Documento Unioncamere 4 giugno 2015

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Documento Unioncamere 4 giugno 2015
DOCUMENTO AIRI – CNR SU RICERCA E INNOVAZIONE RESPONSABILE
PREMESSA
Il programma del prossimo Presidente dell’Unioncamere, partendo dall’assunto che ricerca,
sviluppo e innovazione costituiscono l’elemento che fa la differenza nella competitività delle
imprese, sottolinea che le Camere di commercio possono svolgere un ruolo di collegamento tra le
piccole e medie imprese [p.m.i.] e i soggetti del sistema dell’innovazione, accompagnandone i
processi. “La green economy, in particolare, … rappresenta una chiave straordinaria per rigenerare
tanti settori del Made in Italy collocandoli su frontiere tecnologicamente più avanzate”.
In altri termini, le linee strategiche del sistema camerale per la ricerca e l’innovazione delle p.m.i.
andrebbero orientate sempre più sui temi dello sviluppo sostenibile proprio come leva per favorire
l’innovazione tecnologica dei prodotti, dei servizi, dei processi e dei modelli di business.
L’Unioncamere concorda con l’indice proposto infine dall’AIRI per la stesura del Rapporto finale
sulla RRI e propone per ora di articolare quello del Capitolo 2, su Aspetti normativi (volontari e
regolatori cogenti) e Qualità, nel modo che segue:
1) Alcune caratteristiche della regolamentazione;
2) Certificazione di qualità dei prodotti e dei processi sociali e ambientali;
3) Il caso della chimica (verde) e l’impegno delle imprese;
4) Il Green Building e l’edilizia sostenibile;
5) Economia circolare, sviluppo sostenibile e gestione dei rifiuti.
IL QUADRO GENERALE E L’IDENTIFICAZIONE DEL PROBLEMA
Nelle premesse dei documento potrebbe essere utile, senza entrare in una disamina accurata del
discorso, citare due nodi che hanno attirato l’attenzione del gruppo informale di lavoro istituito
dall’Unioncamere.
Il primo riguarda le prospettive del lavoro e della prosperità nell’avvento della Second Machine
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Age, per citare il famoso lavoro di E. Brynjolfsson e A. McAfee. Si tratta di un’opera controversa,
forse troppo pessimistica sul futuro dell’occupazione nei paesi avanzati (basata su una visione
“accelerazionista” dell’automazione e dell’intelligenza artificiale nella vita quotidiana), come hanno
sottolineato alcuni storici dell’economia e dell’innovazione.
Ciò non toglie che le nuove General Purpose Technologies (GPT) – modificando radicalmente e
orizzontalmente i modi di produzione e di distribuzione – inducono una concentrazione crescente
dei profitti nei leader dei mercati in cui l’innovazione tecnologica è la leva principale della
competitività, con modifiche spesso inevitabili nella struttura del mercato del lavoro e, per questa
via, nella stessa composizione sociale di un paese.
La sfida di tutti i governi dell’Occidente, del Giappone e degli altri paesi più avanzati dell’area
asiatica sarà quindi quella di definire i meccanismi istituzionali per frenare l’aumento delle
disuguaglianze, senza con ciò scoraggiare l’innovazione di prodotto e di processo. In questo quadro
andranno definite anche alcune opzioni per l’evoluzione futura degli Intellectual Property Rights
(IPR).
Il nesso tra innovazione e globalizzazione è sempre più evidente, non solo agli economisti ma
anche all’uomo della strada. Alcuni studiosi hanno però notato, riferendosi per esempio allo
scontro tra Apple e Samsung sulla possibile violazione dei rispettivi brevetti, che le spese legali di
questi gruppi multinazionali sono ormai superiori a quelle destinate alla tutela dei loro IPR; di qui
forse l’evoluzione recente dei loro comportamenti nella direzione un sentiero più cooperativo.
