stoffa più pulito che si riesce a trovare sul luogo dell’intervento. 5) Fissare la medicazione con una benda, dopo che l’emorragia è stata arrestata. Se la lesione è su un arto, bisogna controllare il polso distale, per assicurarsi che la circolazione non sia stata interrotta dall’applicazione di un bendaggio troppo stretto. Eccezion fatta per una medicazione compressiva, l’emorragia dovrà essere arrestata prima di fasciare la ferita. La benda va quindi controllata periodicamente per essere sicuri che l’emorragia non riprenda. Far distendere il paziente, invitarlo a non muoversi e rassicurarlo. In caso di ferite da taglio e di ferite lacero-contuse, la maggior parte delle lesioni può essere trattata fissando semplicemente una medicazione con una benda. Per tagli e lacerazioni di minore importanza, i lembi possono essere avvicinati e fissati con l’utilizzo di cerotti a farfalla o di cosiddetti “ steril-strip” , su cui si applicherà poi la medicazione. Particolare attenzione deve essere adottata quando si trattano ferite da perforazione o da punta. Un oggetto che sembra conficcato solo nella pelle può, in realtà penetrare profondamente nel corpo del paziente, causando lesioni muscolo-tendinee o agli organi interni molto più gravi di quanto sembri. Questo è tipico ad esempio delle ferite causate da pezzi di vetro. Un problema particolare è rappresentato dalla presenza di lesioni da perforazione con oggetti conficcati. L’oggetto, può essere un coltello, un’asta d’acciaio, un frammento di legno o di vetro che perfori una qualsiasi parte del corpo. In questi casi è importante non rimuovere l’oggetto conficcato, in quanto questo potrebbe causare una grave emorragia quando viene rilasciata la pressione su un vaso sanguigno leso; la rimozione dell’oggetto potrebbe inoltre causare una ulteriore lesione ai nervi, ai muscoli ed agli altri tessuti molli. L’area della lesione va quindi esposta in maniera adeguata, tagliando i vestiti e facendo molta attenzione a non toccare l’oggetto conficcato. Se possibile l’emorragia va controllata tramite una pressione manuale diretta sulla sede della lesione, posizionando la mano in modo che le dita si trovino sui lati dell’oggetto ed esercitando una pressione verso il basso. E’ importante non esercitare alcuna pressione diretta sull’oggetto conficcato, e fare attenzione all’eventuale presenza di margini taglienti. L’oggetto conficcato va quindi immobilizzato con una medicazione tampone, che ne impedisca ulteriori movimenti,e la medicazione va poi fissata con un adeguato bendaggio. Particolare attenzione andrà quindi prestata nel trasporto del paziente, che va effettuato evitando qualsiasi movimento che possa far vibrare, allentare, o muovere l’oggetto conficcato. In alcuni casi, l’oggetto conficcato potrebbe essere troppo lungo o fisso ad una struttura: diventa necessario il suo accorciamento per poter assistere e trasportare il paziente. E’ importante, durante queste manovre, evitarne ogni spostamento, che potrebbe causare nuove lesioni. Il trattamento d’urgenza delle avulsioni di tessuto richiede l’applicazione di medicazioni a tampone compressivo di grande formato. E’ importante, inoltre, fare tutto il possibile per conservare le parti avulse, che dovranno essere trasportate in ospedale insieme al paziente: infatti, a volte, si può ripristinare chirurgicamente la parte o utilizzarla per trapianti cutanei. Nel caso in cui lembi di pelle siano strappati, ma ancora attaccati al corpo, dopo aver liberato la superficie della ferita da frammenti e corpi estranei, bisogna rimettere il più delicatamente possibile la pelle nella sua posizione originale, e quindi controllare l’emorragia e medicare la ferita utilizzando medicazioni compressive a tampone. Nel caso in cui la pelle sia completamente strappata dal corpo, si passa immediatamente a controllare l’emorragia ed a medicare la ferita. La parte avulsa va poi recuperata ed avvolta in una garza sterile ed asciutta, e quindi messa in un sacchetto di plastica e conservata alla temperatura più bassa possibile: l’ideale è infilarla in un secondo sacchetto di plastica contenete acqua fredda o ghiaccio. In caso di amputazioni, il metodo più efficace per arrestare l’emorragia è una medicazione compressiva aderente applicata al moncone. In caso di amputazioni importanti di arti, è spesso necessario comprimere localmente la ferita e, in casi estremi, applicare un laccio emostatico. La parte amputata va quindi avvolta in medicazioni sterili, messa in un sacco di plastica e conservata al freddo come in caso di avulsione. Sia i tessuti avulsi, sia gli arti amputati non vanno mai immersi nell’acqua né in soluzioni saline. 5.4 - LESIONI AI TESSUTI MOLLI DEL COLLO Le lesioni dei tessuti molli del collo possono essere rappresentate da contusioni o lesioni penetranti. Entrambe possono essere talmente gravi da minacciare la vita del paziente, rendendo necessario un trattamento chirurgico immediato: qualsiasi lesione del collo deve essere quindi considerata grave fino a prova contraria. Le contusioni del collo si possono verificare in una vasta gamma di infortuni. Indipendentemente dalla causa, il problema principale è dato dallo schiacciamento della laringe e della trachea o dal rigonfiamento (edema) dei tessuti circostanti in seguito al trauma: la conseguenza è sempre una ostruzione delle vie respiratorie. Le vie aeree, a questo livello, sono strutture rigide che contengono cartilagine: una volta che collassano o sono schiacciate, non possono tornare nella loro posizione originale e non permettono quindi il necessario passaggio dell’aria. In presenza di lesioni traumatiche del collo, inoltre, è possibile che sia presente anche una lesione vertebrale o del midollo spinale, ed il paziente va quindi trattato in maniera adeguata. Nella valutazione di questi soggetti, il soccorritore deve prestare particolare attenzione ai segni di ostruzione della vie aeree, e trattare il paziente immobilizzando testa e collo manualmente o con un collare cervicale. L’infortunato va quindi trasportato il più in fretta possibile verso una struttura medica, immobilizzato su un asse lungo di sostegno della colonna vertebrale per evitare il manifestarsi o l’aggravamento di eventuali lesioni spinali. Le lesioni perforanti e le ferite del collo sono generalmente gravi, in quanto a questo livello decorrono in posizione abbastanza superficiale grossi vasi arteriosi e venosi: l’emorragia dovuta alla lesione di questi vasi è quasi sempre imponente, spesso mortale. In caso di emorragia arteriosa, facilmente riconoscibile dallo zampillare del sangue attraverso la ferita, il controllo va effettuato applicando una compressione diretta sulle arterie: anche nelle migliori condizioni, il controllo dell’emorragia è spesso parziale ed incompleto. L’emorragia proveniente da una grossa vena del collo solitamente non può essere controllata con la pressione diretta. L’unica possibilità, in questi casi, è costituita dall’applicazione di una medicazione occlusiva, che spesso è necessario mantenere in sede manualmente, in quanto le tecniche di bendaggio a questo livello sono generalmente molto difficili e poco efficaci. 5.5 - LESIONI AI TESSUTI MOLLI DELLA TESTA Ferite al cuoio capelluto. Il cuoio capelluto è una zona dell’organismo riccamente vascolarizzata. Le ferite in questa sede possono quindi sanguinare abbondantemente anche se non vengono lesi vasi sanguigni di particolare importanza: anche una lacerazione di lieve entità si può presentare all’iniziocon una emorragia massiccia. Solitamente, però, il processo di coagulazione è rapido ed il controllo di queste emorragie non costituisce un grave problema. In caso di ferite del cuoio capelluto, in occasione di traumi importanti, bisogna sempre considerare la possibilità che vi sia associata una frattura dell’osso sottostante. Per questo motivo, è bene non cercare di pulire manualmente la zona della ferita, per non aggravare eventuali lesioni ossee. Si devono comunque asportare capelli, sassi, sporcizia o frammenti di vetro per consentire una medicazione ed una fasciatura adeguate. L’emorragia va quindi arrestata con una medicazione sterile tenuta in posizione tramite una pressione delicata. Per assicurare la medicazione, vista la scarsa tenuta dei cerotti sulle zone coperte di peli, è opportuno utilizzare un rotolo di benda, meglio se autoaderente, da arrotolare intorno alla testa del paziente. In caso ci sia anche solo il sospetto di un danno alla colonna vertebrale, non bisogna sollevare né muovere la testa del paziente nel tentativo di applicare il bendaggio. Ferite della faccia Quando si tratta un paziente con lesioni della faccia, bisogna ricordarsi che associati alla ferita possono esserci problemi respiratori, lesioni al collo ed alla colonna vertebrale. La prima cosa da fare è, come sempre, assicurarsi della pervietà delle vie respiratorie. Va quindi esaminata la bocca del paziente per valutare l’entità del danno e l’eventuale presenza di corpi estranei Nel caso in cui ci sia sospetto di una lesione alle vertebre cervicali, vanno immediatamente immobilizzate la testa , il collo e la colonna vertebrale prima di mettere il paziente in una posizione laterale adatta al drenaggio di sangue, muco ed eventuale vomito. Il controllo dell’emorragia va ottenuto, se possibile, con la pressione diretta sulla ferita, esercitando però una pressione non eccessiva in quanto vi possono essere fratture facciali non immediatamente evidenti. La ferita andrà poi protetta con una medicazione in garza, mentre i lembi di pelle del viso, parzialmente avulsi, possono essere messi delicatamente a posto e coperti con medicazioni. Ferite delle guance. Si può creare una situazione di pericolo quando nella guancia si sia conficcato un corpo estraneo, sia perché l’oggetto può penetrare nella cavità orale e diventare una possibile causa di ostruzione delle vie aeree, sia perché l’emorragia che si riversa nella bocca del paziente può essere talmente abbondante da costituire essa stessa un ostacolo per la respirazione. Bisogna quindi esaminare con cautela sia la parte esterna della guancia, sia la parte interna della cavità orale, eventualmente aiutandosi con le dita, in modo da poter determinare se l’oggetto ha attraversato completamente o meno la parete. Se la perforazione della guancia è completa, l’oggetto conficcato va rimosso con attenzione, estraendolo nella direzione in cui è penetrato nella guancia. Se questa operazione fosse troppo difficoltosa, o l’oggetto non fosse completamente