Impaginato - Unindustria Treviso

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B R E V I N OT E S U S T R AO R D I N A R I O
E PRINCIPIO DI OMNICOMPRENSIVITÀ
TRIBUNALE TREVISO, 31 dicembre 2003, n. 491 – Parise, Giudice del lavoro – Bisetto (avv.Valla) - Panotec srl (avv. Bonotto, Furlan).
Lavoro – Retribuzione – Tredicesima mensilità –
Incidenza dello straordinario e retribuzione per
ferie – Principio di omnicomprensività – Non
sussiste.
Posto che nel nostro ordinamento non esiste un principio
generale e legale di omnicomprensività della retribuzione,
e che in assenza di espressa previsione contrattuale lo
straordinario, pur continuativo, non può essere ritenuto
compreso nella retribuzione globale di fatto, esso non può
essere computato ai fini della determinazione della
tredicesima mensilità e della retribuzione per ferie.
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 21.2.2003 il sig. Bisetto Alessandro adiva questo giudice del Lavoro premettendo
che: aveva lavorato alle dipendenze della ditta convenuta con la qualifica di operaio di IV livello
dall’1.2.1995 al 24.5.2002; durante detto periodo aveva
prestato lavoro straordinario nella misura indicata nelle
buste paga; l’attività straordinaria era stata svolta in
modo continuativo; il lavoro straordinario avrebbe dovuto essere ricompreso nella cd. retribuzione globale di
fatto; la ditta convenuta non aveva computato nel calcolo delle competenze dovute per ferie e tredicesima
mensilità la retribuzione per il lavoro straordinario,
mentre avrebbe dovuto computarlo in base all’art. 15
CCNL industria metalmeccanica privata, quanto alle
ferie, e all’art. 17 Accordo Interconfederale 27.10.1946.
Sulla scorta di tali premesse, il ricorrente conveniva in
giudizio la ditta Panotec S.r.l. formulando le conclusioni riportate in epigrafe.
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SENTENZE
La società convenuta si costituiva ritualmente chiedendo, nel merito, il rigetto del ricorso in quanto infondato, con rifusione di spese di causa.
Esponeva la convenuta che non esiste un principio generale e legale di omnicomprensività della retribuzione
e non poteva rinvenirsi nella contrattazione collettiva
un concreto riferimento alla voce “straordinario” ai fini
della quantificazione del compenso dovuto a titolo di
ferie e mensilità supplementari.
La causa, istruita solo documentalmente, veniva discussa e decisa all’udienza del 19.12.2003 come da dispositivo letto in udienza ed allegato agli atti.
Motivi della decisione
La domanda del ricorrente è infondata.
La questione oggetto di causa concerne l’incidenza del
lavoro straordinario prestato in modo continuativo
sulla determinazione della tredicesima e della retribuzione per ferie.
In punto di fatto, il numero delle ore di lavoro straordinario prestate dal ricorrente non è contestato dalla parte convenuta, in quanto rispecchia i dati delle buste paga, pure prodotte.
Parte convenuta dunque non ha contestato la natura
continuativa del lavoro straordinario prestato, ma ha
sottolineato che non esiste un principio di omnicomprensività della retribuzione. Pertanto, secondo la prospettazione difensiva della società convenuta, in assenza di espressa previsione contrattuale, non può affermarsi che, per le mensilità aggiuntive, debba tenersi
conto di ogni elemento facente parte della retribuzione
del lavoratore. In particolare nella nozione di “retribuzione globale mensile”, di cui all’art. 5 del CCNL applicato dall’azienda, non viene espressamente compreso lo
straordinario.
Le argomentazioni difensive della parte convenuta ap-
paiono accoglibili nella fattispecie in esame.
In punto di diritto, secondo consolidato orientamento
giurisprudenziale, condiviso da questo Giudice, sul presupposto dell’inesistenza del principio generale dell’omnicomprensività della retribuzione, è necessario di volta
in volta interpretare le norme del CCNL applicato nella fattispecie concreta per verificare se esista un’espressa
previsione della normativa contrattuale che comporti
l’inclusione nella base di calcolo della retribuzione di
una determinata componente accessoria o comunque
per accertare se tale inclusione possa desumersi dall’interpretazione, oltre che letterale, anche logico-sistematica
della contrattazione collettiva (cfr. Cass. 3.4.96 n. 3092;
Idem, 11.11.96 n. 9819; Idem, 23.12.97 n. 12991; Cass.
