Il Mediterraneo che vorremmo

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Il Mediterraneo che vorremmo
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Il Mediterraneo
che vorremmo
di Ezio Ferrante
I
Gli scenari geopolitici: la Siria
Innanzitutto le “primavere arabe”, le primavere
che non fioriscono, non hanno affatto portato a
una democratizzazione dell’area, come si era sperato in un primo momento (tranne che in Tunisia), anzi hanno posto, spesso drammaticamente,
la questione degli assetti istituzionali interni (in
un delicatissimo equilibrio tra politica e religione,
che non sempre si è riusciti a trovare), nonché della stessa convivenza civile in molti Paesi mediterranei. Quindi la feroce guerra civile in Siria, lo
scontro epocale tra due confessioni islamiche, gli
sciiti e i sunniti, che si avvia al suo quinto anno
(formalmente la si fa iniziare infatti dalla rivolta
antigovernativa del 15 marzo 2011), è diventata,
di anno in anno, sempre più violenta.
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Oltre 215.000 le sue vittime (di cui almeno
70.000 civili) solo nei
primi quattro anni di
guerra, secondo l’Osservatorio Siriano per i diritti umani e ben 11,7
milioni i profughi su
una popolazione iniziale di 23 milioni, cioè
più della metà, secondo
l’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per
i Rifugiati. La guerra civile siriana è ormai una ’guerra totale’ in un Paese
in ginocchio che, in termini geopolitici, rappresenta un puzzle di difficilissima soluzione, in cui
ciascuno degli attori in gioco combatte la “propria” guerra con diverse finalità.
L’epicentro critico è il regime alawita (una variante della confessione “sciita”) di Bashar al-Assad, da
un lato, sostenuto dall’Iran sciita e dagli Hezbollah libanesi e, più recentemente, anche dalla Russia con una vigorosa campagna area dalle basi aeree in Siria e missilistica, dai sottomarini con la
stella rossa, dal Caspio e dal Mediterraneo.
Dall’altro osteggiato dai ribelli antigovernativi, divisi tra i cosiddetti ‘moderati’ dell’Esercito libero
siriano, che hanno pur goduto le simpatie dell’Occidente e gli estremisti del Fronte al-Nursa, legati
ai terroristi jihadisti (supportati in vari modi da
paesi “sunniti” come Arabia Saudita e Turchia).
In un tale contesto, caotico e magmatico, grazie al
controllo esercitato progressivamente dalle proprie
milizie su alcune aree dell’Iraq nord-occidentale e
Come il Mediterraneo
dei nostri giorni si presenti
paradossalmente diviso
tra gravi sfide alla
sicurezza e straordinarie
opportunità economiche
l Medio Oriente e la
Libia sono in fiamme e i bagliori dell’incendio si riverberano pericolosamente sul
Mediterraneo, alle porte di casa nostra. Nel
corso dell’ultimo anno
il Mediterraneo è tornato infatti al centro dell’attenzione internazionale, non solo per le
straordinarie opportunità economiche che,
pur nelle contingenze del momento, sembra offrire, ma soprattutto per tutta una serie di inquietanti scenari geopolitici che pongono serie sfide alla
nostra sicurezza.
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La “nuova pace di Vestfalia per il Mediterraneo globale” volenterosamente auspicata dal ministro Gentiloni (nella foto)
sarà piuttosto difficile da raggiungere
(con mezzi incruenti, s’intende) visto
il sempre continuo rialzo della tensione. In apertura, un’immagine che ci fa
rimpiangere i nostri mari anche se, a
ben vedere, i periodi di pace idilliaca
sono sempre stati piuttosto rari
della Siria orientale, il 29 giugno 2014 il terrorista iracheno
Ab Bakr al-Baghd d si è autoproclamato ‘Califfo’ dell’ISIS (il
sedicente Stato islamico dell’Iraq e della Siria ovvero DAESH,
adattamento inglese degli acronimi arabi), novant’anni dopo la fine storica del
Califfato della Sublime Porta ad opera di Kemal Atatürk, fondatore della moderna Repubblica turca. Il
caos siriano e il default delle forze armate irachene
hanno prodotto così un embrione di stato-canaglia,
autofinanziato dalla vendita di reperti archeologici
e dal contrabbando del petrolio (con svariate complicità internazionali, dirette o indirette). L’ISIS si è
connotato sanguinosamente per le “tattica dell’orrore” sul campo e la ‘strategia della paura’ a distanza contro ogni ‘diritto delle genti’ (senza nemmeno
parlare degli specifici istituti del diritto umanitario
dei conflitti armati, oltraggiosamente e dolosamente vilipesi). Di qui, per contrastare l’avanzata degli
jihadisti dello Stato islamico, l’intervento della comunità internazionale con la Coalizione dei Sessanta a guida americana e la campagna aerea all’uopo
intrapresa che però, di per sé, come tutte le campagne condotte solo dall’aria senza “scarponi sul terreno”, non ha prodotto sinora esiti risolutivi, mentre sul campo si battono strenuamente i peshmerga
curdi, invisi però alla Turchia e all’Arabia saudita.