penetrato, è sicuramente meglio lasciare l’oggetto nella sua posizione cercando di muoverlo il meno possibile. Dopo che l’oggetto è stato rimosso, si può imbottire l’interno della guancia, ponendo una garza arrotolata tra la parete interna di essa e i denti: questo impedirà all’emorragia di riversarsi nella bocca del paziente e permetterà il buon controllo della stessa applicando sulla parte esterna della ferita una medicazione compressiva ed una fasciatura. Lesioni della bocca Come già evidenziato nelle lesioni delle guance, nelle lesioni della bocca è importante mantenere la pervietà delle vie respiratorie ed un adeguato drenaggio per tutta la durata dell’assistenza al paziente. Le lesioni ai tessuti molli della bocca sono generalmente il risultato di una contusione, che porta alla lacerazione delle labbra, della parte interna della guancia o della lingua. Spesso, associato a queste lesioni, c’è il danneggiamento dei denti. In caso di lacerazioni di labbra o gengive, l’emorragia può essere controllata applicando una medicazione arrotolata o piegata tra il labbro e la gengiva. Se l’emorragia è abbondante, il paziente va posto in una posizione che consenta il drenaggio del sangue. In caso di lacerazioni della lingua, è importante anche qui posizionare il paziente per consentire il drenaggio, e non applicare medicazioni in bocca, per non correre il rischio di ostruire le vie aeree. In tutti questi casi bisognerà controllare costantemente che il paziente non inghiotta le medicazioni, o che queste non ostacolino la respirazione. In caso di avulsioni dentarie, è bene cercare di recuperare gli eventuali denti staccati, che andranno avvolti in medicazioni umide e trasportati con il paziente in ospedale, in quanto ne può essere tentato il trapianto. Ferite agli occhi La penetrazione di un corpo estraneo tra l’occhio e la palpebra, è un’evenienza molto frequente. Spesso, se un corpo estraneo è solo appoggiato e non ha provocato lesioni o rotture oculari, per la sua rimozione è sufficiente effettuare un adeguato lavaggio dell’occhio con una soluzione salina sterile; se invece l’oggetto rimane sulla superficie interne della palpebra, e non viene asportato con il lavaggio, si può utilizzare una garza sterile per toglierlo delicatamente. Non bisogna però mai cercare di rimuovere un oggetto che si trovi sulla cornea, in quanto è possibile provocarne la lesione. In alcuni casi il corpo estraneo può causare lesioni di tipo abrasivo sulla superficie dell’occhio, per cui il paziente dovrà essere portato in ospedale per essere visitato da uno specialista oculista. Ferite lacere o penetranti possono interessare sia le palpebre che il bulbo oculare. Nel caso in cui il bulbo presenti una ferita aperta, bisogna proteggerla con una medicazione non compressiva per favorire la coagulazione e prevenire l’ulteriore contaminazione. E’ importante non applicare mai una pressione diretta su un bulbo oculare lesionato, e ricordarsi che, quando si rende necessario coprire un occhio ad un paziente, è bene coprire anche l’occhio sano in modo da ridurre i movimenti paralleli degli occhi. In caso di lesioni penetranti nel bulbo oculare, di avulsioni dell’occhio, o di presenza di oggetti conficcati nell’occhio, va eseguito un bendaggio a ciambella. Una piccola ciambella di garza va posizionata intorno all’occhio leso, e su di essa andranno poi messe alcune medicazioni a tampone: in caso di un oggetto conficcato, queste serviranno a tenerlo immobile e ad evitare ulteriori lesioni dell’apparato oculare. La medicazione andrà poi tenuta in sede con un bendaggio che immobilizzi l’oggetto, ma che non sia assolutamente compressiva. Un caso particolare di lesione agli occhi è causato dalle ustioni, che possono essere causate da sostanze chimiche, calore o luce. Nel caso di ustione da sostanze chimiche, si deve praticare un lavaggio continuo dell’ occhio con un flusso costante di acqua, che dovrà essere versata nell’angolo mediale dell’occhio per poi fuoriuscire dall’angolo laterale. E’ bene utilizzare se possibile acqua sterile; altrimenti, si può usare semplice acqua del rubinetto. Comunque sia, la procedura più sicura prevede una durata del lavaggio di almeno 20 minuti. Per la maggior parte delle ustioni chimiche è meglio eseguire il lavaggio non appena possibile e continuare a irrigare gli occhi del paziente durante il percorso verso il Pronto Soccorso. Nelle ustioni da calore, spesso sono ustionate soltanto le palpebre: in questo caso è meglio evitare di esaminare gli occhi, ma limitarsi semplicemente a tenere le palpebre del paziente chiuse, applicando una medicazione inumidita. Le ustioni da abbagliamento possono essere provocate da una fonte di luce violenta, quali il flash di un saldatore. Queste lesioni sono generalmente piuttosto dolorose e il paziente spesso lamenta la sensazione di avere un corpo estraneo negli occhi. In questo caso è bene coprire gli occhi con una medicazione che non lasci passare la luce. In caso di lesione agli occhi, bisogna sempre chiedere al paziente se questi è un portatore di lenti a contatto e, quando è possibile senza ritardare i soccorsi, tentare di rimuoverle delicatamente. Si raccomanda peraltro di non rimuovere le lenti a contatto se vi è una lesione oculare evidente, in quanto si possono causare ulteriori danni all’occhio. Cap. 6 - LESIONI SCHELETRO-MUSCOLARI Il sistema scheletro-muscolare è costituito dalle ossa, collegate le une alle altre dalle articolazioni, e dai muscoli. Le ossa sono inoltre coperte da una membrana bianca fibrosa e resistente, chiamata periostio, attraversata da vasi sanguigni e nervi. Il sistema scheletrico assolve le funzioni di sostegno e di movimento dell’organismo; le ossa rappresentano inoltre una protezione per gli organi vitali. Le ossa vengono classificate a seconda della loro morfologia, distinguendosi in: ossa lunghe, quali quelle del braccio e della coscia; ossa brevi, quali quelle delle mani e le vertebre; e ossa piatte, come lo sterno, le scapole e le coste. A livello delle articolazioni, i capi ossei che vengono a contatto sono rivestiti da una particolare cartilagine, molto liscia, denominata appunto cartilagine articolare: questa permette lo scorrimento dei capi ossei uno sull’altro senza attrito. Le articolazioni sono quindi avvolte in una capsula articolare fibrosa, che serve a mantenere in reciproco contatto i capi articolari; essa è inoltre rinforzata dai legamenti, fasci di tessuto fibroso che uniscono le ossa tra loro, sostenendo e fissando l’articolazione. I muscoli provvedono a far muovere reciprocamente due ossa articolate fra di loro, inserendosi su di esse attraverso i tendini, strutture in cui la parte carnosa del muscolo diventa gradualmente più fibrosa e dura, in modo tale da fissarsi saldamente al periostio e all’osso sottostante. Lesioni ossee. Le strutture del sistema muscolo scheletrico vanno soggette a diversi tipi di lesioni: le fratture costituiscono le lesioni ossee più gravi. Per definizione si intende per frattura una qualsiasi rottura di un osso, comprendendo così sia le lesioni di minor entità, quali le infrazioni, sia le fratture complete più o meno complesse dell’osso. In caso di fratture complete, sarà importante valutare l’eventuale movimento dei monconi ossei: se, per effetto del trauma o della trazione muscolare, i capi di frattura si sono mossi reciprocamente, la frattura viene definita scomposta. Una frattura scomposta comporta normalmente la comparsa di un’alterazione della normale morfologia dell’arto o di un’articolazione. Un importante elemento da valutare è la possibile lacerazione dei tessuti molli e della cute che rivestono l’osso fratturato. Una frattura viene quindi definita chiusa quando un osso viene rotto senza però che vi sia la lacerazione dei tegumenti. In caso contrario si avrà una frattura esposta, in cui il focolaio di frattura non è più protetto dall’ambiente esterno, ed è quindi elevato il rischio di contaminazione batterica e di infezione. Una frattura esposta può essere provocata sia da una ferita penetrante che si estende dalla cute fino all’osso lesionato, sia da un trauma chiuso particolarmente intenso, che provoca un importante spostamento dei monconi ossei, lacerando i tessuti molli dal focolaio di frattura fino alla cute. Lesioni articolari. Per distorsione si intende la lesione traumatica più o meno grave ed estesa dell’apparato articolare, ovvero della capsula articolare e dei legamenti. Si possono quindi avere distorsioni lievi, in cui capsula e legamenti vengono solo stirati violentemente con un danno limitato alla rottura di poche fibre legamentose, e distorsioni più gravi, in cui si può arrivare alla lacerazione della capsula o alla rottura completa di uno o più legamenti articolari. Un particolare tipo di lesione articolare è costituito dalla lussazione, che si verifica quando l’estremità di un osso, che fa parte di un’articolazione, viene a trovarsi fuori dalla sua sede: si tratta quindi di un caso molto grave di distorsione, in cui oltre alla lesione di capsula e legamenti, c’è la perdita dei normali rapporti articolari tra i capi ossei. Lesioni muscolari. Anche l’apparato muscolo-tendineo può andare incontro a lesioni traumatiche di varia entità. La più frequente è la contusione muscolare, spesso accompagnata da emorragie più o meno gravi all’interno del muscolo. La trazione eccessiva del muscolo può portare alla lesione di alcune fibre muscolari (il cosiddetto strappo o distrazione muscolare) , più o meno estesa, fino alla completa rottura del muscolo, o alla lesione di un tendine per sua lacerazione o disinserzione dal punto del suo ancoraggio osseo. 