N. 2 del 2005 - IPASVI Pavia

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N. 2 del 2005 - IPASVI Pavia
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Registrazione presso il Tribunale di Pavia n. 355 del 08.02.1989. Sped. in abb. postale - Comma 20/C 2 L. 662/96 - Fil. di Pavia - IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TASSA - REINVIARE ALL’UFFICIO PAVIA-FERROVIA
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Infermiere a Pavia
Si sono rinnovati alcuni Consigli Comunali nelle più importanti città
della nostra provincia, l’editoriale di questo numero vuole ricordare ai
Sindaci la disponibilità al dialogo a all’impegno di tutti gli iscritti a favore della cittadinanza.
Egregio Presidente,
Cari colleghi,
la presente a comunicarVi che, per
motivi famigliari, sono a presentarVi le
mie dimissioni dalla funzione di
Segretaria di Redazione e da componente del comitato stesso.
Vi auguro un lungo viaggio pieno di
informazioni utili per tutta la comunità
infermieristica, Vi ringrazio per gli anni
che abbiamo lavorato insieme raggiungendo ottimi obiettivi e Vi porgo
cari saluti
Marisa Bergognoni
Preg.mo Sindaco Dott. Piera Capitelli
del Comune di Pavia
Ill.mo.Dott. Ambrogio Cotta Ramusino
del Comune di Vigevano
Ill.mo.Dott. Aurelio Torriani
del Comune di Voghera
Pavia, 23 maggio 2005
Pavia, 12 aprile 2005
Egregi Sindaci,
con la presente mi preme porgeVi, a nome del Collegio IPASVI di
Pavia, le più sentite congratulazioni per la conferma alla carica di Sindaco
del vostro Comune.
Il Collegio ha molto apprezzato il Suo impegno durante la campagna
elettorale per il sistema sanitario locale e per la professione infermieristica
Come Lei, crediamo molto nel confronto diretto fra istituzioni e professione al fine di garantire i massimi livelli di qualità assistenziale, l’attenzione alla centralità del cittadino, lo sviluppo professionale degli operatori della salute e il miglioramento costante del servizio sanitario.
Pertanto nell’ottica di rispondere con criteri di eccellenza ai bisogni di
salute, ci rendiamo fin d’ora disponibile per costruire sinergie collaborative (anche attraverso interazioni dirette con assessori competenti di sanità, famiglia e formazione) volte a favorire il raggiungimento di concrete
azioni di programmazione per il prossimo futuro.
Rinnovando le nostre congratulazioni Le porgiamo i migliori auguri
Il Presidente
Enrico
Frisone
Infermiere a Pavia
Ringraziamo la collega Marisa per
l'impegno profuso e per tutto il lavoro
svolto in questi lunghi anni di collaborazione per la segreteria del Comitato
di Redazione della rivista.
Il Comitato di Redazione
Rivista trimestrale del Collegio IP.AS.VI. di Pavia
Anno XIV n. 2/2005 aprile-ggiugno 2005
Editore Collegio Infermiere professionali,
Assiatenti Sanitarie, Vigilatrici d’Infanzia
della Provincia di Pavia
Direttore Responsabile Enrico Frisone
Capo Redattore Giuseppe Braga
Segreteria di Redazione G. Braga
Comitato di Redazione O. Bonafè, G. Braga, M. Cattanei,
S. Conca, S. Giudici, R. Rizzini,
A.M. Tanzi
Hanno collaborato L. Bravo, G. Calloni, S. Cassinelli
a questo numero: C. Macaluso, L. Marvelli, P. Motta,
D. Scherrer
Impianti e stampa Gemini Grafica snc - Melegnano (MI)
Direzione, Redazione, V'ia Lombroso, 3/B - 27100 Pavia
Amministrazione Tel. 0382/525609, Fax 0382/528589
CCP n. 10816270
I punti di vista e le opinioni espressi negli articoli sono degli
autori e non rispettano necessariamente quelli dell’Editore.
Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati,
non saranno restituiti.
Registrazione presso il Tribunale di Pavia n. 355 del 08.02.1989.
