N. 2 del 2005 - IPASVI Pavia
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N. 2 del 2005 - IPASVI Pavia
co Registrazione presso il Tribunale di Pavia n. 355 del 08.02.1989. Sped. in abb. postale - Comma 20/C 2 L. 662/96 - Fil. di Pavia - IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TASSA - REINVIARE ALL’UFFICIO PAVIA-FERROVIA rp oe à 2/2005 Infermiere P A V I A r o p cor ISSN 1722-2214 a t i e DITORIALE E 2 PAGINA Infermiere a Pavia Si sono rinnovati alcuni Consigli Comunali nelle più importanti città della nostra provincia, l’editoriale di questo numero vuole ricordare ai Sindaci la disponibilità al dialogo a all’impegno di tutti gli iscritti a favore della cittadinanza. Egregio Presidente, Cari colleghi, la presente a comunicarVi che, per motivi famigliari, sono a presentarVi le mie dimissioni dalla funzione di Segretaria di Redazione e da componente del comitato stesso. Vi auguro un lungo viaggio pieno di informazioni utili per tutta la comunità infermieristica, Vi ringrazio per gli anni che abbiamo lavorato insieme raggiungendo ottimi obiettivi e Vi porgo cari saluti Marisa Bergognoni Preg.mo Sindaco Dott. Piera Capitelli del Comune di Pavia Ill.mo.Dott. Ambrogio Cotta Ramusino del Comune di Vigevano Ill.mo.Dott. Aurelio Torriani del Comune di Voghera Pavia, 23 maggio 2005 Pavia, 12 aprile 2005 Egregi Sindaci, con la presente mi preme porgeVi, a nome del Collegio IPASVI di Pavia, le più sentite congratulazioni per la conferma alla carica di Sindaco del vostro Comune. Il Collegio ha molto apprezzato il Suo impegno durante la campagna elettorale per il sistema sanitario locale e per la professione infermieristica Come Lei, crediamo molto nel confronto diretto fra istituzioni e professione al fine di garantire i massimi livelli di qualità assistenziale, l’attenzione alla centralità del cittadino, lo sviluppo professionale degli operatori della salute e il miglioramento costante del servizio sanitario. Pertanto nell’ottica di rispondere con criteri di eccellenza ai bisogni di salute, ci rendiamo fin d’ora disponibile per costruire sinergie collaborative (anche attraverso interazioni dirette con assessori competenti di sanità, famiglia e formazione) volte a favorire il raggiungimento di concrete azioni di programmazione per il prossimo futuro. Rinnovando le nostre congratulazioni Le porgiamo i migliori auguri Il Presidente Enrico Frisone Infermiere a Pavia Ringraziamo la collega Marisa per l'impegno profuso e per tutto il lavoro svolto in questi lunghi anni di collaborazione per la segreteria del Comitato di Redazione della rivista. Il Comitato di Redazione Rivista trimestrale del Collegio IP.AS.VI. di Pavia Anno XIV n. 2/2005 aprile-ggiugno 2005 Editore Collegio Infermiere professionali, Assiatenti Sanitarie, Vigilatrici d’Infanzia della Provincia di Pavia Direttore Responsabile Enrico Frisone Capo Redattore Giuseppe Braga Segreteria di Redazione G. Braga Comitato di Redazione O. Bonafè, G. Braga, M. Cattanei, S. Conca, S. Giudici, R. Rizzini, A.M. Tanzi Hanno collaborato L. Bravo, G. Calloni, S. Cassinelli a questo numero: C. Macaluso, L. Marvelli, P. Motta, D. Scherrer Impianti e stampa Gemini Grafica snc - Melegnano (MI) Direzione, Redazione, V'ia Lombroso, 3/B - 27100 Pavia Amministrazione Tel. 0382/525609, Fax 0382/528589 CCP n. 10816270 I punti di vista e le opinioni espressi negli articoli sono degli autori e non rispettano necessariamente quelli dell’Editore. Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Registrazione presso il Tribunale di Pavia n. 355 del 08.02.1989. Spediz. abb. post. art. 2, comma 20, lettera C Legge 662/96 - Fil. Pavia La rivista è inviata gratuitamente agli iscritti al Collegio IP.AS.VI. di Pavia. Finito di stampare nel mese di giugno 2005 presso Gemini Grafica snc di S. & A. Girompini, Melegnano (MI) I n d i c e S p a z i o concentrato Il corpo e il nostro “essere nel mondo” . . . . . . . . . . . . . . . .4 Il linguguaggio del corpo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .8 Incontrare il corpo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18 La comunicazione: il corpo e la parola . . . . . . . . . . . . . . . . .21 Nursing e corporeità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .23 Il corpo e la vergogna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .26 Approcci socioculturali sui canoni della bellezza corporea . .28 Il corpo invaso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .30 Dialogare con il corpo psichiatrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . .32 Le colonne d’Ercole Il corpo nobile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .36 Aggiornamento Aggiornamento in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .39 3 PAGINA Numero 2/2005 Paolo Motta* L’immagine degli Infermieri Sabato 30 aprile 2005, ore 21:00. Sulla rete televisiva La7 va in onda “L’Infedele”, trasmissione settimanale di approfondimento politico, economico e culturale condotta dal giornalista Gad Lerner. Questa volta, il conduttore ha deciso di dedicarla interamente agli Infermieri: la vigilia della Festa dei lavoratori diviene così l’occasione per portare all’attenzione del pubblico televisivo la situazione in cui versa attualmente una professione di solito quasi totalmente ignorata dai mass-media. Nello studio è presente una nutrita schiera di colleghe e colleghi, provenienti soprattutto dall’Italia settentrionale (la trasmissione è stata registrata a Milano, il giorno prima). Ci sono Infermieri che rivestono incarichi nelle istituzioni professionali, che lavorano in Regione, in ospedale, sul territorio, a domicilio o negli hospice, che dirigono servizi Infermieristici e che si occupano di formazione o di ricerca. Dunque, una rappresentanza numerosa e variegata del nostro gruppo professionale, chiamata a rendere testimonianza del significato profondo che assume l’assistenza Infermieristica nella società italiana contemporanea, ma anche delle più rilevanti prospettive di sviluppo della professione (la laurea magistrale, i master, la dirigenza, la stessa espansione della letteratura scientifica specialistica), senza peraltro tacere i problemi e gli ostacoli che essa continua ad incontrare. La trasmissione dura circa due ore, perciò dovrebbe esserci tempo sufficiente perché vengano affrontate le questioni salienti e, soprattutto, perché possano esprimere le proprie considerazioni i tanti Infermieri presenti, con le loro storie, competenze ed esperienze così diverse. Eppure, al termine della trasmissione tra i partecipanti e ancor più nei giorni successivi nell’intero gruppo professionale, prende forma un diffuso e condiviso senso di frustrazione, basato sulla netta impressione che nella trasmissione di Gad Lerner non siano stati offerti al pubblico i più autentici princìpi e valori della nostra cultura professionale, né abbiano avuto adeguato riscontro le aspettative, le esigenze e le difficoltà che gli Infermieri vivono ogni giorno. Una certa responsabilità per aver sprecato un’occasione importante di rendere maggiormente visibile un’immagine più veritiera della professione Infermieristica, secondo il parere di numerosi partecipanti, viene addossata allo stesso conduttore della trasmissione, il cui stile determinato lo ha portato spesso ad interrompere bruscamente i partecipanti durante il dibattito (sulla base della giustificazione non condivisibile che la televisione imporrebbe messaggi brevi e risposte circostanziate, senza preamboli, teoremi e concettismi), specialmente quando alcuni colleghi si proponevano di elaborare una riflessione un po’ più ampia e articolata per tentare di spiegare i profondi cambiamenti intervenuti negli ultimi anni a seguito del consolidamento del processo di professionalizzazione dell’assistenza Infermieristica. In effetti, in questo rifiuto di ascoltare un Infermiere che non si limita a una risposta istintiva e semplicistica si potrebbe individuare una nuova versione, magari un po’ più intellettuale, dello storico pregiudizio di cui gli Infermieri hanno lungamente sofferto e che li vuole relegare ad un ruolo ancillare nella cura della salute collettiva. Che cosa, dunque, non è emerso con la dovuta forza durante la trasmissione? Innanzitutto, il fatto che la natura professionale dell’assistenza Infermieristica, la sua essenza più moderna ma anche più profonda, non risiede nella sola dimensione tecnica dell’assistenza, ma in quella metodologica: come poi ha affermato Michele Piccoli, Presidente del Collegio IP.AS.VI. di Torino – presente alla serata e autore di una lettera aperta a Gad Lerner che può essere consultata sulla bacheca elettronica del sito nursesarea.it – “se dai una siringa in mano a una scimmietta, puoi essere sicuro che dopo tre mesi sarà in grado di eseguire correttamente delle iniezioni… il discorso circa la professionalità degli Infermieri che oggi si formano in università non regge se lo pensiamo tra siringhe e padelle”. Pur riconoscendo che le persone assistite hanno il diritto a ricevere cure e assistenza tecnicamente appropriate, sicure ed efficaci, occorre affermare con chiarezza che oggi questo risultato può essere ragionevolmente raggiunto attraverso l’assegnazione di molti compiti tecnici al personale di supporto gestito dagli stessi Infermieri, che possono recuperare in tal modo tempo ed energie preziose per i processi di valutazione dei bisogni del malato e di pianificazione degli interventi per una risposta personalizzata a tali bisogni. Infatti, sono le competenze metodologiche applicate all’assistenza del singolo malato – il ragionamento diagnostico, il pensiero critico, il problem solving, il decision making, il ricorso alle prove di efficacia – che legittimano l’Infermiere come professionista della salute, non certo la bravura nell’esecuzione di una tecnica. Inoltre, il dibattito che si è sviluppato durante la trasmissione non ha chiarito che la natura professionale dell’assistenza Infermieristica non risiede neanche in una generica istanza di umanizzazione della relazione assistenziale (lo studio è sem- brato talvolta attraversato da un’ambigua mitologia dei tempi passati, quando la vocazione degli Infermieri e il contesto organizzativo degli ospedali permettevano di dedicare più tempo e più attenzioni particolari al malato, ricevendone in cambio gratitudine e riconoscenza…), ma in un più preciso, radicato e formale senso etico e deontologico, che orienta l’Infermiere a riconoscere la persona assistita come soggetto portatore di diritti e come alleato con il quale stringere un patto terapeutico. Aggiunge Piccoli a tale proposito che “l’Infermiere è fondamentalmente un facilitatore, addestrato a non voltarsi dall’altra parte di fronte al dolore e alla morte. Uno che ti aiuta a fare ciò che faresti da te, se la malattia non te lo impedisse: una cosa complessa per la quale occorre sì una laurea, ma anche lunghi percorsi di formazione teorica, di pratica clinica e di rielaborazione emotiva tra colleghi o con l’aiuto di altri”. Infine, va segnalato che tra le diverse reazioni degli Infermieri alla trasmissione si è registrata una certa perplessità nei confronti delle élite professionali circa la loro capacità di rappresentare fedelmente la realtà quotidiana e i problemi di chi opera direttamente nelle unità operative (“ma non doveva essere una trasmissione dove a parlare erano gli Infermieri? Ho sentito parlare solo dirigenti, docenti dei corsi di laurea, ecc.” ha detto qualcuno). Esiste dunque una separazione tra le visioni del mondo e le concrete istanze della maggior parte degli Infermieri, che ‘operano in trincea’, e quelle di coloro che si sono indirizzati verso la carriera di dirigente o l’attività didattica e di ricerca? E se sì, sono così distanti o addirittura inconciliabili? La questione appare rilevante e meriterebbe uno spazio di approfondimento adeguato. Certamente, alla luce dei riflessi della trasmissione di Gad Lerner, viene da pensare che un elemento di forte unità tra gli Infermieri, indipendentemente dalle varie articolazioni dell’organizzazione della professione, debba presto essere ritrovato, in un rinnovato sforzo collettivo per rappresentare un’immagine più veritiera della figura dell’Infermiere stesso, che ha saputo superare la logica ancillare sia costruendo percorsi di carriera e di specializzazione di elevato valore, sia aggiornando profondamente le proprie competenze assistenziali, metodologiche, relazionali e manageriali nell’esercizio quotidiano dell’assistenza al malato. L’autore * Infermiere Dirigente Ospedale San Raffaele 4 PAGINA Infermiere a Pavia IL CORPO e il nostro “essere nel mondo” Annamaria Tanzi* “Io inerisco a me inerendo al mondo” M. Merleau-Ponty Una parola … il CORPO che sembra sfuggire ad una definizione unica per lasciare il posto a punti di vista parziali, determinati da un campo epistemologico o culturale particolare. E’ una parola che può essere inserita in diversi contesti culturali, è una parola dai molteplici significati, è una parola che si presta a diversi usi metaforici: tutto pare che formi un corpo. Veicolo delle pratiche significanti, connesse all’individuo ed alla persona, il CORPO si presenta come una struttura che assolve tutta una serie di funzioni inerenti a diversi campi di attività dell’uomo collocati nello spazio/tempo. Il CORPO come soggetto di comportamenti biologici, diventa oggetto di una scienza specializzatasi sulla base di una ripartizione del corpo in parti per cui gli ambiti agiti sono quelli della salute/malattia, vita/morte, sintomo/diagnosi, clinica, sensi; soggetto dei comportamenti culturali interviene nell’attività comunicativa vera e propria attraverso la voce e la parola e nelle varie forme di rappresentazione e quindi nel gesto, nella scena, nella danza, nella festa, magari con l’ausilio di mediazioni a fini di riconoscimento del ruolo mediante l’abbigliamento, l’ornamento, la maschera; veicolo degli atteggiamenti psicologici variamente classificati, assolve precise e selezionate funzioni della sessualità e del desiderio. Il CORPO è inoltre connesso ad atti sociali che comportano il rapporto con la materia intesa come prodotto economico e come mezzo variamente determinato della sopravvivenza. Per la filosofia la più antica e diffusa concezione del CORPO dell’Uomo è quella che lo considera strumento dell’anima. Nella storia della filosofia sono espresse sia la condanna totale del CORPO come tomba o prigione dell’anima sia l’esaltazione del CORPO fatta da Nietzsche. La più compiuta e tipica formulazione della dottrina della strumentalità è quella di Aristotele, per il quale il CORPO è “un certo strumento naturale” dell’anima come la scure lo è del tagliare. Anche se l’anima è corporea il CORPO può avere, rispetto ad essa, una funzione strumentale: così riteneva Epicu- reo, che attribuiva al CORPO la funzione di preparare l’anima, così pensava lo stoicismo, e così era nel materialismo di Hobbes o in quello ottocentesco. Nell’ intera filosofia medioevale domina questa dottrina della strumentalità con una eccezione, costituita dalla teoria della “forma di corporeità” che fu propria dell’Agostinismo e che consisteva nel riconoscere al CORPO organico una sua forma o sostanza indipendente. Il CORPO perde la caratteristica della strumentalità con Cartesio e il dualismo tra sostanza estesa e sostanza pensante che darà luogo al problema del rapporto tra anima e corpo. La filosofia moderna e contemporanea ha proposto quattro soluzioni al problema: 1. Negazione della diversità delle sostanze, riduzione della sostanza corporea alla sostanza spirituale. 2. Considerare il CORPO come un segno dell’anima. 3. Negazione della diversità delle sostanze ma non quella tra anima e corpo, ma anima e corpo sono considerate come due manifestazioni di una stessa sostanza. 4. Considerare il CORPO come una forma di esperienza o come un modo d’essere vissuto, che abbia un carattere specifico accanto ad altre esperienze o modi di essere. Quest’ultima soluzione ha trovato la sua forma in particolare nella fenomenologia di Husserl. In modo analogo il fisiologo Goldstein ha distinto spirito, anima e CORPO come processi diversi ma connessi che prendono significato e rilevo solo nella loro connessione. Affine a questa concezione è la dottrina di Sartre per la quale il CORPO è l’esperienza di ciò che è oltrepassato e passato. Merleau-Ponty, filosofo francese del Novecento legato all’orientamento fenomenologico di Husserl, opera una distinzione tra il CORPO quale è concepito per gli usi della vita e il CORPO che è concepito dall’intelletto. Questa riduzione, caratteristica della filosofia contemporanea del CORPO a un comportamento, o a un modo d’essere vissuto, non implica la negazione della realtà oggettiva del CORPO o la sua riduzione a spirito, o a idea, o a rappresentazione ma al contrario, que- 5 PAGINA Numero 2/2005 sta interpretazione ha accentuato l’oggettività della sfera di fenomeni in cui il corpo consiste secondo un orientamento fondamentale della filosofia contemporanea nei confronti della realtà in generale. [NICOLA ABBAGNANO] Il CORPO … umano Contrariamente all’ambito filosofico in cui si è sostenuta la separazione tra Corpo e Psiche (Platone, Cartesio), oggi si è ben consapevoli dello stretto legame che esiste tra questi due elementi costitutivi dell’Uomo e delle gravi conseguenze emergenti dall’averli dicotomizzati e cioè l’oggettivazione del CORPO inteso via-via come forza lavoro da impiegare, come organismo da sanare, come carne da redimere o come puro strumento di piacere e/o di potere, come inconscio da liberare, come supporto di segni da trasmettere. Il CORPO dunque, sempre lontano dall’impronta della sua vita, si è trovato a percorrere di volta in volta i territori tracciati dalla ragione scientifica che, in conformità alla natura del suo metodo, ha risolto in oggetto il mondo, e a oggetto del mondo il CORPO UMANO da trattare alla stregua di tutti gli altri corpi; per questo all’interno delle scienze non sarà mai possibile incontrare il CORPO come noi lo viviamo e il mondo come risponde al protendersi del nostro CORPO. Ma il CORPO che tentiamo di scoprire non può essere riconosciuto da una ragione che è tale solo per ciò che essa riesce ad oggettivare. E allora bisogna fare riferimento al mondo della vita, dove il nostro CORPO non è ancora un supporto di iscrizioni, ma una sorta di intenzionalità, mai tematizzata, che ha nel mondo il suo correlato e il suo indispensabile ambiente. Isolato dal mondo, il CORPO diventa oggetto, il significato intellettuale del gesto che gli si prescrive stenta a tradursi in significato motorio, non perché la prescrizione rimane incompresa, ma perché manca un mondo dove poterla esprimere con senso. Senza riferimento al mondo, il CORPO ricade nella condizione di cosa, essendo la cosa ciò che non si conosce, ciò che riposa nella più assoluta ignoranza di sé. Solo la presenza o l’assenza del mondo decidono le sorti del CORPO, il suo esistere come potenza operativa nel mondo o come cosa del mondo. In primo luogo, il CORPO è per ciascun Uomo originaria apertura al mondo perché è tramite esso che l’individuo si dirige verso il mondo ed è in grado di progettarsi nella misura in cui il corpo non è qualcosa di racchiuso in se stesso ma è sempre aperto al mondo, proteso verso il mondo. Quando l’intelletto giudica le cose del mondo, le tematizza solo in quanto esse sono già esposte a un CORPO che le vede, le tocca, le sente. Ed è proprio attraverso il CORPO che ciascun Uomo inizia e poi prosegue ad esprimersi e a comunicare con l’altro, quasi che il CORPO costituisca il principale medium tra l’Io e l’Altro, al punto che senza di esso non potrebbe esserci alcuna comunicazione e quindi nessuna reale esistenza umana. In secondo luogo, il CORPO dell’Uomo è tale in quanto vi è una coscienza intenzionale che gli da dei significati facendolo essere in un certo modo. L’intenzionalità del CORPO umano, la sua originaria apertura al mondo, il suo esporsi e attendere dal mondo indicazioni per sé è attestato, innanzitutto dalla sua struttura anatomica. Noi siamo eretti perché siamo impegnati in un mondo; come questo impegno vien meno, come si riduce la presa sul mondo, il corpo si abbandona, quotidianamente nel sonno, e alla fine nella morte, dove diviene oggetto puro, cosa tra cose, immobilità non gesto, silenzio non parola, corpo come lo concepisce l’anatomia della scienza. Non è l’anima che se ne è andata, ma è il mondo che non c’è più, o c’è solo come terra che l’accoglie e lo rinchiude. Sempre secondo Merleau-Ponty, il CORPO dell’Uomo è sempre un corpo vivente in quanto è un corpo proprio e non è solo o non è tanto un corpo oggettivo, una cosa “senza vita”. Ecco perché si può parlare di linguaggio del corpo sia nel senso che il CORPO contiene in sé i mezzi espressivi diretti e indiretti (i canali della Comunicazione Non Verbale – CNV –; la concretizzazione dei pensieri mediante le capacità corporee, per esempio la voce, l’uso delle mani per definire i segni: pittorici, musicali, della scrittura e così via), sia nel senso che il 6 PAGINA CORPO da testimonianza delle modalità di … essere nel mondo con gli altri assai più che tramite la parola. Nasce perciò la necessità di un vero e proprio recupero educativo del CORPO considerato nella cultura tradizionale e soprattutto in quella cristianocattolica, come una sorta di ingombro dell’anima se non addirittura come un pericoloso strumento di traviamento di quest’ultima, da cui quindi non ci si può che difendere. Un recupero educativo del CORPO che consenta da un lato l’uso del proprio CORPO (essere il proprio corpo) con libertà e persino con gioia, da un altro lato di sviluppare al massimo tutte le potenzialità esistenziali che vi sono contenute. Educati come siamo dalla filosofia e dalla scienza, oggi nessuno di noi fa alcuna fatica a rinunciare alla propria esperienza e a svalutare il proprio punto di vista sul mondo per adottare il punto di vista dell’Iopenso sul mondo. Si rinuncia così a vedere le cose da una prospettiva per vederle, scientificamente, da nessuna prospettiva; si rinuncia a vederle in un tempo, perché si preferisce vederle scientificamente da nessun tempo. Recuperare il CORPO significa respingere il formalismo della coscienza per sostituirlo con la comunicazione sensoriale, senza la quale non ci è dato di abitare il mondo, né di pensarlo con l’a priori della ragione. L’importanza delle informazioni sensoriali sono svalutate perché il sapere scientifico prodotto dal formalismo dell’Iopenso ha rimosso a tal punto la nostra esperienza corporea da farci disimparare a vedere, a udire e in generale a sentire, per dedurre dalla nostra organizzazione mentale e dal mondo quale lo concepisce il fisico ciò che dobbiamo vedere, udire, sentire. Per questo e per chiudere con Umberto Galimberti, la terra è divenuta inospitale e inospitali si sentono ormai gli abitatori della terra. … Il disagio nasce dall’incontrollato sviluppo delle scienze, dalla pretesa di abitare un mondo, che è corporeo e terreno, con un pensiero puro … dimentico del CORPO. [U. GALIMBERTI – E. HUSSERL – M. MERLEAU-PONTY] L’antropologo M. Leenhart in un suo saggio racconta di un missionario che chiede all’indigeno (melanesiano) se il loro lavoro abbia portato la nozione di spirito nel pensiero della popolazione a cui appartiene. L’indigeno risponde che non hanno portato lo spirito perché già conoscevano l’esistenza dello spirito ma che avevano portato il CORPO. Indagando l’universo simbolico delle società primitive ci si rende conto che per loro il Infermiere a Pavia CORPO non era quell’entità anatomica isolabile dalle altre entità che compongono il mondo oggettivo e che generalmente vengono identificate come sede della singolarità di ogni individuo; per loro il CORPO era il centro di quell’irradiazione simbolica per cui il mondo naturale e sociale si modellava sulle possibilità del CORPO, e il CORPO si orientava nel mondo tramite quella rete di simboli con cui aveva distribuito lo spazio, il tempo e l’ordine del senso. Mai quindi il corpo nella sua isolata singolarità, ma sempre un corpo comunitario, per non dire cosmico, dove avveniva la circolazione dei simboli e dove ogni singolo CORPO trovava, proprio in questa circolazione, non tanto la sua identità, quanto il suo luogo. Il CORPO comunitario non è il mezzo attraverso cui comunicano i singoli corpi, ma la zona in cui si esprime il senso e a cui i singoli partecipano come frammenti o anelli del corpo comunitario, dove circola quell’ordine simbolico che compone le energie di ogni CORPO UMANO con quelle degli altri uomini, degli animali, della terra e del cielo. Lo stupore dell’indigeno è comprensibile di fronte alla nozione di CORPO introdotta dal missionario, una nozione radicata nella naturalità biologica ed espressiva della singolarità dell’individuo separato dalla comunicazione con la natura e con la cultura. Per l’indigeno il CORPO era tanto più individuato quanto più si lasciava permeare dalle forze sociali e naturali. Queste erano oggetto di un intenso investimento affettivo, dove il CORPO riversava le sue energie, garantendo il funzionamento dei simboli secondo modalità che sono sconosciute al funzionamento dei codici nelle nostre società. La cura del malato nelle società primitive è affidata allo sciamano, la seduta sciamanica (Lévi-Strauss) prevede la presenza dello sciamano, del malato e del pubblico che collabora attivamente alla cura, distribuendosi attorno al male che, al pari di tutte le cose, è inteso come un “rapporto sociale”, a differenza di quanto ACCADE DA