6.1 - QUADRO CLINICO. In caso di frattura, il sintomo che più frequentemente accompagna la lesione è dato dal dolore, spesso forte e costante. Il paziente assume un tipico atteggiamento di difesa, tentando di proteggere la parte lesionata ed evitando ogni movimento di essa, che causerebbe ulteriore sofferenza. I tessuti direttamente sovrastanti la frattura saranno inoltre estremamente sensibili, e quindi molto dolenti alla palpazione. Un altro segno affidabile di frattura consiste nella deformazione della parte lesa, quale un’insolita angolazione di un osso o di un’articolazione. Quando una parte di un arto sembra diversa nelle dimensioni, forma o lunghezza, rispetto alla parte corrispondente sul lato opposto, va sempre sospettata una frattura. La tumefazione dei tessuti molli circostanti la zona di frattura è un altro segno abbastanza caratteristico: mentre il gonfiore inizia a comparire subito dopo la lesione, eventuali ecchimosi si rendono solitamente evidenti solo dopo qualche tempo. Anche la perdita di funzionalità dell’arto o di parte di esso può essere indicativa della presenza di una frattura, o comunque di una importante lesione osteo-articolare. In caso di lussazione di un’articolazione, la deformazione a livello della lesione è spesso molto evidente, accompagnata da una notevole tumefazione. Spesso il paziente accusa dolore che aumenta con il movimento; inoltre vi è un’ importante impotenza funzionale, con perdita dell’uso dell’articolazione. Anche in presenza di una lussazione non si può comunque escludere, al momento del primo soccorso, la presenza di una lesione combinata, ovvero la presenza contemporanea di una lussazione di una frattura di un segmento osseo. La distorsione, specialmente se grave, con rottura di legamenti o della capsula articolare, è spesso caratterizzata da una notevole tumefazione dei tessuti molli circostanti la lesione, accompagnata da dolore importante e da impotenza funzionale. Anche in questo caso, al momento del primo soccorso non è possibile escludere la presenza di una frattura associata. E’ importante ricordare che spesso il trauma che ha provocato una frattura o una lussazione può danneggiare in maniera anche seria i tessuti molli circostanti. Gli stessi capi ossei, nei loro spostamenti, possono provocare importanti lesioni a livello dei muscoli, nonché dei vasi sanguigni e dei nervi che decorrono vicini alla sede della lesione. In certi casi, i danni dei tessuti molli possono essere molto più gravi rispetto alla frattura in sé: un’assistenza adeguata nei confronti delle lesioni ossee e articolari deve pertanto includere anche una cura efficace dei tessuti molli danneggiati. 6.2 - TERAPIA D’URGENZA IN CASO DI LESIONE OSTEO-ARTICOLARI Benché alcune fratture, e in particolare le fratture esposte, appaiano raccapriccianti e molto gravi, in realtà solo poche di esse costituiscono una minaccia reale per la vita del paziente. Quando ci si occupa di una frattura, uno dei compiti principali consiste nell’immobilizzare l’arto colpito. Indipendentemente da quanto sia vicina o meno la struttura medica di riferimento, fratture, lussazioni e distorsioni devono essere immobilizzate per evitare l’aggravarsi della lesione. In alcune situazioni gravi, con necessità di manovre di rianimazione cardio-polmonare, ed in caso di lesioni multiple gravi, può essere però necessario trasportare il paziente prima di provvedere ad immobilizzare un arto fratturato. Va quindi sempre effettuata la prima valutazione secondo l’ABC del primo soccorso, e quindi rilevare ogni disturbo potenzialmente letale e provvedere alla sua risoluzione. Prima di occuparsi delle fratture, bisognerà quindi liberare le vie respiratorie, controllare la respirazione, il polso e l’attività cardiaca, ed arrestare l’eventuale emorragia. La rivelazione di lesioni spinali o cervicali risulta prioritaria rispetto alle fratture degli arti. Anche le ferite toraciche aperte e le ferite addominali aperte dovranno essere curate prima delle fratture, come pure le ustioni gravi, soprattutto quando possono compromettere la respirazione. Nell’ambito delle fratture, la priorità di assistenza va data alla lesione della colonna vertebrale. Si passerà quindi al trattamento delle fratture craniche, della gabbia toracica e della pelvi. Seguirà quindi il trattamento delle fratture degli arti con precedenza alle lesioni degli arti inferiori. 6.3 - TRATTAMENTO DELLE LESIONI OSTEO-ARTICOLARI PER DISTRETTI 1 - Lesioni osteo-articolari degli arti superiori .La prima cosa da fare è quella di riposizionare in posizione anatomica gli arti del paziente, provvedendo alla eventuale riduzione delle fratture scomposte chiuse delle ossa lunghe. Le angolazioni dei capi fratturati rendono infatti difficile l’immobilizzazione e il trasporto, e sono solitamente molto dolorose per il paziente. Al momento del primo soccorso è meglio non cercare di ridurre fratture scomposte della spalla o del polso, in quanto a questo livello passano vicino alle ossa importanti nervi e vasi sanguigni, che possono essere ulteriormente danneggiati. Anche i tentativi di ridurre le lussazioni possono provocare dei gravi danni, a volte permanenti: è quindi meglio, se non esperti, non cercare di ridurre durante il primo soccorso un’articolazione lussata. Esposizione - Per prima cosa bisogna esporre per bene la zona fratturata, rimovendo delicatamente o tagliando i vestiti. Riduzione - Si prova quindi a raddrizzare delicatamente l’arto fratturato, esercitando una trazione uniforme e costante lungo il suo asse longitudinale. E’ meglio non proseguire con la manovra di riduzione qualora si avverta una particolare resistenza, un rumore di scroscio o un aumento significativo del dolore: in questi casi, conviene immobilizzare l’arto fratturato nella posizione in cui si trova ed accelerare le procedure di ricovero. E’ inoltre importante, prima e dopo le manovre di riduzione di una frattura, controllare l’eventuale presenza di un danno vascolare o nervoso, tramite la valutazione del polso distale, della sensibilità e della motilità dell’arto: anche in caso di deficit circolatori o nervosi, andranno accelerate le procedure di ricovero. Immobilizzazione - Il secondo passo nel trattamento di una frattura consiste nell’immobilizzare la zone lesa tramite l’applicazione di stecche. Il termine stecca va riferito a qualsiasi mezzo utilizzato per immobilizzare una frattura o una lussazione. La stecca deve essere abbastanza lunga da bloccare sia l’osso fratturato, sia le articolazioni immediatamente prossimali, cioè al di sopra, e distali, cioè al di sotto, dell’osso rotto. Il blocco dei capi ossei fratturati, oltre a ridurre nettamente il dolore dovuto allo sfregamento dei monconi, impedisce l’ulteriore lesione di muscoli, vasi e nervi circostanti il focolaio di frattura. Il tipo di stecca più frequentemente utilizzato è rappresentato dalle cosiddette stecche rigide: l’applicazione di una stecca rigida consente di riposizionare e trasferire il paziente con un movimento minimo dell’arto colpito. In commercio, esistono molti tipi di stecche rigide, di diverso materiale, con o senza imbottitura. A volte però, sul luogo dell’intervento, queste stecche possono non essere disponibili, e sarà quindi necessario ricavarle da materiali presenti sul posto. Stecche di fortuna possono essere ottenute utilizzando pezzi di legno, compensato, cartone rigido, giornali o riviste arrotolate, ombrelli, bastoni, scope o altri materiali adatti allo scopo. Esistono alcune regole di base da ricordare quando si applicano le stecche per lesioni agli arti. - Innanzitutto, è meglio immobilizzare l’arto anche quando non si sia pienamente sicuri che questo sia necessario. - Prima di applicare la stecca rigida al paziente, bisogna assicurarsi che questa sia provvista di adeguate imbottiture. - Quando si fissa la stecca ad un arto, bisogna avvolgere la benda partendo da un punto distale e proseguendo nel bendaggio verso la radice dell’arto, assicurandosi di non avere interrotto la funzionalità vascolare o nervosa, controllando prima e dopo l’immobilizzazione il polso distale, la sensibilità e l’attività motoria dell’arto. - Se possibile, dopo averlo immobilizzato, l’arto lesionato va sollevato per ridurre il gonfiore. Per bloccare in maniera adeguata l’arto superiore, un buon sistema è quello di eseguire il cosiddetto bendaggio con fascia: l’arto, in posizione di flessione a 90°, va bloccato al collo del paziente, possibilmente con un ampio bendaggio triangolare. Quest’ultimo può essere poi fissato al corpo del paziente, in modo da impedire movimenti dell’arto, con un bendaggio a fascia che circonda il torace. In caso di lesioni della spalla o del cingolo scapolare si può immobilizzare l’arto contro il torace, applicando un bendaggio secondo Desault; anche in questo caso, per il primo soccorso è sufficiente un bendaggio triangolare (braccio al collo) con associato un bendaggio a fascia che blocchi l’arto contro il torace. Il braccio ferito va fissato in maniera tale che la mano sia 8 - 10 cm. più in alto del gomito, lasciando fuori dal bendaggio le dita della mano in modo da poter rilevare qualsiasi alterazione del colore o della temperatura cutanea, che possono indicare la mancanza di un’adeguata circolazione. A questo scopo è bene controllare periodicamente il polso radiale durante le manovre di immobilizzazione. In caso di lesioni del gomito è meglio non sollecitare l’articolazione: se questa si presenta in posizione flessa, va mantenuta tale applicando una stecca imbottita posizionata diagonalmente e fissata al braccio e al polso del paziente; si provvederà poi a sostenere l’arto applicando un bendaggio triangolare che dal collo vada a sostenere il polso. Se invece l’articolazione si presenta in estensione, va bloccata utilizzando una stecca imbottita rettilinea dall’ascella alla punta delle dita. Quando si immobilizzano l’avambraccio e la mano, quest’ultima va messa in posizione cosiddetta funzionale, ovvero leggermente flessa come se afferrasse una palla nel palmo. 2 - Lesioni osteo-articolari degli arti inferiori Le regole base per la cura del paziente e l’immobilizzazione si applicano anche in caso di lesioni osteo-articolari degli arti inferiori. La trazione manuale viene applicata con le stesse modalità che per gli arti superiori. A causa delle grosse masse muscolari della coscia e della gamba, questa manovra risulta però faticosa: la trazione deve essere pertanto effettuata solo quando un secondo soccorritore sia pronto ad applicare una stecca, per evitare una perdita di trazione. In caso di lesioni che coinvolgono la pelvi, l’anca o il femore, dopo l’applicazione delle stecche il paziente deve essere posizionato su una superficie rigida, allo scopo di proteggere e sostenere la colonna vertebrale. 