Correre e nutrirsi meglio aiuta la mente - DietaGIFT

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Correre e nutrirsi meglio aiuta la mente
Inviato da Redazione DietaGIFT
Ultimo aggiornamento lunedì 25 febbraio 2008
Podisti.net, 29 Settembre 2006
I fratelli Attilio e Luca Speciani allargano il tiro: dopo il libro DietaGIFT (Gradualità Individualità Flessibilità Tono), stampato
dai Fabbri Editori nel maggio 2005 (che commentammo a suo tempo), nello scorso giugno hanno pubblicato, sempre da
Fabbri e in formato identico, un altro volume dal titolo, se si vuole, ancora piu’ ambizioso: Prevenire e curare la
depressione con il cibo (sottotitolo: “DietaGIFT: per una sana alimentazione e un nuovo stile di vita”, 191
pagine, 15 euro).
Vale la pena di ricordare che Attilio è medico specialista di Allergologia e Immunologia clinica, e come tale ha risolto dal
suo studio medico e mediante il sito www.eurosalus.com parecchi casi di intolleranze alimentari dati per incurabili;
mentre Luca, dottore in Agraria, è più noto presso i podisti non solo in quanto eccellente maratoneta, ma per il ruolo
crescente che ha assunto su “Correre”, cui adesso collabora anche Attilio (e sulla rivista, nei mesi scorsi,
sono state pubblicate varie anticipazioni del libro).
In realtà, non di solo cibo si parla in questa nuova edizione, ma di tutto uno stile di vita imperniato sulla “voglia di
vivere”, nemica giurata della depressione. Logico dunque che uno dei pilastri della “vita-GIFT” sia
anche il movimento, ed in particolare la corsa: ciò che giustifica la presentazione del libro in questa sede, ed anche
–come vedremo- qualche dubbio, fondato su esperienze personali di corsa e di vita.
Quanto poi i temi trattati dagli Speciani siano d’attualità (anzi, di urgenza per la nostra civiltà occidentale combattuta
tra il fascino illusorio dell’american way of life e la tentazione di rinnegarsi sotto le spinte, non sempre pacifiche,
che vengono da sud-est ), l’ho verificato proprio il mese scorso, quando in un buen retiro alpino alternavo la
lettura del libro (in cui mia figlia biotecnologa aveva inserito il riassunto di una conferenza medica bolognese su
“cibo buono e cibo cattivo sul piano psichico”) con quella di riviste varie accumulate dalla primavera: da un
lato, su “Panorama” del 15 giugno, sotto il titolo “Salute e alimentazione – La confusione
e’ servita”, una serie di precetti e controprecetti alimentari (riguardo a vino, integratori, patatine, sale ecc.)
era completata da due ulteriori articoli, “Dieta si’, purche’ mediterranea”, e “Quattro
chili in 30 giorni”, dove tre nutrizionisti esibivano pareri non esattamente identici, e la ricetta finale “per
ritrovare la forma” distribuiva i due pasti principali (pasta e verdura a mezzogiorno; carne o uova, pane bianco o
patate a sera) in maniera alquanto diversa dalle proposte degli Speciani.
(N.D.R un approfondimento critico sulla dieta mediterranea a molte altre diete tra le più diffuse, si può trovare qui)
Aggiungo poi che, passando in un villaggio abbandonato d’alta montagna, come ultimo segno di vita trovavo una
copia di “Grand Hotel”, abbastanza vecchia (Afef dichiarava che il matrimonio con Tronchetti era
l’ultima cosa cui pensava, e Lippi sognava di allenare la nazionale), ed un cui redazionale portava il titolo
“Dimagrire! Una scoperta: le calorie negative. Ecco quali sono i 19 alimenti che fanno dimagrire” (purtroppo
nel testo non erano citati: lo si sarebbe imparato comprando, a 69mila lire, un libro da una ditta dell’hinterland
milanese…).
Insomma, l’ “accanimento terapeutico” in campo dietetico di questo cambio di millennio e’
paragonabile alle centinaia di ricette per affrontare la maratona, talmente diversificate tra loro da convincere, chi ne legge
una nuova al mese, che tutto fa brodo e prendendo un po’ di qua e un po’ di là, mangiando piselli e olio di
fegato di merluzzo ma anche bevendo birra e vino rosso, facendo un po’ di lunghissimi e un po’ di ripetute
e un po’ di stretching, alla fine qualcosa che ti fa bene l’avrai trovato.