Spediz. abb. post. art. 2, comma 20, lettera C Legge 662/96 - Fil. Pavia
La rivista è inviata gratuitamente agli iscritti al Collegio IP.AS.VI. di
Pavia. Finito di stampare nel mese di giugno 2005 presso
Gemini Grafica snc di S. & A. Girompini, Melegnano (MI)
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S p a z i o concentrato
Il corpo e il nostro “essere nel mondo” . . . . . . . . . . . . . . . .4
Il linguguaggio del corpo . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .8
Incontrare il corpo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .18
La comunicazione: il corpo e la parola . . . . . . . . . . . . . . . . .21
Nursing e corporeità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .23
Il corpo e la vergogna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .26
Approcci socioculturali sui canoni della bellezza corporea . .28
Il corpo invaso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .30
Dialogare con il corpo psichiatrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . .32
Le colonne d’Ercole
Il corpo nobile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .36
Aggiornamento
Aggiornamento in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .39
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Paolo Motta*
L’immagine degli Infermieri
Sabato 30 aprile 2005, ore 21:00. Sulla
rete televisiva La7 va in onda “L’Infedele”,
trasmissione settimanale di approfondimento politico, economico e culturale
condotta dal giornalista Gad Lerner. Questa volta, il conduttore ha deciso di dedicarla interamente agli Infermieri: la vigilia
della Festa dei lavoratori diviene così l’occasione per portare all’attenzione del pubblico televisivo la situazione in cui versa
attualmente una professione di solito quasi totalmente ignorata dai mass-media.
Nello studio è presente una nutrita schiera di colleghe e colleghi, provenienti
soprattutto dall’Italia settentrionale (la trasmissione è stata registrata a Milano, il
giorno prima). Ci sono Infermieri che rivestono incarichi nelle istituzioni professionali, che lavorano in Regione, in ospedale, sul territorio, a domicilio o negli hospice, che dirigono servizi Infermieristici e
che si occupano di formazione o di ricerca. Dunque, una rappresentanza numerosa e variegata del nostro gruppo professionale, chiamata a rendere testimonianza
del significato profondo che assume l’assistenza Infermieristica nella società italiana contemporanea, ma anche delle più
rilevanti prospettive di sviluppo della professione (la laurea magistrale, i master, la
dirigenza, la stessa espansione della letteratura scientifica specialistica), senza
peraltro tacere i problemi e gli ostacoli che
essa continua ad incontrare. La trasmissione dura circa due ore, perciò dovrebbe
esserci tempo sufficiente perché vengano
affrontate le questioni salienti e, soprattutto, perché possano esprimere le proprie
considerazioni i tanti Infermieri presenti,
con le loro storie, competenze ed esperienze così diverse.
Eppure, al termine della trasmissione tra
i partecipanti e ancor più nei giorni successivi nell’intero gruppo professionale,
prende forma un diffuso e condiviso senso di frustrazione, basato sulla netta
impressione che nella trasmissione di
Gad Lerner non siano stati offerti al pubblico i più autentici princìpi e valori della
nostra cultura professionale, né abbiano
avuto adeguato riscontro le aspettative, le
esigenze e le difficoltà che gli Infermieri
vivono ogni giorno. Una certa responsabilità per aver sprecato un’occasione importante di rendere maggiormente visibile
un’immagine più veritiera della professione Infermieristica, secondo il parere di
numerosi partecipanti, viene addossata
allo stesso conduttore della trasmissione,
il cui stile determinato lo ha portato spesso ad interrompere bruscamente i partecipanti durante il dibattito (sulla base della
giustificazione non condivisibile che la
televisione imporrebbe messaggi brevi e
risposte circostanziate, senza preamboli,
teoremi e concettismi), specialmente
quando alcuni colleghi si proponevano di
elaborare una riflessione un po’ più ampia
e articolata per tentare di spiegare i profondi cambiamenti intervenuti negli ultimi
anni a seguito del consolidamento del
processo di professionalizzazione dell’assistenza Infermieristica. In effetti, in questo
rifiuto di ascoltare un Infermiere che non si
limita a una risposta istintiva e semplicistica si potrebbe individuare una nuova versione, magari un po’ più intellettuale, dello storico pregiudizio di cui gli Infermieri
hanno lungamente sofferto e che li vuole
relegare ad un ruolo ancillare nella cura
della salute collettiva.
Che cosa, dunque, non è emerso con la
dovuta forza durante la trasmissione?
Innanzitutto, il fatto che la natura professionale dell’assistenza Infermieristica, la
sua essenza più moderna ma anche più
profonda, non risiede nella sola dimensione tecnica dell’assistenza, ma in quella
metodologica: come poi ha affermato
Michele Piccoli, Presidente del Collegio
IP.AS.VI. di Torino – presente alla serata e
autore di una lettera aperta a Gad Lerner
che può essere consultata sulla bacheca
elettronica del sito nursesarea.it – “se dai
una siringa in mano a una scimmietta,
puoi essere sicuro che dopo tre mesi sarà
in grado di eseguire correttamente delle
iniezioni… il discorso circa la professionalità degli Infermieri che oggi si formano in
università non regge se lo pensiamo tra
siringhe e padelle”. Pur riconoscendo che
le persone assistite hanno il diritto a ricevere cure e assistenza tecnicamente
appropriate, sicure ed efficaci, occorre
affermare con chiarezza che oggi questo
risultato può essere ragionevolmente raggiunto attraverso l’assegnazione di molti
compiti tecnici al personale di supporto
gestito dagli stessi Infermieri, che possono recuperare in tal modo tempo ed energie preziose per i processi di valutazione
dei bisogni del malato e di pianificazione
degli interventi per una risposta personalizzata a tali bisogni. Infatti, sono le competenze metodologiche applicate all’assistenza del singolo malato – il ragionamento diagnostico, il pensiero critico, il problem solving, il decision making, il ricorso
alle prove di efficacia – che legittimano
l’Infermiere come professionista della
salute, non certo la bravura nell’esecuzione di una tecnica.