NOI dove il male si autonomizza come “rapporto organico” con la sua causalità oggettiva. L’arte sciamanica opera sul CORPO tramite il linguaggio, durante la sua seduta il malato, ha la possibilità di “esprimersi”, di parlare della sua malattia, della sua vita, in un gruppo che con la sua presenza non consente al delirio del malato di ingigantirsi e di oltrepassare, come facilmente può accadere in solitudine, ogni limite sociale. Lo sciamano ed i convenuti non confortano il paziente ma gli raccontano una storia, un mito e il malato, partecipando, può vivere in forma ordinata e intelligibile un’esperienza che altrimenti sarebbe folle e inafferrabile, per l’eccedenza di sensazioni che non riescono a trovare un punto di applicazione. Uno scambio simbolico, dunque, tra il malato e il gruppo, reso possibile dal fatto che il CORPO non è ridotto alla povertà dell’organismo, ma è il punto in cui si raccoglie una mitologia che da lì si espande per l’universo, consentendo al CORPO SOFFERENTE di esportare, lontano da sé il proprio dolore. E’ un’esperienza che richiede una dissociazione da parte del malato nei confronti del proprio CORPO. In questo stato dissociativo, altrimenti detto trance, interveniva lo sciamano che riportava nel loro ordine la confusione per un momento verificatasi nei codici simbolici; e, ristabilendo l’ordine, ristabiliva il CORPO del paziente dopo il rischio di un pericoloso viaggio nelle regioni dell’incodificabile. Tornando al pensiero Occidentale il CORPO è il KORPER nella lingua tedesca quando ci si riferisce ad una realtà materiale (ambiti dell’anatomia e fisiologia), a un punto di vista puramente fisicalistico e meccanicistico, un punto di vista riduttivo e fuorviante. Il CORPO è LEIB nella lingua tedesca, che è il corpo come organicità, come oggetto di un’esperienza complessiva ed unitaria, qualcosa di più complesso della sola struttura corporea, un sistema in cui coesistono, strettamente interconnessi: materia, coscienza, emozione, pensiero, autocoscienza, anima o spiritualità. Il nostro CORPO è qualcosa di più delle possibilità che gli concedono i suoi sensi, la sua vita può essere al di sopra o al di sotto di queste possibilità, perché a decidere il suo grado di vitalità non sono i sensi, ma il suo interesse per il mondo. La patologia, la malattia a qualsiasi livello si manifesta, non può essere compresa che prendendo in considerazione tutti questi aspetti, essendo essi parte integrante dell’organismo vivente. L’immagine del corpo Nella vita di tutti i giorni quasi non ci accorgiamo del nostro corpo. Solo quando una funzione viene lesa ci rendiamo conto di possederlo: una sequenza di avvenimenti soggettivi ed oggettivi, compone lo schema e l’immagine del corpo. L’uomo ha la facoltà di cogliere il proprio corpo in una dimensione di spazio e di tempo. A livello psicologico, l’immagine del corpo viene vissuta come un ampliamento dell’io. Le tipiche disfunzioni psicologiche della rappresentazione del proprio corpo sono 7 PAGINA Numero 2/2005 presenti nei problemi legati all’aspetto fisico, ad esempio, relative al peso: obesità o anoressia nervosa. La modifica dell’immagine del corpo ha un ruolo importante nella vita; è un’immagine individuale e dipende da diversi fattori: fisico, interiore, sociale. Quando si chiede ad un individuo di disegnare se stesso o una parte del suo corpo, questi disegni, anche nelle persone sane, riflettono il modo di sentirsi o di essere che può non rispettare l’immagine reale. Ciò può dipendere dallo stato d’animo, dall’età come pure dalla malattia o da un’invalidità, particolarmente se non temporanea. Nell’ambito della psicopatologia, rispetto al CORPO, si può creare una immagine distorta o assente. In particolare nel disturbo di depersonalizzazione, per un senso di estraneità dal proprio ambiente si può avere la sensazione che il proprio CORPO sia intorpidito o privo di vita, oppure che certe parti anatomiche non siano collegate al resto del CORPO, o ancora il sentirsi come distaccato dalla propria immagine al punto da vedersi estraneo o da osservarsi a distanza. Il culto del corpo sano “Sono un corpo oppure ho un corpo?”. Solo la nostra epoca, che si è staccata dal puro aspetto scientifico delle cose ed ha ammesso anche spiegazioni psicologiche, può dare una risposta intelligente a questa domanda. In ambito operativo della salute è valido il concetto secondo cui, l’uomo, è identico al suo corpo in senso esistenziale e, contemporaneamente, lo riflette essendo più conscio della sua corporalità. In questo concetto si rispecchia anche la libertà dell’individuo: io non sono il mio corpo, posso entrare in contatto con lui, lo posso modificare con le mie attenzioni ed il mio atteggiamento positivo nei suoi confronti (esercizio fisico, esercizio di immaginazione creativa). Per Karl Jaspers, il corpo rappresenta “l’unica parte del mondo che contemporaneamente viene sentito da dentro e percepito da fuori. Per me è un oggetto e io stesso lo sono per lui”. L’identità corporale (vita ed immaginazione del corpo) si ripercuote anche nella lingua inglese: “somebody” è qualcuno e “nobody” è nessuno. You are nobody till somebody loves you (Sam Keen): “non sei nessuno fintanto che qualcuno non ti ama”. Un’altra frase di Karlfield: “ho un corpo ma sono carne”, indica che l’essere carne e l’avere un corpo non sono scindibili nella mente umana dato che vi incidono anche componenti interiori e spirituali. All’essere appartiene la vita attiva e la capacità di sapersi adattare al mondo circostante. Questo concetto si esprime all’interno delle attività di vita quotidiane (bisogni fondamentali) e in tutte le forme di espressione non verbale che indicano sentimento, sensazioni ed umore. All’avere appartiene la funzione “il corpo funziona anche da strumento della nostra volontà e dei nostri desideri, sebbene egli governi arbitrariamente - anche senza un consapevole effetto, con un sistema di regole chiuso - su stimoli della nostra sfera interiore e del mondo esterno”. La nostra vita intera è legata al corpo ed alla corporalità. Necessita della percezione consapevole, del contatto, dell’appoggio e del movimento laddove questo ne è ostacolato. La cultura ed il culto della corporeità indicano un adattamento, dinamico ed armonico del corpo e dello stile di vita, alle esigenze della realtà esterna ed interna. Psiche, anima e spirito sono le componenti interiori non facilmente individuabili ma che determinano, in modo sostanziale l’andamento della vita umana, sono perciò dati di fatto reali che bisogna osservare per poter trarre conclusioni sullo stato psichico di una persona. L’aspetto esterno (soma in senso biologico) è il supporto della psiche che permette all’essere umano di entrare in relazione con gli altri e con l’ambiente circostante, La malattia mentale, indipendentemente dalle sue cause, colpisce sempre l’uomo nella sua interezza e, interiormente nel suo io, come nelle relazioni con l’ambiente che lo circonda. L’Uomo è totalità ed unità L’Uomo e la sua natura non possono essere concepiti come “somma” o come risultato di un’addizione, l’Uomo rappresenta la totalità, e come tale, una struttura vivente. Il CORPO (umano) è l’organismo composto nella sua totalità per cui l’Uomo è Corpo-Anima-Spirito-totalità ed unità, un’unità indivisibile. La cura del CORPO è uno dei bisogni fondamentali dell’Uomo e non riguarda soltanto l’esteriorità (igiene corporea) ma anche l’espressione di un’attitudine interiore. La percezione corporea da una parte si adegua alle leggi biologiche del CORPO che abbisogna di cure, dall’altra supera i confini biologici e diventa cultura del corpo e del comportamento per esempio attraverso la danza, la ginnastica, l’estetica del movimento e così via. Il CORPO in sé è anche espressione di vita nel suo divenire; siamo CORPO nel tempo e questo significa che siamo inseriti nel ciclo continuo dell’arco della vita: la nascita e la morte. Qualsiasi parte o livello del si prenda in considerazione di un’organismo vivente, le singole cellule, i tessuti, gli organi, gli apparati, o la totalità stessa dell’individuo, questo è sempre un sistema integrato di energie di diversi gradi di vibrazione dipendenti dalla complessità del livello considerato. L’Olismo è la concezione dell’organismo quale totalità, la concezione olistica dell’Assistenza intende e vede l’Uomo nella sua totalità, lo pone al centro del proprio pensiero e dell’azione nella sua correlazione Corpo-Anima-Mente, con il suo mondo e l’ambiente. Per questo, quando ci poniamo al livello del singolo individuo per comprenderlo in tutte le sue manifestazioni, in tutti i fenomeni che avvengono in esso, l’intero suo modo di essere nel mondo, dobbiamo sempre tener presente essi sono la risultante di un processo storico di interazione fra tutti i suoi sottosistemi con la sua interazione nei sistemi ad esso superiore. Bibliografia - U. GALIMBERTI, “Il Corpo”, Ed. Universale Economica Feltrinelli - L. JUCHLI, “L’assistenza Infermieristica di Base”, Rosini Editrice Firenze - E. MARIANELLA, “L’espressione creativa del corpo”, editoriale ESA - G.A. PIGAT-R.BIANCAT, “Psicologia di base per il nursing”, Rosini Editrice Firenze - P. BERTOLINI, Dizionario di Pedagogia e Scienze dell’Educazione, Editore Zanichelli - L’ENCICLOPEDIA, La Biblioteca di repubblica L’autore * Infermiera Centro Diurno - Polo Psichiatrico Torchietto Azienda Ospedaliera Pavia 8 PAGINA Infermiere a Pavia Il linguaggio del Corpo Preambolo Annamaria Tanzi* “Noi abbiamo esperienza della realtà solo per mezzo del corpo”. Lowen Il Corpo parla un linguaggio che anticipa e trascende l’espressione verbale. Il linguaggio del corpo ha un ruolo primario nella determinazione del comportamento sociale. L’analisi del comportamento sociale a questo livello ha permesso di considerare la psicologia sociale da un nuovo punto di vista. Le prime ricerche sulla Comunicazione Non Verbale (CNV) ebbero per oggetto l’espressione facciale e l’emozione. Però, sul finire degli anni Cinquanta crebbe l’interesse per alcuni altri settori di ricerca come il gesto ed il paralinguaggio. Gli studiosi di psicologia sociale ed etologia animale iniziarono a cogliere le somiglianze tra comunicazione umana e comunicazione animale e gli antropologi a porre in rilievo le differenze culturali. Però gli uomini si differenziano dagli animali per la complessità e il grado di pianificazione del loro comportamento sociale. Molti comportamenti sociali dell’uomo consistono in “atti sociali”, cioè comportamenti che sono carichi di significati per coloro che li compiono; vengono pianificati e compiuti con determinati obiettivi, vengono controllati nel corso della loro esecuzione e seguono regole precise. I segnali non verbali di base vengono incorporati negli atti sociali, secondo una struttura gerarchica. Si è verificato un notevole disaccordo sui metodi di indagine tra approcci comportamentali, linguistici e psicoanalitici; oggi, tuttavia, pare che vada affermandosi fra gli studiosi un comune punto di vista. I segnali che il corpo rimanda a noi riguardano: l’espressione facciale, lo sguardo, i gesti ed altri movimenti, la postura, il contatto fisico, il comportamento spaziale, l’abbigliamento e altri componenti dell’aspetto esteriore, le vocalizzazioni non verbali, l’odore. Ognuno di questi canali funziona in modo distinto, e il discorso su ognuno di loro è molto diverso. Lo sguardo è un canale poiché può presentare diversi aspetti; l’espressione del viso è per lo più innata; i gesti variano a seconda delle culture; il contatto fisico è spesso tabù; ecc. I segnali corporei possono essere appena percettibili, subdoli o inconsci. L’uso corretto della CNV è una parte essenziale della capacità sociale e di specifiche competenze sociali: i pazienti con sofferenza mentale sono, di solito, carenti in questo campo. Il linguaggio propriamente detto è notevolmente dipendente e strettamente intrecciato alla CNV e vi sono molte cose che non si possono esprimere adeguatamente in parole. Tra le implicazioni pratiche della CNV vi è la cura dei malati mentali. La CNV ha luogo ogni volta che una persona influenza un’altra attraverso uno dei canali sopra descritti. Il significato di un segnale non verbale per un emittente si può trovare nel suo stato emotivo o in qualche altro stato, o nel messaggio che intende trasmettere. Il significato per un ricevente si può trovare nella sua interpretazione del segnale. Il significato dei segnali non verbali varia nei differenti contesti sociali e dipende anche dalla sua posizione spazio-temporale rispetto ad altri. Anche l’arte e la musica fanno parte della comunicazione non verbale, esse hanno innanzi tutto un valore non verbale e non possono essere tradotte in parole. “L’arte è la creazione di forme che simboleggiano i sentimenti umani” – Langer 1953 Alcune ricerche hanno portato alla luce reazioni all’arte ed alla musica: evocare immagini visive ed emozioni, provocare movimenti corporei, rappresentare oggetti ed eventi, comunicare sentimenti profondi e atteggiamenti verso la vita. Una della applicazioni pratiche delle ricerche sulla CNV riguarda l’addestramento alle abilità sociali per pazienti che presentano disturbi del comportamento, in particolare nevrotici, adolescenti, disturbati, depressi, persone sole e molto isolate. Quasi sempre, la comunicazione non verbale di questi pazienti ha bisogno di un vero e proprio addestramento poiché essi tendono a sorridere, gesticolare e guardare meno degli altri individui, e manifestano 9 PAGINA Numero 2/2005 altre anomalie comportamentali. Un’altra applicazione interessa l’addestramento a contatti interculturali con coloro che devono lavorare all’estero, perché molti pregiudizi razziali e incomprensioni sono probabilmente fondati sui diversi tipi di comunicazione non verbale usate dai diversi gruppi culturali. Queste applicazioni potrebbero rappresentare un valido aiuto nell’etnopsichiatria. La gestualità è l’aspetto che sembra mutare di più nell’ambito di culture diverse, tuttavia alcuni studi hanno rivelato che alcuni gesti sono universali, mentre altri costituiscono variazioni di uno stesso tema. Altre differenze riguardano lo sguardo, il contatto fisico, la postura, i movimenti del corpo, la vocalizzazione, l’odore, l’aspetto esteriore. Esiste un corpus di conoscenze ottenuto con diversi metodi di ricerca nello studio della CNV. I canali della CNV Si possono distinguere cinque tipi di CNV o comunicazione corporea: 1. Esprimere emozioni 2. Comunicare atteggiamenti interpersonali 3. Accompagnare e sostenere il discorso 4. La presentazione di sé 5. Rituali I segnali non verbali possono essere i gesti e movimenti del corpo, il viso, lo sguardo, la voce, il comportamento spaziale, la postura, il toccare ed il contatto corporeo, le componenti dell’aspetto esteriore. Ogni canale può comunicare determinati aspetti della personalità: l’espressione delle emozioni avviene soprattutto attraverso il viso, il corpo e la voce; la voce può anche comunicare dominanza (atteggiamenti interpersonale) e/o sottomissione ed è importante nell’ambito delle abilità sociali e per il mantenimento dei rapporti, lo stile vocale inoltre favorisce la possibilità di persuasione e da esso può dipendere la credibilità di chi parla. Sempre in riferimento alla voce alcune ricerche hanno trovato che l’influenza sociale richiede una combinazione di autorevolezza e di gratificazione e questo risultato è possibile ottenerlo con la voce. Il comportamento spaziale. Comprende i seguenti elementi: vicinanza (distanza esistente tra due persone), orientazione(angolazione secondo cui le persone si situano nello spazio l’una rispetto all’altra), comportamento territoriale (creazione ed invasione del territorio, progettazione di spazi sociali), movimento nell’ambiente fisico (aree con significato di territorio di alcune persone o gruppi, aree in rapporto con la posizione sociale o con i ruoli sociali, parti di una casa che hanno un significato simbolico, forma e dimensione di una stanza, dimensione dei mobili, esistenza di barriere fisiche). È, in qualche modo, il segnale non verbale più diretto, dato che può essere misurato in termini di distanza e di orientazione. Il comportamento spaziale esprime anche certe proprietà della personalità, ed è usato come un segnale di interazione, ad esempio per iniziare e concludere incontri. L’estensione dello spazio personale probabilmente riflette le caratteristiche del corpo e degli organi di senso. Nell’ambito di ogni cultura esistono precise norme che regolano vari aspetti del comportamento spaziale, le norme comunque permettono una banda di tolleranza, all’interno della quale sono permesse variazioni. Oltre questi limiti, i comportamenti delle persone sono considerati come deviazioni o rotture delle norme. Rispetto agli atteggiamenti interpersonali la gente, sta più vicina alle persone per le quali prova simpatia ma la vicinanza può essere determinata dal fatto che due o più persone sono simili per status o età, per razza o per altre ragioni. Le persone stanno ancora più lontane da individui portatori di uno stigma. La dominanza si esprime attraverso il comportamento spaziale (un leader si mette dove può vedere ed essere visto da tutti; oppure il significato simbolico che può avere una posizione) La posizione spaziale è influenzata dalla situazione e dal compito. Per quanto riguarda la personalità, una scoperta è stata quella che le persone con disturbi mentali di qualunque tipo hanno bisogno di più spazio, e ciò è particolarmente notevole nel caso degli schizofrenici. È stato rilevato che anche i carcerati violenti hanno bisogno di zone cuscinetto più grandi. Altre ricerche hanno individuato che le persone che si avvicinano di più tendono a 10 PAGINA guardare, sorridere e parlare maggiormente, e in generale presentano una tendenza all’approccio sociale (caratteristica in relazione all’estroversione). Alcuni studi invece hanno rilevato che le persone ansiose stanno più distanti, mentre quelle sicure di sé ed assertive si avvicinano maggiormente. In relazione al sesso si è notato che le donne si avvicinano più degli uomini, e sono a loro volta avvicinate di più, specialmente da altre donne. Il comportamento spaziale come segnale di interazione. I movimenti nello spazio vengono usati come “MOSSE” durante l’interazione sociale, il movimento verso una persona diventa un segnale, che indica il desiderio di interagire. Questa intenzione richiama altri canali della CNV come lo sguardo, l’espressione del volto e con il discorso che accompagna lo spostamento spaziale. Per interagire con qualcuno è necessario avvicinarsi in modo sufficiente per parlare, per essere ascoltati e per far vedere il volto. Può essere necessario ottenere l’approvazione dell’altro al fine di avvicinarsi al di là di un certo limite. Generalmente l’inizio e il termine di un incontro e quindi di un’interazione sono accompagnati da movimenti nello spazio con opportuni segnali non verbali (NV) e verbali. I movimenti spaziali, di solito, danno inizio anche a fasi particolari di un incontro. Alcuni dei più importanti aspetti del comportamento spaziale sono connessi al “territorio” (comportamento territoriale), alla sua delimitazione, invasione e difesa. Per gli esseri umani si possono distinguere tre tipi di territorio di diverse dimensioni: Spazio personale Territorio personale Territori domestici Lo spazio personale è l’area che gli individui mantengono intorno a se stessi, e all’interno della quale gli altri non possono penetrare senza generare una situazione di disagio. Il territorio personale è costituito da un’area più vasta, che un individuo possiede, ha in uso esclusivo o controlla, spesso questo spazio gli procura la privacy o un’intimità sociale (casa, giardino, auto, ufficio). Vi sono anche territori temporanei (tavoli e posti a sedere nei ristoranti, stanza in hotel, posti nel cinema, un campo di tennis), Un territorio può essere semplicemente costituito con ripetute occupazioni di un particolare posto a sedere a tavola. In ricerche svolte in reparti di un Infermiere a Pavia ospedale psichiatrico si è scoperto che i territori appartati sono cercati da schizofrenici e dai pazienti che si trovano in basso nella gerarchia stabilita dai pazienti stessi. I territori domestici sono aree di spazio pubblico che vengono utilizzate abitualmente dai componenti di un gruppo particolare. Un altro aspetto è l’invasione del territorio che può avvenire con segnali NV come la vicinanza fisica, il guardare, l’ascoltare, facendo rumore, usando oggetti, o sporcando oppure mettendo in disordine parte del territorio. L’invasione arreca disagio o fastidio a chi la subisce che mette in atto una serie di segnali NV. Esistono diversi modi per difendere lo spazio personale, gli esseri umani contrassegnano i loro territori lasciando cappotti o oggetti per esempio sulle sedie, oppure mettendo i loro nomi sulle porte delle stanze. Anche le situazioni di affollamento e isolamento possono essere causa di disagio soggettivo e produrre forme di angoscia. Gli effetti del sovraffollamento sono minori o nulli a secondo della situazione. La necessità di avere uno spazio privato sufficiente si riflette in una regola sociale largamente accettata, cioè che in tutti i rapporti uno dovrebbe “rispettare la privacy dell’altro”. Infine, tutti i comportamenti sociali hanno luogo in un ambiente fisico, si può quindi considerare la progettazione di spazi sociali (arredamento, decorazione, disposizioni architettoniche) come un’estensione del comportamento sociale, e di fatto come un tipo di abilità sociale. 11 PAGINA Numero 2/2005 L’espressione del volto. Il volto è il canale più rilevante della CNV (espressione delle emozioni e atteggiamenti verso gli altri). Sia i lineamenti sia le espressioni della faccia sono interpretati come aspetti della personalità. Durante l’interazione sociale il volto è in continuo movimento e le sue espressioni sono in parte spontanee e in parte intenzionali. Solo entro certi limiti si può dire che la personalità è espressa dal volto. Le vocalizzazioni non verbali. Sono composte di sequenze di suoni di diversa frequenza e intensità, possono essere di carattere emozionale (gemiti, lamenti, strida e grida, pianto e riso, gli oh e gli ah, borbottii e mugolii), e legate al discorso (segnali prosodici: tono di voce ascendente per fare una domanda, pause ed altri aspetti della sincronizzazione per mettere in rilievo la sintassi, la sonorità per dare enfasi; segnali di sincronizzazione: segnali vocali quali, un tono discendente al termine di una frase; pause riempite: gli ehm e gli ha che rappresentano un tipo di mancanza di scorrevolezza nel discorso oppure ripetizioni, balbettii, suoni incoerenti, omissioni, variazioni di una frase e incompletezza). I toni di voce possono comunicare atteggiamenti interpersonali, dominanza e sottomissione, cordialità o ostilità oppure favorire la possibilità di persuasione e la credibilità. Il tono della voce è anche importante nell’ambito delle abilità sociali e per il mantenimento dei rapporti. È da supporre che esistano dei legami fra la voce e la personalità; l’estroversione una delle più affermate dimensioni della personalità, è correlata con caratteristiche della voce: tono più alto nei maschi, più intensità, ritmo più veloce e meno pause nelle femmine. Il ritmo del discorso costituisce una variabile, un ritmo più veloce è considerato segno di autorità, estroversione e competenza. Il tono ha due effetti: un tono più alto è ritenuto un segno di estroversione, autorità, sicurezza e competenza, ma anche un segno di tensione e nervosismo. Le qualità vocali del modo di parlare delle persone ansiose non sono propriamente uguali a quelle che sono provocate da situazioni angosciose. Queste persone parlano in fretta, ma con pause vuote particolarmente lunghe (oltre un secondo e mezzo); forse hanno bisogno di più tempo per organizzare il discorso, e riescono a controllare altri elementi che alterano la scioltezza di un discorso. Studi e ricerche hanno permesso di elencare alcuni dei principali tipi di perso- nalità collegati alle diverse caratteristiche della voce: - ASPIRATA: più giovane, più artistica - PIATTA: più maschile, pigro, freddo, introverso - NASALE: socialmente indesiderabile in vari modi - TESA: più vecchio, rigido, litigioso - GUTTURALE: più vecchio, realista, maturo, sofisticato, ben adattato - ALTISONANTE: energico, sano, artistico, sofisticato, orgoglioso, interessante, entusiasta - VELOCE: animato, estroverso - VARIATA NEL TONO: dinamico, femminile, con predisposizioni estetiche. È importante precisare che il grado di accuratezza dei giudizi sulla personalità basati solo sulla voce non è molto elevato. Attraverso le vocalizzazioni non verbali è possibile comunicare delle emozioni, sono stati condotti numerosi studi sul modo in cui si decodificano le emozioni e alcuni dei risultati principali sono: Gioia, esultanza: aumento di tono, variazione del tono all’interno di un’espressione, variabilità del tono, intensità, quantità del discorso, profilo armonico. Depressione: abbassamento del tono, variazione del tono all’interno di un’espressione, intonazione, intensità, meno energia nei toni alti. Ansia: aumento di tono, maggiore velocità ed un maggior numero di incertezze nel parlare, pause vuote, voce di tipo aspirato; ci sono comunque ampie variazioni individuali, ad esempio alcun persone parlano più lentamente quando sono ansiose. Paura: aumento di tono, variazione del tono, variabilità, molta energia nei toni più alti, quantità del discorso, speciale qualità della voce come nel pianto. Rabbia: aumento di tono nel furore, abbassamento di tono quando la collera è fredda, aumento dell’intensità, voce di qualità aspra, ritmo del discorso più sostenuto, improvvisi aumenti di tono e di sonorità su singole sillabe. I segnali prosodici del tono, dell’enfasi e della cadenza possono fornire informazioni sulle emozioni e altre caratteristiche di chi parla. Essi possono modificare anche il significato del messaggio. Lo sguardo. Lo sguardo, o l’azione del guardare, è d’importanza fondamentale nell’ambito dei comportamenti sociali. È un segnale NV ma è ancor più un mezzo per percepire le espressioni degli altri, particolarmente dei loro volti. Anche l’azione e la maniera del guardare hanno un significato, in quanto rivelano, quanto è l’interesse nei confronti di un’al- tra persona. Lo sguardo è dunque una fonte di informazioni, in quanto fornisce feedback, cioè informazioni di ritorno sul proprio comportamento. Ne segue che coloro che non guardano abbastanza sono probabilmente poco capaci di interagire. Alcune ricerche hanno dimostrato che i malati di mente privi di abilità sociali guardano poco il loro interlocutore. Lo sguardo gioca un ruolo importante nell’avviare o nel non voler avviare, stabilire e concludere gli incontri sociali e nell’instaurare relazioni con le persone (piacersi e amarsi). La quantità di sguardo è influenzata dalla dominanza e dallo status: le persone di status più elevato guardano relativamente poco mentre ascoltano e guardano maggiormente mentre parlano. Rispetto alle emozioni, parecchi ricercatori hanno riscontrato che lo sguardo varia con il variare dell’intensità dell’emozione piuttosto che con il tipo di emozione: si guarda maggiormente durante gli stati d’animo positivi. Esiste poi, un certo numero di chiare correlazioni fra lo sguardo e la personalità, le principali scoperte sono le seguenti: i maschi, gli introversi, i bambini autistici e la maggior parte dei malati di mente guardano meno. Le persone estroverse, dominanti o autoritarie, e socialmente abili guardano di più. Lo sguardo è decodificato secondo le stesse variabili della personalità per cui, le persone che guardano di più tendono ad essere percepite in modo più favorevole, e in particolare come più competenti, cordiali, credibili, autorevoli e socialmente abili. Gesti e movimenti del corpo. Con il termine “gesti” si indicano di solito le azioni volontarie compiute dalle mani, dalla testa o da altre parti del corpo, queste azioni hanno il fine di comunicare. Si possono distinguere tre tipi principali di movimenti corporei: Emblemi – atti non verbali, di solito movimenti delle mani, che hanno una diretta traduzione verbale e il cui significato verbale è noto a tutti o quasi i membri di un gruppo o di una subcultura. Illustratori – movimenti direttamente collegati al discorso che servono ad illustrare ciò che viene detto verbalmente. Automanipolazione – movimenti centrati sul corpo. Per quanto riguarda l’automanipolazione, alcuni studi su pazienti con sofferenza psichiatrica hanno rilevato che le emozioni sembrano essere espresse da movimenti delle mani, furono osservati i seguenti risultati: 12 PAGINA 1. Forte inibizione: movimenti di ritiro, movimenti stereotipati, gesti sui capelli, generale agitazione motoria, movimenti non necessari. 