3 - Lesioni del bacino (pelvi) Le fratture della pelvi possono essere prodotte da cadute, incidenti automobilistici o schiacciamento, come avviene quando una persona rimane intrappolata e schiacciata tra due oggetti. Le fratture del bacino sono spesso associate a gravi danni degli organi interni, di vasi sanguigni e di nervi. L’emorragia interna può talvolta risultare talmente massiccia da portare all’insorgenza dello stato di shock e alla morte del paziente. E’ bene infine ricordare che una forza sufficiente a fratturare la pelvi può provocare lesioni associate della colonna vertebrale. Il paziente lamenta dolore localizzato alla sede della lesione, nonché dolenza provocata dalla palpazione delle anche e delle ossa pubiche. Il soggetto con una sospetta lesione del bacino va mosso il meno possibile; è importante inoltre non far ruotare il paziente per spostarlo. Gli arti inferiori vanno riposizionati nella loro posizione anatomica se non vi sono gravi lesioni dell’articolazione dell’anca e se è possibile farlo senza incontrare resistenza e senza causare dolore eccessivo. . E’ poi necessario prevenire ulteriori lesioni tenendo fermi gli arti inferiori: una volta messa una coperta piegata tra le gambe del soggetto infortunato, queste vanno legate assieme una all’altra dall’inguine ai piedi. Il paziente va quindi immobilizzato su un asse rigida per prevenire l’aggravamento di eventuali lesioni vertebrali associate. 4 - Fratture del femore Le fratture del femore interessano generalmente la parte prossimale dell’osso, soprattutto quelle spontanee negli anziani, e più raramente la diafisi: queste ultime sono per lo più dovute ad incidenti stradali o sul lavoro, per trauma diretto o da schiacciamento sulla coscia. Il dolore è di solito circoscritto alla sede della lesione; il paziente non è in grado di muovere l’arto lesionato, che si presenta più corto del controlaterale e ruotato verso l’esterno. Per stabilizzare la frattura del femore il metodo più semplice è quello di legare le gambe una all’altra dall’inguine ai piedi, posizionando tra di esse una coperta piegata. Quando sono disponibili, l’arto va immobilizzato con due lunghe stecche imbottite, affiancate l’una internamente, dall’inguine ai piedi, l’altra esternamente, dal tronco fino al piede anch’essa. cravatte o cinghie in modo tale da bloccare l’arto. Le stecche vanno poi fissate con In entrambi i casi il paziente va posizionato e trasportato su di un asse rigida per evitare i movimenti dell’arto. 5 - Lesioni del ginocchio Il ginocchio è un’articolazione, quindi le fratture possono interessare la parte distale del femore, la parte prossimale della tibia e del perone e la rotula. In caso il ginocchio si presenti lussato, è bene non cercare di ridurre l’angolazione dei capi ossei. Se invece non ci sono indicazioni di lussazione ed il paziente va spostato o comunque mosso, si può tentare di rimettere la gamba in posizione anatomica, senza però assolutamente forzarla: la procedura va immediatamente interrotta se si incontra resistenza particolare o un aumento significativo del dolore. Se il ginocchio si presenta diritto o ritornato in posizione anatomica è possibile immobilizzare la gamba con due stecche imbottite, una mediale e l’altra laterale. Nel caso in cui il ginocchio si presenti piegato, l’arto va immobilizzato nella posizione in cui si trova utilizzando due stecche ed eventualmente un cuscino per sostenere la gamba. Quando disponibile, è possibile utilizzare una stecca gonfiabile. In ogni caso, anche qui è importante controllare la funzionalità circolatoria e nervosa dopo aver completato l’immobilizzazione. 6 - Lesioni della caviglia e del piede Pur essendo possibile impiegare stecche lunghe che si estendono dal ginocchio fino oltre il piede, l’applicazione di stecche morbide rappresenta un metodo più rapido ed efficace per immobilizzare piede e caviglia. L’arto va sollevato senza applicare trazioni, dopodiché va adagiato delicatamente su di un cuscino, che verrà poi legato con delle bende intorno ad esso in modo tale da immobilizzarlo. Come mezzi di fortuna, si può egregiamente utilizzare il cartone corrugato da imballaggio, opportunamente imbottito con del cotone. Cap. 7 - TRAUMA CRANICO Le lesioni ossee del cranio comprendono le fratture del cranio e della faccia. In caso di trauma importante si possono avere lesioni dirette o indirette del cervello. Le fratture del cranio vengono definite esposte quando alla lesione delle ossa si associa la lacerazione del cuoio capelluto e, in profondità, la lacerazione della dura madre con conseguente esposizione del tessuto cerebrale. Se invece non sono presenti fratture si usa il termine “trauma cranico chiuso”, che è l’evenienza più comune. Le fratture della scatola cranica vengono distinte in fratture della base cranica e fratture della volta, che possono essere lineari, pluriframmentarie o avvallate, con infossamento dei frammenti ossei nel tessuto cerebrale. Le fratture del massiccio faciale sono solitamente provocate da un violento impatto. Esse possono essere molto limitate, lineari e di scarsa importanza clinica, oppure importanti o gravemente deformanti. In questi casi si dovrà dare la priorità al mantenimento delle vie respiratorie del paziente, che possono essere ostruite da frammenti ossei, sangue, coaguli o denti avulsi. Le lesioni cerebrali vengono distinte in dirette e indirette. Nel primo caso, che si verifica nei traumi cranici esposti, vi può essere una lesione diretta del tessuto nervoso da parte di frammenti ossei o corpi estranei. Nel caso di traumi cranici chiusi, il danno può invece essere indiretto, da contraccolpo. Clinicamente , si può manifestare un quadro di commozione cerebrale, caratterizzato da una transitoria perdita di coscienza, seguita da stordimento e cefalea e spesso da una lieve amnesia che riguarda gli avvenimenti immediatamente precedenti o successivi l’incidente. In questi casi, il danno cerebrale è di tipo esclusivamente funzionale e non organico. La contusione cerebrale è un quadro caratterizzato dalla presenza di un danno cerebrale organico, dovuto al trauma. Ancora, come conseguenza di un trauma cranico, si possono avere emorragia con formazione di ematomi sia a livello extradurale che subdurale, cioè tra le meningi e la scatola cranica oppure subito al di sotto della dura madre. Nel soccorrere un paziente traumatizzato bisogna valutare diversi segni che possono indicare la presenza di una frattura cranica. La presenza di una deformazione del cranio, quale un affossamento è solitamente indicativa di una frattura. Questa va sospettata anche in caso di lesioni che producano profonde lacerazioni e gravi contusioni del cuoio capelluto (queste ferite non vanno mai sondate per determinarne la profondità prima del ricovero in ospedale! ). Ancora, indicativi possono essere l’apparente affossamento di un bulbo oculare, la presenza di emorragia o la fuoriuscita di liquido limpido dalle orecchie o dal naso. Indici di lesione cerebrale, possono essere alterazioni dello stato di coscienza, stato confusionale più o meno accentuato, modificazioni della personalità, alterazioni del respiro, dilatazione ineguale delle pupille e mancanza di risposta delle stesse agli stimoli luminosi, alterazioni dell’udito e dell’equilibrio, vomito violento a getto, e segni di paralisi, spesso localizzati ad un lato del corpo. Trattamento delle lesioni craniche Quando ci si occupa di pazienti con lesioni del cranio, bisogna tener presente che possono coesistere lesioni spinali o cervicali. La pervietà delle vie respiratorie va quindi controllata e assicurata, utilizzando la manovra di protrusione della mandibola, che va fatta senza iperestendere il collo. Il paziente va quindi mantenuto a riposo e se è il caso vanno instaurate le misure di rianimazione. Il controllo delle emorragie va effettuato senza applicare troppa pressione sulla sede della lesione cranica, soprattutto se sono evidenti frammenti ossei o affossamenti delle ossa . In caso di fuoriuscita di sangue o di liquido cerebro-spinale dalle orecchie o dal naso, è bene non cercare di fermare il flusso, perché questo potrebbe aumentare la pressione intracranica con conseguente ulteriore danno cerebrale. E’ sufficiente applicare, senza comprimere, una medicazione di garza. Le ferite esposte vanno medicate e bendate, immobilizzando qualsiasi oggetto conficcato, senza rimuovere corpi estranei o frammenti ossei. Quando è possibile va somministrato ossigeno e vanno prestate le cure per lo stato di shock che può rapidamente insorgere. Tutti i pazienti che presentano lesioni alla testa o lesioni cerebrali sospette devono monitorizzati attentamente durante il trasporto in ospedale, mantenendosi pronti all’eventualità che il paziente vomiti e che possa essere colto da un attacco di convulsioni. Il paziente cosciente con lesione cranica chiusa di entità minore e in assenza assoluta di segni di lesione della colonna vertebrale, può essere posizionato con la parte superiore del corpo leggermente sollevata: questo consente un migliore controllo nel caso il paziente vomiti. Quando non si è certi invece della gravità della lesione, se il paziente è in stato di incoscienza o c’è il sospetto di un danno delle vertebre cervicali, è invece necessario applicare un collare cervicale rigido e posizionare il paziente su un asse lungo di sostegno per la colonna vertebrale. In questo modo è possibile muovere il paziente solidale all’asse come un blocco unico, e posizionarlo eventualmente nella posizione laterale di sicurezza senza aggravare eventuali lesioni cervicali. Cap. 7 - TRAUMA DELLA COLONNA VERTEBRALE E’ sempre necessario considerare la possibilità di danni della colonna vertebrale quando si riscontrano gravi lesioni del capo ed al tratto toracico superiore. Qualsiasi paziente privo di conoscenza che sia rimasto vittima di un incidente, dovrà essere trattato come se avesse una lesione con interessamento spinale. E’ però possibile, ed è frequente, che la colonna vertebrale rimanga lesionata senza che vi sia un danno del midollo spinale o dei nervi spinali. Nel caso di fratture scomposte e di lussazioni, tuttavia, le strutture nervose possono essere gravemente danneggiate. Le vertebre maggiormente a rischio di danno traumatico sono quelle cervicali e lombari, in quanto non sono sostenute da altre strutture ossee. Quadro clinico - Le indicazione di un possibile danno al midollo spinale comprendono il dolore, solitamente riferito al collo o alla schiena, che si manifesta ed aumenta con i movimenti volontari; la dolorabilità elettiva nella sede della lesione, evocabile alla palpazione; la compromissione della respirazione, con respirazione prevalentemente di tipo diaframmatico e riduzioni della respirazione toracica; la compromissione nervosa degli arti, con paralisi e perdita di sensibilità più o meno estesa. Se questi segni sono rilevabili, è importante immobilizzare immediatamente il paziente prima ancora di procedere con gli esami. Trattamento - Indipendentemente dalla localizzazione apparente della lesione del midollo spinale, le cure da praticare sono sempre le stesse. In primo luogo va