E sulla stampa c’è anche chi ha parlato dell’ISIS
addirittura come di “un mostro provvidenziale”
nel senso che, dopo i fatti della Crimea e dell’Ucraina, è riuscito a far parlare di nuovo tra loro
Washington e Mosca, d’accordo per promuovere
una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite per colpire finanze e finanziatori
del sedicente Stato islamico, che ne hanno sinora
permesso l’avanzata e la crescita.
La Libia
Tanto più che, con la proclamazione dell’emirato
di Sirte, le metastasi del cancro chiamato Isis-
Daesh si diffondono pericolosamente anche in Libia, un altro Paese allo sbando, dilaniato da lotte
intestine e da guerre per bande.
Al riguardo, l’iniziativa promossa dalle Nazioni
Unite, con la missione dell’inviato Bernardino
León, non è riuscita sinora a strappare nemmeno
uno straccio di intesa tra i due Governi libici, quello
di Tripoli, di cui fa parte anche la Fratellanza musulmana e quello di Tobruk, riconosciuto da una
parte della comunità internazionale.
“La Libia è la porta per arrivare fino a Roma”. Questa
è la minaccia jihadista che corre su twitter, insieme a una serie di immagini che mostrano la nostra Capitale in fiamme sovrastata da una mappa
della Libia e dal vessillo nerocerchiato del Califfato. “Le armi degli ottomani sono state lanciate e hanno accerchiato Roma dopo avere conquistato la Libia a
sud dell’Italia. Chi vuole prendere Roma e l’Andalusia
deve cominciare dalla Libia”. Minacce di sapore medioevale che tutt’al più richiamano antichi ‘scontri di civiltà’, ormai dimenticati, di cui pur è stata
intessuta per secoli la storia mediterranea.
Senza contare che, dietro la Libia, si combattono
attualmente, in un’Africa ormai fuori controllo,
ben sette guerre (in Costa d’Avorio, Repubblica
Centrafricana, Mali, Nigeria settentrionale, Repubblica Democratica del Congo, Sudan del Sud e Burundi). E il “disordine della terra” finisce per riflettersi inevitabilmente anche sul mare, con i flussi
inarrestabili di migranti e le loro infinite tragedie.
Fino a quando dovremo assistere pressoché impotenti, nonostante il forte impegno nazionale e internazionale in tema di ricerca e soccorso in mare,
alla ‘strage silenziosa’ dei migranti nel tentativo di
raggiungere le coste europee (oltre 3.200 morti nel
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Gli illusi e i violenti che per un malinteso senso di religiosità o di credo accorrono sotto le lugubri insegne del “califfato”(magari dopo
una conversione all’Islam di pochi mesi) non si rendono conto di essere le spendibilissime pedine di un gioco cruento
2015, con più di settecento bambini, secondo la
denuncia della Fondazione Migrantes). Non è certo questo “il Mediterraneo che vorremmo”!
Ragion per cui gli occhi di tutti, al momento in cui
redigiamo le presenti note, sono fissi sugli importanti appuntamenti di alta diplomazia che si tengono, rispettivamente, a Roma e a Vienna. A Roma
con i “Dialoghi mediterranei”, per ricordare come
la risposta militare non sia l’unico strumento per
risolvere le crisi in corso e, quindi, il summit sulla
Libia, presieduto dall’Italia.