2. Depressione: i movimenti sono lenti, rari, esitanti, privi di enfasi; uso di gesti per nascondersi. 3. Euforia: i movimenti sono veloci, espansivi, ritmici, spontanei, autoaffermativi, affettuosi. 4. Ansia: gesti che scompigliano i capelli che nascondono il volto; torcersi e riunire le mani, aprire e chiudere i pugni, pizzicarsi le sopracciglia, grattarsi il volto, tirarsi i capelli, agitarsi senza scopo. Alcuni studi hanno messo in relazione i gesti o stili gestuali con la personalità. Molti caratteri dello stile gestuale sembrano essere collegati alla capacità di rinforzare l’interlocutore e ad altri aspetti della sua efficacia sociale. È stato rilevato che i malati di mente socialmente disadattati fanno un minor uso dei gesti ed è stato osservato che i malati di mente si toccano più degli altri. L’uso dei gesti accresce l’efficacia di alcuni tipi di comunicazione, ci si è accorti che le persone che possiedono maggiore facilità di eloquio utilizzano i gesti più degli altri. Lo stile gestuale di una persona è in parte il prodotto del suo background culturale e occupazionale, dell’età e del sesso, dello stato di salute, dell’affaticamento e così via. La postura. Le tre principali posture dell’uomo sono: - eretta; - a sedere, rannichiata e in ginocchio; - distesa. All’interno di una cultura, per ogni situazione ci sono posture approvate, l’omissione di una postura giusta può determinare disapprovazione. La postura può comunicare dominanza e status: postura eretta, rigonfiamento del petto, mani sui fianchi, esecuzione di gesti esuberanti oppure sottomissione con abbassamento del capo, corpo raggomitolato o inchinato. Anche la simpatia, l’attrazione interpersonale o la schiettezza sono chiaramente comunicate dalla postura. Rispetto alle emozioni, il corpo ne esterna le dimensioni più generali come ad esempio il grado di tensione-rilassamento o di eccitazione. Una persona tesa siede o sta in piedi in modo rigido, sta eretta o si sporge in avanti, spesso tiene le mani congiunte, le gambe unite e ha i muscoli tesi. Nelle posture di certi malati di mente si possono percepire emozioni spinte all’eccesso. I depressi assumono una postura Infermiere a Pavia accasciata, indifferente, siedono rannicchiati e fissano il pavimento. I maniaci sono vigili e stanno eretti, il loro corpo è in uno stato di notevole eccitazione. Anche i pazienti in stato ansioso sono molto “attivati”, ma in questo caso l’emozione specifica è l’ansia più che l’euforia e questo lo si può notare nella tensione muscolare. Sulla relazione tra postura e personalità è indubbio che alcune persone forniscono delle impressioni circa la loro personalità per mezzo della postura. Diversi psicoanalisti hanno dato interpretazioni sulle posture adottate dai pazienti durante la terapia basandosi sulle personalità di particolari pazienti. Non vi sono in merito dimostrazioni scientifiche di validità. La postura può anche avere una funzione nella presentazione intenzionale di sé. Probabilmente la postura è legata all’immagine del corpo. Le persone possono ostentare o mascherare le caratteristiche del proprio corpo, o possono anche cercare di proteggere varie parti del corpo e possono sforzarsi di apparire più rilassate di quanto siano in realtà. I cambiamenti posturali si possono considerare come una sorta di gesti supplementari consistenti in movimenti del corpo più ampi e più lenti. Una persona ripete le sue posture quando gli si presenta la stessa emozione o lo stesso argomento, ma il codice usato è individuale e non può essere decodificato senza considerare l’esperienza di quell’individuo. La postura occupa un posto ed una funzione che sta a metà tra i gesti e il comportamento spaziale. I gesti accompagnano e sostengono il discorso in vari modi e in particolari occasioni possono trasformarsi in variazioni della postura. Il toccare ed il contatto corporeo. È la forma più antica di comunicazione sociale, le altre forme di CNV costituiscono uno sviluppo ulteriore di tipo evolutivo e maturativo. Negli esseri umani, il contatto corporeo stimola diversi tipi di recettori, sensibili al tatto, alla pressione, al caldo, al freddo e al dolore. La pelle invia diversi tipi di segnali sul suo stato, per mezzo del suo colore, sapore, odore e della temperatura. La maggior parte dei contatti corporei possono essere considerati l’espressione di atteggiamenti nei confronti di un’altra persona: sesso, affiliazione (lagata alla conversazione, lavoro cooperativo e gioco), aggressività, dominanza. Il toccare rappresenta anche un segnale di interazione: saluti di benvenuto e di commiato, congratulazioni, cerimonie. Il più elementare significato del contatto fisico è forse quello di offrire o di stabilire un legame interpersonale, qualcosa di analogo ad uno sguardo diretto o a un movimento di avvicinamento. Tuttavia il contatto fisico implica anche invasione dell’intimità personale, ed esposizione all’aggressività oppure alla sessualità. Abiti, fisico e altre componenti dell’aspetto esteriore. L’aspetto esteriore può essere considerato un modo per comunicare, per mandare informazioni agli altri. La teoria più importante in questo campo è quella della “presentazione di sé” (self-presentation) elaborata da Goffman (1956). Affermò che le persone manipolano le impressioni che desiderano suscitare sugli altri tramite un modo intenzionale di presentarsi, che assume quasi la forma di una rappresentazione teatrale, nell’ambito della quale l’aspetto esteriore gioca una parte di rilievo. Le circostanze in cui ha luogo la presentazione di sé sono: i colloqui, le esibizioni in pubblico, le situazioni formali, ogni circostanza in cui è in gioco la propria reputazione, o si cerca il favore degli altri. Gli abiti, i capelli, i cosmetici e altre componenti dell’aspetto esteriore sono oggetto di una scelta attentamente meditata, specialmente quando le persone si preoccupano del loro aspetto esteriore, o delle reazioni di un determinato pubblico, oppure quando sono impacciate o socialmente insicure. Gli stessi elementi cambiano con le circostanze e con la moda. Abiti formali proclamano uno status e affidabilità, un ruolo sociale; le divise offrono un modello convenzionale di abito che ha la funzione di mostrare l’appartenenza a un gruppo e lo status. Fra i giovani è pratica comune indicare l’appartenenza a un gruppo con elementi caratterizzanti dell’aspetto esteriore. Parecchi aspetti della personalità sono comunicati dagli abiti. Molte persone cercano di personalizzare se stesse creando per sé un’immagine esteriore caratteristica; gli elementi dell’aspetto esteriore hanno un significato in sé e per sé e la loro combinazione trasmette informazioni su noi stessi, sui nostri atteggiamenti verso gli altri, inclusi i conflitti e altri aspetti complessi. Dopo gli abiti, l’aspetto fisico è il secondo elemento dell’aspetto esteriore. L’aspetto fisico è in larga misura dato e può essere modificato entro certi limiti, agisce in qualche modo come strumento 13 PAGINA Numero 2/2005 fiducia in se stessi, dominanza Percentuale di sguardo fisso estroversione, nevrosi Guardare parlando dominanza Movimenti corporei Toccarsi ansia Rilassamento dominanza, ansia Precisione del giudizio autosorveglianza, reattività fisiologica, esperienza d’azione e occupazioni sociali Espressività estroversione, nevrosi, stima di sé, dominanza, abilità sociali di comunicazione. Una delle dimensioni più importanti dell’aspetto esteriore è la bellezza, ovvero l’essere fisicamente attraenti per gli altri. È possibile intervenire per migliorare l’attrazione fisica e di conseguenza l’impatto nella relazione con gli altri. In certi casi intraprendere cambiamenti dell’aspetto esteriore troppo radicali può determinare conseguenze negative. La personalità e la CNV Ogni canale non verbale è in qualche misura in correlazione con aspetti della personalità, la tabella qui di seguito, riporta i principali correlati della CNV con la personalità. PRINCIPALI CORRELATI DELLA CNV CON LA PERSONALITA’ Espressione facciale sorriso-affiliazione, estroversione non sorriso-dominanza Voce Quantità di parola estroversione Altezza della voce estroversione, assertività Sonorità della voce dominanza Errori della parola ansia Pause di silenzio introversione, ansia Velocità della parola estroversione, ansia Interruzioni dominanza Prossimità spaziale disturbo mentale, estroversione, Nel 1969 fu condotto uno studio sui vari aspetti della CNV di una serie di malati di mente osservati in una varietà di ambienti ospedalieri differenti. Dai risultati si dedusse che ogni canale può comunicare soltanto determinati aspetti della personalità. La forma del volto è collegata principalmente con l’attrattiva. L’espressione facciale manifesta soprattutto le emozioni positive e negative e gli atteggiamenti verso gli altri. Anche la voce può assolvere questo compito, ma in più può comunicare dominanza. Il comportamento spaziale potrebbe rivelare affiliazione; la componente principale della personalità in correlazione con la vicinanza è l’instabilità emotiva. La postura rivela principalmente la tensione o il nervosismo e il rilassamento dall’altro, in combinazione sia con la dominanza sia con l’ansia. I gesti e gli altri movimenti corporei variano in base a delle dimensioni, alcune delle quali sono analoghe alle dimensioni della personalità. Il legame principale stabilito con la personalità è rappresentato dalla scoperta che i malati mentali e gli individui ansiosi e socialmente inefficaci si toccano di più e fanno un minor uso di gesti diretti verso l’esterno. Non sembra che il contatto fisico rifletta alcun aspetto della personalità. L’aspetto esteriore opera in una maniera abbastanza peculiare: esso è uno dei principali canali della presentazione di sé. Gli individui si differenziano anche in base al controllo del loro comportamento espressivo, alla capacità di codificazione, e alla precisione nel valutare le espressioni degli altri. Una gran parte del comportamento corporeo è regolarmente controllata al fine di dare agli altri una determinata impressione. L’immagine che si presenta è spesso una versione idealizzata del sé reale, oppure un’immagine che risulterà più accettabile agli altri. Secondo Goffman, coloro che interagi- 14 PAGINA scono hanno bisogno di informazioni sulle rispettive caratteristiche al fine di sapere come comportarsi reciprocamente. Coloro che interagiscono si propongono un consenso concorde, mediante il quale raggiungere reciproche percezioni che siano concordi. Uno dei modi principali di comunicare le caratteristiche di sé è tramite l’aspetto esteriore. Gli attributi personali che possono essere comunicati sono: 1. Le capacità, intellettuali o d’altro tipo 2. Le credenze e i valori 3. Le qualità e caratteristiche del temperamento 4. L’esperienza passata 5. Il ruolo, come l’occupazione o la classe sociale. La CNV nei malati di mente I malati di mente, indipendentemente dalla diagnosi, presentano una tipologia comune di CNV: - minore espressione facciale, specialmente meno sorrisi - meno sguardi - minore vicinanza - un minor numero di gesti diretti verso gli altri; un maggior numero di gesti diretti verso di sé - espressioni verbali più brevi, meno conversazione. Vi sono elementi in cui si può riconoscere uno schema complessivo di chiusura. Questi malati risentono di emozioni negative, quali la depressione e l’ansia, e ne esibiscono i corrispondenti segnali NV. Sono stati considerati tre gruppi principali di malati: gli schizofrenici, i depressi e i nevrotici. La schizofrenia Volto – tende ad essere inespressivo, con alcune smorfie. Sguardo – alcuni studi hanno riscontrato un’avversione allo sguardo. Per i bambini autistici l’avversione per lo sguardo (o forse l’avversione per il volto) costituisce un elemento cruciale della loro sindrome, infatti è uno degli indizi che la definiscono. Spazio – gli schizofrenici hanno bisogno di maggiore spazio personale rispetto alle persone sane, specialmente durante uno stadio acuto, e di solito scelgono posti che sono più lontani e possono orientarsi in direzione opposta agli altri, benchè in qualche caso si siedano troppo vicini. I gesti – sono più orientati verso il corpo del paziente stesso, e si può osservare una più continua ripetitiva auto-stimolazione, ad esempio sfregandosi le dita e le mani. I gesti possono non essere sincronizzati con il discorso, oppure una parte del corpo può muoversi a una velocità o ad un ritmo differenti, o gli occhi possono Infermiere a Pavia muoversi indipendentemente. Postura – gli schizofrenici possono rimanere immobili, oppure possono assumere posture simboliche. Voce – il modo di parlare degli schizofrenici si differenzia in vari modi da quello delle persone sane: è più monotono, ha tono e sonorità più basse, limitata articolazione, è affannoso, ha poco ritmo ed enfasi. Aspetto esteriore – Spesso è possibile riconoscere gli schizofrenici dal loro aspetto trasandato. Accuratezza di giudizio – scarsa valutazione di espressioni intenzionali di emozioni. Di fronte a indizi vocali e verbali contrastanti gli schizofrenici prestano più attenzione a quelli verbali. Mentre le persone sane sono più attente al tono della voce. Gli schizofrenici non classificano le fotografie dei volti in base alla dimensione gradevole/sgradevole, ma in base alla dimensione della stimolazione: paura, rabbia e disgusto, contrapposti a tristezza, felicità e sorpresa. Alcuni studi rivelano che hanno delle difficoltà a decodificare i volti. Abilità di decodificazione – gli schizofrenici costituiscono il gruppo meno abile nel codificare le emozioni in modo che possano essere decodificate dagli altri. Depressione Espressione facciale – i depressi presentano prevalentemente volti depressi, ostentano sorrisi deboli. Sguardo – le persone depresse guardano meno, tendono a guardare verso il basso. Spazio – vicinanza ridotta. Gesti – è stato notato che i pazienti depressi usano meno gesti illustratori e più gesti di automanipolazione per esempio pulirsi e grattarsi. Mentre vanno ristabilendosi, i pazienti depressi eseguono movimenti più complessi, che coinvolgono un maggior numero di parti del corpo, che risultano più sincroniche. Postura – quella caratteristica delle persone depresse è con la testa abbassata e lo sguardo rivolto verso il basso. Voce – questo è il canale maggiormente investito dalla depressione: tono e sonorità più basse, minore velocità, profilo tonale discendente e una qualità di voce monotona, piatta, priva di vitalità. I pazienti depressi parlano lentamente, soprattutto perché ci sono molte pause prolungate, probabilmente dovute all’intrusione di pensieri deprimenti. Aspetto esteriore – i pazienti depressi indossano abiti tetri, trasandati e scuri. La creazione e la confezione di abiti più attraenti è stata usata come terapia con donne depresse, come pure un miglior uso dei cosmetici femminili. Accuratezza di giudizio – le persone depresse sono in genere più precise nell’individuare le risposte positive da parte degli altri, rispetto alle persone sane che tendono a peccare di eccessivo ottimismo. Abilità di decodificazione – non vi sono studi. Nevrosi Espressione facciale – più le persone sono nevrotiche, ansiose o disturbate, meno sono espressive dal punto di vista facciale, e meno sorridono. Lo stesso vale per le persone che sono socialmente prive di abilità. Sguardo – alcuni pazienti nevrotici, ma non tutti, presentano avversione per lo sguardo. Spazio – le persone più ansiose o più disturbate si tengono ad una maggiore distanza dagli altri. Gesti – i pazienti fanno meno uso di gesti illustratori e maggior ricorso all’automanipolazione. Gli psicoamalisti si occupano dell’uso di gesti simbolici. Postura – nessuno studio. Voce – le persone ansiose presentano una maggiore discontinuità del discorso, spesso parlano in fretta, in modo inintelligibile e con espressioni brevi. Aspetto esteriore – le persone isteriche e i maniaci vestono in modo eccessivamente vistoso e colorato, non sempre adatto allecircostanze. Accuratezza di giudizio – la nevrosi presenta una correlazione positiva con l’accuratezza. I paranoici interpretano meglio le espressioni spontanee, peggio in quelle intenzionali nel caso in cui la persona da giudicare stia per essere sottoposta a scossa elettrica o ne simuli l’attesa. Ci si è accorti che i nevrotici tendono a sopravvalutare il rifiuto sociale manifestato verso di loro o verso gli altri. Abilità di codificazione – i nevrotici sono codificatori di emozioni poco abili. In conclusione, la maggior parte dei malati mentali evita gli altri anziché cercare di interagire, guarda di meno, sorride di meno, si avvicina di meno, parla di meno, produce meno gesti orientati verso gli altri. Gli schizofrenici sono molto chiusi in se stessi e rifuggono gli altri. Essi sono descritti come socialmente falliti. Inoltre sembrano essere particolarmente inefficaci per quel che riguarda sia l’invio sia la ricezione di segnali, rispetto ai messaggi verbali. La caratteristica predominante della depressione, ovviamente, è lo stato d’animo depresso, con la relativa faccia, voce e postura. Spesso essa è causatav dalla perdita di rapporto affettivo, è contraddistinta da una sensazione di impotenza e di incapacità a controllare gli eventi, ma 15 PAGINA Numero 2/2005 anche dal fallimento di abilità sociale, e da un basso livello di retroazione, che rende ardua la formazione di nuovi legami. Nella maggior parte delle nevrosi l’ansia costituisce l’aspetto dominante, e spesso comprende un’ansia di tipo sociale, che porta all’inibizione dell’espressione facciale e dei gesti diretti verso gli altri, a una minore vicinanza e a espressioni verbali brevi. I nevrotici sono anche molto impacciati e sono di conseguenza preoccupati del loro aspetto esteriore, e rivolgono i gesti verso se stessi. Molti nevrotici sono carenti per quanto riguarda le abilità sociali, e non riescono a fare un uso efficace dei segnali NV, possono quindi essere aiutati da un addestramento delle abilità sociali. Il Corpo e le Emozioni Col termine emozione si intende solitamente significare uno stato che altera positivamente o negativamente l’equilibrio psichico. Sono emozioni l’angoscia, la paura, il disgusto, la gioia, la depressione, la rabbia, il disprezzo, la felicità e via dicendo. Si possono anche includere stati più sfumati o “umori”, sentimenti di piacere e dispiacere, gradi differenti di eccitazione o di sonnolenza, e l’attivazione e la soddisfazione della fame, del sesso e di altre pulsioni. James sosteneva che un’emozione è la percezione che una persona avverte nelle proprie reazioni motorie e corporee infatti, ad ogni esperienza emotiva corrisponde uno stato fisiologico, un’esperienza soggettiva e una serie di segnali NV. Una teoria dell’emozione considera l’esperienza soggettiva come un’interiore “lettura a voce alta” dello stato interno e l’espressione come una seconda “lettura a voce alta” verso terzi. Conviene distinguere lo stato emotivo che non è diretto verso altre persone e l’atteggiamento interpersonale che veicola un’emozione nei confronti di una o più persone. Entrambe possono però aver luogo contemporaneamente. Sull’espressione delle emozioni sono implicati anche gli schemi culturali. Per quanto riguarda la CNV il volto è il canale più informativo nell’espressione delle emozioni, esistono comunque altre segnalazioni emotive come i gesti, le posture, la voce e anche tutto l’aspetto esteriore. Le aree principali sono le seguenti: • Voce bocca, sopracciglia, pelle, movimento facciale • Occhi apertura oculare, dilatazione delle pupille, quantità di sguardo • Gesto forma della mano, movimenti della mano, mani unite, mani al volto • Postura tesa o rilassata, erezione della postura, stile dei movimenti del corpo • Tono di Voce tonalità, velocità, volume, ritmo, difficoltà del discorso. Con Darwin fu avviato lo studio delle espressioni emozionali, le osservazioni di Darwin hanno notevolmente influenzato le ricerche successive che confermando l’esistenza di una capacità innata di comunicare le emozioni suggeriscono che la loro espressività, a livello non verbale, è condizionata anche dallo stato fisiologico e dai codici sociali di segnalazione. Ricordiamo a tal proposito che alcune espressioni delle emozioni possono essere considerate segnali sociali inviati intenzionalmente, perché esiste un repertorio di espressioni condivise nei loro significati. Tuttavia, tali segnali non riflettono sempre lo stato emozionale realmente provato. Ci sono “regole di ostentazione” che controllano le emozioni che si possono esprimere, e spesso ci sono ottime ragioni per non mostrare quello che si prova. Sono i segnali non verbali quelli che forniscono informazioni involontarie sull’individuo che li invia, anche se essi possono essere manipolati in relazione all’opinione che il soggetto ha di sé, all’immagine di sé che vuole esprimere. L’immagine di sé viene definita anche e più propriamente identità dell’Ego, ed è, in definitiva, la percezione che il soggetto ha di se stesso, percezione che si articola nel nome, nelle sensazioni corporee, nell’età e nell’appartenenza ad una categoria sessuale. Tra l’immagine di sé e la presentazione di sé esiste qualche differenza, ci si presenta con la migliore immagine di sé, cioè con l’abito della festa. Le emozioni in tal senso sono controllate e finalizzate per far buona presa sugli altri ossia gli ascoltatori che captano tali segnali non verbali e rispondono con una “sincronia interattiva”, il feedback di ritorno. Nell’interazione sociale esiste un’ importantissimo feedback: il rinforzo. Se un individuo parla e trova intorno a sé cenni di consenso, il suo discorso riceverà un rinforzo ed egli parlerà più diffusamente a lungo. Il rinforzo è estensibile ad ogni manifestazione biofisiologica. Questo tipo di osservazioni hanno reso possibile il condizionamento strumentale, il BIOFEEDBACK. L’espressione delle emozioni in psichiatria. Le parole, i linguaggi delle emozioni, il linguaggio del corpo, l’inquietudine, la memoria, gli stati d’animo, la malinconia, le increspature dell’anima, l’immaginazione, l’angoscia, la speranza, le sconfinate ragioni del cuore costituiscono l’oggettosoggetto della psichiatria (da “Le pietre del silenzio” pagina 111, nella parte terza – Le ombre ferite delle emozioni, L’arcipelago delle emozioni di E. Borgna – editore Feltrinelli) Eugenio Borgna, psichiatra e autore di diversi libri e saggi, nel suo ultimo lavoro “ L’arcipelago delle emozioni” illustra il discorso emozionale del corpo, dei volti e dello sguardo. Le emozioni, vergogna, nostalgia, tristezza, inquietudine, ma anche la gioia e l’allegria, sono emozioni fortemente interiorizzate che hanno un’alta e diversa, risonanza nei modi di essere del volto e dello sguardo come sorgenti di comunicazione e di linguaggio; e su questi modi di essere, sulla trasparenza che c’è in essi ma anche sull’estraneità che può sconvolgerli che l’autore si sofferma. Questo perché è proprio nei volti e negli sguardi che si imprimono le infinite emozioni che vivono nei nostri cuori e che, non solo in psichiatria, è necessario conoscere nelle loro metamorfosi e nel loro significato relazionale. Il tema dello sguardo e del volto consente di riflettere sia su di una realtà psicologica ed umana nella quale siamo ogni giorno imbarcati sia di confrontarci con i modi di essere e con le metamorfosi che il linguaggio del corpo vissuto assume nel contesto delle esperienze psicopatologiche, in particolare delle esperienze psicotiche. Il volto e lo sguardo sono assunti da E. Borgna come categorie ermeneutiche, idonee a farci capire cosa si muova, e cosa ci sia, nella vita interiore delle persone che soffrono di malattie dell’anima. Tratteggia nello specifico due realtà cliniche, la malinconia e l’esperienza psicotica per eccellenza la schizofrenia, facendo risaltare la fenomenologia degli sguardi e dei volti profondamente diversa. Presenta la malinconia come una realtà clinica, ma anche uno stato d’animo che è necessario riconoscere e distinguere nei suoi diversi significati. Il volto e lo sguardo della malinconia, sembrano essere segnati dall’inquietudine e dallo smarrimento, dal trasalimento e dall’annebbiamento. Un’altra immagina rimanda a volti infinitamente perduti e infinitamente destinati alla ricerca di identità scisse e disfatte, ma rimanda anche alla solitudine ed all’estraneità dell’io che si distacca dal mondo comune, dell’intersoggettività e riprecipita nell’isolamento di immagini smondanizzate. Esamina Borgna, testi figurativi, nei quali la malinconia si costituisce come leitmo- 16 PAGINA tiv tematico riempendo di sé volti e sguardi: “…occhi perduti in lontananze irragiungibili, …espressioni segnate dalla malinconia e dalla nostalgia, dal dolore e dal fluire inarrestabile delle cose …”. Nella malinconia clinica il volto testimonia i un’angoscia e di una corrosione rapace, di una sospensione attonita di ogni emozione e di uno stravolgimento dello sguardo che non sembra più aprirsi alla speranza e alla comunicazione. Il modo di essere straziato del volto e dello sguardo nella malinconia permettono di cogliere la dimensione della sofferenza e della desolazione e ancora, l’attesa degli sguardi degli altri, del nostro sguardo e …”del mio sguardo” perché possano raccogliere la sfida del silenzio e del deserto (apparente). Nei volti scavati dalla depressione non è più possibile sorridere ma non è nemmeno più possibile piangere. Nell’esperienza psicotica della schizofrenia, la fenomenologia degli sguardi e dei volti cambia profondamente poiché l’esperienza psicotica trascina con sé una metamorfosi radicale della vita emozionale e della vita interiore, dei modi di vivere nel mondo delle persone e delle cose, e dei modi di immaginare e di pensare il mondo. Cambia la fisionomia del mondo interiore, e cambia contestualmente quella del mondo-ambiente. Esperienze psicopatologiche, come quella dell’estraneità, dell’ambivalenza, della dissociazione, della frattura dell’identità storica e personale, dilagano nella vita interiore, e possono spezzare la concordanza espressiva del volto e dello sguardo: a un volto macerato e divorato dall’angoscia si può accompagnare uno sguardo con un’altra tensione emozionale, con un altro orizzonte intenzionale, con un’altra connotazione tematica. Vi sono quindi infinite espressioni degli stati d’animo, che si riflettono immediatamente nei modi di essere dei volti e degli sguardi, anche nel contesto di una esperienza psicotica benché in essa prevalgono espressioni accese, incandescenti, esasperate e radicalizzate. Gli sguardi, nella malattia, non riconoscono più i volti degli altri e le linee tematiche del mondo sensibile e … per essere decifrati, hanno bisogno che ciascuno di noi abbia a cambiare il suo proprio modo di guardare e sorridere, di stendere la mano e di adombrare solidarietà e comprensione. Questi sono cammini ermeneutica che consentono di capire qualcosa di quello che avviene nel mondo psicotico attraverso i volti e gli sguardi soffocati dalla sofferenza. In questi volti e sguardi si colgono Infermiere a Pavia disperazione e angoscia che hanno un significato e valore di risposta emozionale che la metamorfosi psicotica trascina in sé. Bleuler ha drasticamente sostenuto come nella schizofrenia non si ha solo la presenza di uno sguardo “malato”, di uno sguardo psicotico, ma si ha soprattutto la presenza di uno sguardo disperato e supplicante che chiede aiuto, che chiede disponibilità dialogica, di amore, di contatto umano. E come se, rispecchiando nel suo sguardo e nel suo volto disperazione e speranza, fiducia e inquietudine, il paziente intende richiamare o ridestare l’aiuto e l’amore delle persone che vivono accanto e delle persone che si propongono di essere portatrici di cura e di salute. L’angoscia psicotica traccia confini invalicabili che non consentono interscambia- bilità di esperienze e che raggelano i volti e gli sguardi. Nonostante tutto, nelle infinite forme dello sguardo e nei volti imprigionati negli artigli roventi dell’angoscia si intravedono poi, brandelli di luce e di nostalgie disperate, frammenti di una speranza… Il discorso emozionale del corpo nella sofferenza psichiatrica Borgna tematizza alcuni dei problemi che, nel discorso della psicopatologia, riemergono nel contesto delle modificazioni nell’esperienza del corpo in alcune emblematiche situazioni: la condizione depressiva, mutevole nei suoi contenuti e nelle sue forme di espressione, e la condizione dissociativa, radicale nelle lacerazioni dell’identità e della continuità storica dell’io. Le emozioni, i modi di vivere le proprie emozioni, si rispecchiano nei modi di essere, nei modi di trasformarsi, del corpo: 17 PAGINA Numero 2/2005 del corpo vissuto; e molte emozioni inespresse verbalmente possono essere decifrate solo analizzando questi modi di essere, queste inesauribili metamorfosi del corpo. È possibile interpretare il linguaggio del corpo, i suoi diversi linguaggi, educandosi ad ascoltare le persone e intravedere le regioni segrete dei volti e degli sguardi: gli orizzonti sconfinati della vita emozionale così lontani da quelli della vita razionale. Il corpo, sottolinea l’autore, è abitualmente tenuto lontano dal discorso della psicologia e della psicopatologia che rigettano il tema del corpo nel contesto della stomatologia: della medicina cioè che si occupa delle malattie corporee o organiche; per questo il concetto di corpo è spesso ridotto a quello di corpo-cosa e di corpo-oggetto. La fenomenologia ha riscattato il corpo dalla sua oggettivazione e recuperato nella fondazione psicologia ed umana. Gli studi iniziali di Binswanger, Plugge e Straus hanno delineato nuove prospettive, in psichiatria, nella conoscenza del corpo. Da questi studi sono derivate concrete indicazioni per la comprensione di alcune significative modalità di essere del linguaggio del corpo, e di alcune loro modificazioni, in esperienze psicopatologiche, neurotiche e psicotiche. La parola si spegne, o almeno si inaridisce, in alcune forme depressive e in alcune forme dissociative, e allora non si salva se non il linguaggio del corpo. Non c’è solo il corpo-oggetto ma c’e anche il corpo-soggetto che è il corpo vissuto (il corpo vivente): il corpo intenzionale che non ha nulla a che fare con il corpo ridotto a cosa delle scienze naturali. Il corpo-soggetto, il corpo vissuto, è nel mondo ma, in forma più incisiva, abita il mondo. Ovviamente, parlare di un corpo che si apre al mondo e che abita il mondo significa sfondare il senso arcaico di un corpo chiuso, e murato in se stesso, e riportare il corpo nella categoria dell’intersoggettività. Il cambiamento del corpo è di conseguenza il cambiamento del mondo, del modo di stare al mondo della vita e l’adolescenza vive pienamente questa problematica, questa rivoluzione del corpo nel passaggio dalla preadolescenza, nella realtà dilemmatica tra corpo-vivente, corpo-cosa, corpo sessuato nel senso, riprende Borgna, di corpo come apertura all’altro. Nelle situazioni di crisi (neurotiche e psicotiche) la disfatta nella percezione del proprio corpo si manifesta emblematicamente nell’adolescenza. Nell’adolescenza, più che nell’età adul- ta, si è nel mondo attraverso, e mediante il corpo e il corpo si ammala nella misura in cui il cambiamento non abbia luogo: non sia adeguato. Nel cambiamento si realizza un modo diverso di abitare il mondo con il proprio corpo. L’adolescenza rappresenta il momento di cambiamento più profondo in cui si possa cadere nel cammino della vita. L’essere nella crisi significa non poter vivere con il corpo che si ha, e nondimeno non riuscire a entrare nel corpo che è altro da quello di prima. Nella crisi, l’immagine del corpo può determinare una dilagante inquietudine e giungere sino alla perdita della propria identità. La tendenza a guardarsi e ri-guardarsi disperatamente nello specchio, nell’illusione di cancellare, di vedere dissolversi, ciò che è vissuto come difetto, testimonia di questo collasso (disfatta) dell’identità storica (personale). Si crea un dilemma fra il modo di essere del corpo pre-adolescenziale, che non si vuole perdere, e il modo di essere del corpo post-adolescenziale, che incombe come realtà contestualmente ricercata e rifiutata. Questa contraddizione o ambivalenza angosciata può condurre nel solco della crisi sino ad una radicalizzazione della struttura dilemmatica: nel contesto di un’immagine corporea che si frantuma dissociandosi fra il corpo slanciato ed etereo della pre-adolescenza e il corpo che via via si fa sessuato del post-adolescenza. Quando la dissociazione è conseguenza di una radicale esperienza psicotica, il corpo si destituisce della sua unità e della sua identità giungendo ad essere il corpo che non ha più confini, sommerso dagli altri da sé. Le cose possono ulteriormente diventare più complesse, non solo il corpo è vissuto nella sua dissociazione e frantumazione, ma non è più il “mio” corpo ma il “possibile” corpo degli altri. Nelle crisi di maturazione adolescenziale e in particolare nelle crisi adolescenziali psicotiche, il corpo non svolge più la sua funzione di mediazione fra l’io e il mondo. L’esperienza del corpo, i modi di vivere del corpo, sono ineliminabili da ogni psicopatologia. È importante valutare nella vita di un paziente come il corpo vissuto (l’esperienza soggettiva del corpo) si sia articolato nel corso dell’esistenza e come la comunicazione fra l’io e il corpo, fra il corpo e il modo, si sia venuta sviluppando o franando. Vi sono esperienze psicopatologiche in cui il corpo si fa “oggetto” però è bene evidenziare che nulla è statico nella vita psichica, ma ogni esperienza si intreccia e si confonde con ogni altra esperienza e i modi di fare esperienza cambiano con le situazioni. Questo avviene anche nel contesto delle forme di vita psicopatologiche nelle quali, fino a quando non si giunga all’immobilità e alle pietrificazioni artistiche, non è possibile applicare schemi teorici rigidi o generalizzazioni astratte: il corpo vivente e il corpo-cosa si possono pensare come due orizzonti ideali ai quali l’esperienza del corpo “sano” e del corpo “malato” si avvicinano, o dai quali si allontanano. Nelle esperienze neurotiche (per esempio quella ossessiva e isterica) e psicotiche (quella depressiva e quella schizofrenica), ma anche in alcune malattie somatiche, il corpo si trasforma da “soggetto di intenzioni a oggetto di attenzioni”. Nel confronto con il problema della depressione in psichiatria, è necessario tener presente come un paziente viva, o riviva il proprio corpo al fine di comprendere nella condizione umana depressiva la difficoltà, o l’impossibilità, a entrare in relazione con il mondo. Il linguaggio del corpo entra in crisi (prima quello della parola) e via via si opacizza, non riesce più a trasmettere emozioni, tende a inaridirsi ed a svuotarsi. Non si ha più il desiderio di partecipare alla vita. Le modificazioni dell’esperienza del corpo nella schizofrenia sono più complesse e sconvolgenti rispetto alla depressione. Nel mondo della vita schizofrenico sono molte le modalità distorte di vivere e rivivere il corpo: la frantumazione, l’etereità, la leggerezza scarnificante e la dissolvenza, la mineralizzazione e la corrosione dei confini del corpo, che non delimitano più il corpo dal mondo ma che possono essere sommersi dalle cose del mondo, sono tra le più frequenti e le più emblematiche metamorfosi nella percezione del proprio corpo. Il corpo non ci appartiene più, il corpo mondanizzato che si fa cosa del mondo. Dall’etereità e dall’estraneità del proprio corpo (corpo unito e compatto ma privo di significato, lontano e inconoscibile, inafferrabile e ignoto, presente alla coscienza come dato di conoscenza ossia realtà geometrica e non come esperienza immediata e vissuta) si può passare alla decomposizione e frantumazione del corpo prima che abbia a delinearsi come silenzio e immobilità, per esempio nell’esperienza catatonica. L’autore * Infermiera Centro Diurno - Polo Psichiatrico Torchietto Azienda Ospedaliera Pavia 18 PAGINA Infermiere a Pavia INCONTRARE IL CORPO … L’Espressione Corporea nella Riabilitazione Psichiatrica Polo Psichiatrico Torchietto – Azienda Ospedaliera di Pavia Settembre 2003 - Settembre 2004 a rafforzare la consapevolezza necessario pensare a spazi Angela: del proprio corpo. che consentano il rafforzamen“Bellissimo, stavo La riabilitazione a tal fine si to del senso di identità e delmale e avevo le avvale di interventi di tipo l’autonomia, che diano la posallucinazioni. Sono espressivo (individuale e di sibilità di sperimentare la concontenta di essere gruppo) e di tipo motorio (indidivisione e l’appartenenza. riuscita a portare a viduale o di gruppo) già elenLA RELAZIONE: gli aspetti termine comunque il cati e definiti precedentemenrelazionali devono essere il saggio”. te. cardine del lavoro riabilitativo, “Mens sana Uno dei privilegi dell’essere la cui bontà dipenderà dalle Donatella: umano è la sua capacità di tecniche, dalle strutture a in corpore sano” “Mi è costato fatica, essere creativo, che emerge disposizione, ma sarà influenma sono contenta di dalla prima infanzia e si manzato in prima istanza dalla relaaverlo fatto e tiene in un modo o nell’altro zione interpersonale fra utenti soprattutto di essere per tutta la vita. e operatori. E’ importante quinriuscita a farlo”. Le persone con disabilità fisidi che l’operatore sviluppi la che e/o mentali non fanno propria sensibilità, imparando eccezione, né gli operatori o i professionia riconoscere e gestire le emozioni che la sti che lavorano con loro. relazione stessa fa nascere in lui e nel La nostra capacità creativa può essere paziente, vivendole in maniera autentica, LA DOTTRINA … molto sviluppata o, al contrario, può essema allo stesso tempo sapendosene La sofferenza psichica è un’esperienza re un potenziale ancora ampiamente inedistanziare. Stiamo parlando dell’empatia, isolante in cui si alterano i tre parametri splorato. quel particolare modo di percepire lo stato fondamentali di rapporto con la realtà: Le attività non dovrebbero essere esepsichico di un’altra persona fondato non IL TEMPO: quando si parla di lavoro riaguite meccanicamente, perché l’esecuziotanto su una comprensione intellettuale bilitativo non si può considerare soltanto il ne di un movimento meccanico può ma essenzialmente su una “conoscenza tempo dell’orologio, esiste un tempo visaccentuare maggiormente la scarsa conemotiva” dell’altro. Questo è il presupposuto, un tempo interiore che è necessario sapevolezza del proprio corpo ed il consto fondamentale su cui costruire l’alleancomprendere. In riabilitazione il tempo è cetto e la percezione di sé. za terapeutica. scandito dal paziente, dalla patologia, dai L’uso della voce, del contatto fisico e di Lo sviluppo della persona umana mezzi a disposizione, dalle strutture, dal altri canali verbali, la musica (mezzo stimotipo di intervento. Molto spesso il tempo dipende dalla capacità e dalla possibililante ed efficace) sono di grande aiuto per dell’istituzione non coincide con il tempo tà di acquisire, organizzare e utilizzare tutdescrivere in modo chiaro e armonioso necessario alle persone per ritrovare senta una serie di informazioni essenziali ogni attività. so, desiderio, capacità di fare; per fare riguardo a se stessi. E’ in questo modo Il presupposto più importante in questi buona riabilitazione bisogna garantire che le persone familiarizzano con il prointerventi di tipo espressivo-motorio è la questo tempo. prio corpo e imparano ad usarlo. volontà di pensare e agire in maniera tale LO SPAZIO: così come esiste un tempo Tuttavia, vi sono persone che, per motivi da far vivere all’altra persona una espevissuto esiste anche uno spazio vissuto, più vari, hanno difficoltà nel ricevere ed rienza positiva di rapporto interpersonale, inteso come spazio personale, di fantasia, elaborare queste informazioni. Il loro intedi vicinanza, di contatto appunto. distanza-prossimità che consentono proragire con l’ambiente circoNon devono mancare coinvolgimento spettive e cambiamento. E’ stante risulta così limitato e, di personale e sensibilità da parte degli opeGiuseppe: necessario prestare molta conseguenza, l’immagine che ratori che istruiscono. Importante è anche “Divertente e attenzione alla strutturazione sviluppano del proprio corpo utilizzare qualsiasi programma e materiale stancante, il degli spazi perché siano spazi può essere distorta. Non riein modo significativo (per temi), come parpomeriggio ho abitati e non solo attraversati, scono a controllare i movimente di un approccio unitario e integrato (olidovuto dormire”. spazi dove ci sia il rispetto dei ti ed hanno problemi di comustico) alla persona. territori del sé e della “distanza nicazione, ciò può generare un Violetta: vissuta” cioè di quell’area persenso di insicurezza e di umiltà GLI OBIETTIVI NELL’ESPRESSIONE “Non mi sono sonale nella quale ci si può oltre che disturbi emozionali CORPOREA SONO: muovere sentendosi sicuri sen- piaciute le sciarpe. Il che ostacolano ulteriormente Sviluppo della persona lavoro di un anno è za l’ansia che nasce dal sentirla possibilità di uno sviluppo Sviluppo mentale stato bello e sono si spaesati in un luogo indeterarmonioso. Sviluppo artistico stata bene”. minato.In riabilitazione è E’ dunque importante mirare Annamaria Tanzi* Numero 2/2005 19 PAGINA Sviluppo della Persona L’espressione corporea per: - Affrontare la spontaneità che significa ascolto interno, padronanza d e i mezzi espressivi, autoaccettazione eliminando la paura di mostrarsi come si è - Confronto costante e dinamico con le proprie capacità - Provare piacere - Avviare un processo di cambiamento che potrebbe prolungarsi nella vita quotidiana - Scoprire le proprie possibilità e prendere coscienza dei propri limiti - Vivere lo spirito di gruppo per promuovere il rapporto interpersonale, la conoscenza dell’altro, la collaborazione, la Sviluppo Artistico • dimensione spazio-temporale disturbata comprensione delle difficoltà altrui e la • difficoltà a sentire l’unità corporea e fiducia nell’Altro L’espressione corporea per: un’accettazione vera e profonda del cor- Imparare l’autonomia per il rispetto di sé - Stimolare e sviluppare armoniosamente po stessi e degli altri la sensibilità artistica approfondendo • difficoltà a scoprirsi e scoprire il proprio - Conoscere, modificare, accrescere l’iml’espressione corporea in termini di temcorpo in una dimensione diversa magine di sé per avere nuove possibilità po, spazio ed energia • difficoltà a provare piacere e gioia del di entrare in relazione con gli altri e con - Affinare l’intuizione, lo spirito critico e stimovimento l’ambiente esterno, uscire dai ruoli molare la creatività. • difficoltà ad esprimersi con il corpo ed a - Piacere di scoprirsi e di scoprire il proL’ESPERIENZA … comunicare attraverso il corpo prio corpo in una dimensione diversa, • difficoltà nelle funzioni cognitive: memoNel Settembre 2003, utilizzando dappriprovare la gioia del movimento in sé e ria, attenzione, concentrazione ma la piccola palestra del Polo della relazione dello spazio, • difficoltà nella coordinazione delle diverPsichiatrico Torchietto a Pavia il tempo, l’Altro Ester: se parti del corpo - Sentire l’unità corporea per “Mi sono piaciute le e successivamente per esigen• difficoltà a controllare il movimento ed a una accettazione vera e pro- coreografie. E’ stato ze di uno spazio fisico più dirigerlo sui contrari (dentro/fuori – ampio il salone del Centro fonda del corpo. pesante per me e alto/basso e lateralità sinistra/destra). Diurno, ho avviati una espesono molto stanca. Sviluppo Mentale A tutto questo si possono aggiungere Comunque è andato rienza motoria con gli ospiti del L’espressione corporea per: abulia, indifferenza, depressione, ansia, Centro Diurno, della Comunità bene anche se non - Allenare la concentrazione siamo stati perfetti”. Protetta e del Centro Riabilitatipaura della prestazione, scarso controllo per fermare il filo del pensiedelle emozioni, spesso inadeguato grado vo Terapeutico, le tre strutture ro procurando un certo rilasdi adattamento alla realtà e incapacità di intermedie situate all’interno Francesco: samento sopportare frustrazioni. del Polo. “Il lavoro che - Avere una possibilità di aperTuttavia la presenza degli utenti, alla L’obiettivo era quello di abbiamo fatto mi è tura mentale seduta settimanale della durata di un’ora, costituire attraverso il gruppo piaciuto e mi ha - Strutturare il pensiero e affiè stata quasi sempre garantita e le assenuna possibilità di relazione che divertito. Mi è nare il senso di osservazione ze erano giustificate da impegni inderogamettesse in primo piano l’agito spiaciuto non aver - Migliorare l’attenzione bili e/o problemi di salute fisica più che piuttosto che il verbale e partecipato al - Sviluppare l’apprendimento mentale. ponesse l’attenzione sul corpo filmato, spero di e mettere in pratica ciò che si Il lavoro è stato organizzato per fasi: nelcome progressiva conoscenza poter fare il saggio è appreso la prima fase, dopo un momento di accoe consapevolezza di sé. anch’io perché ci - Modificare alcuni comportaglimento e di saluti, si è cercato di stabilire Un progetto riabilitativo non tengo”. menti sostituendo certe abiun rapporto, un contatto attrastrutturato sul comtudini mentali verso il corpo, il movimento e portamento patologico delGregorio: - Aumentare il grado di controllo delle la comunicazione non verbale l’utente, ma sull’individuo nella “Mi è piaciuto”. emozioni, il grado di adattamento alla con una fase iniziale di riscalsua interezza, quindi il movirealtà, la capacità di sopportare frustradamento, una fase centrale di mento come mezzo di educaCarlo: zioni esercizi a corpo libero indivizione globale della personalità. “E’ stato bello e mi - Acquisire la capacità di decidere ed agiduali e in coppia per permetteSi è sempre cercato di valosono divertito”. re autonomamente re il contatto con l’intera superrizzare il potenziale di salute - Vincere abulia, indifferenza, depressioficie corporea e in seguito eserpresente nel soggetto. Alessandro: ne, ansia, paure, insicurezze,… All’attività hanno partecipato “Ci siamo divertiti, ci cizi in gruppo che hanno con- Scaricare tensioni, aggressività ed il sentito di accedere ad una quindici utenti eterogenei per siamo applicati bisogno di scoppio maggiore intimità e identità sesso, età e diagnosi psicopatanto, ce l’abbiamo - Sviluppare l’autostima gruppale con incremento del tologica, che presentavano in messa tutta. La - Esteriorizzazione delle proprie sensaziosenso di appartenenza. toto e/o in parte: musica era troppo ni ed emozioni attraverso il movimento Una seconda fase ha preso • difficoltà di relazione con l’Allenta per me, mi del corpo. in considerazione il gioco tro faceva dormire”. 