Inoltre, il dibattito che si è sviluppato
durante la trasmissione non ha chiarito
che la natura professionale dell’assistenza
Infermieristica non risiede neanche in una
generica istanza di umanizzazione della
relazione assistenziale (lo studio è sem-
brato talvolta attraversato da un’ambigua
mitologia dei tempi passati, quando la
vocazione degli Infermieri e il contesto
organizzativo degli ospedali permettevano
di dedicare più tempo e più attenzioni particolari al malato, ricevendone in cambio
gratitudine e riconoscenza…), ma in un
più preciso, radicato e formale senso etico
e deontologico, che orienta l’Infermiere a
riconoscere la persona assistita come
soggetto portatore di diritti e come alleato
con il quale stringere un patto terapeutico.
Aggiunge Piccoli a tale proposito che “l’Infermiere è fondamentalmente un facilitatore, addestrato a non voltarsi dall’altra parte di fronte al dolore e alla morte. Uno che
ti aiuta a fare ciò che faresti da te, se la
malattia non te lo impedisse: una cosa
complessa per la quale occorre sì una laurea, ma anche lunghi percorsi di formazione teorica, di pratica clinica e di rielaborazione emotiva tra colleghi o con l’aiuto di
altri”.
Infine, va segnalato che tra le diverse
reazioni degli Infermieri alla trasmissione si
è registrata una certa perplessità nei confronti delle élite professionali circa la loro
capacità di rappresentare fedelmente la
realtà quotidiana e i problemi di chi opera
direttamente nelle unità operative (“ma
non doveva essere una trasmissione dove
a parlare erano gli Infermieri? Ho sentito
parlare solo dirigenti, docenti dei corsi di
laurea, ecc.” ha detto qualcuno). Esiste
dunque una separazione tra le visioni del
mondo e le concrete istanze della maggior
parte degli Infermieri, che ‘operano in trincea’, e quelle di coloro che si sono indirizzati verso la carriera di dirigente o l’attività
didattica e di ricerca? E se sì, sono così
distanti o addirittura inconciliabili?
La questione appare rilevante e meriterebbe uno spazio di approfondimento
adeguato. Certamente, alla luce dei riflessi
della trasmissione di Gad Lerner, viene da
pensare che un elemento di forte unità tra
gli Infermieri, indipendentemente dalle
varie articolazioni dell’organizzazione della
professione, debba presto essere ritrovato, in un rinnovato sforzo collettivo per rappresentare un’immagine più veritiera della
figura dell’Infermiere stesso, che ha saputo superare la logica ancillare sia costruendo percorsi di carriera e di specializzazione di elevato valore, sia aggiornando profondamente le proprie competenze assistenziali, metodologiche, relazionali e
manageriali nell’esercizio quotidiano dell’assistenza al malato.
L’autore
* Infermiere Dirigente
Ospedale San Raffaele
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Infermiere a Pavia
IL CORPO
e il nostro “essere nel mondo”
Annamaria Tanzi*
“Io inerisco a me inerendo al mondo”
M. Merleau-Ponty
Una parola … il CORPO che sembra
sfuggire ad una definizione unica per
lasciare il posto a punti di vista parziali,
determinati da un campo epistemologico
o culturale particolare. E’ una parola che
può essere inserita in diversi contesti culturali, è una parola dai molteplici significati, è una parola che si presta a diversi usi
metaforici: tutto pare che formi un corpo.
Veicolo delle pratiche significanti, connesse all’individuo ed alla persona, il CORPO si presenta come una struttura che
assolve tutta una serie di funzioni inerenti
a diversi campi di attività dell’uomo collocati nello spazio/tempo.