Più in generale, però, si tratta di prendere atto che in prospettiva uno dei fattori chiave per lo
sviluppo della ricerca e dell’innovazione responsabile sarà effettivamente rappresentato dalla
diffusione e dalla crescita dell’Open Science in alcuni specifici processi caratterizzati dalle
applicazioni trasversali (e talvolta imprevedibili) dello sviluppo tecnico-scientifico, come d’altronde
è tipico proprio delle GPT (questo è il secondo problema che ha attirato l’attenzione del nostro
gruppo).
Un accesso molto più agevole ai risultati della ricerca di base e applicata per alcuni “settori” può
effettivamente accelerare la crescita economica e l’innovazione. Ne derivano conseguenze molto
importanti per l’informazione sulle risorse e sui risultati della scienza, sulla valutazione del loro
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impatto anche sociale e ambientale, specialmente nel vasto campo dei cosiddetti “beni comuni”: il
clima, la qualità del suolo, la biodiversità, l’acqua dolce e gli oceani, le foreste e l’aria, tutti
“sistemi” che oggi subiscono pressioni senza precedenti, per gli effetti di una rapida
intensificazione dei consumi pro-capite delle risorse e della diffusione delle forme di degrado
ecologico.
Grazie alla crescita portentosa dell’industria in Cina e dei servizi in India, i Millennium Goals
dell’ONU per la riduzione della povertà nel mondo sono stati conseguiti, mentre siamo ancora ben
lontani da quelli definiti per l’ambiente e, in particolare, per accrescere la stabilità globale del
clima. Vi sono cioè degli ambiti di intervento pubblico in cui si tratta semmai di “attenuare i danni
Anticommons alla ricerca nel campo della scienza e della tecnologia” (Paul A. David).
Ve ne sono altri invece, (lo dicevamo nella nota precedente) in cui la riduzione o il contenimento
dell’impiego di sostanze e processi nocivi, oppure la compensazione delle “esternalità negative”
derivanti dalle attività d’impresa, possono essere conseguiti efficacemente facendo ricorso ai tipici
meccanismi del mercato.
In un orizzonte riferito al medio (e non al lungo) termine, i diversi nodi della RRI si rivelano a ben
vedere comunque gli obiettivi e i dilemmi che devono affrontare le “politiche responsabili” per la
ricerca e l’innovazione, anzitutto per la loro relazione con il rischio o, meglio, con la percezione
diffusa che si ha dello stesso (Luca Valli).
L’esigenza di applicare il “principio di precauzione”, impegnandosi a perseguire politiche di
Minimax-Regret, che puntino cioè a minimizzare la probabilità che i grandi programmi di ricerca
scientifica e tecnologica producano i risultati peggiori, è forse la scelta migliore per orientare gli
impegni ai diversi livelli di intervento pubblico sui beni comuni, il Climate Change e lo sviluppo
sostenibile.
Responsible Policies dovrebbero consentire di stabilire alcune regole generali a cui anche le attività
delle imprese di Research and Developmente (R&D) andrebbero adeguate, appunto, con i requisiti
fondamentali di trasparenza anzitutto sull’origine dei finanziamenti dedicati alla ricerca, di
correttezza deontologica e di responsabilità nei confronti dei principali Stakeholder di riferimento.
Le attività private di R&D rispondono a logiche tecnico-scientifiche specifiche della struttura dei
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mercati in cui operano queste imprese, per cui la riservatezza può rappresentare un elemento
strategico incompatibile con qualsiasi forma di “apertura” sui loro risultati.
E’ soprattutto quando invece si vanno ad allocare le risorse pubbliche per la ricerca e lo sviluppo,
invece, che una serie di criteri di valutazione "responsabili" diventa cruciale, sia per quanto
riguarda la selezione dei temi da affrontare che per quanto concerne i criteri di ponderazione delle
possibilità e delle proposte alternative, e degli stessi risultati conseguiti.