20 PAGINA Infermiere a Pavia soprattutto con la palla; le vocalizzazioni; esercizi per stimolare e sviluppare la percezione di sé e quindi, esercizi di ritmo, tempo, spazio ed equilibrio ed esercizi sulla lateralità e sui contrari; esercizi per il controllo e la distensione dell’ipertono muscolare attraverso una ginnastica dolce dalla testa ai piedi e viceversa. Ampio spazio ha avuto la respirazione, la conoscenza delle fasi di inspirazione ed espirazione e l’attuazione di esercizi corretti a favorirle. Rispetto alla respirazione gli utenti sono stati aiutati a divenire consapevoli di questa funzione vitale per il controllo della stessa sulla sfera affettiva ed emotiva, considerato che è l’unica funzione corporea che ogni essere è in grado di modificare volontariamente. Sono stati utilizzati sempre strumenti quali: la musica, il ritmo, il suono, il gioco ed oggetti attivatori di azioni e movimento. Durante queste prime fasi è stata posta molta attenzione a creare un con testo emotivo piacevole e via via questo ha perfinale ha evidenziato un’attivaseduta e cioè oltre un’ora, è messo l’espressione delle emozioni , una Anna: zione della memoria, dell’attenstato stabile e coeso, attento e gestualità sempre meno stereotipata, un concentrato sul compito e sul- “Mi sono divertita, la zione, della concentrazione; ha controllo dell’ansia derivante dal senso di la preparazione delle coreogra- compagnia bella, la sviluppato l’apprendimento a contenimento nel gruppo oltre che dallo coreografia è stata mettere in pratica ciò che si è fie a corredo del saggio finale. stare in uno spazio definito e chiuso, un bella”. appreso, a rompere il silenzio o Il predetto saggio è stato discreto controllo dei movimenti nel tempo il rumore interno e a rompere il svolto due volte, una prima vole nello spazio richiesto e infine, un attegAnnamaria: silenzio con l’esterno … con ta presso la palestra dell’Acagiamento di fiducia nei confronti di noi “La società di oggi è l’Altro, con il mondo della vita, demyScuola di Danza Clasoperatori. ssica in Pavia che ha permesso portata alla bellezza, ad interrompere l’abulia, la triOgni seduta è stata sempre completata la realizzazione del filmato ed il la nostra, nonostante stezza, la frammentazione, a da una fase di rilassamento e da una fase i nostri problemi, al calmare le tensioni e talora i montaggio dello stesso in un finale con la verbalizzazione dei vissuti delsignificato. Ci siamo bisogni di scoppio. DVD e una seconda volta nel l’utente nel corso dell’incontro, attraverso Il lavoro finale ha stimolato e Centro Diurno alla presenza di sentite persone, ogni il racconto delle proprie emozioni e sensamovimento lo sviluppato armoniosamente la tutti gli operatori del Torchietto. zioni. abbiamo sentito sensibilità artistica approfonQuesta esperienza è durata Man mano che l’espressività personale dentro, con un dendo l’espressione corporea un anno esattamente, nell’arco diventava sempre più articolata, ho incredi questo tempo sono emersi significato, non solo in termini di tempo, spazio ed mentato la complessità del lavoro sino a cambiamenti sia a livello moto- per pura bellezza del energia ed ha contribuito a decidere insieme agli ospiti della possibiligesto”. “tirar fuori” la creatività. rio sia a livello relazionale. tà di finalizzare l’attività del 2004 in un sagLa maggior parte delle pergio. Incontrare il corpo … sone partecipanti, ha migliorato o reso Ho utilizzato delle basi musicali tratte da nell’intervento riabilitativo significa offrire possibile la propria coordinazione motoria, tre audio-cassette comprese in un lavoro la possibilità di sperimentare il proprio corha imparato ad avere confidenza con il ritteorico sulla motricità e musicoterapia nelpo, di sentirlo e usarlo per entrare in relamo, ad affrontare il problema del tempo ed l’handicap fisico grave. Su ognuna della zione con se stessi e con gli altri, vuol dire a rispettare il tempo, ad usare tutto lo spabasi musicali è stato ideato anche veicolare esperienze relazionali zio fisico e mentale per armonizun movimento in sintonia con socio-affettive e cognitive. Una “ri-esplorazare l’incontro tra mondo interno Silvia: il pezzo; le basi finali scelte zione del mondo” per ri-appropriarsi di sono state sistemate in CD in “Il filmato si è svolto e mondo esterno, a confrontarsi conoscenze e riprendere ad aver fiducia in modo costante e dinamico una sequenza ordinata rispet- in un ambiente molto nelle proprie capacità. con le proprie capacità, a scopribello. Ci siamo to alle diverse parti del corpo re piacevolmente le proprie posmossi in maniera ed alla sua plasticità e modelsibilità e a prendere coscienza lodevole. Mi è labilità per dare … MOVIdei propri limiti, a sentire l’unità piaciuto molto”. MENT in MUSICA. corporea, a recuperare la sponIl gruppo in questo difficile taneità e soprattutto a divertirsi e Nadia: lavoro, basato sulla continua provare piacere, un piacere che “Mi è piaciuta la ripetizione dei movimenti, L’autore riguarda anche l’essere in un compagnia del ascolto delle medesime musi* Infermiera che in un arco di tempo di gruppo, il luogo del gruppo di persone per condiviCentro Diurno - Polo Psichiatrico Torchietto dere emozioni e conoscersi. filmato era ben sette mesi e sulla dilataAzienda Ospedaliera Pavia Su un piano squisitamente zione della durata di ogni accogliente e bello”. cognitivo e mentale, il saggio 21 PAGINA Numero 2/2005 La comunicazione il corpo e la parola Giovanni Calloni * Lucrezia Bravo ** La figura che ha maggiore contatto con le persone in condizione di malattia è senza dubbio l’infermiere. È presente nelle diverse articolazioni della struttura sanitaria e accompagna le diverse fasi della terapia. Ha una funzione di raccordo tra le molte figure specialistiche e si rapporta spesso con tutte le figure coinvolte, anche all’interno della famiglia del malato. Le occasione di interazione con le persone in condizioni di malattia sono perciò molteplici, giocate su livelli molto diversi e ricchi di implicazioni interpersonali. A queste componenti più esclusivamente assistenziali si debbono aggiungere tutte le funzioni gestionali che gli infermieri svolgono e che sono sempre più frequentemente richieste ed attestate. Queste ultime richieste gestionali, oltre alle competenze tecniche di base, mettono in grande risalto la necessità di poter svolgere funzioni di mediazione e di motivazione: tutte componenti professionali che richiedono attrezzature comunicative adeguate. Stiamo parlando della necessità di dotare le persone di strutture specifiche che le pongano nella condizione di utilizzare al meglio le occasioni di interazione personale e di saper direzionare le proprie modalità comunicative al fine di far arrivare al destinatario della propria comunicazione esattamente il messaggio che si desidera che arrivi. È interessante sottolineare che una possibile chiave di accesso utile è costituita dal fatto che la figura infermieristica lavora sulla dimensione comunicativa e che ha una dotazione di base sufficiente per farlo. Proprio a partire da questa consapevolezza possiamo lavorare per migliorarne l’efficacia e per dotarla di strumenti ulteriori. Stiamo parlando delle modalità concrete con le quali formuliamo le nostre comunicazioni: ci riferiamo alle parole che utilizziamo per tradurre le nostre intenzioni. Certamente abbiamo fatto l’esperienza di riuscire ad entrare in maggiore sintonia con alcune persone e meno con altre; esiste la possibilità di comprendere quali sono le strutture specifiche che ci hanno permesso di realizzare le interazioni migliori per poterle poi riprodurle al momento più opportuno. Abbiamo sicuramente sperimentato, nella nostra pratica professionale, persone che sanno mantenere un assetto maggiormente utile alle funzioni svolte e persone che più facilmente si trovano a sperimentare situazioni di difficoltà: è possibile capire le modalità specifiche utilizzate da noi stessi e da altri nei momenti di forza e di efficienza e, successivamente, renderle disponibili per noi stessi e per gli altri. Partiamo dal presupposto che tutte le prestazioni dotate di grande efficacia possono essere comprese nei loro elementi costitutivi per poter essere riproducibili e disponibili per tutti coloro che se ne vogliono avvalere. Esistono parole per esprimere qualsiasi concetto ed esiste soprattutto un modo di utilizzare le parole che ci permette di dire ogni cosa nel modo più utile ed efficace. Questo aspetto riguarda i messaggi inviati a livello non verbale: i nostri gesti, le posture che assumiamo, gli spazi che occupiamo, il tipo di contatto fisico che utilizziamo ecc. svolgono diverse funzioni all’interno dei processi di codifica e decodifica di un messaggio. Frequentemente confermano, sostengono, rinforzano le nostre parole, altre volte risultano incongruenti e la comunicazione diviene contraddittoria. La comunicazione rappresenta il mezzo che ci permette di entrare in relazione con le persone: un processo che comporta una interazione tra i soggetti comunicanti. In questo caso si tratta di comunicazioni in contesti di cura, dove la relazione infermiere paziente di tipo asimmetrico è motivata da uno stato di bisogno. “Una definizione più articolata dei concetti di salute o di malattia implica un approccio con il paziente di tipo nuovo, centrato più sul rapporto interattivo che sull’analisi del sintomo, che prevede accanto alla tradizionale esperienza medica, anche una competenza di tipo comunicativo..” [Ricci Bitti e Caterina, 1991] L’operatore sanitario, si trova costantemente in relazione con persone che vivo- 22 PAGINA no uno stato di sofferenza dove la paura, il dolore, l’impotenza, la malattia generano processi relazionali a volte complessi da gestire. La complessità è determinata principalmente dal bisogno di essere ascoltati, da un lato, e il desiderio di ascoltare, dall’altro. È la sfera delle emozioni. Le emozioni si esprimono primariamente attraverso la via corporea regolano l’energia nel campo individuo ambiente, sono mezzi unici dell’esperienza e non possono essere sostituite, le emozioni hanno un posto particolare nell’architettura globale della mente, perché stanno all’intersezione fra la dimensione cognitiva, quella biologica e quella sociale. La possibilità di porre maggiore attenzione al corpo, ai diversi messaggi inviati ed a quelli ricevuti permette di attraversare il complesso mondo della relazioni interpersonali evidenziandone gli aspetti emotivi che entrano in gioco. Nelle relazioni le emozioni acquistano un significato molto importante e complesso non riducibile a semplici attribuzioni di significato a gesti o movimenti o alle singole parole: si tratta di un processo dove due o più persone si incontrano attraverso una sottile trama di segni che si influenzano, si attivano o inibiscono, si confondono o differenziano, si completano, si rispecchiano. Una trama non riproducibile se gli attori della relazione cambiano. Una trama composta di sguardi, espressioni facciali, contatti, vicinanze, parole, tempi. Il corpo non smette mai di comunicare, i canali non verbali, accompagnano ogni messaggio verbale e svolgono una parte molto importante nelle relazioni umane: il corpo invia messaggi sullo stato emotivo della relazione in corso, essendo in contatto diretto con il vissuto emozionale. Nello scambio verbale e nelle diverse forme di contatto/comunicazione tra infermieri e pazienti, favorire la possibilità di assumere un atteggiamento di ascolto ed il riconoscimento consapevole del linguaggio corporeo personale e dell’altro permette di creare quelle condizioni che facilitano fiducia, collaborazione, disponibilità, alleanza che rendono efficace l’inte- Infermiere a Pavia razione in rapporto agli obiettivi professionali che l’intervento clinico richiede. La malattia è sempre fonte di disagio, di ansia di preoccupazione o comunque comporta uno stato di adattamento della persona, una fase di passaggio delicata. Le emozioni e i sentimenti dei pazienti emergono nell’assunzione di posture, nella ricerca/ rifiuto di contatto, nel tono della voce, dal tipo di sguardo durante i diversi momenti di uno scambio. Pensiamo a quanti gesti, contatti, sguardi, a quante emozioni, parole a volte difficili da dire, a quanti silenzi pieni di significato un operatore, che si occupa di persone in stato di malattia, attiva e riceve generalmente in modo inconsapevole. La sensibilità verso i segnali non verbali sviluppa il potenziamento della capacità degli operatori di relazionarsi al paziente con modalità coerenti, attente, efficaci. In questo modo il professionista, consapevole del proprio stile comunicativo e attento a cogliere quello del paziente, crea quelle le condizioni che sono alla base di un rapporto di fiducia, riconosce gli stati d’animo e facilita la disponibilità del paziente. Si tratta di attivare un processo di maggiore attenzione al paziente nella sua globalità. Una competenza che implica innanzitutto il saper riconoscere le proprie emozioni e quelle del paziente e di saperle gestire entrambe nel corso della comunicazione, al fine di promuovere un benessere globale della persona. È la capacità dell’uomo di avere consapevolezza delle proprie possibilità e quindi di gestire intenzionalmente anche la propria corporeità. L’azione formativa è tesa a rendere ogni professionista capace di utilizzare le proprie strutture comunicative, aumentandone l’efficacia e la flessibilità. Un campo nel quale è apprezzabile l’apporto della comunicazione efficace è costituito anche dall’abilità di “staccare” dal contesto lavorativo. Staccare la spina è un’operazione tanto utile quanto difficoltosa da fare. La formazione personale è in grado di incidere sulle comunicazioni interne delle persone in modo da porle nella condizioni di utilizzare al meglio il proprio governo interno delle informazioni. Gli autori * Psicologo, Psicoterapeuta Collabora con “Modelli di comunicazione” come formatore ai corsi di Comunicazione e sviluppo ** Psicomotricista, Counsellor Formatore in psicomotricità e comunicazione non verbale 23 PAGINA Numero 2/2005 Nursing e corporeità Silvia Giudici * L’argomento del rapporto con la dimensione corporea dell’assistito, pur essendo centrale nella pratica professionale, risulta complesso e sconosciuto agli stessi infermieri che non sempre riescono a decodificare i risvolti problematici: anche le pubblicazioni di settore tacciono su questo tema e la letteratura professionale e accademica selezionano aspetti della corporeità vissuta, difficilmente utilizzabili nella pratica professionale. Il contesto delle cure prevalentemente ospedaliero aumenta inoltre la difficoltà a cogliere la dimensione complessa della corporeità, perché attraverso l’uso di simboli di cura, fra l’altro molto potenti, e la negazione dell’identità dell’assistito si affermano piuttosto i bisogni e i valori dell’istituzione curante. Da quando però gli scritti dell’infermiera antropologa americana M. Leininger (1978) sono apparsi in Italia, gli infermieri hanno iniziato a scoprire la dimensione culturale dell’assistenza. Tuttavia, le riflessioni sulla dimensione della corporeità, colte nelle loro valenze rituali e simboliche, appaiono per la maggior parte di essi sconosciute e se non saranno capaci di sviluppare l’olismo delle cure, senza cadere nei riduzionismi dell’individualismo e dell’assistenza integrata, saranno destinati a essere assorbiti da altri professionisti e a scomparire come figura autonoma. Il tema centrale oggetto di questo lavoro è rappresentato dalla corporeità perché è sul corpo, sui suoi vissuti e sui suoi prodotti che l’infermiere opera con un preciso mandato sociale. Solo negli ultimi anni, l’argomento della corporeità ha assunto una centralità di riguardo, nei convegni e sulla stampa specializzata: con il presente lavoro si è voluto conoscere più approfonditamente questo interesse che a tratti assume i connotati di un problema partecipato al quale è doveroso fornire una risposta, ma che in certi momenti sembra anche il riflesso di un interesse culturale che investe il mondo occidentale, sotteso ad affermare quella identità del soggetto entrata in crisi nella società post-industriale. L’insegnamento dell’antropologia culturale nei corsi per infermieri ha contribuito a far maturare in molti di essi una coscienza critica verso i modelli curativi usati nella quotidianità, oltre a fornire importanti strumenti di lettura e di codifica. Alcune osservazioni: - il corpo e la corporeità sono gli elementi centrali sui quali ruotano le cure infermieristiche, ma con il progredire degli studi infermieristici e con l’aumentare dell’anzianità professionale, l’allievo e l’infermiere sono sempre più distaccati dal contatto diretto con il corpo; - il corpo è visto dagli infermieri prevalentemente nella sua dimensione fisica; esso è un corpo da sanare, curare, medicare…La corporeità intesa come “corpo vissuto” non è molto presente; al suo posto c’è spesso un “corpo macchina” sul quale è imperativo il dover fare qualcosa; - il concetto di persona è accolto nella sua accezione psicologica occidentale e il paziente è più un’entità etica, magari fortemente idealizzata, ma spesso inconsciamente utilizzata per differenziarsi dalla professione medica; - il non dover effettuare attività di assistenza diretta al capezzale del malato, il non entrare in contatto con gli excreta del suo corpo è considerato dai più il segno di una progressione professionale; - il contatto terapeutico (definito di seguito con l’espressione il “toccare terapeutico”), è quasi sempre un “toccare coi i guanti”; esso aumenterà con l’aumentare dell’alterità del paziente. Tendente a una visione olistica, per conseguire un modello “con cui trattare l’uomo nella sua interezza e per il quale le attività fisiche e quelle psichiche sono di pari rilevanza in quanto manifestazione dell’essere umano” (Perls, 1977), questa tendenza cerca di ricomporre la separazione del soggetto dal mondo, del singolo dal cosmo e da sé stesso, suggerendo che l’uomo prima di avere un corpo, è un corpo. Spesso la percezione del corpo come macchina è più forte negli ambienti dell’area intensiva per definizione chiamati a ristabilire le funzioni vitali del soggetto. In area critica gli infermieri finiscono con il conoscere l’assistito attraverso gli impianti tecnologici che lo mantengono in vita. Per un meccanismo difensivo si tende a non 24 PAGINA considerare il malato in stato vegetativo come detentore di un corpo vissuto; facilmente perde la sua identità di persona. E’ doveroso chiedersi allora come percepiamo nella nostra cultura la persona. Nel rapporto relazionale con il corpo alterato, sfigurato, stigmatizzato, viene da chiedersi se realmente si può “far finta di niente”, garantendo l’autenticità del colloquio, o se questa operazione non ha un prezzo che si paga a livello emozionale, attraverso l’uso di difese che allontanano dal confronto (congelamento delle emozioni). Ma il rapporto con il corpo vissuto chiama in campo anche il rapporto con le emozioni: una tendenza alla quale non sono sfuggite generazioni di infermieri. Toccare il corpo del paziente suscita emozioni quando il contatto riguarda le zone a forte connotazione sessuale: esse sono considerate neutre solo dopo averle delineate con telini sterili che assolvono la funzione di creare un campo asettico ma anche di separare, scomporre un’unità carica di significato. Per noi il modo di intendere le “neutralità” va passato al vaglio con quanto affermava M. Mauss riguardo alla non naturalità dei comportamenti corporei; secondo questo antropologo non esistono comportamenti naturali verso il corpo umano, ma solo comportamenti che nel corso dei secoli sono diventati socialmente plausibili. Sarebbe quindi questo il trabocchetto culturale che ci porta a considerare “naturale” un comportamento socialmente approvato. Nella relazione infermiere-paziente questa distinzione immette importanti attenzioni alle quali l’operatore sanitario non può sottrarsi, perché se non è pensabile l’esistenza di un “comportamento naturale” tante procedure e tanti modi consueti di operare diventano “problematici” e per essere svolti richiedono come minimo il confronto con questa realtà. L’antropologo Le Breton (1985) riconduce i divieti contro le manifestazioni naturali ai modelli borghesi che in occidente iniziarono a svilupparsi a partire dal XV sec., volti all’elevazione a una socialità discreta, dotata di un codice morale, intessuta dal sentimento del pudore, che gradualmente privò della naturalità anche le espressioni sessuali e i distretti corporei. Le emozioni suscitate dal contatto o dalla vista di zone sessualmente connotate Infermiere a Pavia sono inoltre mediate dal ruolo che gli infermieri ricoprono rispetto al medico e dalle immagini cariche di purezza simbolica delle infermiere (Litterwood, 1990), che devono fornire una garanzia di neutralità sessuale all’assistito; le infermiere risultano inoltre poste a controllo degli orifizi corporei, margini carichi di simbolismo tra il sé e il mondo esterno (Douglas, 1975). Le Breton collega il problema della comprensione del dolore a quello della percezione del corpo: il corpo è un’articolazione estremamente complessa dei domini sociali, psicologici e fisiologici e pertanto il problema del dolore diventa insolubile se lo si estrae dall’una o dall’altra di queste influenze. Il corpo che soffre ci mostra il dispiegarsi a più livelli di quanto in antropologia viene definito embodiment (incorporamento), ovvero il ponte simbolico, il reticolo sociosomatico che unisce percezione, cognizione, corpo ed esperienza. Semplicemente, incorporamento significa essere inseriti nel mondo con il corpo e le esperienze del mondo vengono a noi attraverso il nostro corpo. E’ attraverso la relazione tra corpo ed esperienza che è possibile rileggere il dolore. Di fronte a un intervento doloroso o invasivo la tecnica prevale nel rapporto con il corpo ed emerge quasi come protezione psicologica separando il “corpo vissuto” dall’operatore. Comparando questa osservazione, fortemente occidentalistica, con i canoni di cura africane, orientate verso un modello magico-salvifico della terapia, troviamo che i “professionisti guaritori” utilizzano tecniche rigorose, il cui potere è fornito sull’esecuzione di un cerimoniale preciso e inderogabile; ma la percezione della totalità non viene mai meno, anche quando a essere curato è un piede. Molti infermieri desiderano lavorare in servizi ad alta tecnologia (emergenze, sale operatorie, ecc.) e disdegnano l’assistenza agli anziani per l’immagine di maggior sicurezza fornita dai primi servizi. E’ più facile lavorare in realtà dove, una volta apprese le attività secondo uno schema definito e ripetitivo, è sufficiente la loro riproduzione precisa e costante, mentre non è richiesto un continuo adattamento alla mutevole realtà presente invece nei settori a “bassa tecnologia”, nei quali è maggiormente richiesto un contatto e un confronto con la corporeità dell’assistito. Quando prevale l’organizzazione per compiti si perde il rapporto interpersonale e profondo con la persona . Questo rischio è sempre più fortemente riscontrabile dato che la così detta emergenza infermieristica mette a dura prova anche gli operatori più “umanamente” vicini al malato. 25 PAGINA Numero 2/2005 Proposte per la consapevolezza delle proprie modalità di rapporto con la corporeità vissuta dell'assistito Prima di porsi le seguenti domande, è opportuno creare attorno a sé un ambiente tranquillo e accogliente; buoni risultati si possono ottenere se prima di iniziare a rispondere alle diverse domande viene praticata una breve meditazione incentrata sull’attenzione al proprio respiro, oppure una delle tante tecniche di rilassamento appartenenti alla tradizione yoga, al training autogeno, alla visualizzazione… Ciascuna delle seguenti domande richiede un tempo di approfondimento; ne consegue che non si tratta di domande tipo quiz, bensì di tracce esperienziali che possiamo percorrere più volte concedendoci un tempo di riflessione, uno di attesa e uno di risposta. Sarebbe poi molto utile portare la propria attenzione, mentre si assiste un paziente, a queste tracce che lentamente si sono consolidate dentro di noi. Buon lavoro. A) In quali situazioni assistenziali avverto (o ho avvertito) la sensazione che pur operando sul corpo del paziente, era come se io stessi operando su una “macchina” (metafora del corpo-macchina)? In queste situazioni, che cosa c’era dentro di me, che mi rendeva difficile (o impossibile) il rapporto da persona a persona? B) Quali difficoltà provo quando mi avvicino al corpo di uno sfigurato? Quali difficoltà provo quando mi avvicino a un corpo portatore di decubiti? Quali sono le mie emozioni e i miei stati d’animo quando mi accosto a questi pazienti? (paura, tristezza, rabbia, irritazione, speranze, commiserazione, dolore…). Come mi comporto nel contatto diretto con il corpo del paziente amputato? Quali pensieri ed emozioni provo? Quali pensieri passano nella mia mente, in quegli istanti? (rassicuranti per me stesso/a, tendenti a limitare l’incontro, compassionevoli, distraenti…). Che cosa c’è in me che mi fa provare queste emozioni e questi pensieri? (esaminare se sono presenti convinzioni personali, immagini ideali sull’altro e su noi stessi, aspettative personali, ideali professionali…). C) In quali occasioni ho avvertito difficoltà e ho avuto problemi nel toccare il corpo del paziente? (portare l’attenzione alle parti corporee interessate dal problema/difficoltà e alla patologia del paziente). Quali comportamenti ho adottato per avvicinarlo nonostante tutto? Che cosa c’è in me che mi fa vivere come difficile il contatto con questi pazienti? D) Quando mi trovo a dover toccare la pelle del paziente, sento il bisogno di indossare un paio di guanti? E) Quando tocco senza guanti il corpo di un assistito anziano, quali sensazioni e quali sentimenti suscita in me questo contatto? F) Quali comportamenti discriminanti mi accorgo di mettere in atto (se esistono in me) quando assisto un paziente appartenente a una cultura diversa dalla mia? Che cosa maggiormente temo in chi mi appare come “diverso”? G) Quali sono le mie paure verso il morente? Quali sensazioni provo nel toccare un corpo privo di vita? Bibliografia - ATLAN, HENRI, (1995), Razionalità scientifica e razionalità del mito: in principio era la cura, Laterza, Bari. - BENGTSSON A., MARIANNE, (1994), Aspetti culturali della relazione malatoinfermiere, Atti delle giornate di studio su Antropologia della corporeità nella relazione di aiuto, Alessandria 6/7 ottobre 1994. - CANTARELLI M., (1993), La disciplina infermieristica. Il modello delle prestazioni infermieristiche, Atti Convegno Discipline Infermieristiche. - CIRESE A. 