19.1.98 n. 420; Idem, 14.1.2000 n. 377 con riferimento
proprio al CCNL applicato nella fattispecie in esame).
Il CCNL per i dipendenti da aziende metalmeccaniche
private, applicato dalla convenuta, prevede all’art. 5 il
riferimento alle 48 ore settimanali non come durata
normale del lavoro, che rimane quella prevista di quaranta ore settimanali, ma solo come tetto massimo delle
ore lavorative settimanali.
Dunque, lo straordinario non può ritenersi espressamente compreso nella nozione di retribuzione globale
mensile, come risulta dalla disposizione di cui all’art. 12
del CCNL citato.
L’art. 15 CCNL prevede il ragguaglio della gratifica natalizia ad una mensilità ordinaria determinata sulla base
di 173 ore della retribuzione globale di fatto ed anche
tale testuale riferimento appare incompatibile con l’in-
terpretazione sostenuta in ricorso.
Neppure la disposizione dell’art. 7 della Convenzione
O.I.L. n. 132 del 1970, facente riferimento, quanto al
trattamento economico per ferie, alla media dei compensi erogati nel periodo di maturazione del diritto,
comporta sul piano della normativa legale, la computabilità del compenso per lavoro straordinario ai fini del
trattamento per ferie (cfr. in tal senso ex plurimis Cass.
n. 9819/96).
Inoltre la Convenzione O.I.L. non fa riferimento a trattamenti individuali, ma ai compensi fissati dall’ordinamento
nazionale per tutti i lavoratori; in Italia sono i contraenti
collettivi che determinano i trattamenti della categoria,
per cui si deve comunque far riferimento alla retribuzione
fissata dal c.c.n.l. per applicare la Convenzione.
Tanto premesso, nella fattispecie in esame, deve ritenersi che non esista una disposizione collettiva espressa
che consenta di derogare ai principi generali su esposti.
Per motivi di equità e di opportunità, considerata la natura delle questioni trattate le spese di causa sono interamente compensate.
P.Q.M.
Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Treviso, definitivamente pronunciando sulla controversia in epigrafe
indicata, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, così provvede:
• respinge il ricorso
• spese di lite compensate.
SENTENZE
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C O M M E N TO
GAETANO ZILIO GRANDI
Professore Associato di Diritto del lavoro
Università di Venezia – Cà Foscari
Con la decisione annotata il Tribunale di Treviso risponde ad un quesito che, nel corso dei precedenti decenni, ha interessato assiduamente giudici e dottrina,
circa l’esistenza o meno, nel nostro ordinamento giuslavoristico, di un principio generale c.d. di omnicomprensività della retribuzione.
La conclusione del organo giudicante, assolutamente
condivisibile, è negativa, alla luce di ormai consolidati
orientamenti della Cassazione, sebbene si possa, in proposito, aggiungere alcune brevi, ma significative considerazioni in specie sulla tecnica di decisione ed il rapporto tra il principio affermato e le motivazioni sottostanti.
Ma prima di segnalare alcune incongruenze anche nelle
più recenti decisioni, soprattutto di merito, in materia,
è il caso di ripercorrere rapidamente – trattandosi di un
settore tipico di creazione giurisprudenziale del diritto
del lavoro – le vicende del principio di omnicomprensività e del suo contrario.
La questione trae origine da un lato dall’assenza di una
definizione unitaria e generale di retribuzione, dall’altra
dalla esistenza di più e diverse nozioni di retribuzione. E
si avviluppa mediante la frequente confusione dei due
piani nei quali la “questione retributiva” risulta scomponibile: qualificazione o retribuzione-corrispettivo
(cosa è retribuzione?) e quantificazione o retribuzioneparametro (cosa rientra nel calcolo dei diversi istituti
retributivi?).