effettuata l’immediata immobilizzazione manuale della testa e del collo, che nelle fasi successive andranno mosse all’unisono con il tronco del paziente. Ci si assicura quindi di aver completato una prima valutazione accurata, in modo da poter escludere tutte le patologie potenzialmente letali. Va quindi applicato un collare cervicale rigido, conservando l’immobilizzazione manuale mentre questo viene assicurato e continuando a mantenerla fino a quando il paziente viene legato ad un asse lungo di sostegno. Il collare, disponibile in diverse misure, va preso delle dimensioni adatte al paziente; prima dell’applicazione andranno rimosse collane e orecchini e si dovrà porre attenzione a mantenere la testa in posizione anatomica, assicurandosi che i capelli non restino impigliati nel dispositivo. Il paziente va quindi assicurato ad un asse lungo di sostegno, legando le cinture in maniera progressiva dal torace ai piedi; la testa andrà quindi immobilizzata per ultima, bloccandola lateralmente con gli appositi dispositivi oppure con coperte arrotolate. Quando disponibile, va infine somministrato ossigeno alla più elevata concentrazione possibile. Cap. 7 - TRAUMI DEL TORACE Le lesioni toraciche di più frequente riscontro sono le contusioni. Un violento colpo al torace può provocare la frattura delle strutture osteo-cartilaginee della cassa toracica, ovvero delle coste, dello sterno o delle cartilagini costali. La pressione si può inoltre ripercuotere sugli organi interni, danneggiando le vie respiratorie, i polmoni o il cuore. Frequenti ed importanti sono anche le ferite penetranti del torace: proiettili, coltelli, pezzi di metallo o di vetro, utensili e numerosi altri oggetti possono infatti penetrare nella parete toracica, danneggiando gli organi interni e la meccanica respiratoria. Lo schiacciamento consiste in una grave forma di contusione in cui il torace viene rapidamente compresso, come in caso di incidenti stradali, cadute dall’alto o intrappolamento da parte di oggetti pesanti. I danni alla cassa toracica e agli organi interni, cuore e polmoni, possono essere in questi casi molto gravi. Anche le lesioni toraciche possono essere classificate come aperte o chiuse. Si parla generalmente di ferita toracica aperta indicando che non solo la cute è stata lesionata, ma che l’intera parete toracica è stata perforata, sia da corpi estranei penetranti che da frammenti ossei costali. In caso contrario la lesione toracica viene definita chiusa. Anche queste lesioni, conseguenti a colpi o schiacciamenti, possono provocare gravi danni al cuore, ai polmoni o ai grandi vasi, quali contusioni e lacerazioni. In caso di ferita aperta è ovvio sospettare una lesione toracica, ma è anche in un trauma chiuso è importante valutare la presenza di dolore in corrispondenza del punto leso, la presenza di una respirazione difficoltosa e dolorosa, eventualmente con comparsa di segni di shock, la presenza di tosse con emissione di sangue rosso vivo, schiumoso, che indica una possibile lacerazione del polmone, la mancata espansione della parete toracica da un lato. Ferite toraciche aperte In caso di ferita a tutto spessore della parete toracica, l’oggetto che ha causato la ferita può rimanere conficcato nel torace, o la ferita può rimanere completamente aperta: in entrambi i casi la cavità toracica viene aperta all’aria atmosferica, compromettendo così la meccanica respiratoria di un intero polmone. Tutte le ferite toraciche penetranti vanno quindi affrontate come se mettessero a repentaglio la vita del paziente. Quando l’aria atmosferica penetra nella cavità toracica, si crea una condizione definita pneumotorace, il polmone collassa e perde la sua capacità di effettuare gli scambi respiratori. Il paziente sviluppa quindi rapidamente una grave dispnea, ovvero una difficoltà respiratoria, in quanto viene improvvisamente a mancare il 50 % della funzione respiratoria. Quando lo pneumotorace è causato da un oggetto penetrante, spesso è presente un concomitante danno al polmone, al cuore o ai grossi vasi sanguigni.. Questo tipo di lesione rappresenta quindi un’urgenza vera che richiede una cura iniziale immediata ed il trasporto al pronto soccorso nel tempo più breve possibile. Trattamento - In caso di pneumotorace aperto, si procede quindi secondo l’ABC della rianimazione, provvedendo in primo luogo a mantenere aperte le vie aeree e a fornire se necessario il supporto di base alle funzioni vitali. La ferita toracica va chiusa il più velocemente possibile, se necessario, utilizzando una mano protetta da un guanto. Si provvede poi ad applicare una medicazione occlusiva per sigillare la ferita: se possibile la medicazione occlusiva dovrebbe essere per lo meno 5cm più grande della ferita. Secondo il metodo più usato la medicazione occlusiva viene applicata lasciandone un angolo non sigillato per alleviare la pressione interna alla cavità toracica. In questo modo, quando il paziente inspira, la medicazione sigilla la ferita. Al momento dell’espirazione invece, l’angolo libero si comporta come una valvola permettendo all’aria rimasta rinchiusa nella cavità toracica di fuoriuscire. Quando è possibile, va poi somministrato ossigeno, e il paziente va trasportato in ospedale il più presto possibile, controllando ripetutamente che le vie aeree rimangano aperte. Una medicazione occlusiva può essere fatta molto semplicemente applicando sulla ferita un foglio di plastica di dimensioni adeguate, fissato su tre lati con dei cerotti. La pellicola di plastica utilizzata per gli usi domestici non è abbastanza spessa per una medicazione occlusiva efficace in caso di ferita toracica aperta. Se non esiste nessun altro mezzo per fare una medicazione occlusiva, si può utilizzare questa pellicola, piegandola però più volte finché raggiunga uno spessore appropriato: anche in questo caso però, potrà non funzionare. E’ possibile utilizzare invece un banale pezzo di plastica ritagliato da un sacchetto abbastanza spesso, anche se non sterile. Dopo aver applicato la medicazione valvola, il paziente va controllato ripetutamente nel tempo, in quanto l’angolo libero della medicazione può rimanere incollato al torace per la presenza di sangue, o la medicazione stessa può essere attirata nella ferita, bloccando il funzionamento della valvola. In questo caso, si crea la cosiddetta condizione di pneumotorace iperteso: se il polmone è stato lesionato, ad ogni respiro l’aria continuerà a fluire attraverso il polmone perforato nella cavità pleurica e, essendo stata applicata la medicazione sulla ferita toracica, non riuscirà poi ad uscire all’esterno. In questo modo aumenta rapidamente la pressione all’interno della cavità toracica e si compromette la meccanica respiratoria anche dalla parte del polmone sano controlaterale. Se dopo aver applicato una medicazione occlusiva ad una ferita toracica si vede che il paziente peggiora rapidamente, bisogna controllare la medicazione e sollevarne un angolo per permettere all’aria di fuoriuscire dalla cavità pleurica. In presenza di un oggetto conficcato nel torace, questo dovrebbe essere lasciato in sito. L’oggetto deve essere fissato con una medicazione voluminosa o dei tamponi per impedirne lo spostamento, e la medicazione dovrà essere mantenuta ferma con del cerotto o un bendaggio. Se l'infortunato viene "impalato" da un oggetto appuntito fisso al terreno, è meglio non estrarre l'oggetto, ma liberare il paziente segandolo o tagliandolo e portarlo in ospedale il più presto possibile. Sfilando l'oggetto penetrante, è molto facile aggravare le lesioni interne e provocare importanti sanguinamenti, spesso rapidamente mortali. Lesioni toraciche chiuse Le fratture costali generalmente derivano da un colpo o da una compressione. Le coste più esposte e quindi più facilmente danneggiabili sono quelle dal 5° al 10° paio. Una persona cosciente con coste fratturate generalmente è in grado di indicare il luogo esatto della lesione: il paziente si piega verso il lato leso e spesso tiene una mano sul punto della frattura. E’ tipico il dolore spontaneo sul punto della frattura, che aumenta durante i movimenti respiratori: per questo motivo, la respirazione è spesso superficiale. In caso di trauma toracico con possibili fratture costali, è bene immobilizzare il braccio del paziente dalla parte lesa contro il torace con un bendaggio: questo sere a ridurre i movimenti e quindi il dolore. In caso vi siano più coste fratturate in più punti, si crea una condizione di grave compromissione della meccanica respiratoria: si forma infatti un lembo toracico, che non si muove più con il resto del torace durante la respirazione. In questi casi, il soccorritore deve cercare di mantenere in sede il lembo toracico. Una volta localizzati i margini bisogna quindi applicare una spessa medicazione di garza sulla lesione: può essere utilizzato anche un piccolo lenzuolo ripiegato più volte, fino ad ottenere una medicazione spessa alcuni centimetri. La medicazione va quindi mantenuta in sede tramite cerotti robusti. Nel caso il cerotto non dovesse tenere, il paziente va sistemato sul lato leso, in modo da comprimere il lembo toracico e impedirne i movimenti. E’ bene ricordarsi che tutti i casi di lembo toracico rappresentano delle urgenze molto gravi, potenzialmente letali, e il paziente va quindi trasferito in ospedale il più presto possibile. Una forte contusione del torace è in grado di provocare gravi lesioni degli organi interni. A livello del polmone, è frequente la contusione dell'organo, con formazione di ematomi o possibili lacerazioni del tessuto. Ancora, specialmente per traumi diretti molto violenti (incidenti stradali, caduta dall'alto, schiacciamento da parte di macchinari…), si possono rompere i grossi vasi del torace o il cuore, con emorragie quasi sempre rapidamente mortali. Cap. 8 - TRAUMI DELL'ADDOME Anche le lesioni addominali possono essere distinte in aperte o chiuse, a seconda che sia interrotta o no l’integrità della parete. Trattamento Il trattamento d’urgenza delle ferite addominali aperte comprende in primo luogo il controllo dell’emorragia esterna e la medicazione di tutte le ferite aperte. Il paziente viene fatto sdraiare tenendolo con le gambe semipiegate in modo da rilassare la muscolatura addominale e ridurre il dolore, ed i segni vitali vanno monitorizzati per controllare l’insorgenza di un eventuale stato di shock. In caso vi siano organi eviscerati o esposti, non bisogna tentare di riportarli in sede. Va invece applicata una medicazione sterile imbevuta, se possibile, di