E’ un’affermazione condivisibile in astratto, ma – non di meno – problematica, giacché l’assunzione
di principi etici molto rigorosi potrebbe rivelarsi controproducente, finendo per confondere le
finalità che spingono alla crescita delle conoscenze (molto spesso “di carattere strategico”) con gli
effettivi impieghi finali delle stesse; basti pensare al caso delle origini di Internet…
ASPETTI NORMATIVI E QUALITA’
Quanto agli aspetti normativi volontari e regolatori cogenti, con riferimento alla qualità dei
prodotti e dei processi di innovazione e ricerca, appare anzitutto importante definire un sistema di
valutazione del loro impatto.
Al di là del rispetto delle degli aspetti normativi e dei meccanismi di regolamentazione (su cui
l’Unioncamere si riserva di tornare), è bene quindi tenere conto dell’importanza del metodo del
Life Cycle Assessment (LCA), la valutazione dell’intero ciclo di vita di un prodotto o di un servizio,
secondo le procedure standardizzate a livello internazionale dalle norme ISO.
Le norme tecniche internazionali, europee e armonizzate per garantire la sicurezza dei prodotti e
dei processi, il rispetto per l'ambiente e la certezza delle prestazioni, sono in costante evoluzione,
ivi incluse quelle sulla gestione corretta dei prodotti a fine vita e sulla responsabilità del
produttore; esse determinano livelli già molto elevati di riciclo e di riutilizzo degli scarti e dei rifiuti,
principalmente per le automobili, gli elettrodomestici, gli imballaggi...
Ma, come afferma Valli, “l'idea di poter governare i rischi dell'innovazione attraverso l'emanazione
di nuovi standard, regolamenti, norme, oltre ad essere destinata ad una condizione di endemico
sfasamento temporale rispetto ai bisogni, rischia di produrre effetti addirittura controproducenti
nella misura in cui può portare ad un blocco del processo innovativo e di creazione del valore”.
Quando si parla perciò di innovazione responsabile, la governance dei rischi e delle opportunità
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andrebbe affidata a standard di processo che traducano in requisiti gestionali e organizzativi
l’ascolto dei bisogni e delle preoccupazioni dei portatori di interessi significativi, i modi con cui essi
e le stesse collettività di riferimento possono essere adeguatamente informati sui rischi e le
incertezze esistenti, la previsione di risorse dedicate alle attività di ricerca tese ad eliminarli o a
minimizzarli, la libertà di scelta possibili sulla “gerarchia dei rischi', etc..
C’è poi altro un punto su cui spesso la riflessione collettiva è reticente: possiamo parlare di imprese
che “gestiscono” rifiuti speciali, o di scuole elementari e medie per la formazione dei nativi digitali,
di imprese di packaging o di società di carpenteria civile… Molto spesso gli oneri per la costruzione,
la certificazione e il mantenimento di un apposito Sistema per la Gestione della Qualità, o della
Sicurezza, rappresentano un costo fisso (prima ancora di quello per le attività di R&D) che va ben
oltre le possibilità reali delle piccole imprese italiane di investire sui propri Intangibles.
Alcune elaborazioni di Nomisma Energia sui dati ISTAT, ad esempio, mostrano che il numero degli
infortuni per ogni 1.000 addetti è particolarmente basso nell’industria petrolifera e in quella del
gas, proprio per gli standard molto severi associati (oltre che alla specifica tipologia di produzione)
all’operare delle economie di scala e allo sviluppo delle strategie di internazionalizzazione.
Il discorso vale sicuramente per i principali sistemi di gestione ambientale (ISO14001, EMAS…), per
cui si tratta di definire anche forme di qualificazioni volontarie più funzionali alle dimensioni delle
aziende italiane e alle esigenze dei nostri imprenditori, quali (a titolo di esempio) quelle descritte
nell’allegato sull’edilizia sostenibile e l’impatto ambientale.
Peraltro la Commissione europea ha chiesto di recente all’Italia di recepire al più presto nelle leggi
la direttiva UE sull’efficienza energetica in questo settore, con i requisiti minimi per gli edifici nuovi
e per quelli esistenti, la certificazione del loro rendimento e la previsione dell’ispezione regolare
dei sistemi di riscaldamento e condizionamento.