1
La dottrina che si è occupata di questi temi ha infatti
sin dall’inizio sottolineato come il fatto di confondere
tali distinti piani, certo per la nobile causa di migliorare
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COMMENTI
tendenzialmente le condizioni economiche dei lavoratori subordinati, sin dagli anni ’50, poneva ulteriori e
vieppiù complessi problemi, facilmente riassumibili nella formula della creazione, in tal modo, di una sorta di
“automatismo retributivo”. Ciò significava, in poche
parole, che laddove il contratto collettivo non specificava, come nella maggior parte dei casi, il meccanismo
di calcolo dei diversi istituti retributivi, mediante l’utilizzo di una più o meno ampia nozione (o concetto) di
retribuzione, il giudice faceva leva su un principio di
omnicomprensività per il quale tutto ciò che veniva
corrisposto in dipendenza del rapporto di lavoro doveva
per ciò stesso considerarsi ed essere di conseguenza
computato nel calcolo dei diversi emolumenti.
Era il caso, anzitutto, del calcolo della retribuzione feriale – sulla quale vi fu il deciso rèvirement della Cassa2
zione con numerose e celebri sentenze del 1984 -, della
retribuzione in caso di festività non lavorate, della retribuzione garantita dall’art. 2103 c.c. in caso di spostamento su mansioni equivalenti e soprattutto, giusta la
diversa soluzione accolta in virtù della origine contrattuale e non legale dell’istituto, delle mensilità c.d. aggiuntive.
I fondamenti normativi di tale approccio estensivo nella qualificazione/quantificazione del concetto di retribuzione appaiono nel tempo plurimi: da un lato si è fatto riferimento a definizioni legislative, considerate pertanto generali ed applicabili estensivamente: l’art.2120
c.c., sull’indennità di anzianità, poi modificato dalla l.
n. 297/1982, introduce invero una nozione di retribuzione utile ai fini del calcolo del nuovo TFR particolarmente ampia (“tutte le somme, compreso l’equivalente
1 PERSIANI, Questioni sulla retribuzione, Cedam, 1982.
2 Cass. 13 febbraio 1984, nn. 1069, 1070, 1071, 1073, 1075, 1081, in
Orient. Giur. Lav., 1984, p. 42 ss.
delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza
del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con
esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso
spese”); l’art. 2121 c.c., ove si parlava di tutti compensi
corrisposti dal datore di lavoro aventi carattere continuativo, esclusi i rimborsi spese; ma anche l’art. 12 della l. n. 153/1969 che, pur muovendosi sul diverso piano
della retribuzione imponibile ai fini del calcolo dei contributi previdenziali e assistenziali, confermava il rilievo
della dipendenza del rapporto di lavoro, e dunque anche una nozione lata di retribuzione, come tale utilizzata dai giudici in chiave estensiva. E a ciò nulla aggiungeva l’elencazione tassativa, nello stesso art. 12, delle
voci da escludere o ricomprendere.
A tale orientamento si opponeva, sul versante delle imprese, l’idea della necessità di una revisione critica del
principio di onnicomprensività.
Come detto, infatti, l’affermazione e l’utilizzo del principio di onnicomprensività ha dilatato al massimo i confini della c.d. retribuzione-parametro, portando ad una restrizione degli spazi di manovra della contrattazione collettiva in materia retributiva. Parimenti, la dottrina che
ha criticato e superato il principio onnicomprensivo, insieme alle citate S.U. della Cassazione, ha fatto leva su
una serie di altri elementi quali la mancanza di un dato
normativo unico e omogeneo a suo fondamento, la presenza al contrario di diverse definizioni, eterogenee per
ambito di riferimento e ampiezza, e appunto gli effetti
distorsivi, di moltiplicatore dei costi del lavoro e la richiamata incidenza sugli spazi contrattuali.
Si è così riaffermata la piena competenza, quale fonte
principale in materia, della contrattazione collettiva, e,
in taluni casi, della legge. Ed è proprio sulla previsione
e determinazione – legale o contrattuale – dei diversi
elementi retributivi che, in sostanza, si è giocata ed è
stata affrontata la svolta del 1984. Pur tuttavia, per
quanto detto in apertura, se di svolta può parlarsi, bisogna anche dire, con onestà, come i giudici di merito
non si siano del tutto appiattiti, se non per quanto attiene, si diceva, all’affermazione quasi “di stile” dell’assenza di un principio omnicomprensivo.