A questo tipo di sincretismo fai-da-te, e dall’altra parte a quei rigidissimi diktat che minacciano pene severe ai
trasgressori, gli Speciani contrappongono una serie di principii-cardine, già enunciati nel libro del 2005 (che viene qui, in
un certo senso, riassunto), a cui fanno seguire delle raccomandazioni ragionate e ragionevoli, in uno spirito amicale che
strizza l’occhio a qualche possibile peccato.
Il problema messo a titolo, dunque, e’ la depressione, nelle sue varie manifestazioni: come la bulimia, i cui primi
accenni si hanno col bambino che fa man bassa di quello che trova nel frigo, specialmente se amidaceo e zuccherato, e
lo sconta non solo ingrassando ma alternando stati euforici ad altri di svogliatezza e malessere. Quegli stessi sintomi che
inducono l’adulto, rientrato dal lavoro stanco e teso, ad addentare cioccolata e pasticcini, magari con
l’aggiunta di un bicchierino per tirarsi su, ricavando dal suo cosiddetto “craving compulsivo” una
momentanea euforia che poi (quando l’insulina ha debellato gli eccessi di zucchero) si trasforma in nuova
angoscia, nuovo ricorso a illusorie dolcezze industriali, ed angosce ancora più forti quando la bilancia si sposta
inesorabile verso l’alto perché il nostro organismo ha trasformato l’eccesso di zuccheri in grassi di riserva
(salvo che, da quando la Chiesa ha abolito il digiuno quaresimale, la riserva non l’intaccano neppure i fervidi
credenti).
Notoriamente, la giustificazione storico-antropologica che gli autori adducono per le loro regole, qui come nei libri
precedenti, e’ la continuita’, anzi l’identita’ del nostro apparato digerente e delle sue
strategie con quello dell’uomo detto volta a volta “primitivo”, “preistorico”,
“paleolitico”, “scimmione in abiti firmati”: il cacciatore che andava sempre di corsa e metteva
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in bocca qualunque cosa trovasse, ma non conosceva zuccheri raffinati ne’ farinacei, e gli bastavano 5 grammi di
glucosio nell’intero circolo sanguigno per condurre una vita certamente piu’ dispendiosa, quanto a energia,
che noi oggi. L’aggettivo che ricorre piu’ di frequente nel libro e’ “evolutivo” (qualche
volta sostituibile, a mio parere, con “fisiologico”): ad esempio, l’assunzione di una bibita gassata
(che da sola contiene 25-30 grammi di zucchero) è un “insulto… dal punto di vista evolutivo”; la
necessita’ di zuccheri al mattino e di grassi alla sera e’ pure evolutiva, rivolgendosi prima al consumo
diurno poi all’accumulo e riparazione notturna; la produzione di acido lattico e l’utilizzo di grassi sarebbe
una “risposta evolutiva alla carenza di glucosio per il cervello” (120). Qualcosa di simile e’ in un
altro libro recente, Le pere di Pinocchio di P. Magni e S. Carnazzi (Milano, Apogeo, 2006), un cui capitolo
s’intitola “Mangiamo primitivo”.