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K., (1996), Il corpo critico e la critica della razionalità, in Perché il corpo, Meltemi, Roma. - URLI N., (1999), L’ambiguità del corpo nelle cure infermieristiche, uno sguardo antropologico sul rapporto tra nursing e corporeità, Ambrosiana, Milano. L’autore * Infermiera Neuroriabilitazione I e II Fondazione Salvatore Maugeri 26 PAGINA Infermiere a Pavia il corpo e la vergogna: teorie ed osservazioni per conoscerci meglio. Silvia Giudici * I conflitti della vita conformano il corpo fisico in maniera specifica e modellano il carattere. Wilhelm Reich ha enfatizzato tali rapporti evidenziando sempre più l’importanza del corpo, non come entità materiale separata dalla psiche, ma come aspetto visibile e concreto dell’unità mente-corpo. Prevale tuttora, in alcuni ambienti scientifici e nell’opinione generale, soprattutto nella cultura occidentale, la concezione dualistica dello psicosoma, che considera il corpo separato dalla mente e identifica nel cervello la psiche. La dicotomia investe la medicina, le scienze, le istituzioni, il modo di pensare e nel modo di considerare le emozioni, la malattia, il corpo stesso. Questa visione ha fatto sentire come opposti e contrastanti, o in conflitto, il corpo e la mente. L’avvento della medicina psicosomatica ha ribaltato la concezione tradizionale. Finalmente si scopriva che ciò che è vissuto con la mente è vissuto con il corpo. Anzi, per Reich tale vissuto psichico è possibile leggerlo concretamente e verificarlo nella realtà del corpo, nella sua struttura, nelle sue contrazioni, nei suoi blocchi, nei suoi movimenti, nelle sue posture, nel suo carattere e nella corazza caratteriale. Da ciò deriva che per parlare della vergogna dovremo parlare del corpo e per parlare del corpo dovremo inquadrare la vergogna come fenomeno generale e particolare che interessa, sia pure in misura diversa, ogni essere umano. Per Nanetti il corpo non rimanda al semplice organismo: ogni discorso sul corpo esige un interrogarsi sull’esperienza di una corporeità vissuta, mai estranea alle vicende quotidiane del soggetto agente, in quanto corpo. Per Rizzardi rappresenta il luogo dove si ha la sensazione della continuità di sé. La scoperta e l’esperienza della corporeità sono essenziali per il costituirsi della coscienza e della soggettività. Il corpo è l’unico mezzo che si possiede per andare al cuore delle cose. Emozioni e sentimenti come la vergogna, anche se universali, vivono però nel corpo dell’individuo .in maniera unica, irripetibile, perché si svolgono in quella persona, in quel corpo. Il corpo, in quanto soggettività, è un corpo soggetto, e non è qualcosa che si ha. Su questa scia Galimberti distingue il corpo anatomico dal corpo vissuto, in quanto avere un corpo è diverso dall’essere un corpo. La prima è un’esperienza riflessiva, la seconda pre-riflessiva, poiché si costituisce come coscienza incarnata, cioè come “esserci” al mondo. Il corpo è l’intermediario della relazione con l’altro, in quanto l’incontro pone in primo piano l’esperienza psicofisica soggettiva e al contempo interpersonale, poiché spesso è l’altro che ci rivela il suo corpo, diventa fonte di un’infinita varietà di vissuti, di emozioni piacevoli e spiacevoli, di fughe, di vergogna, di imbarazzo, di ritiri nevrotici e psicopatologici, di somatizzazioni. In queste modalità reattive rientrano i sentimenti di vergogna come risultato dialettico tra l’io e il non-io. Nella visione reichiana, in cui è centrale il corpo (in quanto l’io è il corpo e il corpo è l’io, e dunque io sono la vergogna), il corpo è ciò che un individuo vive, è ciò che sente, è ciò di cui ha coscienza, è sofferenza e gioia, malattia e benessere. Il corpo, dunque, viene segnato dalla storia individuale come da quella sociale. Quando le emozioni vengono inibite si creano tensioni muscolari; secondo la terminologia reichiana esse “bloccano l’energia vitale”, limitando le capacità espansive ed espressive dell’organismo. Se il corpo di un individuo è vibrante, vivo, c’impressionerà allo stesso modo, e ci sentiremo nei suoi confronti in modo diverso da come ci sentiremmo nei confronti di una persona il cui corpo è relativamente privo di vita, per quanto riguarda la sua espressività. La nostra reazione intuitiva a una persona è determinata dal modo in cui percepiamo le sue qualità corporee. Lo sguardo negli occhi, il calore della sua stretta di mano, la sua postura e il grado della sua vivacità e spontaneità, sono non soltanto i segni che dicono chi è egli; sono i fattori che determinano la nostra reazione inconscia o emotiva nei suoi confronti. Il corpo esprime chi siamo, dice come siamo attraverso un suo linguaggio, poiché i sentimenti e le sensazioni di una persona possono essere letti nell’espressione fisica. Le emozioni sono avvenimenti corporei, sono cioè movimenti intensi del corpo, che in genere sfociano in un’azione esterna. L’ira, per esempio, crea una forte tensione verso la parte alta del corpo, verso il viso, il petto, le braccia, produce rossore, porta a serrare i pugni e a contrarre la bocca. La paura, la preoccupazione che questi segni vengano visti e letti dagli altri, crea poi un circolo vizioso che peggiora lo stato d’animo del soggetto. Le parole potrebbero, invece, non comunicare o addirittura nascondere, mentre l’espressione corporea è involontaria e non mente, lo sperimentiamo quotidianamente. E’ chiaro che non tutti sanno analizzare con obiettività i messaggi trasmessi dal corpo nei gesti quotidiani, tanto che spesso si verificano complesse distorsioni e travisamenti, a causa dei meccanismi di proiezione e d’introspezione molto comuni. Ma questi fenomeni, che fanno parte della comunicazione sociale, difficilmente potranno essere evitati. Il modo di percepire sé stessi condiziona il rapporto con il proprio corpo e il rapporto con gli altri, che può essere improntato a fiducia, autoaffermazione, gioia, piacere, sicurezza, oppure vergogna, insicurezza, paura, ansia, dolore, esitamento. Rizzardi fa delle osservazioni in proposito. Dice: “ L’immagine corporea è una rappresentazione mentale che ogni individuo ha del proprio corpo, della conformazione fisica, del volto, degli occhi, dei capelli, ecc. E’ l’insieme delle percezioni e rappresentazioni che ci servono per evocare il nostro corpo, valutarlo non solo in quanto 27 PAGINA Numero 2/2005 oggetto dotato di certe proprietà fisiche (peso, statura, colore, forma), ma anche come soggetto o parte di noi stessi, carico di affetti senza dubbio molteplici e contradditori: non è lo specchio fedele del nostro corpo com’è, ma l’interpretazione del corpo per l’individuo”. Cargnello, un critico topologico, dà molta importanza nella costituzione dello schema corporeo alla sfera ottica, accanto a quella tattile e cinetica. Questa immagine si crea gradualmente durante l’infanzia. Di pari passo si muove Head. Egli sostiene l’esistenza non di un solo schema corporeo, ma di più schemi, quello tattile, quello cinetico, quello visivo, la cui integrazione va a formare una specie di somatogramma in continua evoluzione. Lo schema corporeo è sempre cosciente nell’individuo oppure il suo contatto non è così scontato, in quanto condizionato da diversi limiti? A tale interrogativo Schilder risponde che, essendo lo schema corporeo soggetto a un processo di destrutturazione sin dall’infanzia, è un’immagine in perenne cambiamento, e seguendo la Gestaltpsychologie, cioè la psicologia della forma, ritiene che essa si propone come un tutto che non si distacca mai dallo sfondo, ma che non è la somma delle parti. Inoltre Schilder ritiene che lo schema corporeo, che dunque non è un fatto statico, ma un continuo divenire, è sostenuto e continuamente investito dalla libido che lo rappresenta al mondo oggettuale. La genesi, la formazione, lo sviluppo e l’evolversi dello schema corporeo è legato per Schilder alle zone erogene: alle cavità, bocca, vagina, utero, narici; alle prominenze: pene, dito, piedi, ecc., ma anche ai grandi sensi: occhi, orecchi. La costituzione dello schema corporeo è legata a particolari tendenze, come il narcisismo, masochismo, sadismo, voyeurismo. La personalità è un misto di caratteristiche psichiche e somatiche integrate, armoniche e disarmoniche, contrastanti, conflittuali, alcune mature, altre involute, represse e latenti, altre più sviluppate. La personalità percepisce il proprio schema corporeo sulla base di questa struttura stratificata. A sua volta lo schema corporeo condizionerà la formazione della personalità in stretta relazione con le correnti erotiche. Secondo la concezione reichiana, poiché la contrazione dell’organismo non è sempre percepita, non si ottiene una rappresentazione e un contatto obiettivo del sé e del corpo, ma una loro immagine distorta e proiettiva. La difficoltà di una percezione obiettiva del nostro corpo si riscontra anche nella percezione del corpo altrui, perché sempre mediata da schemi personali parzial- mente distorti dalle barriere caratteriali e somatiche, dalle proiezioni, dalle identificazioni, dai rifiuti, dalle somatizzazioni che condizionano il modo di “sentire” e di “vedere” gli altri secondo propri modelli riduttivi di riferimento. Gli elementi propricettivi, le sensazioni (reazioni neurovegetative spiacevoli, uno stato di insicurezza, un aspetto fisico non accettato), o percettivi esterni (il percepire negli altri un atteggiamento più disinvolto, o caratteristiche estetiche migliori, o sentimenti più “normali” dei propri) verranno valorizzati o ignorati, e comunque interpretati, a seconda dell’importanza a essi data dal soggetto rispetto a schemi di autoriferimento mentali e corporei. Queste considerazioni portano immediatamente a riflettere sull’importanza che rivestono, nella formazione dello schema corporeo del bambino, l’esperienza e il contatto con le figure genitoriali, in specie con la madre. Un contatto materno caldo, rassicurante, dolce, aiuterà il bambino a prendere coscienza del proprio io-corpo e a differenziarsi dal non-io, dalla realtà esterna e, allo stesso tempo, contribuirà in maniera determinante alla costituzione dello schema corporeo, sulla base delle sensazioni di gratificazione e di frustrazione. Toccare, accarezzare, abbracciare, le forme primarie di contatto tra madre e bambino sono di vitale rilevanza per una crescita sana, equilibrata, gratificante. Forniranno al bambino gli elementi concreti per la presa d’atto e di conoscenza del proprio corpo, distinto da quello della madre, e si tradurranno dai primi mesi di vita in poi in una rappresentazione matura del proprio schema corporeo. Da queste prime esperienze dipenderà il tipo di sviluppo e la formazione del carattere, della personalità del bambino, la nascita o meno di aspetti normali o nevrotici e psicopatologici, ma anche lo strutturarsi di sentimenti di insicurezza o di sicurezza, nonché di senso di vergogna come aspetto del corazzamento individuale. In genere le persone sono inconsapevoli dei loro blocchi corporei. Questa condizione riduce la possibilità di utilizzare totalmente le proprie energie. Gli individui inconsapevolmente si proteggono dalle esperienze dolorose e minacciose. Il sentimento di vergogna nasce e cresce all’interno di questi meccanismi protettivi, impedendoci un contatto pieno con noi stessi e un’apertura spontanea e naturale alle relazioni interumane e alla vita in generale, riducendo le capacità di espansione e di realizzazione dell’io. Ciò comporta anche una riduzione della libertà, del benessere, della funzionalità psicofisica, un limite ai processi energetici del corpo e della mente. La limitazione delle sensazioni, delle emozioni, dei bisogni, rende la vita dell’organismo meccanica, estranea, disfunzionale, caratterizzata spesso da un’economia energetica a basso livello. In più la nostra società, caratterizzata dalla fretta, contribuisce a rendere sempre di più l’individuo macchina. Il nostro essere viene ristretto entro valori e schemi materialistici e alienanti. Lo stato di insoddisfazione, la frustrazione, la rabbia alimentano il disagio esistenziale e innescano altri meccanismi psichici negativi o atteggiamenti sociali distruttivi con ripercussioni in ambito famigliare e lavorativo (si pensi a quella miriade di operatori sanitari che prima di assistere i pazienti devono curare sé stessi!). Il rischio è che questi comportamenti vadano a condizionare le generazioni successive e che non sia possibile trovare una via di uscita. Bibliografia - AXIA G., (1999), La timidezza, Il Mulino, Bologna. - BALLERINI A., ROSSI MONTI M., (1994), La vergogna e il delirio, Boringhieri, Torino. - CARLINI M. G., FARNETI P., (1996), Il ruolo del corpo nello sviluppo psichico, Loescher, Torino. - CASTELFRANCHI C., POGGI I., (2000), Che figura. Emozioni e immagine sociale, Il Mulino, Bologna. - D’URSO V., (2002), Imbarazzo, vergogna ed altri affanni, Cortina, Milano. - EKMAN P., (2001), I volti della vergogna, Giunti, Firenze. - FELICI F., VETRONE G., (1999), Colpa e vergogna, Marcon, Città di Castello. - FREUD S., (1968), Introduzione al narcisismo, in Opere, vol. III, Boringhieri, Torino. - HINDE R., (1990), La comunicazione non verbale, Laterza, Roma-Bari. - LE DOUXJ., (1999), Il cervello emotivo, alle origini delle emozioni, Baldini-Castoldi, Milano. - MATTEI E., CRAIA V., (2001), Il corpo e la vergogna, Ed. Magi, Roma. - NAVARRO F., ( 1984), Neuropsicologia reichiana. “Energia Carattere Società”, n. 6, Riza, Milano. - ZIMBARDO P.G., RADL S., (2001), Il bambino timido, Erickson, Trento. L’autore * Infermiera Neuroriabilitazione I e II Fondazione Salvatore Maugeri 28 PAGINA Infermiere a Pavia Approcci socioculturali sui canoni della bellezza corporea Silvia Giudici * Per i sostenitori del punto di vista radicalmente ambientalista tutto il comportamento umano è modellato dalla cultura, la quale spinge il suo potere condizionante fino al livello biologia. Afferma ad esempio Sève che “le strutture essenziali della personalità non hanno un’essenza biologia” e che “nell’individuo sviluppato persino l’organismo è diventato in larga misura il prodotto della personalità”. In effetti, se nel Vangelo è scritto che nessuno può aggiungere un pollice alla propria statura o un pelo ai propri capelli, molti fatti mostrano che biologia e cultura non sono così nettamente separate e che quest’ultima esercita profondi influssi sulla prima. Ad esempio, le abitudini alimentari ed igieniche possono determinare un aumento medio della statura, com’è testimoniato dalle rilevazioni di serie storiche effettuate sui militari di leva e dalle correlazioni positive che si riscontrano tra statura e condizioni socioeconomiche. Le mutate condizioni di vita comportano profonde modificazioni anche nella struttura corporea. Eloquente al riguardo è il rapporto tra le ricche abitudini alimentari delle società del benessere e l’enorme sviluppo dell’obesità (cui fa da contrasto l’ideale di magrezza enfatizzato dai mezzi di comunicazione e diffusione dell’anoressia). Il vissuto del sé corporeo è regolato dal valore che la cultura attribuisce alla corporeità. La concezione del corpo come inferiore all’anima ha prodotto visioni della vita come quelle dell’ascetismo e del puritanesimo, mentre la sua esaltazione, quale ha avuto luogo nel Rinascimento e nell’epoca attuale (si pensi all’enfasi su “fitness” e “wellness”), la valorizzazione del corpo come mezzo di espressione e come componente fondamentale della personalità. Anche il modello di corporeità cui i singoli individui cercano di conformarsi, quindi la morfologia fisica preferita, le parti del corpo da valorizzare maggiormente e l’ideale generale di bellezza fisica, sono imposti dalla cultura (Fallon, 1990). Si pensi alle più strane pratiche messe in atto nel corso della storia per ottenere particolari conformazioni del corpo: le grandi orecchie forate degli Incas, la cui cartilagine scendeva fin quasi alle spalle; la fronte schiacciata dei Maya, ottenuta mediante un’assicella legata sulla testa dei bambini, e lo strabismo provocato da una pallina di argilla appesa ad una cordicella e fatta penzolare in mezzo agli occhi; il piede minuscolo delle orientali; il collo lungo, ottenuto mediante progressiva aggiunta di collari d’argento, della cosiddette “donne giraffa” della Birmania e della Tailandia, ecc. Si pensi all’enorme diffusione nella nostra attuale cultura di pratiche come la chirurgia estetica o il tatuaggio ed il piercing, mezzi con cui si cerca di correggere o “culturalizzare” il dato biologico. Anche riguardo ai criteri che determinano la percezione della bellezza corporea non sono tuttavia da escludere influenze di tipo genetico. Particolarmente evidente è l’influenza culturale nell’imporre l’ideale della bellezza femminile, ideale che mostra una sensibile variabilità nel corso delle epoche: dalla “Venere steatopigia”, tipica delle antiche civiltà mediterranee ed africane, si è passati all’attuale look “androgino” delle “top model”. Interessanti al riguardo alcune ricerche effettuate su come nel corso degli anni sono mutate le caratteristiche corporee delle modelle, delle partecipanti al concorso di miss America e delle “pin-up”, seducenti e mozzafiato, immortalate su qualche rivista sexy: da tali studi emerge che il corpo femminile è diventato sempre più longilineo, con seno più piccolo (o più sviluppato a secondo del trend, grazia alla chirurgia estetica), fianchi più stretti, perdita di peso ed aumento di altezza. Per contro, da un’analisi degli annunci pubblicitari apparsi nelle dieci riviste più diffuse in America emerge che nel corpo maschile tende ad affermarsi un modello a “V”, con spalle larghe e vita stretta e con una sviluppata massa muscolare. L’apprezzamento delle rotondità femminili sembra caratterizzare le culture più tradizionali. Presso il clan Efik della Nigeria un rito di passaggio dalla fanciullezza alla maturità per le ragazze consiste nel farle rimanere per vari mesi in una “stanza d’ingrasso” fino a quando raggiungono il livello di peso considerato ottimale. Le preferenze per le forme corporee maschili e femminili variano in funzione del carattere 29 PAGINA Numero 2/2005 “tradizionale” o “progressista” delle culture: le prime preferiscono il corpo maschile a V e quello femminile caratterizzato da curve, le seconde preferiscono per entrambi le forme angolari. Ricerche di Jackson e McGill (1996) mostrano che gli afroamericani preferiscono nelle donne strutture corporee più arrotondate rispetto agli angloamericani. Come per i criteri che guidano la scelta del partner, anche per quanto concerne l’apprezzamento della bellezza corporea, accanto alle mode dettate dalla cultura sembrano essere presenti componenti biologiche ed innate. Secondo l’ipotesi evoluzionistica, i tratti del viso e del corpo che vengono maggiormente apprezzati, come ad esempio regolarità e simmetria, sono in genere quelli che segnalano “alta qualità” e successo riproduttivo (Celerino, 2002). La cultura può influire anche sui tempi delle funzioni biologiche: ne sono esempi l’anticipazione della comparsa delle mestruazioni nelle ragazze e l’enorme prolungamento dell’età fertile delle donne, resa possibile dalla tecnologia medica. Infine, la cultura determina anche la diversa valorizzazione dei canali sensoriali. Secondo Falk, sarebbe tipica della cultura occidentale la gerarchizzazione dei sensi in “alti” (quelli a distanza) e “bassi” (quelli a contatto) ed il progressivo spostamento dalla predominanza del toccare e del sentire (predominante nelle popolazioni africane)a quella del vedere (predominante nella cultura occidentale). L’autore * Infermiera Neuroriabilitazione I e II Fondazione Salvatore Maugeri Bibliografia - ALIPRANDI M. T., (1995), Winnicott: l’emergere dell’esperienza del sé. Modelli di sviluppo in psicoanalisi, R. Cortina, Milano. - ARGYLE M., (1996), Il corpo e il suo linguaggio. Studio sulla comunicazione non verbale, Zanichelli, Bologna. - BALESTRIERI A., (1995), Biologia del comportamento: reflessologia ed etologia, Masson, Milano. - CAPRARA G. V., (2001), Questioni di sesso e di genere”, Psicologia contemporanea. - DOGANA F. (2002), Uguali e diversi. Teorie e strumenti per conoscere sé stessi e gli altri, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze. - ERIKSON E. 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La Corte costituzionale, con sentenza 20 novembre 2002, n. 476, ha esteso il diritto all'indennizzo stesso anche agli operatori sanitari che, in occasione del servizio e durante il medesimo, abbiano riportato danni permanenti alla integrità psico-fisica conseguenti a infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da epatiti. Quindi per avere diritto all'indennizzo nel caso di epatiti, occorre che l'operatore sanitario sia affetto da un'epatite virale cronica (o che sia stato colpito da un'epatite virale fulminante), alle condizioni prima descritte. Il diritto all'indennizzo è indipendente dalle condizioni di reddito ed è autonomo rispetto alla eventuale causa di servizio. Noi dell'Associazione EpaC Orilus ci stiamo adoperando in tal senso, perché tra i nostri sostenitori ci sono molti che appartengono a questa categoria e che riscontrano una lacuna informativa su tale diritto e quindi per noi, che riteniamo l'unica terapia per il silenzio sia l'informazione, abbiamo ritenuto importante mettere a conoscenza tale cosa. Da anni facciamo informazione sull'epatite C, e ci teniamo affinché i diritti di tutti i malati siano rispettati e messi alla luce del sole, la 210/92 è stata pubblicizzata pochissima, infatti molta gente si è vista rifiutare questo diritto perché era fuori termine. Per me che in veste di Delegato EpaC e paziente sono a contatto con molti infermieri, era un dovere scrivere qualcosa in merito. Per maggiori informazioni potete visitare il nostro sito: www.epac.it o contattare il numero di telefono della sede EpaC 039.6612460. Delegato EpaC Onlus Massimiliano Conforti 30 PAGINA Infermiere a Pavia Il corpo invaso (dal tubo in cavità all’invasione delle vie biliari, passando per Barroughs...) Lorenzo Marvelli * Epilogo. Verso il corpo senz’organi Il tubo in cavità Il tubo gastroscopio scivola ben lubrificato nel lume dell’esofago: è tutto rosso intorno ché l’elicobatterio ha disseminato mine antiuomo senza parsimonia facendo del tubo un campo minato. È così pericoloso avventurarsi per l’esofago senza uno strumento capace di rilevare metalli sospetti! Chi lo ha fatto ci ha lasciato una gamba ed ora si aggira fortunato-in-protesi, uomo biomeccanico e cibernetico, mutato e privato dell’organo nel canale esofageo. Alcuni tentativi, accenni di vomito conato, bloccano il tubo gastroscopio per un attimo poi, quando il buon respiro mette quiete nello stomaco, ecco che lo strumento riprende il suo tragitto come serpente strisciante nel contesto peristaltico di quest’apparato digerente appena all’inizio e già così infestato di mine antiuomo ed elicobbateriche antibiotico-resistenti. Un fastidioso restringimento valvolare, un Cardiàs come Flegiàs, come sentinella in garitta armata di tutto punto che grida: “Fermo là!”, un anello connettivo slarga & stringi introduce il gastrotubo nell’organo cavo per antonomasia. Ed è gran festa! Nello stomaco. Tutti dicono: “Viva la gastrofesta!” Erano ormai anni che nessuno si faceva vedere da queste parti: tutto buio e triste, acidopepsina sulle pareti a tutto tondo, silenzio e talvolta un borborigmo per livelli aerei ed idroaerei che cessano improvvisamente con uno svuotamento peristaltico per cui il Gastro si rovescia su se stesso facendo l’interno dell’esterno e viceversa senza tuttavia mutar granché nel sacco peritoneale che avvolge con così tanta luccicanza. Ecco il tubo gastroscopio, il faro che questo monta in testa, il fascio della luce che, ove illumina, scalda per la gioia dei villi intestinali che, seppur lontani dalla rivelazione, s’agitano come spighe al vento, come plancton sottomarino, come veli di sposa. C’è un gran fermento nella cavità e, come un dragone cinese azionato da cento uomini, volteggia il gastrotubo, disegna parabole, si spinge verso l’alto e poi precipita, sta fermo per un attimo ma presto volta e parte come un toro impazzito dalla rabbia, ora qua, ora là, facendo aria e luce, un rumore tondo e sordo nel quale è possibile riconoscere l’eco dell’applauso: mille anatomie cellulari che per la casuale mitosi, qui si sono ritrovate loro malgrado, ora ringraziano il destino e strappano finalmente le pareti riversando dappertutto citoplasma: “Evviva!”, gridano corpuscoli rotolanti sulle pareti del grande Gastro, “Viva la gastrofesta!”, ciarlano ribosomi, vacuoli e mitocondri scivolando nel marasma citoplasmatico. Dieci minuti di follia generale poi il tubo, ormai povero di lubrificante, pensa d’andar via. Come il serpente strisciante, aziona l’onda contraria che da come risultato il moto inverso e prima di passare in galleria, proprio quando appare all’orizzonte Cardiàs sotto garitta, il tubo estrae una grossa pinza e, prima che nessuno se ne accorga, taglia di netto un pezzo di materia per il laboratorio. Il corpo organizzato è studiato e curato perché non marcisca sotto l’azione del tempo ed il gastro non fa eccezione nonostante il suo aspetto così cavo ed aperto ad ogni tentativo di contatto con l’esterno: neanche lo stomaco di passaggio tiene lontana l’invasione degli Apparati Strumentali, risultando così, il corpo, sempre in balia dei tubi-serpenti-striscianti che prima fanno credere chissà cosa e poi… E se questo non basta perché voi princi- piate a convincervi del fatto che il corpo è perennemente sottopressione e che la manipolazione della carne umana è l’esercizio preferito di chi comanda, ora proverò a dirvi dell’Epa che, pur non essendo cavo, è comunque sistemato nella luccicanza peritoneale ove tutto è ovattato e calma piatta tanto da credere che, ed invece… L’invasione delle vie biliari Il fegato cirrotico e stanco, siede nella sua loggia in attesa di togliere il disturbo. Bande di connettivo lasso sconvolgono la normale architettura ed un tanfo insopportabile rende inavvicinabili i poveri epatociti, una volta veri e propri laboratori di armi di distruzione di massa, oggi dissidenti al confino, scienziati aterosclerotici e incapaci, algebre impazzite, pile alcaline scariche, barriere inconsapevoli al deflusso della bile che così diviene reflusso pestilenziale finalmente raccolto in formazioni sacciformi radiopache e iperdense dal colore verde smeraldo nauseabondo. Poveri scienziati! Questo è quello che spetta a chi ha passato la vita intera a brigare, a trasformare in legami covalenti l’ alcol in formaldeide e glucosio in quantità esagerata che poi in ultima analisi, come dice il dottor Krebbs, di lipidi si tratta, ergo, grasso! Grasso nel sangue e colesterolo che poi fa ictus ed infarto del miocardio in barba agli ipolipemizzanti che sono una gran fregatura: “La dieta ipocalorica ed iposodica è l’unica cosa!” ma chi glielo va a dire alle multinazionali del colesterolo che finanziano gli epatociti sin da piccoli perché trasformino-trasformino-trasformino sino a dichiararsi esausti e puzzolenti con gran reflusso di bile verde e gialla. Questi lobi epatici sono una gran rottura! Soprattutto quando, non più giovani, perdono la capacità d’essere trapassati da vasi d’ogni tipo che tutti conosciamo come il “Circolo Portale Artico” ed allora questi tubi pieni di sangue rosso-disossigenato, si inginocchiano e divengono turbolenti, “Ipertensione, ipertensione portale!”, sino alle varici esofagee che nella peggiore delle ipotesi, esplodono in un grande sbotto di sangue e poi a seguire una infinità di 31 PAGINA Numero 2/2005 spruzzi ematici che dipingono pareti circostanti e poveri passanti. Ma questo non è niente in confronto al rovesciamento improvviso della bile nel flusso sanguigno con il risultato che il colorito corporeo si fa d’improvviso gialloverdognolo fosforescente facendo del corpo in esame un s-oggetto non identificato luminescente e visibile di notte.E che dire poi del K-deficit vitaminico che è fattore di coagulazione? Il corpo impiagato perde sangue senza sosta dalle più piccole soluzioni di continuo per cui s’interviene con bendaggi compressivi ed acqua ossigenata o perossido d’idrogeno dalle magiche proprietà emostatiche e rinfrescanti. Il corpo così fasciato è irriconoscibile a se stesso e perde il nome e l’identità tanto che a qualcuno verrebbe a dire che la malattia è sinonimo di libertà. E questo è suffragato dal fatto che il Potere della Scienza che è contro ogni possibile accenno di libertà, interviene immediatamente ad impedire questo superamento d’identità del corpo bendato e procede all’assalto dell’epa con ogni mezzo penetrando dal coledoco per le vie biliari fino al connettivo lasso a sparare liquidi iodati che s’espandono a raggiera rendendo possibile il passaggio dei raggiX e gamma nonostante la convenzione internazionale che prevede la distruzione delle armi nucleari, chimiche e batteriologice. Questi scienziati vogliono salvare a tutti i costi il fegato invecchiato perché sanno che un corpo da esso liberato, diviene un tantino più libero, direi leggero, vuoto, disponibile ad essere attraversato da chiunque senza che venga percepita puzza alcuna. Un fegato morente è il più grande anelito alla libertà. Tutti a tavola Sul tavolo giace il corpo incosciente per il curaro e la ketamina, il volto mascherato ed intubato per il gas nervino ed anidride ed ossigeno in bombole a pompare macchine e polmoni, ingranaggi di metallo, artifici matematici, elettroniche algebriche: è il trionfo della scienza operatoria e dei padroni del sonno e della veglia, dei meccanici dentisti, taglialegna, seghe elettriche, martelli pneumatici, il sibilo bruciato del bisturi elettrico sulla pelle rossa disinfettata dallo sporicida PH basico, la breccia operatoria, cinque, dieci centimetri, un vero e proprio squarcio, la porta del caveau umano, la cattedrale della Natura; puzzo di carne morta e bruciata, cauterizzazione capillare per evitare il sanguinamento eccessivo, il bisturi è anche un ferro infuocato disinfettante e quando è all’azione solleva fumo e cenere tutto intorno. S’apre il portale della chiesa: “Meraviglia, meraviglia del creato!” La navata centrale grigio intestino è un groviglio di tubi intrecciati nei quali è possibile farsi spazio senza creare danno alle impalcature intorno che sono come affreschi sulla volta peritoneale, i reni nelle logge, il rilievo splenico, poco distante la fonte insulinica, il grande gastro davanti l’abside come un altare sul presbiterio digerente acido e pepsinico a contatto, per il coledoco transetto di sinistra, con l’epa cirrotico e pestilenziale, la cripta corporea e luogo di sepoltura biliare. Vien voglia di segnarsi con le mani piene di guanti giunte sino a qui con l’intento di organizzare un po’ il gran groviglio digerente avvolto in luccicanza peritoneale ma c’è così poco tempo per le ingegnerie operatorie e poi c’è l’anestesia e l’emivita farmacologia con il cronometro puntato sull’ora della veglia e della comparsa del dolore: “Fate presto, fate preso, passateci le pinze!” Queste pinze lanzichenecchie fanno irruzione nel tempio corporeo e bruciano, strappano, squarciano, asportano, aspirano, attaccano, cuciono protesi, lasciano tubi aspiranti, sciacquano e lavano per bene il peritoneo luccicante e appena appena trasparente: il tubo digerente asportato dalla cavità, è adagiato con cura in petto, dentro è un gran vuoto e lo stomaco tende a precipitare sull’impianto diaframmatico ma la sapiente mano chirurga, con un moto brusco, lo ricaccia di dove era venuto e con lui, il sistema dei collegamenti viari con i pianeti della costellazione digerente, Pancreàs, Epa, Ex-ofago, Spleen, tutte stazioni-laboratorio ove la sostanza cambia forma con l’intento proteico, glucidico e lipidico mentre è un gran passare di tir-carrier-vitaminici alla guida dei quali siedono infaticabili auto-trasportatori che bevono whisky per rimanere svegli di notte ad ascoltare canzoni e sesso alla radio ed a strombazzare alle puttane fingendo di investirle. Sul retro, come due containers, stanno i reni nelle loro logge, collegati ad un sistema fognario di acque bianche che, insieme al velo peritoneale, danno quella luccicanza che permette a noi tutti di vedere. Le acque poi, raccolte in una cisterna trasparente, raggiungono un livello accettabile prima dell’esondazione che avviene per apertura della diga sfinterica ed innervata elettricamente con circuiti a fibre ottiche organizzati in fasci che raggiungono il Cervello Centrale. Potenza del software corporeo! Questo sistema fognario è garante dell’equilibrio acido-basico per la sufficienza dei reni, unico e vero filtro dell’intera architettura umana, addirittura replicabili in chiave artificiale in un processo che porta il nome di Seduta Emodialitica per corpi con reni dis-organizzati in cortocircuito. Le mani guantate, fatto il largo necessario, vanno verso lo zenit della sfera celeste con la speranza d’asportare il cancro tumefatto, responsabile del Gran Disordine Digerente e cortocircuito che di così tanto connettivo ha infettato il fegato ormai definitivamente impazzito e distributore di bile dappertutto. La sorpresa è che il cancro ha messo le radici, ha invaso tessuti in ogni parte, ha mangiato organi ed apparati, ha dis-organizzato il corpo. Non resta, per le mani, che chiudere al più presto sedendo finalmente, al tavolo degli sconfitti. E così è con una gran bella cucitura sulla pancia, un punto a croce sul corpo invincibile e dis-organizzando. L’autore * Infermiere 118 Pescara 32 PAGINA Infermiere a Pavia Dialogare con il corpo psichiatrico Susanna Cassinelli * Dialogare con il corpo psichiatrico è dialogare con l’anima che soffre. La metonimia “corpo psichiatrico” riconduce a due ampi concetti, dei quali risulta necessario puntualizzare a priori il senso, nel contesto della trattazione. Il significato di essi viene dipanato nello svolgersi del tema, ma deve essere subito inteso nella sua corretta accezione, essendo, al tempo stesso, complemento oggetto e strumento di un minuzioso intendimento “CORPO”: tale lemma non deve richiamare, in codesta contingenza, il corpo anatomico solo. Corpo è ivi da considerarsi, in modo scevro da ogni riduzionismo, ”ciò che si è” piuttosto che “ciò che si ha”. Ovvero complesso di CORPOREITA’, PSICHE, ANIMA, SPIRITO: sono questi gli elementi che s’intrecciano e si incastonano sul supporto dell’umanità di ciascuno, imprimendo quel carattere indelebile che rende ogni individuo UNICO ed IRRIPETIBILE. Corpo, che specificamente, in questa circostanza, è “PSICHIATRICO”. Il termine, già esaminato, viene quindi coniugato con ciò che grammaticalmente è considerato “aggettivo qualificativo”, il suo nucleo strutturale si ridimensiona, si rinnovano i suoi contenuti e ne viene impreziosito. Perché il “CORPO PSICHIATRICO” manifesta la coesione di uno SPIRITO LACERATO, di una PSICHE ANGOSCIATA, di un’ANIMA DISPERATA, che si congiungono così omogeneamente, da confluire in un essudato sgorgante dal cuore ‘infiammato, per trasudare inquietantemente e dolorosamente da ogni poro di una CORPORERTA’ RECLUSA e SOGGIOGATA. Il “CORPO PSICHIATRICO” è allora l’immagine della devastazione dell’essere. Mi pare d’obbligo a questo punto qualche riflessione circa l’IMMAGINE. L’epistemologo Gregory Bateson iniziò una delle sue conferenze chiedendo: ”Alzi la mano chi crede di vedermi”. Avendo quasi tutti i presenti attuato, un po’ perplessi, il gesto, riprese: “Voi NON VEDETE REALMENTE ME, quello che vedete è un mucchio di informazioni su di me. Voi VI COSTRUITE QUELLA IMMAGINE”. È necessario che ciascuno di noi si soffermi allora a riflettere, affinché possano affiorare alla consapevolezza l’insieme dei processi inconsci ed impulsivi che viziano la rappresentazione del ‘corpo psichiatrico’, stereotipandola nell’immaginario collettivo. È necessario essere sinceri con la propria interiorità, fino in fondo: ammettendo la propria debolezza; riconoscendo con umiltà che il rifiuto del ‘corpo psichiatrico’ coincide con la fuga dagli interrogativi oscuri ed enigmatici che la condizione umana, come tale, si porta appresso; che il diniego del ‘corpo psichiatrico’ collima con la negazione delle nostre angosce di precarietà, di limite; che la ricusa del ‘corpo psichiatrico’ corrisponde anche, talvolta, alla colpevolizzazione —istintiva ed automatica — e alla conseguente punizione del sofferente per il disagio che i nostri fantasmagorici meccanismi di identificazione e proiezione ci ha apportato. “Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interinati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. (...) (…) e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni…“ Nell’illustre componimento Leopardiano “L’infinito”, la siepe, delimitando, protegge dall’illimitato, minaccioso perché incontenibile nella restrizione umana. Il doveroso coraggio di guardare oltre, richiama ossimoricamente al soggetto l’eterno del cosmo, e le ‘stagioni umane’ destinate a perire; ed “il cor si spaura”. Attraverso questa citazione intendo rimarcare l’universalità di tali sensazioni; perché la sete di serenità è, accanto al turbamento, insita ogni animo. L’iniquità verso il ‘corpo psichiatrico’ non risiede dunque nello scaturire dei sentimenti sopra esposti, bensì nel processo sacrificale, come appellato dal sociologo Renè Girard ne ”La violenza e il sacro”, in cui l’operazione di transfert collettivo si 33 PAGINA Numero 2/2005 effettua a spese della vittima designata, capro espiatorio che sintetizza tutto il potenziale di violenza interno alla società, scongiurando il rischio di violenza entropica. Costretta a portare tutto il peso di una patologia sistemica, la vittima, dunque, con il suo sacrificio, riconcilia i membri; allontanando il pericolo della reciproca distruzione. Scrive Franco Basaglia in “Crimini di pace”: “Ciò che importa è individuare subito il diverso ed isolarlo, per confermare che siamo noi i sani, i normali, i buoni; che non è la struttura della nostra organizzazione sociale a pro durre contraddizioni. È sempre l’altro che produce il Contagio, contagio che deve essere prevenuto e neutralizzato a tutela della acontradditorietà della norma. Ecco allora l’infamia, che si configura in quanto denunciato da GIRARD e BASAGLIA. È intuibile, quindi, la necessità di coltivare un pensiero che sappia rivelare l’autentica natura di quanto viene mascherato da false apparenze; il bisogno di esercitare ed affinare una facoltà critica che sappia “intus-ire”, ovvero addentrarsi nelle profondità recondite delle situazioni. Solo attraverso questi imprescindibili mezzi, è possibile superare l’ illusionismo ingannatore di una immagine deviata del ‘corpo psichiatrico’; rimuovere l’etichetta riduttiva di una realtà artificiosa, defraudata della storicità dell’esperienza personale e dell’essenza individuale. È nuovamente Basaglia ad illuminarci ed esortarci, con il carisma e l’irreprensibilità morale che lo caratterizzano. Nel saggio ‘Il concetto di salute e malattia”, 1975, asserisce: “Quello che si deve arrivare a capire è che il valore dell’uomo, sano o malato, normale o anormale, va oltre il valore della salute e della malattia, della normalità e dell’anormalità; che la malattia e l’anormalità, come ogni altra contraddizione umana, possono essere usate come strumento d’appropriazione e di alienazione, quindi come strumento di liberazione e dominio.. “. Anche il filosofo Toscani, riaffermando quanto sostenuto da Laig, rivendica una nuova considerazione del ‘corpo psichiatrico’: “Proprio attraverso la sua miseria ed il suo sfacelo, il malato psichiatrico può essere per tutti noi ‘lo ierofante del sacro’, colui che ci invita a scuoterci dalle nostre tranquille certezze e ad interrogarci più radicalmente su ciò che ci manca e che stiano perdendo, su ciò che realmente vale ed è essenziale nella vita”. Basaglia ancora esalta “l’importanza di impedire un pericoloso e falso acquieta- mento che vorrebbe mantenere le cose nel loro immobilismo e nella loro insensatezza. Sollecita ad avversare la “follia della normalità di un mondo e di un sapere senza amore e senza cuore”, caratterizzato dalla “ipocrisia delle bugie sociali dominanti”. Similmente Jan Patocka proclama: “L’uomo deve lasciar crescere dentro di sé l’inquietante, l’inconciliabile, l’enigmatico, ciò da cui la vita comunemente intesa si distacca per passare all’ordine”. (Saggi eretici) Per poter INIZIARE UN DIALOGO. Perché ricerca il dialogo solo chi non si adagia nella subdola quiete che la distorsione modella, chi avverte la sua incompletezza, chi si riconosce parte di un tutto di cui necessita e membro di una collettività che abbisogna, viceversa, del contributo di ogni sua umile unità. Chi, come uomo, si sente ansiosamente “essere sempre proteso verso i propri possibili” (Sartre). Ma cos’è il DIALOGO? Dialogo, vocabolo derivante dal greco “dialogos”, corrisponde letteralmente ad un discorso (logos) tra (dia) più parti. A mio parere è un’altra pervasiva e penetrante che aleggia tra due o più esseri i quali, con autenticità, stupore e meraviglia contemplano l’alterità delle differenti soggettività. Ogni individuo rappresenta quello che la Fisica (ovvero lo studio della physis, della natura) definisce ‘sistema aperto’: complesso che scambia biunivocamente con l’ambiente materia ed energia. Qualora questa interazione venisse meno, il soggetto collasserebbe su se stesso, annichilendo celermente. Locatelli, studioso contemporaneo dei linguaggi, in modo originale ed affascinante attesta: “La relazione è FONDAMENTALE: il mondo è l’INSIEME delle RELAZIONI, non delle cose. E le relazioni sono l’UNICO LUOGO GENERATIVO”. Il sensibile psichiatra Eugenio Borgna denomina il nostro destino “essere un colloquio” . Aggiungendo che “in ogni dialogo vi è apertura al mondo degli altri ed al nostro mondo interiore: nella loro continua e dialettica correlazione tematica”. 34 PAGINA Ed Erwin Straus, leader della psichiatria fenomenologica ed antropologica, ha scritto: ”Noi non siamo coscienze isolate e chiuse, non siano monadi con le finestre sigillate, ma siamo originariamente costituiti nel contesto vertiginoso e mutevole della reciprocità della comunicazione e delle relazioni”. Infine, per citare solo alcune voci rappresentative, Michel Foucault ha dichiarato che ”ogni società si può giudicare dal modo con cui organizza e vive il rapporto con l’altro”. Tutti gli autorevoli autori menzionati, attraverso definizioni al tempo stesso splendidamente poetiche ed estremamente pragmatiche, rivelano all’umanità turbata, smarrita ed infelice l’unico ricercato, prezioso ed efficace antidoto: il rapporto autentico ed appassionato con i simili. “Uomini, pace! Nella prona terra troppo è il mistero; e solo chi procaccia d’aver fratelli in suo timore, non erra.” (G. Pascoli, ”I due fanciulli”) Solo atteggiamenti di disponibilità dialogica e partecipazione emozionale, contrapposti a neutralità e freddezza, possono costituire terreno fecondo per: ben-essere ed il ben-divenire di ciascuno. Attraverso questi ultimi concetti di benessere/ben-divenire si può pervenire specificamente al “dialogo con il corpo psichiatrico”. “Pazzia e devianza sono avvenimenti che fanno parte della vita dell’uomo, sono espressione di ciò che l’uomo è o può essere e, insieme, di di Ciò CHE PUO’ DIVENTARE ATTRAVERSO IL MONDO DI RELA ZIONI E DI RAPPORTI.’ “Il deviante o il pazzo (..) conservano anche nella devianza e nella pazzia le ALTRE FACCE DEL LORO ESSERE UOMINI (..) come il BISOGNO DI UN’ESISTENZA CHE NON SIA MALATA”. (F. Basaglia, “Psichiatria e giustizia”, 1974) Ritengo essenziali tali aspetti esplicitati da Basaglia; mi preme pertanto rimarcare, innanzi tutto, l’indispensabilità di considerare ogni malato - a maggior ragione quello psichiatrico - come persona INTERA e REALE, con le medesime esigenze di INTERESSE e RISPETTO di tutte le altre anime, con una storia personale e una soggettività che abbisognano d’ASCOLTO PREMUROSO ed ACCURATO; secondariamente la ragguardevole influenza di RELAZIONI e RAPPORTI sull’essere/divenire di ogni individualità. Questi due concetti costituiscono i pre- Infermiere a Pavia supposti della necessità di un approccio verso il ‘corpo psichiatrico’ che sia ERMENEUTICO, ovvero fondato su CONPRENSIONE, CONPARTECIPAZIONE ed ‘EINFUHRUNG’, cioè IMMEDESIMAZIONE. In contrapposizione alla “psichiatria svuotata di conoscenza psicopatologica e inaridita in una organizzazione tecnica che non ha anima”, come accusa Borgna. Lo stesso autore, riproponendo Jaspers, risalta l’urgenza di un’interazione con il ‘corpo psichiatrico’ rinnovata, decentrata “dalla osservazione e semplice descrizione dei modi di essere esteriori” e focalizzata invece alle esperienze vissute e DIALOGHI Dialogare: Percepire. Dolcemente sostare in assorto Silenzio L’animo avvolto da impalpabile Brezza Aprire. Ascoltare accarezzare la melodiosa Sinfonia, udire lambire il tintinnio Soave dello scorrere dell’esistenza Nell’essenza Di un Fiato che anima futuro, presente e passato. Dialogare: Contattare. Decisamente avanzare tra l’inquietudine Pensosa Della fretta, nel rumorio della folla Chiassosa. Osservare, penetrare lo sguardo Nello sguardo, pupilla nella pupilla. Fiume che si getta nel mare. In un muto dialogare Dialogo è armonia. Un sorriso che ristora, una stretta di mano, una parola. Dialogare è combattere l’avversa Sorte, sconfiggere La morte della solitudine. Alla chiusura Egoistica del mondo opporsi…resistere. Dialogare: Esistere Susanna Cassinelli 1999 conservate negli ‘abissi della soggettività’, per decifrare segni sempre dotati di senso. Tale decodifica diviene infatti attuabile soltanto mediante l’identificazione con la percezione di ogni soggetto verso “il mondo delle cose e della intersoggettività”: “La storia della vita è cosa molto più complessa ed intrecciata di qualsiasi storia clinica; ha a che fare con eventi della vita, con le infinite sequenze di significati che ognuno ha attribuito ed attribuisce agli eventi che ha vissuto. Non ci sono mai eventi emozionalmente incolori e indifferenti, ma soprattutto NON CI SONO EVENTI CHE ABBIANO UGUALI RISONANZE IN CIASCUNO DI NOI” (Borgna). Nel rapporto con il ‘LEIB’ (corpo vissuto, corpo vivo corredato di un suo spazio di azione e di relazione con il mondo) non si può dunque assolutamente prescindere da doti di “sensibilità, spontaneità, preparazione, intuizione, che spero siano raffinate, educate, coltivate” (Laig). La ’profanazione’ di questi requisiti e queste modalità sfocia nella violenza: in quella manifesta ed in quella mascherata: la violenza ”dell’insensibilità, della noncuranza, della delega esclusiva alla farmacopsichiatria, della fretta e della routine che lacerano le coscienze divorate dalla sofferenza, anelanti ad un attimo di ascolto e pazienza, delle molte forme di oggettivazione, del linguaggio tecnico e gelido che non tiene minimamente presente la fragilità e la rabdomantica capacità di ogni persona che soffra (e sia disperata e soia) nel cogliere la non partecipazione ed il rifiuto che si nascondono nelle forme di linguaggio opaco ed insignificante” (Borgna). IL LINGUAGGIO: mi sembra in fine fondamentale la valutazione di questo cruciale fattore del dialogo. Il linguaggio è la facoltà di espressione, e “non c’è espressione umana che non sia portatrice di comunicazione” (Borgna). “Linguaggio” ed “espressione”, allora, come strumenti di trasmissione; ma in cosa essi consistono? Usualmente tali termini rimandano, in primis, alla interazione verbale, alla parola. Ma il “linguaggio parlato” non è che uno delle numerosissime forme di contatto possibili. Oltre alla conversazione, vi è il LINGUAGGIO DEL CORPO, ovvero il canale di COMUNICAZIONE NON VERBALE: ESPRESSIONE FACCIALE, SGUARDO, POSTURA, GESTI, MOVIMENTI, COM- 35 PAGINA Numero 2/2005 PORTAMENTO SPAZIALE, CONTATTO FISICO, ABBIGLIAMENTO e COMPONENTI dell’ASPETTO ESTERIORE, VOCALIZZAZIONI NON-VERBALI, ODORE. Enunanuel Lévinas ha lasciato scritti splendidi inerenti il VOLTO: “Il volto è, di per sè, VISITAZIONE e TRASCENDENZA. Comprendere la miseria del volto che grida giustizia NON CONSISTE NEL RAPPRESENTARSI un’IMNAGINE, ma nel FARSI RESPONSABILE DELL’ESSERE che SI PRESENTA NEL VOLTO’. Ti volto dell’altro, in modo particolare dell’altre sofferente, deve quindi suscitare in noi quella forma severa dell’Amore, che è la RESPONSABILITÀ. Il comportamento spaziale è elemento basilare nel (e del) dialogo con il “corpo psichiatrico”. Borgna esorta ad una ”vicinanza adeguata alla fragilità indifesa del soggetto” e, simultaneamente; ad una “distanza che gli consenta di non rifiutare un contatto affet- tivo”; ad un intervallo spaziale adeguato, affinché “non si senta abbandonato, ma neppure aggredito da una vicinanza vissuta come oppressione”. Ed “è in quello spazio che possono essere scoperti gli elementi di separazione e di inseparabilità” come dice Locatelli. Ritengo poi necessario rimembrare che ogni incontro dialogico può realmente avvenire alla condizione che ci sia un contesto di libertà; l’interlocutore deve sempre percepirsi LIBERO di creare UN suo linguaggio e NEL suo linguaggio; affinché possano essere ricostruite lentamente ed appassionatamente le strutture dialogiche “frantumate ma non incenerite, smarrite ma non perdute (Borgna). Infine, modalitàchiave di dialogo (e, soprattutto, di dialogo con il ‘corpo psichiatrico) è il SILENZIO. Proprio così, il silenzio; che permette di entrare in relazione con la solitudine e la timidezza dell’altro (Eugene Minkowski). Perché “gli infiniti movimenti dell’anima non si possono intravedere né tantomeno cogliere se non si conosce, se non si impara a conoscere il linguaggio del silenzio: il suo alludere ed il suo indicare, il suo irradiarsi ed il suo spegnersi, il suo trasalire ed il suo vibrare” (Borgna), il silenzio come “ciò che permette di sentire una voce ALTRA, che parla un’altra lingua. Lingua sconosciuta di una “vox ignota” che si nasce dietro il silenzio, come il silenzio si nasconde dietro ai rumori superficiali della quotidianità. Perciò l’uomo attento, tramite una sorta di dialettica rivolta al profondo, scava attraverso lo spessore rumoroso che lo circonda per portare allo scoperto le pieghe.. “(Vla- dimir Jankèlèvitch). Il dialogo ed il silenzio, allora, come “la sistole e la diastole della vita: come l’aprirsi ed il chiudersi dell’anima; nel silenzio si possono ascoltare voci segrete, voci dell’anima, che nascono dalle più profonde interiorità e che portano con sé significati e risonanze indecifrabili che l’ermeneutica (l’ascolto in silenzio del silenzio, nel nuovo mirabile orizzonte che ne consegue)ci aiuta a decifrare” (Borgna). La metafora di ‘sistole e diastole ’ richiama l’immagine del cuore, “viscere più nobile, perchè porta con sé l’immagine di uno spazio, di un dentro oscuro, segreto e misterioso che, in alcune occasioni si apre. Le ferite del cuore sono le ferite dell’anima; l’angoscia, la disperazione, l’inquietudine, la tristezza, l’estraneità, lo smarrimento, l’accasciamento creaturale, la nostalgia, la malinconia, la dissociazione, l’esclusione, la frantumazione del tempo e dello spazio, il desiderio della morte”.