Spesso, cioè, la giurisprudenza di merito si è discostata
da tale orientamento più restrittivo, di fatto rilegittimando operazioni di “allargamento” della base di calcolo degli elementi retributivi per i quali la contrattazione
collettiva o la legge non sono chiari quanto ad indivi-
duazione della c.d. retribuzione-parametro. Il problema
è sorto in particolare quando è la legge a determinare o
individuare l’istituto retributivo, rinviando alla contrattazione collettiva per la determinazione degli elementi
computabili, come per la retribuzione feriale.
In alcuni casi l’origine è legale e la disciplina collettiva.
Per lo straordinario i contratti utilizzano una nozione più
ristretta di quella, ampia, legale di cui all’art. 2108 c.c. e
5 r.d.l. n. 692/1923; per i periodi di sospensione protetti
avviene una cosa analoga. E in questi casi, evidentemente, la definizione collettiva non può essere corretta sulla
base di quella legale. Al contrario, in caso di retribuzione
per festività non lavorate ex art. 5, l. n. 260/1949, modificato dalla l. n. 90/1954, la giurisprudenza ha utilizzato
una nozione più ampia, onnicomprensiva, sulla base del
concetto di normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio.
Come riferito, la decisione che qui si annota rigetta la
sussistenza di un concetto onnicomprensivo di retribuzione, dando così accoglimento a quella prevalente ed
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ormai inequivoca giurisprudenza anche recente che
sulla base di tale assunto ricerca affannosamente nella
esclusiva volontà delle parti, in specie in sede di contrattazione collettiva, i criteri attraverso i quali calcolare i diversi elementi dei quali si compone il coacervo
retributivo. Detto altrimenti, l’interprete cerca – e si
augura di trovare – che siano le parti stesse a risolvere,
in apicibus, la questione qualificatoria, da un lato e
quantificativa, di conseguenza; come in parte avvenuto
invece nei contratti collettivi stipulati per i rapporti di
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche,
laddove si sono previste vere e proprie tabelle di corrispondenza tra elementi della retribuzione ed istituti con
effetti retributivi, proprio al fine di sgombrare il campo
da interpretazioni e letture ambigue.
D’altro canto, è anche facile ritenere come talora siano
le stesse parti sociali a lasciare, appositamente, nel vago
le previsioni collettive in tema di quella che abbiamo
chiamato retribuzione parametro, per consentire even-
3 Cass. 1 aprile 1993, n. 3888, in NGL 1993,p. 235; ma v. anche Cass. 5
marzo 1999, n. 1883; Cass. 9 dicembre 1999, n. 13780; Cass. 3 novembre 2000, n. 14395; Cass. 13 giugno 2001, n. 8501; Cass. 22 novembre
2002, n. 16510; Cass. 5 agosto 2003, n. 11834.
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tualmente nella fase giudiziaria l’impostazione di una
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difesa fondata su dati contrattuali, appunto, ambigui .
Se questo è vero, dunque, con la migliore dottrina si
potrà concludere che la definizione contrattuale di retribuzione varrà come base di calcolo per le maggiorazioni di cui all’art. 2108 c.c., per i trattamenti nei periodi di riposo di cui all’art. 2109 c.c. e 5, l. n. 270/1949,
per i periodi di sospensione c.d protetta del rapporti di
lavoro, ex artt. 2110 e 2111 c.c., e più in generale per
gli istituti c.d. legali della retribuzione, nei quali cioè la
retribuzione funge da parametro di riferimento per il
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calcolo di altri e diversi istituti (ad es. l’art. 18 St. lav. ;
o ancora, in buona misura l’art. 36 Cost.).