soluzione fisiologica sterile. Questa medicazione va applicata direttamente sulla ferita prima di ogni altra medicazione occlusiva. Gli organi vanno quindi coperti con una medicazione occlusiva, eventualmente ottenuta da un telo di plastica, e mantenuti caldi ponendo dei telini o lenzuola o asciugamani sulla medicazione occlusiva, quindi non a contatto con i visceri. Eventuali oggetti conficcati non vanno rimossi, ma tenuti fermi con delle voluminose medicazioni mantenute in sede tramite bende. Il paziente va quindi trasportato in ospedale il più in fretta possibile. In caso di traumi addominali chiusi, il paziente va fatto sdraiare con la gambe piegate e va monitorizzato per controllare l’insorgenza di un eventuale stato di shock: è importante valutare polso, pressione e frequenza cardiaca. Bisogna inoltre stare pronti nel caso il paziente vomiti e assicurarsi che le vie aeree rimangano aperte. Il paziente va quindi trasportato in ospedale il più presto possibile. In tutti i casi di traumi e ferite addominali, è bene ricordare che non bisogna mai somministrare nulla per via orale al paziente, neanche acqua. Lesioni ai genitali Le lesioni ai genitali richiedono un esame attento e una cura fornita in modo strettamente professionale. Le emorragie vanno controllate tramite pressione diretta e vanno rispettate le regole generali previste per le ferite aperte. In caso sia necessaria una medicazione massiccia, è possibile utilizzare uno o più assorbenti igienici, e la medicazione va fissata con un bendaggio triangolare come se si trattasse di un pannolino. Il paziente va quindi trasportato in ospedale per le cure del caso. Cap. 9 - USTIONI L’esposizione localizzata a calore, freddo intenso ed alcune sostanze chimiche può creare dei danni più o meno gravi all’organismo. I danni fisici causati dalle ustioni interessano principalmente la cute, essendo questa a diretto contatto con l’ambiente esterno; spesso però, interessano anche le strutture sottocutanee, coinvolgendo muscoli, ossa, nervi e vasi sanguigni. Anche gli occhi possono essere lesi senza possibilità di guarigione. Le strutture del sistema respiratorio possono essere danneggiate gravemente, con ostruzione delle vie aeree dovuta all’edema (rigonfiamento) dei tessuti; per esposizione ed inalazione di fumi può comparire un’insufficienza respiratori più o meno grave, fino all’arresto respiratorio. Quando si cura un paziente che presenta ustioni, non bisogna limitarsi a considerare il danno imputabile direttamente all’ustione: quest’ultima, infatti, può essere la conseguenza di un problema medico o di un incidente. La valutazione del paziente , non deve quindi essere tralasciata per curare immediatamente le ustioni. Classificazione delle ustioni Le ustioni possono essere classificate in base all’agente causale, che può essere di tipo: - Termico , con lesioni dovute all’applicazione di calore eccessivo provocato da fiamme, vapori, liquidi bollenti, contatto con oggetti caldi o calore radiante. - Chimico , con lesioni dovute all’applicazione di acidi, basi e sostanze caustiche. - Elettrico , con lesioni dovuto all’applicazione di corrente elettrica alternata o continua o a folgorazione. - Luminoso , con ustioni generalmente interessanti gli occhi, causati da fonte di luce molto intensa o di luce ultravioletta. - Radioattivo, con ustioni da radiazioni derivanti da fonti nucleari. Per una suddivisione più specifica, oltre all’agente causale, è possibile fare riferimento anche alla fonte dell’ustione. E’ quindi bene raccogliere sempre informazioni osservando il luogo dell’incidente, ascoltando i presenti o attraverso il colloquio diretto con il paziente. A seconda della profondità, le ustioni che interessano la pelle possono essere classificate di 1°, 2° e 3° grado. L’ustione di 1° grado è una lesione superficiale che interessa solo l’epidermide. E’ caratterizzata da un arrossamento della pelle e, a volte, da un leggero gonfiore. Il paziente in genere lamenta dolore localizzato. L’ustione tende a guarire da sola, senza produrre cicatrici. Nell’ustione di 2° grado, il danno si estende fino al derma, lo strato più profondo della cute, ma l’ustione non raggiunge i tessuti sottostanti. Il paziente accusa un dolore intenso, con arrossamento notevole e comparsa di vesciche dovute alla liberazione da parte dei tessuti di plasma e di liquidi che si raccolgono in corrispondenza dello strato superiore della pelle. Quando curate in maniera adeguata, anche le ustioni di 2° grado guariscono completamente o lasciando un minimo danno cicatriziale. Nell’ustione di 3° grado, tutti gli strati della pelle sono danneggiati, con possibile estensione della lesione ai tessuti sottocutanei. Spesso, nella sede lesa, sono presenti aree carbonizzate e quindi scure, o aree bianche e secche. Il paziente riferisce generalmente un dolore intenso; tuttavia, se sono state danneggiate anche le terminazioni nervose, il dolore può mancare o essere molto ridotto. Le lesioni di 3° grado guariscono, però con cicatrici molto evidenti e spesso deformanti. Per determinare la gravità di un’ustione, bisogna considerare diversi fattori, quali la fonte dell’ustione, le regioni del corpo che sono state lese, il grado dell’ustione, l’entità della zona lesa, l’età del paziente o la presenza di altre malattie o di lesioni concomitanti. La fonte della lesione ed il tipo di agente ustionante possono essere significativi per quanto riguarda l’evoluzione della lesione: ad esempio, una lesione di lieve entità causata da una radiazione nucleare è molto più preoccupante di una dovuta ad una fonte termica. Le ustioni da sostanze chimiche sono invece particolarmente importanti in quanto l’agente può rimanere adeso alla pelle e proseguire l’azione lesiva per diverso tempo. Per quanto riguarda la regione corporea colpita, qualsiasi ustione al volto è da considerarsi molto preoccupante, dal momento che può provocare una lesione alle vie aeree o agli occhi. Le mani e i piedi sono altre zone da considerare in maniera speciale, in quanto la formazione di cicatrici può determinare la perdita del movimento delle dita. In caso di lesioni interessanti l’inguine, le natiche e le cosce nella parte mediale, la possibilità di infezione batterica costituisce spesso un problema più grave del danno iniziale subito dal tessuto. Ancora, attenzione particolare va prestata in caso di ustioni circonferenziale interessanti il tronco o un aro: in alcuni casi si può interrompere la circolazione nei tessuti distali rispetto alla parte colpita. Anche il grado dell’ustione è importante nel determinarne la gravità. E’ bene ricordare che nelle ustioni di 2° e 3° grado è sempre presente la possibilità di infezione per i tessuti esposti, con quadri settici localizzati o diffusi all’organismo. L’estensione dell’area ustionata può essere calcolata velocemente, in maniera approssimativa, utilizzando la cosiddetta “regola del 9”. La testa e gli arti superiori vengono considerati ognuno come rappresentante circa il 9% della superficie corporea; il torace, l’addome e gli arti inferiori, come rappresentanti ognuno il 18% della superficie corporea. In questo modo si raggiunge il 99% della superficie corporea: il rimanente 1% è attribuito alla regione genitale. In caso di ustione, l’età costituisce un fattore importante. I neonati ed i bambini sotto i 5 anni, insieme agli adulti sopra i 60 anni, reagiscono in maniera più grave all’ustione, cosicché una lesione che, per intensità e zona lesa, può essere considerata modesta per un giovane adulto, rischia di essere fatale per un neonato o per un anziano. Anche la presenza di malattie concomitanti può aggravare il quadro clinico: ad esempio, i pazienti con malattie respiratorie sono molto più sensibili all’inalazione di vapori caldi o di sostanze chimiche. Le ustioni possono quindi essere classificate in base ai suddetti parametri, secondo la loro gravità, così da determinare l’ordine di intervento ed il tipo di cura. Per ustioni critiche si intendono: - Le ustioni complicate da lesioni del tratto respiratorio, da altre lesioni ai tessuti molli e alle ossa. - Le ustiono di 2° e 3° grado che coinvolgono il volto, le mani, i piedi, l’inguine e le articolazioni principali. - Le lesioni di 3° grado che interessano più del 10% della superficie corporea. - Le lesioni di 2° grado che coinvolgono più del 30% della superficie corporea. - Le ustioni di 1° grado che si estendono per più del 75% della superficie corporea. Per ustioni di media gravità si intendono: - Le ustioni di 3° grado che coinvolgono meno del 10% della superficie corporea, escluso il volto, le mani, i piedi, l’inguine e le articolazioni principali. - Le ustioni di 2° grado che coinvolgono dal 15% al 30% della superficie corporea. - Le ustioni di 1° grado che coinvolgono dal 20% al 75% della superficie corporea. Le ustioni lievi infine comprendono: - le ustioni di 3° grado che coinvolgono meno del 2% della superficie corporea, escluso il volto, le mani, i piedi, l’inguine e le articolazioni principali. - Le ustioni di 2° grado che interessano meno del 15% della superficie corporea. - Le ustioni di 1° grado che si estendono su meno del 20% della superficie corporea. Terapia d’urgenza per le ustioni Molte lesioni ed urgenze mediche vanno curate prima delle ustioni. L’ostruzione delle vie aeree, le gravi difficoltà respiratorie, l’arresto respiratorio e/o cardiaco, le emorragie gravi, lo shock, le lesioni della colonna vertebrale, le lesioni craniche gravi, le ferite toraciche aperte e le ferite addominali aperte sono prioritarie rispetto alle ustioni. L’unico tipo di ustione che viene considerata un’urgenza ad alta priorità, è quella che interessa il tratto respiratorio. Nel caso il paziente presenti lesioni che possono essere classificate come critiche, è necessario il trasporto immediato. Dal momento che l’età può costituire un fattore importante, il trasporto immediato viene generalmente raccomandato anche per qualsiasi bambino o persona anziana, che presenti ustioni profonde o estese di 2° e di 3° grado. A - Trattamento delle ustioni termiche Le ustioni termiche sono solitamente causate dal contatto con liquidi bollenti, vapore, oggetti caldi, fiamme, liquidi e gas infiammabili: è compito del soccorritore valutare e trattare correttamente le ustioni fino al momento del trasferimento in ospedale del paziente. Non bisogna mai applicare unguenti, spray o sostanze grasse (es. burro o olio) sulle lesioni, né tantomeno va mai applicato il ghiaccio. Per prima cosa, bisogna