Da un lato ci si propone di imprimere un impulso
alle trattative in corso da parte del nuovo negoziatore delle Nazione Unite, Martin Kobler, alla ricerca
di un accordo almeno tra le principali parti in lotta,
pur nel caos generale imperante nel Paese mentre,
dall’altro, ci si interroga su come frenare l’espansione della testa di ponte dell’ISIS a Sirte, valutando,
nel contempo, quali possano essere le implicazioni
per la sicurezza per l’Italia e per l’Europa.
A Vienna invece, anche sull’onda lunga della ritrovata intesa operativa Obama - Putin, continua
con nuovo abbrivio il processo di mediazione in
corso, inteso a trovare una transizione politica a
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Damasco verso un Governo di unità nazionale,
con relativo ‘cessate il fuoco’ ed elezioni sotto il
controllo delle Nazioni Unite.
Un accordo invero indispensabile per far cessare il
massacro in atto, ma non certo di facile e immediata soluzione, data l’eterogeneità degli attori
geopolitici contrapposti. “Una nuova pace di Vestfalia per il Mediterraneo globale” dunque, per servirci
delle parole dello stesso ministro degli Esteri Paolo
Gentiloni, con palese riferimento a quella Pace
che, nel lontano 1648, pose termine a un trentennio di sanguinose guerre in Europa.
Una pace che ponga le premesse di un nuovo ordine regionale, con la sconfitta (e non il semplice
contenimento) di Daesh, l’avvio di una transizione politica in Siria e la nascita di un Governo di
concordia nazionale in Libia.
Gli scenari geoeconomici:
la Blue Economy
E di pace, come condizione ineludibile per la sua
prosperità, ha bisogno il “Mediterraneo che vorremmo”. Una pace che permetta di sviluppare
quel trend positivo di ripresa economica già in at-
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Coloro che si ritengono le guide del sedicente “califfato” e si vantano di costituirne l’“intellighenzia” ricorrono alle forme più estreme
di iconoclastia distruggendo monumenti e opere d’arte; nell’immagine, dietro al farneticante portavoce, un Lamassù, spirito benefico
mesopotamico in forma di uomo – toro alato posto a protezione dei palazzi, danneggiato dalla furia dei vandali
to, pur nella cornice geopolitica così fosca che abbiamo tratteggiato.
I dati della Blue Economy, l’economia del mare, sono infatti in forte crescita, secondo quanto rappresentato dal recente Rapporto “Le Relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo”, stilato da Srm
Intesa San Paolo.
L’area mediterranea rappresenta infatti un importante partner commerciale per l’Italia e, soprattutto,
per il nostro Mezzogiorno. L’export italiano nel Mediterraneo tout court e nel cosiddetto Mediterraneo
allargato (che arriva a comprendere, ricordiamo, anche i paesi del Golfo Persico) ha raggiunto nel 2014
quota 45,8 miliardi, cioè l’11,1% dell’export totale,
valore che si posiziona al secondo posto dopo le
esportazioni verso i Paesi dell’Unione europea.
Più in dettaglio, il “Rapporto sull’Economia del
Mare”, redatto da Confitarma – Censis, ci ragguaglia parimenti su dati molto confortanti, nel senso
che la Blue Economy in Italia aggrega valore per 32
miliardi di euro e dà lavoro nel settore marittimo a
quasi mezzo milione di persone. Inoltre la nostra
flotta mercantile si posiziona tra le principali del
mondo (al terzo posto dei Paesi del G20) con oltre
17 milioni di tonnellate di stazza; il nostro Paese è
il primo al mondo nel traffico crocieristico e nella
costruzione di navi passeggeri e megayacht.
Frena però, evidenzia il rapporto, il sistema portuale nazionale, che scende dal primo al quarto
posto in Europa per import-export di merci via
mare. Ancora una volta quindi, la carenza nel miglioramento delle infrastrutture e della logistica
portuale nonché quella di una maggiore semplificazione burocratica continuando a rappresentare
un fattore di vulnerabilità che la politica italiana
deve affrontare con decisione per essere più competitiva sul mercato marittimo globale.