Parallelamente, sul piano della retribuzione imponibile
a fini contributivi il legislatore equipara la nozione di
reddito a fini fiscali a quella, nuova di reddito da lavoro
dipendente, sulla scorta della delega contenuta nella l.
n. 662/1996 e del conseguente d.lgs. n. 314/1997. La riscrittura, in tal modo, dell’art. 12 della l. n. 153/1969,
che tanto aveva dato da discutere a giurisprudenza e
dottrina, ha comportato da un lato la quasi completa
identificazione della nozione di reddito ai fini fiscali e
di quella ai fini contributivi, dall’altro la conseguente
inclusione di alcune somme precedentemente escluse
dal novero della retribuzione imponibile in quanto corrisposte su iniziativa del datore di lavoro ovvero senza
relazione di corrispettività e, reciprocamente, l’esclusione definitiva di somme, valori e utilità che concorrono
a formare reddito da lavoro dipendente, in primis i contributi previdenziali o assistenziali versati da datore o
lavoratore per effetto di disposizioni di legge o di contratto collettivo, quelli di assistenza sanitaria versati a
casse aziendali entro il 4%, le erogazioni liberali ed altri
casi ancora, sui quali pure si era discusso vigente la precedente disciplina. Rimangono valide, invece, le esclusioni od inclusioni tassativamente indicate dallo stesso
art. 12 l. n. 153/1969, così rivista, tra le quali merita un
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rilievo particolare l’esclusione, entro un limite dato ,
delle erogazioni retributive previste al secondo livello
di contrattazione collettiva e correlate a indicatori di
4 Così la pressoché unanime dottrina: PERSIANI, Problemi giuridici della
retribuzione, Padova, 1982; Roccella, I salari, Bologna, 1985;TREU, La retribuzione: il quadro istituzionale, QDLRI, 1988, 35 ss.
5 GHERA, Diritto del Lavoro, Bari, 2002.
6 Cfr. art. 3 d.l. n. 318/1996, conv. in l. n. 402/1996.
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COMMENTI
produttività, qualità ed altri elementi di competitività;
in una parola all’andamento economico dell’impresa,
come stabilito nel Protocollo del 23 luglio 1993.
Qualche considerazione ulteriore merita la fattispecie
dalla quale hanno preso le mosse queste brevi riflessioni, ovvero i criteri di computo della maggiorazione per
lavoro straordinario e ancor più dello stesso straordinario in altri istituti retributivi. Un primo aspetto da considerare riguarda il minimo di maggiorazione spettante
per lavoro straordinario, fissato dalla legge (r.d.l. n.
692/1923 e art. 2108 c.c.) nel 10% della retribuzione
intesa, di regola, in modo particolarmente esteso. Il secondo aspetto, qui rilevante, attiene alla riconduzione
dello straordinario nel concetto di retribuzione utile ai
fini del calcolo di altri istituti, in questo caso la tredicesima mensilità e la retribuzione per ferie. In questo senso deve rilevarsi per la tredicesima o gratifica natalizia per così dire “legificata” nell’accordo interconfederale
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del 1946 – come fatto anche in altra sede , e pur non
potendosi parlare di omnicomprensività, l’ampiezza della nozione di retribuzione utilizzata a tali fini rispetto
alle altre c.d. mensilità aggiuntive (ed ulteriori), che
trovano la propria fonte solo in disposizioni collettive;
ampiezza che trova conferma nel fatto che solo per la
tredicesima mensilità il legislatore ne ha stabilito l’assoggettamento a contribuzione previdenziale e imposizione tributaria.
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Inoltre la giurisprudenza ha ritenuto correttamente che
il criterio di computo della tredicesima mensilità dettato dall’accordo interconfederale per l’industria 27 ottobre 1946, esteso erga omnes con d.p.r. n. 1070/1960, e
in particolare il riferimento alla “retribuzione globale di
fatto”, e cioè a una nozione onnicomprensiva di retribuzione, sia derogabile – a norma dell’art. 7, ultimo
comma, l. n. 741/1959 – da successivi contratti collettivi di diritto comune che assicurino un trattamento di
miglior favore relativamente allo specifico istituto;
maggior favore che va valutato in base ad un’interpretazione delle sopravvenute disposizioni contrattuali effettuata nell’ambito dei singoli istituti. Sulla stessa falsariga, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di
merito che interpretando gli art. 14 e 15 c.c.n.l. dei dipendenti del settore metalmeccanico privato, al fine di