allontanare la fonte dell’ustione. In caso di fuoco, le fiamme vanno bagnate o soffocate e gli abiti bruciacchiati vanno allontanati. In caso di ustioni da catrame, invece, la zona va raffreddata con acqua, fino al termine dell’azione ustionante; il catrame non va assolutamente rimosso. Viene poi fatta la valutazione primaria del paziente secondo l’ABC del pronto soccorso. Nella valutazione delle vie aeree, è bene osservare l’eventuale presenza di ustioni al volto, di peli del naso bruciati o di fuliggine in bocca, che possono far pensare ad un coinvolgimento delle vie aeree. Si esegue quindi il primo controllo di routine, facendo attenzione ai possibili traumi associati, che vanno però trattati come se l’ustione non esistesse. Durante la valutazione secondaria va quindi determinata la profondità e la percentuale della superficie corporea lesa, secondo la regola del 9. Per poter valutare l’ustione in modo corretto, è bene allontanare tutti gli oggetti e gli abiti. Il paziente con ustioni estese, va quindi avvolto in telini sterili o, se non disponibili, in un lenzuolo pulito e asciutto. Quando l’area ustionata è piccola, inferiore al 9% della superficie corporea, è possibile applicare delle medicazioni umide per dare sollievo al paziente, bagnando garza e telini sterili con soluzione fisiologica. Anche le ustioni da catrame, dopo aver fatto raffreddare la sostanza ustionante, vanno coperte con una medicazione asciutta. Il paziente va quindi trasportato al più presto possibile in ospedale, continuando a mantenerlo al caldo e a monitorizzarne i parametri vitali. E’ bene ricordarsi di non somministrare al paziente con lesioni superiori al 20% della superficie corporea alcun liquido, neanche acqua, per via orale; inoltre, non bisogna mai porre del ghiaccio su nessuna ustione. B - Trattamento delle ustioni chimiche In caso di contatto con sostanze chimiche, bisogna sempre considerare che la zona dove è avvenuto l’incidente può essere pericolosa: bisogna quindi esaminare con attenzione il posto, valutando l’eventuale presenza di pozze di sostanze chimiche pericolose o di esalazioni tossiche. Le ustioni chimiche richiedono un trattamento immediato. Per prima cosa bisogna detergere la sostanza chimica utilizzando acqua corrente. Non è sufficiente inumidire a parte lesa: è necessario invece un flusso continuo di acqua sull’area colpita, con un getto abbondante, ma non troppo violento, per non danneggiare i tessuti ustionati. L’area lesa va detersa per diversi minuti, secondo il protocollo più diffuso almeno per 20 minuti, eliminando nel contempo gli abiti contaminati, le scarpe, le calze e i gioielli solo dopo averli ben lavati. Durante il lavaggio è bene che anche il soccorritore sia prudente, indossando guanti di gomma o di lattice ed evitando di schizzarsi con la sostanza ustionante. Dopo aver pulito le zone ustionate, va quindi applicata una medicazione sterile o un lenzuolo asciutto e pulito, ed il paziente va trasportato il più presto possibile. Se è possibile, bisogna cercare di individuare la sostanza chimica responsabile, o la miscela di sostanze che hanno provocato l’incidente. Nel caso il ferito lamenti un bruciore o un’irritazione crescente bisogna lavare le zone ustionate ancora una volta, utilizzando acqua corrente e continuando per parecchi minuti; in quanto diverse sostanze, tra cui l’acido cloridrico e l’acido solforico, possono proseguire nell’azione ustionante anche per diverso tempo dopo il primo lavaggio. Esistono alcune situazioni particolari: - se l’agente ustionante è calce secca, non bisogna assolutamente sciacquare la sede dell’ustione con acqua, perché si formerebbe un liquido fortemente corrosivo. La calce secca va spazzolata via dalla pelle, dai capelli e dall’abbigliamento del paziente, assicurandosi di non contaminare gli occhi e le vie aeree. Il lavaggio con acqua va effettuato con la consueta maniera solo dopo aver eliminato la calce dal corpo e aver rimosso gli abiti e gli effetti personali contaminati. - Il fenolo non si pulisce con acqua: se possibile va utilizzato dell’alcool per il lavaggio iniziale sulla pelle sana, seguito solo in un secondo tempo da un lavaggio abbondante e prolungato con acqua. - L’acido solforico concentrato produce calore quando viene a contatto con l’acqua; questa situazione, tuttavia, è meno grave del lasciare l’agente contaminante sulla pelle. Un lavaggio iniziale con una soluzione leggermente saponosa può essere utile nel caso le ustioni siano lievi o di media entità. - L’acido fluoridrico viene utilizzato per incidere il vetro e per numerosi altri processi dell’industria manifatturiera. Dal momento che le ustioni possono apparire in un secondo tempo, vanno trattati adeguatamente tutti i pazienti che sono entrati in contatto con questa sostanza chimica. Per prima cosa, se disponibile, si utilizza una soluzione di bicarbonato di sodio per neutralizzare l’acido, quindi si può procedere al lavaggio con acqua. - Ogni volta che il paziente è stato esposto ad una sostanza caustica e può averne inalato i vapori, è bene procedere al trasporto urgente in ospedale, per la possibile comparsa di lesioni alle vie respiratorie. Ustioni chimiche agli occhi Un agente chimico corrosivo è in grado di ustionare il globo oculare di una persona prima che questi possa avvertire il pericolo e chiudere la palpebra. Anche se la palpebra viene chiusa, la sostanza chimica può inoltre infiltrarsi e raggiungere comunque il globo oculare. In caso di contatto con sostanze chimiche, gli occhi vanno immediatamente sciacquati con acqua. Spesso la lesione può comprendere altre aree del volto: in questo caso, va sciacquata l’intera zona, evitando di far penetrare nuovamente la sostanza chimica nell’occhio già colpito o in quello sano. Bisogna quindi continuare a detergere l’occhio leso con acqua, facendo scorrere il getto a bassa pressione a partire dall’angolo nasale dell’occhio per uscire da quello laterale. Per il lavaggio può essere utilizzata anche solo acqua del rubinetto o, quando disponibile, soluzione fisiologica. Il lavaggio va continuato per almeno 20 minuti o, se possibile, fino all’arrivo in ospedale. Alla fine del lavaggio, entrambi gli occhi vanno coperti con tamponi inumiditi; nel caso il paziente riferisca nuovamente senso di bruciore o irritazione all’occhio, bisogna provvedere ad eseguire il lavaggio per altri 5-10 minuti. In caso di lesioni agli occhi, non bisogna mai ricorrere ad agenti neutralizzanti quali l’aceto o il bicarbonato di sodio, ma utilizzare soltanto acqua per il lavaggio. C - Inalazione di fumi L’inalazione di fumi costituisce un grave problema associato alle ustioni termiche e chimiche. Le sostanze tossiche che si liberano durante la combustione della plastica o di altre sostanze sintetiche, possono provocare, oltre ad ustioni cutanee, lesioni oculari e delle vie aeree, fino all’arresto respiratorio e cardiaco. Mentre le irritazioni della pelle e degli occhi possono essere curate con un semplice lavaggio con acqua, la priorità spetta alle vie aeree. In caso di inalazioni di fumo o di gas tossici, il paziente va quindi trasportato immediatamente in una zona sicura. Va poi effettuato il primo controllo e, se necessario, si inizia il supporto delle funzioni vitali, somministrando, se possibile, ossigeno ad elevata concentrazione. Il paziente va quindi monitorizzato e trasportato il più presto possibile in ambiente ospedaliero. Le reazioni dell’organismo a gas tossici o a sostanze estranee nelle vie aeree possono spesso essere ritardate: tutti i pazienti che hanno inalato fumi devono quindi essere sottoposti ad un controllo medico in tempi brevi. Cap. 10 - LESIONI DOVUTE ALL’ELETTRICITÀ Il luogo in cui si verifica un incidente dovuto all’elettricità è spesso molto pericoloso. Se la fonte dell’elettricità è ancora attiva, è meglio non tentare di soccorrere il paziente a meno che non si sia addestrati in modo specifico e non si disponga dell’attrezzatura e del personale necessario. La corrente elettrica, compresi i lampi, può causare un danno notevole. La pelle viene ustionata nel punto in cui l’energia penetra nell’organismo e in quello in cui fuoriesce scaricandosi al suolo. Lungo il percorso di questo flusso elettrico, i tessuti vengono danneggiati a causa del calore; avvengono inoltre dei cambiamenti chimici importanti ed alcune reazioni vengono alterate o completamente arrestate dall’elettricità. La vittima di una folgorazione può quindi presentare diversi sintomi, tra cui ustioni nei punti di entrata e di uscita dell’energia elettrica nell’organismo, alterazioni del sistema nervoso, che si possono manifestare con la paralisi, spasmi muscolari, difficoltà o arresto respiratorio, irregolarità del ritmo cardiaco o arresto cardiaco, danni muscolo-scheletrici dovuti a gravi contrazioni muscolari o a cadute. Nel trattamento delle lesioni da elettricità, la prima cosa da fare è quindi assicurarsi che il paziente e il soccorritore si trovino in una zona sicura. Vanno quindi disostruite le vie aeree e va iniziato, se si riscontra l'arresto cardiaco, il supporto dell’attività cardio-circolatoria. Vanno poi valutate le eventuali lesioni muscolo-scheletriche alla colonna vertebrale, al capo e le fratture gravi. Le ustioni vanno trattate considerando per lo meno i due siti esterni in cui ha agito la scarica elettrica, ovvero quello di ingresso e quello di uscita: le zone ustionate vanno raffreddate e vanno rimossi i brandelli di vestiti, dopo di che, come nelle ustioni da fuoco, vanno applicate medicazioni sterili asciutte. Il paziente va quindi trasportato il più presto possibile, per la possibile insorgenza di complicanze gravi: il problema principale, in questi soggetti, non è infatti generalmente costituito dalle ustioni, ma dall’arresto cardiaco e respiratorio che rappresentano rischi assai concreti. Cap. 11 - LE URGENZE AMBIENTALI A - Urgenze dovute al calore eccessivo Le attività chimiche dell’organismo avvengono nell’ambito di variazioni termiche limitate; non possono verificarsi, cioè, con l’efficienza necessaria se la temperatura corporea è troppo alta o troppo bassa. Il calore in eccesso, che non serve per il mantenimento della temperatura, deve essere disperso, altrimenti si crea una situazione di ipertermia, cioè una temperatura corporea troppo alta. Il calore corporeo viene normalmente disperso attraverso i polmoni, con la respirazione, e attraverso la pelle, sia per irraggiamento e conduzione, sia tramite l’evaporazione del sudore. Dal momento che, in ambiente umido, la perdita