Gli aspetti normativi e regolatori rappresentano in ogni caso una variabile decisiva per la
convenienza e la redditività delle risorse investite nella ricerca e nello sviluppo sperimentale.
Ne deriva l’esigenza di individuare soluzioni originali per accrescere gli investimenti nei nuovi
settori ad alto valore aggiunto, nelle KET e nelle tecnologie Green più promettenti per la
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produzione di nuovi beni e servizi, e per l’introduzione di processi produttivi e commerciali più
efficienti, ma allineati con le mutate preferenze dei consumatori, con le nuove esigenze della
società e con i bisogni di un’accresciuta tutela dell’ambiente.
LA CSR, LA VALUTAZIONE DELLA RICERCA E L’IMPEGNO PUBBLICO
Dati gli obiettivi generali della RRI, le sue attività specifiche richiedono certo una focalizzazione sui
benefici per la società e l’ambiente; ma come individuarli correttamente e come rappresentarli
efficacemente? Come identificare in altri termini gli Stakeholder di riferimento?
Come e in quali sedi istituzionali comporre i “conflitti di interesse” possibili tra le scelte di
investimento delle imprese, la sicurezza dei lavoratori e lo sviluppo sostenibile del territorio?
Come rendere compatibili gli obiettivi a breve di razionalizzazione del sistema delle ricerca
pubblica con quelli più generali di competitività del sistema economico e di sostenibilità delle
dinamiche socio-ambientali più critiche?
Sono questi dei temi centrali per il Capitolo 3 e, in parte, per il successivo. Nel quarto, in
particolare, andrebbe citata anche la difficoltà di trovare spesso una coerenza tra gli obiettivi
perseguiti dai diversi centri di ricerca pubblica (Enti e Università) su aspetti importanti
“dell’economia circolare” con i vincoli previsti dalle norme sui rifiuti delle imprese piuttosto che
sull’End of Waste, o con le finalità più specifiche su cui si concentrano oggi le attività innovative
delle imprese.
Dai nostri dati sui brevetti registrati all’EPO, una migliore convergenze degli obiettivi di ricerca e di
innovazione tecnologica delle imprese e degli operatori pubblici si rinviene invece per altri “settori
Green”, quali il controllo dell'inquinamento, la misura dei consumi elettrici, l’energia solare e i
sistemi informativi per mobilità.
Il programma ideale “di rifiuti zero per l’Europa” prevedeva migliori strategie per l’eco-design dei
prodotti (per la “prevenzione” dei rifiuti appunto) e per il riutilizzo degli stessi e dei residui da
attività produttive, con una forte riduzione dell’emissione di gas serra.
La nuova strategia UE per l’economia circolare, stando agli annunci del Commissario europeo
all’ambiente, riguarderà un po’ tutti gli aspetti del ciclo di vita dei prodotti, con gli obiettivi specifici
nella gestione dei rifiuti che terranno conto delle forti differenze nelle situazioni dei diversi Paesi
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membri (anche per poter migliorare le politiche locali), e la questione dei mercati delle materie
prime secondarie.
Sulla capacità dell’industria italiana e delle piccole e medie imprese di avviare pure su questi fronti
una collaborazione più diretta ed efficace con la ricerca pubblica, anche con nuove forme di
apertura delle strutture di ricerca sul territorio che fanno capo al CNR, all’ENEA e alle Università più
impegnate sul fronte del trasferimento tecnologico, si misurerà la capacità del Paese di tornare a
crescere su un percorso più dinamico ma anche più sostenibile.
Nell’ultimo capitolo, quello sul Public Engagement, si dovrebbe proporre anche il rilancio del
programma strategico per accelerare la diffusione del green public procurement (GPP) nelle
amministrazioni e negli enti pubblici italiani.