(Maria Zainbrano) “In alcune situazioni estreme della vita non c’è salvezza se non ci sono, se non si incontrano persone capaci di testimoniare qualcosa, di ascoltare fino in fondo, di decifrare i segni indicibili dell’angoscia e della disperazione e soprattutto DI SIGILLARE OGNI LORO AZIONE E OGNI LORO PROPOSTA CON IL TIMBRO INCONFONDIBILE ED IRREMOVIBILE DELL’AMORE. Persone capaci di INFINITA DISPONIBILITÀ UMANA, imnersa in una IMMENSA UMILTA’ e in una SCONFINATA PAZIENZA (Borgna). Per concludere: il fulcro del “corpo psichiatrico” è il cuore spezzato; “ma ANCHE I CUORI SPEZZATI, COME SI SA, GUARISCONO; PURCHÈ SI ABBIA ABBASTANZA CUORE DA LASCIARLI GUARIRE” (Laig). L’autore * Allieva corso di laurea Riabilitazione Psichiatrica 36 PAGINA Infermiere a Pavia I l C o rp o N o b i l e Maura Cattanei * “La trappola! Dissociare la coscienza dal corpo, non identificarsi più con il corpo, sapere che si abita l’illusione, sarà sempre e solo una tappa. Ed anche una trappola! La trappola più sottile, perché stiamo pur sempre ancora operando una distinzione, è separare ancora una volta la Materia dallo Spirito. In verità, da sempre Tutto resta Uno, Tutto si fonde!” Da “Viaggio a Shambhalla” di Anne e Daniel MeuroisGivaudan, ed. Amrita Questo spazio della rivista, strettamente legato all’argomento trattato nella parte monografica, ha sempre avuto il compito di suggerire ipotesi, libri e riflessioni, che conducano “al di là delle colonne d’Ercole”; l’intento di questa parte del giornale vorrebbe essere quello di offrire idee, punti di vista tecnici, letterali e culturali, così che si possa acquisire un panorama più ampio del tema, andando oltre le tematiche infermieristiche. Rispetto al soggetto trattato in questo numero, il corpo, l’impresa è davvero ardua. Quale romanzo può ignorare la realtà del corpo? Quale saggio, anche quello che discute di temi mistici può fare a meno di prendere in considerazione l’aspetto più visibile dell’essere umano? Anche l’arte, (tranne quella islamica) fa del corpo umano palestra e scienza: non esiste pittore che non abbia sentito il desiderio, e la sfida, di dipingere un nudo femminile o il corpo martoriato del Cristo crocefisso, Karol Wojtyla definì gli affreschi della Cappella Sistina “teologia del corpo”. Corpo toccato Pensiamo, per un momento, quanta parte del nostro lavoro concerne il corpo. Ogni giorno la nostra attività ha come punto focale la cura del corpo fisico, è nel momento in cui mettiamo in atto le pratiche infermieristiche, che noi abbiamo modo di conoscere le persone nella loro complessità, andando, poi, oltre la dimensione prettamente fisica. Nel rapporto infermiere-paziente la relazione parte quasi sempre dal corpo; l’essere umano che vediamo sdraiato in quel letto ha bisogno di noi per la cura del proprio corpo e per la soddisfazione di bisogni di base. Solo successivamente, nella quotidianità, accompagnandolo nelle situazioni che deve affrontare per arrivare alla dimissione, interagiamo con il paziente a livello emotivo, intellettuale e spirituale; è nella quotidianità che troviamo indizi utili a cogliere ed accogliere i bisogni espressi ed inespressi del paziente, le sue paure, le sue domande; attraverso la capacità di osservazione e il prestare attenzione agli atteggiamenti, alle posture, ai movimenti del corpo, possiamo affinare la visione olistica della persona, che deve contraddistinguere la nostra professione. È innegabile: il nostro lavoro ha a che fare con il corpo. Ha a che fare con le sue secrezioni, sue escrezioni, ed è forse questo a determinare un certo modo di essere percepiti e di percepire noi stessi come professionisti. Le feci, l’urina, il sudore, il vomito, sono tutti elementi che ci avvicinano alla parte più “infima” dell’esistenza di una persona, ci fa entrare in contatto con la parte più “corporale”, più materiale dell’essere e anche se il nostro lavoro sta diventando sempre più intellettuale, non si può negare che la materia di studio è il corpo. La valutazione, che facciamo ogni giorno, dello stato di salute e di benessere di una persona passa, per noi, attraverso il modo in cui essa espleta i suoi bisogni primari: evacuare, alimentarsi, vestirsi, lavarsi, dormire. La comunicazione è, sì, un bisogno fondamentale, ma, se prendiamo come riferimento la piramide dei bisogni di Maslow, troviamo che la necessità di relazione con gli altri è già al terzo livello, quello che comunica è ancora corpo, ma dobbiamo definirlo “corpo mentale e/o corpo emotivo”. La soddisfazione del bisogno di comunicare si esplica attraverso il rapporto con il mondo e con altri uomini; al contrario, “scaricarsi in modo adeguato”, è una faccenda privata, cui attendere in solitudine. Eppure, la crescita personale di ogni essere umano, passa attraverso le esperienze che facciamo grazie al nostro corpo; ancor prima di nascere l’essere umano esplora se stesso e il mondo attraverso i sensi fisici e, subito dopo l’udito, è il tatto a farla da padrone nelle prime relazioni con l’esterno a noi: è indagando la pelle della mamma, i propri piedi ed i propri escrementi, che il bambino acquisisce la certezza di esistere. Senza il corpo fisico innumerevoli esperienze ci sarebbero negate; ricordate il film “Il cielo sopra Berlino”? In quella opera emerge chiaramente il bisogno di sperimentazioni fisiche dell’angelo Daniel, ed è questa necessità che lo spinge a prendere forma fisica! Giovanni Paolo II, negli ultimi anni della sua vita, parlava della Nobiltà del Corpo, 37 PAGINA Numero 2/2005 proprio nel momento in cui ne veniva costantemente tradito. Fino all’ultimo giorno della sua vita terrena ha mostrato al mondo il suo corpo malato e con questo atto ci ha trasmesso un messaggio: non dobbiamo vergognarci della materia, essa ci offe la possibilità di sperimentare il Creato in tutte le sue manifestazioni, dalle più sottili alle più dense; sta a noi non lasciarci travolgere dalla materia e usarla, invece, come trampolino per spiccare il volo nell’intangibile realtà dello Spirito, dal quale, lo affermano ricercatori di fama mondiale, si differenzia solo per il tasso vibratorio. La consapevolezza che il corpo possiede una sua propria nobiltà lo rende degno di aver riconosciuta una dignità pari a quella dell’Intelletto e dello Spirito e questa coscienza ci deve far pensare al modo in cui noi infermieri tocchiamo il corpo delle persone che ci sono affidate. Cercando, mi sono resa conto, che i corpi, che più di altri, sono oggetto di attenzioni sono quelli che appartengono ai bambini o ai morenti. Solo in queste circostanze ci si chiede qual è il modo più corretto di toccare un essere e ci sono indicazioni,corsi d’aggiornamento, libri per imparare come farlo nel modo giusto. Corpo di bimbo Nel caso dei neonati, specie se prematuri, ci sono sperimentazioni e studi che dimostrano quanta importanza abbia il “toccare” il corpo del bambino. L’Associazione Italiana Massaggio del Bambino (A.I.M.I.), istituisce corsi di formazione per genitori ed operatori che vogliono imparare ad usare il senso del tatto per instaurare una relazione profonda ed empatica con il bambino. La pratica del massaggio, applicata, in un primo tempo nelle neonatologie prenatali, compresa quella del Policlinico S.Matteo di Pavia, è stata ampliata in modo da comprendere bimbi più grandi e/o soggetti autistici, portatori di Sindrome di Down, persone affette da mielomeningocele, ecc. perciò, fino a che il bambino accetta quelle che sono “coccole” e carezze, instaurare e mantenere un rapporto anche fisico con il proprio bambino facilita il processo di attaccamento e il formarsi di una “base sicura” che consentirà il suo armonico sviluppo. Con il massaggio, le carezze, il toccarsi il dialogo tra genitori e figlio si amplia e si approfondisce nell’armonia di una comunicazione che comprende il non-verbale. Nel caso di bambini affetti da patologie, il MB (Massaggio del Bambino) ha lo scopo di portare i genitori oltre le parti malate del figlio, in modo da ricomporre il bambino nel suo insieme, ricostituendo uno schema corporeo integro e riportare la relazione tra i componenti della famiglia sulle le parti sane del piccolo. Il Massaggio del bambino non è un intervento terapeutico, non è fisioterapia, come spiega Adrienne Davidson, terapista della Riabilitazione presso l’Azienda Ospedaliera Meyer di Firenze in un suo intervento al convegno “Il massaggio del bambino. Strumento per la promozione di salute nel lattante” del 1996. Nel suo intervento la Davidson descrive il MB e dice: “La tecnica e le modalità di insegnamento del MB sono state elaborate da Vimala Schnieder negli Stati Uniti, fondatrice dell’International Association Infant Massage Instructors, in seguito ad una preparazione professionale e personale. Le manovre sono state sviluppate da una sintesi del massaggio indiano e svedese e dalle tecniche della reflessologia plantare. Queste tecniche vengono insegnate in un modo ed un ordine relativamente preciso, ma possono essere poi liberamente adattate al singolo bambino dal proprio genitore, secondo preferenze e reazioni individuali. Il corso di insegnamento del MB consiste in 4-5 incontri a cadenza settimanale, di un ora e mezzo circa ognuno. Il numero del gruppo può variare dai 4 ai 10 bambini con i loro genitori, e l’età preferibile per frequentare il corso è dalle tre settimane ai sei mesi di età, anche se il MB può essere praticato ed adattato alle età più avanzate, finché il bambino lo gradisce. Va ricordato che il corso serve soprattutto ad imparare la tecnica ed a sensibilizzarsi ai suoi benefici per fare sì che il massaggio venga inserito nel normale accudimento quotidiano del bambino a casa.” La Davidson suggerisce una bibliografia che riporto al termine di questo articolo. Corpo morente Veldman definisce l’aptonomia “una scienza ontologica focalizzata sulle conoscenze e sull’esplorazione di leggi, norme e condizioni che determinano i fondamenti del tatto, incorporando i sentimenti e la vita emozionale che si sviluppano dal senso tattile. In pratica, si tratta di una guida pre e postnatale mirata alla promozione del “bonding” attraverso il ‘toccare raffinato’ e il ‘sentire affettivo’ reciproco feto/bambino –genitore”. Iniziata come una ricerca relativa al “toccare il bambino”, l’aptonomia si è sviluppata come modalità applicabile anche ai malati terminali. Marie de Hennezell la usa costantemente nel suo approccio e nel suo accompagnamento dei malati terminali. In un articolo del 1999 e nei suoi libri, racconta come questa pratica le abbia permesso un approccio empatico, rassicurante e rilassante con chi sta affrontando l’ultima parte della sua vita terrena. La de Hennezell fa poi un ulteriore passo avanti; con il coraggio di chi riesce a mettersi in gioco costantemente e totalmente lascia che si crei, tra lei stessa e la persona che tocca, una specie di contatto profondo in modo che “sia chi riceve il contatto fisico che chi lo offre immagina di prolungarsi al proprio interno e anche all’interno dell’altra persona, in una reciprocità di ‘prolungamento’ consapevole”. Corpo accudito Quante volte, in una giornata, tocchiamo il corpo di un paziente? E come lo tocchiamo? Certo non possiamo permetterci di creare un contatto come fa Marie con i suoi pazienti, il rischio di un fraintendimento o di un rifiuto è alto, i tempi di degenza nei normali reparti di degenza non consentono l’instaurarsi di un rapporto così intimo, oltre ad anni di preparazione occorre un costante supporto psicologico, una buona conoscenza di sé e un ottimo equilibrio psico-fisico; ma neppure possiamo ignorare che ogni nostro intervento tocca il malato e sta a noi, alla nostra sensibilità, alla nostra “arte” il saper usare le nostre mani come un “toccasana” e non come 38 PAGINA strumenti invasivi che provocano fastidio o dolore. Tra le terapie non convenzionali a noi è concesso di mettere in atto la reflessologia plantare e nella nostra preparazione di base ci vengono impartiti i rudimenti della riabilitazione motoria e del massaggio, sappiamo come si riattiva la circolazione sanguigna in un malato allettato, sappiamo come si effettua la mobilizzazione passiva di un arto! Ma, al di là di alcune specifiche situazioni, possiamo divenire consapevoli che il momento in cui tocchiamo una persona fa parte della relazione che instauriamo con lei. In un altro articolo M. de Hennezell afferma che: “…il contatto con l’altro deve essere stabilito nel rispetto di tre condizioni: presenza, trasparenza e prudenza. La presenza è intesa non in senso fisico, ma come empatica partecipazione; trasparenza nel tipo di contatto che si effettua: deve essere chiaro che questo avviene per generosità, e che si contatta la persona attraverso il corpo; infine prudenza intesa come rispetto per l’altro: attraverso l’ascolto e l’intuizione si può capire quali sono i suoi bisogni e raggiungere un equilibrio tra il dare troppo e il non dare abbastanza”. Divenire consapevoli di ciò che trasmettono le nostre mani è importante, così che si possa condividere senza essere travolti; ci sono alcune unità di Cure Palliative che hanno organizzato corsi di formazione sull’aptonomia, ma questa arte richiede anni di preparazione e un supporto che nella realtà pavese e probabilmente italiana, non esiste. Il con-tatto consapevole con il malato, così come altri aspetti della nostra professione, ha bisogno di avvalersi di una crescita personale che si acquisisce sia con l’esperienza e la riflessione, sia con l’aiuto della formazione somministrata da professionisti competenti. Corpo sensibile La pelle ricopre interamente il nostro corpo e difficilmente ricordiamo che essa è l’organo del tatto. Ogni minima variazione atmosferica, climatica, ma anche più sottile, passa attraverso questa ‘veste’, quante volte abbiamo affermato “quella persona non mi piace” o “mi piace” senza comprendere il motivo di quella repulsione o di quella affinità e se ci chiedevano spiegazioni rispondevamo: “è una sensazione di pelle”. La pelle è la prima tappa che incontriamo nel nostro rapporto con il corpo e nel nostro viaggio di conoscenza dell’altro. Sotto la pelle stanno i muscoli, e sotto i muscoli organi e apparati che garantiscono la nostra sopravvivenza, e più sotto? Più in profondità? Dove finisce il corpo Infermiere a Pavia materiale e inizia quello emotivo, e dov’è il confine tra questi e il corpo mentale? Ed è tutto qui? Cosa è questa energia che ci anima e ci fa amare? Qual è il confine tra nobiltà e bassezza? E siamo certi che esista un confine? Oppure Tutto è veramente UNO. Bibliografia - M. De Hennezel: “La morte amica” ed. Rizzoli - A e D. Meurois-Givaudan: “Viaggio a Shambhalla” ed Amrita - Siti: www.ghirotti.org/pubblicazioni/ 1999_1_2/aptonomia.htm - http://www.careperinatologia.it/news/ lavori/neonatologia/alba%20dei%20sen si.html#tasto L’autore * Infermiera A.O. Pavia BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA da Adrienne Davidson - Winicott D. Sviluppo affettivo ed ambiente. Ed. Armando, Roma, 1970 - Klaus M e Klaus P. Venire al mondo. Ed. Il Pensiero Scientifico, 1988 - Relier J.P. Amarlo prima che nasce: il legame madre-figlio prima della nascita. Ed.Le Lettere, Firenze, 1994 - Veldman. Life Welcomed and Affirmed. Academy for Haptonomy and Kinesionomy, Nijmegen, 1976 - Aucklett A. Il massaggio per i vostri bambini. L’Altra Medicina Ed. Red , Milano, 1987 - Walker P. Massaggi al tuo bambino. Ed Mondadori 1988 - Costa B. Il Massaggio del Bambino. Rivista Associazione Italiana Terapisti della Riabilitazione, 1989 - Rossini R. Il massaggio del Neonato. Atti del Convegno :”Dentro e fuori la pancia della mamma” , Bologna, 19/11/89 - Brazelton B. Touchpoints. Ed. Doubleday, Sydney, 1993 - Barth M e Markers U. Il libro delle coccole. Ed Red, Milano, 1991 - Montagu A. Il linguaggio della pelle. III ed, Ed Garzanti, Milano, 1989 - Ohashi W. Touch for Love: Ohashiatsu per il vostro bambino. Ed Oltre il Ponte - Rossini R. La Comunicazione Tattile nel Neonato. Atti del Congresso Nazionale di Neonatologia della S.I.N., Montecatini, 1995 - Schneider V. Manuale per insegnanti di massaggio del bambino. II edizione, a cura dell’ A.I.M.I., Genova Nervi - via D. Somma, 12/8, 1994 - Field T e coll. Tactile/kinesthetic stimulation effects on preterm neonates. Pediatrics 77:6 54-658, 1986 - Rossini R. Terapia Fisica del Lattante: l’importanza di una stimolazione sensoriale nel lattante e nel prematuro. Istituto di Pediatria Preventiva e Neonatologia, Univerità degli Studi di Bologna. Premio internazionale FondazioneErnesto Cacace per la Nipiologia - Field T. Massage Therapy for Infants and Children. Development and Behavioural Pediatrics 16,(2), April 1995 - Leboyer F. Shantala, l’arte del massaggio indiano per fare crescere i bambini felici. Ed. Bonpiani, Milano, 1976 - Anzieu D. L’io pelle. Ed Borla, 1985 - Morris D. La comunicazione non-verbale nella specie umana. Ed Mondadori, Milano, 1977. 39 PAGINA Numero 2/2005 Aggiornamento IN ITALIA ANDATA Silvia Giudici * A causa della consistenza di questo numero la rubrica Aggiornamento Ritorno verrà pubblicata sul prossimo numero della Rivista. Il Caporedattore I PROTOCOLLI: UN EFFICACE STRUMENTO PER LA CURA DELL’ANZIANO dal 21 giugno al 12 luglio 2005 - Cremona Euro 150,00 - ECM 12 [email protected] tel. 0372533508 - fax 0372533507 ASSISTERE IL MALATO DI ALZHEIMER dal 22 giugno al 6 luglio 2005 - Cremona Euro 105,00 - ECM 18 [email protected] tel. 0372533508 - fax 0372533507 CORSO DI AGGIORNAMENTO IN TEMA DI TESTO UNICO E DI PREVENZIONE DEI DISTURBI E DELLE PATOLOGIE DA ELEMENTI METALLICI, RISCHIO ALLERGOLOGICO, FITOSANITARI E DERMATITI DA CONTATTO 30 giugno/2 luglio 2005 - Milano Euro 360,00 - ECM 20 [email protected] tel. 0444322377 - fax 0444321321 ATROFIA E SCLEROSI MULTIPLA 1° luglio 2005 - Alessandria Euro: gratis - ECM 6 [email protected] tel. 026797221 - fax 0267972300 ASSISTENZA E DINAMICHE FAMILIARI NELLA GESTIONE DEL PAZIENTE 2/9 luglio 2005 - Busto Arsizio (Varese) Euro 10,00 - ECM 7 [email protected] tel. 0331624318 - fax 0331620371 CATARATTA E BLEFAROCALASI: LE PERLE 2 luglio 2005 - Gazoldo degli Ippoliti (Mantova) Euro 60,00 - ECM 4 [email protected] tel. 0521290191 - fax 0521291314 IL RUOLO E RESPONSABILITA’ DELL’INFERMIERE OGGI: LE MAPPE DI RISCHIO, I COSTI E LE SOLUZIONI 4 luglio 2005 - Torino Euro: gratis - ECM 4 [email protected] tel. 065123395 - fax 065123395 IL TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE NEOPLASIE CUTANEE DEL VOLTO CON RICOSTRUZIONE IMMEDIATA 12 luglio 2005 - Castellana (Varese) Euro 15,00 - ECM 1 qualità@materdomini.it tel. 0331476282 - fax 0331476204 CHIRURGIA TRADIZIONALE VERSUS VIDEOLAPAROSCOPIA E VANTAGGI NELLA GESTIONE DEI PAZIENTI 19 luglio 2005 - Castellana (Varese) Euro 15,00 - ECM 1 qualità@materdomini.it tel. 0331476282 - fax 0331476204 LA LEGGE PENALE ED IL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE 22/23 agosto 2005 - Sesto S. Giovanni (Milano) Euro: gratis - ECM 10 [email protected] tel. 0224139100 - fax 0224139200 LA STIPSI 27 agosto 2005 - Orta San Giulio (Novara) Euro: gratis - ECM 4 [email protected] tel. 011505900 - fax 011505976 Fonti: - Internet: www.ministerosalute.it/ecm L’autore * Infermiera Neuroriabilitazione I e II Fondazione Salvatore Maugeri Elenco dei titoli delle tesi discusse nelle sessioni di Laurea 20-21 aprile 2005 sede Pavia - 22 aprile sede Vigevano Nominativo Titolo Tesi Alessandrin Marco Altomare Annalisa Balocco Vanessa Bianco Antonella Bosco Nagia Francesca Brasolin Simone Buonanno Laura Cespinoli Chiara Chiacchiera Massimo Il ruolo infermieristico nella gestione del paziente politraumatizzato in Pronto Soccorso Obesità in età pediatrica: assistenza infermieristica ed educazione sanitaria Il ruolo infermieristico nell'educazione sanitaria per la prevenzione, l'assistenza e la terapia dell'infezione da virus HCV Applicazione di protocolli per la terapia del dolore in ambito chirurgico: responsabilità infermieristiche La violenza rivolta verso sé stessi in psichiatria: quale assistenza infermieristica? Gli infermieri e il trattamento sanitario obbligatorio Il trapianto di cuore: vissuti psicologici del paziente ed assistenza infermieristica Ruolo dell'infermiere nel sistema di emergenza/urgenza territoriale Il ruolo dell'infermiere nella gestione attuale dello scompenso cardiaco: problematiche relative ai prelievi per la determinazione dei Peptidi Natriuretici Cardiaci I benefici della "Kangaroo mother care" nel neonato prematuro: ruolo infermieristico Le infezioni nella persona affetta da Leucemia Acuta Mieloide: ruolo dell'infermiere Infermiere di famiglia Aspetti sociologici ed antropologici della professione infermieristica Assistenza infermieristica al paziente con disturbi dell'umore Le ustioni: Nursing e primo soccorso Il 118 bimbi: ruolo dell'infermiere e aspetti medico-legali del trasporto del bambino in ambulanza Il dolore post-operatorio: ruolo, responsabilità e limiti di autonomia dell'infermiere nel trattamento dello stesso L'assistenza infermieristica al paziente terminale e la ricerca della qualità della vita fra l'emozione e la tecnica Il bambino sordo: alcune questioni di assistenza infermieristica Nursing in dialisi e qualità di vita della persona dializzata La ricerca infermieristica in oncologia Il Triage in ambito intraospedaliero: il punto di vista dell'utenza. Indagine conoscitiva sul grado di soddisfazione di chi afferisce al Servizio di Pronto Soccorso dell'AO di Vigevano Il ruolo infermieristico in una struttura di prima accoglienza (casa di accoglienza alla vita) Assistenza Infermieristica al paziente in coma ipercapnico L'infermiere e la gestione delle maxi emergenze Complessità assistenziali della persona con politrauma: dall'evento alla riabilitazione Ruolo dell'infermiere in endoscopia digestiva Assistenza infermieristica alla persona sottoposta ad intervento chirurgico per aneurisma cerebrale Promozione ed educazione sanitaria alla madre per l'allattamento al seno in modo "consapevole" Indagini relative al ruolo infermieristico nella gestione di persone con lesioni cutanee croniche L'assistenza infermieristica all'adolescente ricoverato in Neuropsichiatria Infantile. Esperienza personale di "maternage". Il ruolo dell'Infermiere: aspetti valutativi e gestionali del paziente anziano con malnutrizione secondaria a disfagia Gli strumenti di valutazione dell'infermiere nell'assistenza all'anziano fragile Assistenza infermieristica alla donna affetta da tumore dell'utero Il ruolo dell'infermiere nell'osservazione breve in Pronto Soccorso Indagine conoscitiva relativa alla qualità di vita delle persone portatrici di colonstomia L'infermiere e le problematiche assistenziali nei bambini stranieri Il dolore: espressione del bisogno di assistenza infermieristica Virus respiratorio sinciziale: assistenza infermieristica al neonato La terapia trasfusionale: responsabilità infermieristiche La dimensione psico-patologica del malato di AIDS. Assistenza infermieristica Il Bambino ospedalizzato e la Madre: competenze educative nella Professione Infermieristica Assistenza Infermieristica al paziente in dialisi peritoneale Responsabilità infermieristica nell'individuazione precoce dei soggetti a rischio di lesioni da decubito La difficoltà di essere Infermiere nei confronti di un familiare affetto da malattia oncoematologica La relazione e la comunicazione dell'équipe sanitaria nei confronti di un utente con diagnosi infausta Ruolo dell'infermiere nella gestione della malnutrizione in età senile L'Infermiere nel progetto di intervento psico-oncologico Il ruolo dell'infermiere nella gestione delle ulcere vascolari croniche agli arti inferiori Essere Infermiere nei paesi in via di sviluppo economico Analgesia peridurale post-operatoria: costi e benefici nell'assistenza infermieristica Triage infermieristico avanzato per la selezione di pazienti con ictus cerebrale eleggibili alla trombolisi Assistenza infermieristica al neonato in Sala Parto Assistenza infermieristica al paziente con trauma cranico L'infermiere nelle strutture intermedie psichiatriche residenziali L'alcolismo: aspetti clinici, terapeutici ed assistenziali Aspetti etici e legislativi del trapianto d'organo L'Infermiera e il gioco per aiutare il bambino a vincere la paura dell'intervento chirurgico Ruolo dell'Infermiere nella NAD in seguito all'introduzione della riforma sanitaria regionale Il ruolo attuale dell'Infermiera nell'ambito dell'attività della CRI L'infermiere e la Medicina alternativa: l'Ippoterapia Cirillo Nunzia Coller Francesca Cossali Shiala Costa Filippo Cucci Lucia Di Salvo Giuseppe Dolzanelli Vera Edo Giulia Failla Benedetta Fasone Jessica Alessia Garofalo Gennaro Gendusa Dario Giacalone Tiziana Giorgi Simona Guida Silvia Landriani Simona Lattuca Maria Rosa Lauricella Ninotta Vito Linfanti Giuseppe Lo Curto Calogero Marchese Mauro Martorano Silvia Mazzitelli Antonella Melpignano Cinzia Messana Antonella Minnella Dolores Mormile Silvana Moro Maria Antonietta Moscato Caterina Moscato Giuseppe Pancaro Rosaria Michela Pecere Filomena Piccoli Cristina Protano Giovanni Provenzani Calogero Reale Carolina Rizzo Domenico Rolandi Cinzia Roscini Danka C. 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