Le rotte marittime:
la ‘Nuova Via della Seta’
La data del 6 agosto 2015, con l’inaugurazione del
raddoppio parziale del Canale di Suez, merita certo di essere ricordata. Nel giro di un anno si è
provveduto infatti a eliminare quella tratta di 72
km (su un totale di 193 dell’intera lunghezza del
canale), in cui le navi in transito erano costrette
da sempre (cioè dal lontano 1869) a procedere a
senso unico alternato con attese che potevano ar-
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Arabico. L’Estremo Oriente
sarà così più vicino al Mediterraneo, che Pechino ha
già proposto come ‘terminale marittimo’ della sua
Nuova Via della Seta.
Dalle zone industriali costiere infatti le navi della
Repubblica popolare, dopo
aver toccato Indonesia, Sri
Lanka, India e Kenya, attraverso Suez, entreranno
nel Mediterraneo, dirigendosi prima al Pireo e poi,
risalendo l’Adriatico, faranno capolinea proprio a
Venezia, la città di Marco
Polo. Una straordinaria opportunità per l’Italia che si
pone quindi, negli scenari
prossimo venturi, come
“ponte tra Europa e Cina”.
Il 6 agosto 2015, data dell’inaugurazione del raddoppio parziale del Canale di Suez entrerà cerE non è un caso che, lo
tamente nella storia come quella della nascita della Nuova Via della Seta, (nell’immagine d’eposcorso ottobre, le celebraca i primi traversamenti dello Stretto) considerando i vantaggi e i benefici che ne trarranno i
traffici navali internazionali, nonostante i problemi portati dal nuovo terrorismo navale
zioni del 45° anniversario
della ripresa delle relazioni
rivare fino a undici ore: i transiti sono diventati
diplomatiche tra i due Paesi siano state così solenni,
così più spediti e con una sostanziale riduzione dei
in un contesto globale in cui la Cina è già il primo
tempi di percorrenza.
partner commerciale dell’Italia in Asia. Un’occasioNel 2014 sono passate dal canale ben 822 milioni
ne straordinaria dunque che l’Italia non deve ladi merci e oltre 17.000 navi con stime peraltro in
sciarsi sfuggire, proponendosi come “piattaforma
forte crescita, che arrivano a prevedere una capacilogistica intermodale” tra Europa e Cina, in maniera
tà media del traffico giornaliero di ben 97 navi
tale da governare nei propri porti le merci non solo
(dalla precedente media di sole 49).
nella fase di imbarco e sbarco, ma ancor di più nelle
Il Canale di Suez conferma così il suo tradizionale
fasi di trasferimento fino alle destinazioni finali,
primato geostrategico di corridoio marittimo primediante i collegamenti alla rete ad alta velocità dei
vilegiato tra il Mediterraneo e i Paesi industrializcorridoi paneuropei. Una chance dunque ecceziozati del sistema Asia – Pacifico. Tanto più che, con
nale per il Mediterraneo, per l’Europa e per l’Italia.
i grandi progetti infrastrutturali in corso, le distanAll’uopo non si può non ricordare come il concetze con l’Estremo Oriente si stanno accorciando di
to di Cuore del Mare (Heart of the Sea), prima di lecirca mille chilometri di mare.
garsi alla memoria letteraria di Nathaniel Philbrick
Si tratta di due progetti che fanno rispettivamente
e a quella filmica di Ron Howard, sia sempre stato,
capo alla Cina e all’India. Il primo riguarda il taglio
sin dall’antichità, un concetto prettamente geopodell’istmo di Kra, nel punto più stretto della penilitico, nato e legato al Mediterraneo.
sola malese in territorio thailandese, che permetteIl Cuore del Mare, cioè il centro di gravità marittirebbe di aggirare via mare da nord l’affollatissimo
mo tra Oriente e Occidente, nel corso dei secoli
stretto di Malacca, collegando direttamente il Mare
però si è andato spostando dal sistema mediterradelle Andamane al Mar Cinese meridionale.
neo all’Oceano Atlantico prima e all’Oceano InIl secondo invece, con il taglio della catena di isolotdiano poi. E oggi il Cuore del Mare potrebbe ritorti di Adam Bridge tra il subcontinente indiano e l’inare a “battere”, figuratamente parlando, ancora
sola dello Sri Lanka, si propone di collegare, per la
una volta nel nostro mare, ed è questo invero il
via marittima più breve, il Golfo del Bengala al Mare
“Mediterraneo che vorremmo”.
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