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EDILIZIA SOSTENIBILE E IMPATTO AMBIENTALE
Premessa
Negli anni più recenti l’innovazione nel settore dell’edilizia è finalizzata al raggiungimento
dei seguenti obiettivi

implementare i concetti di sostenibilità e qualità dei manufatti edili, cioè livelli di
prestazione energetica dei "Nearly Zero Energy Buildings" (NZEB), coniugati ad elevati
livelli di comfort sia estivo che invernale degli edifici;

proporre soluzioni tecniche che tengano conto del contesto climatico e che siano
compatibili con le tradizioni costruttive dei territori, privilegiando (ove possibile) le
risorse “a km 0”;

sviluppare ed implementare sistemi, tecnologie e materiali che consentano
interventi finalizzati contestualmente all'efficienza energetica e all'antisismica;

adattare le costruzioni alle nuove esigenze sociali.
Le best practices
Sono numerose le iniziative che si sono diffuse, anche a livello nazionale, sul tema
“certificazione degli edifici”, tra cui si segnalano in particolare CasaClima e Abitare
Mediterraneo.
Ciò che invece continua a mancare è una cultura della progettazione integrata e
dell’intervento sistemico che coinvolga tutti gli attori della filiera, dall’ingegnere / architetto
fino al consumatore finale, sia pubblico che privato.
L’impegno del sistema delle Camere di commercio
Per rispondere a tale esigenza, il sistema camerale ha deciso di investire su un percorso di
qualificazione rivolto alle imprese che operano nell’edilizia, con priorità a quelle impegnate
in interventi di riqualificazione e ristrutturazione del patrimonio indipendentemente dalla
sua destinazione d’uso, secondo i canoni della maggiore efficienza energetica, del comfort
climatico e di un modo di costruire confacente alla tradizione e alla cultura italiana.
Accanto all’edificazione “del nuovo”, sempre maggiore rilevanza assume la riqualificazione
del patrimonio edilizio esistente: esso rappresenta un elemento centrale, e sempre più
incisivo, nel processo di conservazione, di tutela e di valorizzazione del territorio e
dell’ambiente.
Il sistema di qualificazione previsto è volontario e flessibile, potendo essere applicato dalle
organizzazioni appartenenti alla filiera dell’edilizia di qualunque dimensione e complessità;
è progressivo, cioè graduale e per step; è anche costante, perché l’evoluzione del mercato
e l’impatto della ricerca e dello sviluppo, anche qui, implicano un supporto con modalità
operativa permanente.
I cinque principi dell’edilizia sostenibile
Il percorso di qualificazione si basa sui seguenti cinque principi:
1.
salubrità degli ambienti;
2.
materiali sostenibili;
3.
ridotti consumi di energia primaria e delle emissioni CO2;
4.
comfort termico ed efficienza energetica;
5.
controllo dell’irraggiamento energetico.
Impatto ambientale e produzione di rifiuti da costruzione e demolizione
L’edilizia è il maggiore produttore di rifiuti (circa 50 milioni di tonnellate) e coinvolge un
numero elevatissimo di imprese, in particolare di piccole dimensioni.
Esso risulta quindi il maggior potenziale ri-utilizzatore degli stessi, oltre che il settore nel
quale maggiormente è necessaria una certificazione di qualità di ciò che viene recuperato:
gli abusi nell'utilizzo di materiale di risulta per opere pubbliche sono infatti molto
consistenti.
L'Unione Europea vi ha rivolto l'attenzione, anche per introdurre meccanismi di
responsabilità del produttore sulla corretta gestione dei rifiuti, che sono oggettivamente di
difficile implementazione (chi può rispondere, infatti, dei rifiuti derivanti dalla demolizione
di un palazzo costruito nell'Ottocento?) e risultano fortemente osteggiati dalle associazioni
del settore.
Il loro riutilizzo pieno presenta notevoli complessità (costi, prestazioni, certificazioni), gli
interessi in gioco sono enormi (il settore dell'edilizia, quello degli appalti pubblici, etc.).
Proprio per la loro massa in termini di volumi, i rifiuti da costruzione e quelli da
demolizione rappresentano un problema serio sia dal punto di vista ambientale, che da
quello economico (i costi da sostenere per una gestione corretta) e giuridico (la
responsabilità del produttore appunto).