di calore tramite evaporazione è fortemente ridotta, il caldo umido può produrre variazioni drammatiche della temperatura corporea nell’arco di un periodo molto breve. Tuttavia, il caldo umido spossa i soggetti molto velocemente, impedendo loro di fare sforzi eccessivi e peggiorando così la situazione. Il caldo secco spesso inganna. Le persone continuano a lavorare o comunque rimangono esposte al calore per un tempo eccessivo, superando il punto massimo di tollerabilità: questo è il motivo per cui si trovano spesso problemi più gravi a causa dell’esposizione al caldo secco che non per quella al caldo umido. Crampi da calore Si tratta di forti crampi muscolari, generalmente alle gambe, alle braccia e all’addome, accompagnati da spossatezza e sintomi di malore. La temperatura non necessariamente è molto superiore a quella normale. Il soggetto suda molto e spesso beve grandi quantità di acqua, ma con la sudorazione perde una grande quantità di sali minerali, il che porta all’insorgenza dei crampi muscolari. Il paziente va immediatamente spostato in un luogo fresco, e gli va somministrata per bocca una soluzione salina reidratante: in mancanza di meglio può essere sufficiente fargli bere abbondante acqua con un po’ di sale. E’ utile massaggiare i muscoli colpiti da crampi e applicare su di essi e sulla testa del paziente impacchi umidi, quali fazzoletti o garze bagnate con acqua fredda. Se i crampi persistono o se si sviluppano sintomi o segni più gravi, il paziente va trasportato in pronto soccorso. Collasso da calore Il tipico soggetto colpito da collasso da calore, è un individuo sano che si è esposto ad un calore eccessivo durante il lavoro, o ad uno sforzo eccessivo: ciò provoca una perdita massiccia di liquidi e sali. Il collasso da calore è più frequente durante l’estate e raggiunge l’apice nei periodi di grande caldo, colpendo soprattutto soggetti che fanno lavori pesanti in ambienti scarsamente aerati. Il paziente presenta una respirazione rapida e superficiale, il polso rapido, la cute fredda e sudata, una debolezza generalizzata e vertigini, talvolta con perdita di coscienza. Il paziente va spostato in luogo fresco e mantenuto a riposo; va quindi spogliato e ventilato per favorire l’evaporazione del sudore e quindi il raffreddamento cutaneo. Se è cosciente, gli va somministrata acqua salata o una soluzione salina reidratante. Se invece è privo di coscienza, non bisogna cercare di somministrargli liquidi per bocca, ma va trasportato il più velocemente possibile in ospedale. Colpo di calore Si tratta di un’urgenza reale, causata da una lesione dei meccanismi di regolazione della temperatura corporea, per cui il corpo non riesce più a dissipare il calore in eccesso. Il problema si fa più grave qualora il paziente cessi di sudare in conseguenza alla perdita di liquidi e sali causata dal calore. La respirazione è profonda inizialmente, poi tende a diventare più superficiale; il polso, sempre rapido, tende ad indebolirsi; la pelle appare asciutta e molto calda; sovente vi è perdita di coscienza, con rischio di arrivare ad uno stato di coma; a volte vi sono spasmi muscolari importanti o addirittura convulsioni. Il paziente va immediatamente allontanato dal sole o dalla fonte di calore e raffreddato rapidamente in qualsiasi modo. Gli abiti vanno rimossi ed il paziente va avvolto in asciugamani o lenzuola umide, su cui va versata abbondante acqua fredda. La temperatura corporea deve essere abbassata velocemente per evitare danni irreversibili alle cellule cerebrali. E’ utile disporre eventuali borse del ghiaccio nei punti in cui le arterie decorrono superficialmente, ovvero sotto le ascelle, sotto le ginocchia, ai polsi, alle caviglie e ai lati del collo. Il paziente va quindi trasportato il più rapidamente possibile tenendo sotto costante controllo i segni vitali. Nel caso in cui il trasporto dovesse essere ritardato, si può immergere il paziente nell’acqua fredda per consentire l’ulteriore raffreddamento corporeo. B - Urgenze dovute al freddo eccessivo Congelamento Le lesioni che derivano da un raffreddamento localizzato che interessa regioni limitate del corpo vengono indicate con il termine di congelamento. Le zone più comunemente colpite sono le estremità degli arti, le orecchie e il naso. Quando una di queste zone è esposta ad un ambiente particolarmente freddo, la circolazione si riduce in seguito alla costrizione dei vasi sanguigni: i tessuti non ricevono quindi abbastanza sangue ( e calore) per impedire il congelamento. E’ possibile che all’interno dei tessuti si formino dei cristalli di ghiaccio, e nei casi più gravi può subentrare la morte delle cellule con la distruzione dei tessuti. Congelamento di 1° grado E’ il primo grado di congelamento, causato dal contatto diretto con un oggetto freddo, o dall’esposizione di una parte del corpo ad aria o acqua fredda. Il danno dei tessuti è lieve e limitato ai tessuti superficiali. L’insorgenza solitamente è lenta e si manifesta con una variazione del colore della pelle, che inizialmente si arrossa per poi schiarire fino a diventare quasi bianca, e con insensibilità cutanea della zona colpita. Il trattamento consiste semplicemente nel riscaldare la zona colpita. Durante la fase di riscaldamento, è normale che il paziente avverta sensazioni di formicolio o di bruciore nella zona lesa, senza peraltro ulteriori conseguenze. Congelamento di 2° grado, o superficiale In questi casi la lesione interessa la cute e gli strati sottocutanei. La pelle appare bianca e rigida, congelata, mentre i tessuti sottostanti sono invece ancora morbidi e mantengono la normale elasticità. La sensibilità è solitamente persa nella zona lesa. Congelamento di 3° grado, o profondo In questo caso, vengono colpiti la cute, gli strati sottocutanei ed eventualmente anche le strutture più profonde del corpo, fino a muscoli ed ossa. La pelle si presenta chiazzata biancogrigiastra, ed i tessuti sembreranno congelati e rigidi alla palpazione, senza alcuna elasticità. Il trattamento iniziale per il congelamento di 2° e 3° grado è analogo e deve essere praticato, quando possibile, da personale medico in un ambiente attrezzato: il paziente va quindi immediatamente trasferito in ospedale proteggendo la zona congelata e coprendo la sede della lesione con molta delicatezza. Se il trasporto deve essere ritardato, il paziente va mantenuto coperto e al caldo, senza consentirgli di fumare né di assumere bevande alcoliche. Se non è possibile l’intervento medico, la zona colpita va riscaldata lentamente. La parte lesa va preparata togliendo completamente abiti e gioielli. Va quindi immersa completamente in un contenitore pieno di acqua riscaldata a 37-40°: è importante che la temperatura dell’acqua non superi questi valori. Per evitare ulteriori lesioni, la zona colpita da congelamento non deve assolutamente toccare i lati o il fondo del contenitore in cui viene immersa per essere riscaldata, né va esercitata alcuna pressione sulla zona colpita. Mentre la zona si riscalda, il paziente accuserà dolore che può essere talvolta molto intenso. Una volta completato il riscaldamento la parte, che non appare più congelata, diventa rossa o bluastra; la cute va asciugata delicatamente e va applicata una medicazione sterile, ponendo delle garze tra le dita prima di medicare le mani o i piedi. E’ importante non lasciare che vi sia alcun contatto diretto con la sede della lesione né esercitare alcuna pressione su di essa. Il paziente va mantenuto a riposo, senza consentirgli di camminare nel caso la parte colpita sia un arto inferiore. E’ bene tenere al caldo tutto il corpo del paziente e provvedere al trasporto il più presto possibile, mantenendo l’arto colpito leggermente sollevato. E’ importante non farsi influenzare dai presenti e non dare credito a consuetudini e tradizioni popolari: la zona congelata non va mai sottoposta a sfregamento né va applicata neve sulla zona colpita, in quanto si potrebbero danneggiare in maniera più grave i tessuti già lesionati. Ipotermia Il raffreddamento generale che interessa l’intero organismo viene definito ipotermia o assideramento. Il quadro dell’ipotermia è caratterizzato, nelle fasi iniziali, dalla presenza di brividi; subentra poi una sensazione di intorpidimento e di sonnolenza con un ridotto livello di coscienza; la respirazione ed il ritmo cardiaco rallentano, e il paziente ha spesso difficoltà a coordinare i movimenti. Nei casi estremi subentra poi la perdita di coscienza e quindi la morte. In caso di ipotermia lieve con temperatura corporea mantenuta sopra i 30-32°, si può provvedere al riscaldamento del paziente sul posto o durante il tragitto fino in ospedale. Il paziente va mantenuto asciutto, avvolto in coperte. Per elevare la temperatura corporea bisogna utilizzare una sorgente di calore esterna, che può essere rappresentata da borse d’acqua calda, coperte elettriche, fonti di aria calda, se necessario dal calore corporeo dei soccorritori stessi. Il paziente non va mai riscaldato troppo velocemente, in quanto la circolazione del sangue freddo che ristagna nelle zone periferiche può raffreddare nuovamente le zone centrali del corpo, con la possibilità di provocare gravi problemi del ritmo cardiaco, quali la fibrillazione ventricolare. Il riscaldamento va effettuato a partire dal tronco, dalle ascelle e dall’inguine, evitando di riscaldare per primi gli arti: questo porterebbe ad una importante vasodilatazione nelle estremità, con conseguente quadro di shock ipovolemico. Il paziente va mantenuto a riposo senza permettergli di camminare né di svolgere attività fisica. Se il paziente è cosciente, possono essere somministrati per bocca dei liquidi caldi, molto lentamente. Il soggetto va quindi trasportato in ospedale, mantenendone il capo in posizione più bassa rispetto ai piedi e monitorizzando i segni vitali. In caso di ipotermia grave, sotto i 30°c , è estremamente rischioso effettuare il riscaldamento del paziente in una struttura non attrezzata per la rianimazione: anche riscaldando il paziente lentamente, è frequente l’insorgenza di una fibrillazione ventricolare letale. Il soggetto si trova quasi sempre privo di conoscenza, con un forte rallentamento delle funzioni vitali: è bene quindi cominciare subito una rianimazione cardio-polmonare adeguata. Il soggetto va quindi avvolto in coperte, se possibile di tipo isolante, e trasportato immediatamente in ospedale, assicurandosi che le vie aeree siano pervie e tenendolo posizionato con la testa più in basso rispetto al resto del corpo.