Questa evoluzione, si dice a p. 107, sarebbe finita “nel Pleistocene, un milione e mezzo di anni fa”: stento
a crederlo (come mai gli uomini d’oggi hanno denti piu’ piccoli, e spesso in numero ridotto, dei loro
bisnonni?), ma non avendo competenze specifiche preferisco fidarmi di altre considerazioni di ordine biochimico, meno
discutibili in quanto fondate sulla verifica sperimentale di attivita’ ormonali. Gia’ detto del ruolo
dell’insulina, il “pompiere” degli incendi zuccherini, si parla (pp. 57 e seguenti) di cortisolo e
adrenalina, gli ormoni del “combattimento o fuga”, la cui secrezione eccessiva e prolungata (causa ed
effetto dello stress, sia psichico sia alimentare), genera malattie che possono arrivare fino al cancro, ed e’ fonte di
obesita’ per l’inibizione della leptina (l’ormone che genera il senso di sazieta’). E quanto alla
depressione, ne e’ corresponsabile l’insufficienza (prodotta dai nostri errori alimentari), di altri ormoni quali
melatonina e serotonina, oltre a carenze vitaminiche e di oligoelementi che una dieta equilibrata dovrebbe risarcire senza
ricorso a integratori (meglio le mandorle a colazione!).Insistente ed appassionata (da un libro all’altro) e’
l’esortazione a liberarsi dei cibi-spazzatura, impoveriti dalla raffinazione e additivati, specie con idrogeno e
zuccheri (si veda a pp. 80-81 per i tanti zuccheri nascosti che ingeriamo); come pure, la considerazione che depressione
e altre malattie si prevengano e combattano in un’armonia psicofisica globale. Leggiamo a p. 87, dove si discute
su come produrre piu’ serotonina: “Qualsiasi attivita’ aerobica, come correre, nuotare o andare in
bicicletta, aiuta a mantenerne elevata la disponibilita’ all’interno dell’organismo. Lo stesso avviene
con la meditazione, con l’esposizione regolare alla luce del sole… e perfino innamorandosi”. Chi si
dedica “quotidianamente ad un’attivita’ fisica o a pratiche di meditazione, puo’ permettersi
tranquillamente di assumere qualche zucchero in eccesso”, anche se sara’ la serotonina stessa a ridurre il
desiderio di dolciumi. Attenzione invece (proseguono gli autori a 91 e segg.), che l’abuso di farmaci, specie quelli
che agiscono sul sistema nervoso, produce una “resistenza serotoninica”, vale da dire la progressiva
chiusura delle cellule nervose alla serotonina. E lo scrivono (se mi consentite un codicillo polemico) nell’epoca in
cui un governo spensierato o sconsiderato o semplicemente suddito di poteri forti “liberalizza”, ovvero
stimola la vendita dei farmaci: si comincia con gli integratori, si passa alle aspirine e ai sonniferi
‘innocui’… a quando il Prozac offerto a 3 per 2?Ovviamente, correre (o comunque, muoversi)
e’ meglio: “Muovere la propria voglia di vivere” s’intitola la seconda parte del volume, dopo
che nella prima abbiamo appreso i fondamenti medici della questione. Ricompare l’evoluzione (108 segg.), sotto
forma di un confronto tra l’Homo Sapiens “e i suoi ominidi predecessori” (Erectus, Habilis,
Australopithecus) oltre alle scimmie antropomorfe (un discorso del genere vedo che e’ fatto anche dal periodico
“Camminare” dei fratelli Damilano e altri, primavera 2006, p. 36): ne risulta che il Sapiens si e’
distaccato dagli altri solo per l’adattamento alla corsa di lunga durata, allungando le gambe, accorciando i piedi e
gli arti superiori, sviluppando il tendine d’Achille e i muscoli delle gambe (specie con l’incremento delle
fibre rosse), ma anche i legamenti tra testa e busto (sotto questo aspetto siamo piu’ simili a cani, lepri e cavalli
che a scimpanze’!). Il tutto, per consentirgli una caccia di corsa tale da sfiancare anche le antilopi.
Anche in questo caso, mi astengo da giudizi “evolutivi” (la comparsa dell’Homo Sapiens credo sia
piu’ recente di quel milione e mezzo d’anni fa quando, secondo gli Speciani, si sarebbe arrestata
l’evoluzione; e spero che ci sia qualcosa di nuovo rispetto al concetto enunciato a p. 124: “l’uomo di
successo oggi e’ quello che ripercorre cio’ che rappresentava un successo gia’ qualche milione di
anni fa”); ma mi arrendo di fronte alle innumerevoli risultanze scientifiche, ancora una volta comprovate
biochimicamente, sull’efficacia del movimento anche in funzione anestetica ed euforizzante. Dopo di che,
occorrerebbe chiarire su quale sia il movimento ‘migliore’ ai nostri scopi: camminare, o correre? Al trotto o
al galoppo? Ho l’impressione che qui gli autori (o almeno colui che in qualche caso scrive usando la prima
persona singolare) trasferiscano alla corsa cio’ che le loro fonti mediche attribuiscono semplicemente al moto;
noto che la tabella di p. 122 asserisce i benefici di un’attivita’ “con regimi pulsatori da 100 a
140”, che nel mio caso significherebbe andare non piu’ veloci di 7 o 8 minuti/km. “Muoversi per
stare bene” (p. 114), insomma, si’; ma a “piu’ intelligenti se corriamo?” (titolo di p.