7 G. ZILIO GRANDI, La retribuzione, Napoli, 1996.
8 Cass., sez. lavoro, 13 giugno 2002, n. 8501.
determinare il trattamento economico per le ferie e per
la tredicesima mensilità, ha ritenuto di tenere conto del
compenso per le ore di lavoro straordinario svolto con
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frequenza e sistematicità . Una terza questione che va
segnalata, per completezza, riguarda i frequenti interventi, sia legali che contrattuali sull’istituto cui abbiamo dato maggiore attenzione, lo straordinario. Da un
lato va ricordato quanto innovativamente previsto nel
rinnovo del c.c.n.l. metalmeccanici del 1997, dall’altro
quanto significativamente disposto con l’intervento del
legislatore nel d.l. n. 384/1992, conv. in l. n. 438/1992
e successive proroghe. Partendo da quest’ultimo provvedimento, una recente decisione della Corte costitu10
zionale ne ha escluso l’illegittimità costituzionale ritenuta sulla base dell’art. 36 Cost., laddove esso pure prevedeva il blocco degli effetti dell’indennità di contingenza sullo stesso straordinario, con l’effetto di un trattamento retributivo per lavoro straordinario inferiore al
compenso per lavoro ordinario e comunque non proporzionato alla maggiore penosità del lavoro protratto
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oltre i limiti dell’orario normale .
Ciò facendo, i giudici costituzionali in qualche modo
sembrano riaffermare la sovranità della contrattazione
collettiva in materia retributiva, ed in particolare la
conclusione che neppure la legge può imporre una determinata nozione di retribuzione-parametro, stante appunto il ruolo, preminente, delle determinazioni collet-
tive e, infine, di quelle del giudice; sulla falsariga, se si
vuole, di quanto avvenuto con riguardo alla qualificazione dei rapporti di lavoro così come chiarito da C.
Cost. n. 115/1994.
Quanto al citato contratto collettivo dei metalmeccanici, va segnalato come in esso si sia prevista l’esclusione della tredicesima, o gratifica natalizia, dalla base di
calcolo del trattamento di fine rapporto. Tale disposizione trova fondamento nella legge n. 297/1982 che nel
riformare l’istituto dell’indennità di anzianità prevede
altresì la possibilità per le parti (collettive) di modificare, in melius o in peius, gli elementi retributivi computa12
bili. La domanda che ci si pose, già allora , era se, a rigor di diritto, le parti potessero o meno “sterilizzare” ai
fini del calcolo del Tfr un istituto “legificato”, a seguito
di un accordo interconfederale recepito in d.p.r., propendendosi per la soluzione negativa, sia in chiave tecnico-giuridica che politico-sindacale.
Ne consegue, in entrambi i casi citati, una sorta di contrasto tra il principio non scritto della competenza
esclusiva della contrattazione collettiva in materia retributiva ed il frequente intervento eteronomo, ovvero
della stessa contrattazione, al fine di limitare l’uso “subdolo” di un principio, quello di omnicomprensività, che
uscito dalla porta tende talora a rientrare dalla finestra,
con altre fattezze, ma con i medesimi effetti limitativi
degli spazi di autonomia sindacale.
9 Cass., sez. lavoro, 16 dicembre 2002, n. 18000, circa lo straordinario;
Cass., sez. lavoro, 16 maggio 2003, n. 7707, con riguardo al trattamento
per ferie; contra, Cass., sez. lavoro, 19 gennaio 1998, n. 420, secondo la
quale lo straordinario va escluso dal novero della retribuzione utile ai fini del calcolo della tredicesima, a differenza di ”altri elementi retributivi
aventi carattere continuativo”.
10 Corte Costituzionale, n. 470/2002, in RGL, 2003, II, p. 245 ss.
11 Cass., sez. lavoro, 22 luglio 2002, n. 10710.
12 G. ZILIO GRANDI, La tredicesima dei lavoratori metalmeccanici fra
t.f.r. e previdenza complementare, LG, n. 4/1997, p. 280 ss.
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