119) aggiungerei, visti casi clinico-umani di grande attualita’ tra i supermaratoneti, qualche ulteriore punto
interrogativo ed esclamativo.
Eccoci infine alla terza ed ultima parte del volume, una serie di consigli pratici, ovvero “Cinque passi per tornare
vivi”, “per uscire dalla schiavitu’ dell’instabilita’ dell’umore”.
Muoviamoci dunque, purche’ sia almeno tre volte la settimana e le uscite durino non meno di un’ora (p.
137; a p. 122 bastavano 45 minuti), tempo minimo per stimolare il consumo dei grassi. Per i principianti, ci risiamo col
famoso metodo Pizzolato-Maiocchi del minuto di corsa alternato al minuto di passo: anzi, anche meno, se e’ vero
che a p. 138-9 si consiglia una sessione di un’ora con soli 11 minuti corsi. Da non-tecnico, ho
l’impressione che prima di arrivare alla “fase 12” di p. 142 (5 minuti di corsa lenta e altri 55 di corsa
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continua: vedi anche “Correre” di settembre a p. 97, pure a firma di Luca S.), il principiante si sia
gia’ stancato, o, nella migliore delle ipotesi, abbia bruciato le tappe abbandonando quella che io trovo una
mortificante concessione alla vita comoda. Per fortuna che la vecchia volpe tapascionica Maurizio Maggi (di cui ricordo il
bagno nella Jacuzzi dopo la Milano Marathon 0), sullo stesso numero di “Correre” a p. 60, pensa ancora
“che quelle tabelle corri-cammina-corri-cammina ecc. ecc. fossero un simpatico trucco per far sentire ganzi i
teorici dell’altro approccio: ‘corri fin che vuoi, anche a costo di fermarti dopo 9 minuti, e gioisci di brutto
quando superi la mezz’ora filata’”!Tra i consigli pratici, da seguire quelli sulla postura (143), un
po’ piu’ problematici quelli sulla cosiddetta corsa zen, che mi sembra sconfinino in una specie di training
autogeno, ovvero autosuggestione: “ascoltiamo i polmoni che cedono tutto il loro ossigeno al circolo sanguigno.
Sentiamo atri e ventricoli contrarsi e dilatarsi per fornire la gittata piu’ idonea… Sentiamo le arterie gonfiarsi
di sangue ossigenato, ricco di energia” (p. 149). Sara’.
Piu’ essenziali i successivi precetti nutritivi, che riprendono (qualche volta con ripetizioni letterali) sia le
considerazioni del cap. I sia le ricette di cucina del libro del 2005: la colazione abbondante, incluse 10-12 tra noci,
mandorle e nocciole, e un grappolo d’uva (si raccomanda di masticare e inghiottire i semini!); i pasti monopiatto,
con equilibrio tra proteine, carboidrati e verdure. Si puo’ sgarrare ma “con onestà”: “un
bicchiere pieno di vino corrisponde quasi all’intera razione di carboidrati. La fetta di torta comporta la
cancellazione totale dei carboidrati ‘compatti’ (pane, pasta). La verdura non puo’ mai essere
sostituita… Le patate… devono essere viste come “carboidrati ‘compatti’ e non come
verdure” (169-70). Poi, frutta e verdura sempre, anche lontano dai pasti, cercando di girare alla larga invece da
gelati industriali, aperitivi, cereali raffinati: ma se uno ci scappa, tamponarne gli effetti con un cibo proteico (dalle sarde
alla cicoria, dalle noci ai frutti di mare ecc.).
Non mi soffermo su qualche errore di stampa o impaginazione (yassare stando sul Podisti.net degli ultimi mesi
puo’ generare choc insulinici molto simili agli autogol). Rem tene, verba sequentur: in un Paese nel quale non
passa giorno senza che uno uccida i genitori o i figli o la sua ex, confidando poi nell’assoluzione in quanto
incapace di intendere e volere, credo che valga la pena di provare a voler bene a se stessi anche con una ragionata, per
quanto non acritica, adesione alle tesi degli Speciani.
Fabio Marri
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