Il CORPO come soggetto di comportamenti biologici, diventa oggetto di una
scienza specializzatasi sulla base di una
ripartizione del corpo in parti per cui gli
ambiti agiti sono quelli della salute/malattia, vita/morte, sintomo/diagnosi, clinica,
sensi; soggetto dei comportamenti culturali interviene nell’attività comunicativa
vera e propria attraverso la voce e la parola e nelle varie forme di rappresentazione
e quindi nel gesto, nella scena, nella danza, nella festa, magari con l’ausilio di
mediazioni a fini di riconoscimento del
ruolo mediante l’abbigliamento, l’ornamento, la maschera; veicolo degli atteggiamenti psicologici variamente classificati, assolve precise e selezionate funzioni
della sessualità e del desiderio.
Il CORPO è inoltre connesso ad atti
sociali che comportano il rapporto con la
materia intesa come prodotto economico
e come mezzo variamente determinato
della sopravvivenza.
Per la filosofia
la più antica e diffusa concezione del
CORPO dell’Uomo è quella che lo considera strumento dell’anima. Nella storia
della filosofia sono espresse sia la condanna totale del CORPO come tomba o
prigione dell’anima sia l’esaltazione del
CORPO fatta da Nietzsche. La più compiuta e tipica formulazione della dottrina della
strumentalità è quella di Aristotele, per il
quale il CORPO è “un certo strumento
naturale” dell’anima come la scure lo è del
tagliare. Anche se l’anima è corporea il
CORPO può avere, rispetto ad essa, una
funzione strumentale: così riteneva Epicu-
reo, che attribuiva al CORPO la funzione di
preparare l’anima, così pensava lo stoicismo, e così era nel materialismo di Hobbes o in quello ottocentesco.
Nell’ intera filosofia medioevale domina
questa dottrina della strumentalità con una
eccezione, costituita dalla teoria della “forma di corporeità” che fu propria dell’Agostinismo e che consisteva nel riconoscere
al CORPO organico una sua forma o
sostanza indipendente. Il CORPO perde la
caratteristica della strumentalità con Cartesio e il dualismo tra sostanza estesa e
sostanza pensante che darà luogo al problema del rapporto tra anima e corpo.
La filosofia moderna e contemporanea
ha proposto quattro soluzioni al problema:
1. Negazione della diversità delle sostanze, riduzione della sostanza corporea
alla sostanza spirituale.
2. Considerare il CORPO come un segno
dell’anima.
3. Negazione della diversità delle sostanze ma non quella tra anima e corpo, ma
anima e corpo sono considerate come
due manifestazioni di una stessa
sostanza.
4. Considerare il CORPO come una forma
di esperienza o come un modo d’essere vissuto, che abbia un carattere specifico accanto ad altre esperienze o modi
di essere.
Quest’ultima soluzione ha trovato la sua
forma in particolare nella fenomenologia di
Husserl. In modo analogo il fisiologo Goldstein ha distinto spirito, anima e CORPO
come processi diversi ma connessi che
prendono significato e rilevo solo nella
loro connessione. Affine a questa concezione è la dottrina di Sartre per la quale il
CORPO è l’esperienza di ciò che è oltrepassato e passato. Merleau-Ponty, filosofo
francese del Novecento legato all’orientamento fenomenologico di Husserl, opera
una distinzione tra il CORPO quale è concepito per gli usi della vita e il CORPO che
è concepito dall’intelletto. Questa riduzione, caratteristica della filosofia contemporanea del CORPO a un comportamento, o
a un modo d’essere vissuto, non implica la
negazione della realtà oggettiva del CORPO o la sua riduzione a spirito, o a idea, o
a rappresentazione ma al contrario, que-
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sta interpretazione ha accentuato l’oggettività della sfera di fenomeni in cui il corpo
consiste secondo un orientamento fondamentale della filosofia contemporanea nei
confronti della realtà in generale. [NICOLA
ABBAGNANO]
Il CORPO … umano
Contrariamente all’ambito filosofico in
cui si è sostenuta la separazione tra Corpo
e Psiche (Platone, Cartesio), oggi si è ben
consapevoli dello stretto legame che esiste tra questi due elementi costitutivi dell’Uomo e delle gravi conseguenze emergenti dall’averli dicotomizzati e cioè l’oggettivazione del CORPO inteso via-via
come forza lavoro da impiegare, come
organismo da sanare, come carne da redimere o come puro strumento di piacere
e/o di potere, come inconscio da liberare,
come supporto di segni da trasmettere.
Il CORPO dunque, sempre lontano dall’impronta della sua vita, si è trovato a percorrere di volta in volta i territori tracciati
dalla ragione scientifica che, in conformità
alla natura del suo metodo, ha risolto in
oggetto il mondo, e a oggetto del mondo
il CORPO UMANO da trattare alla stregua
di tutti gli altri corpi; per questo all’interno
delle scienze non sarà mai possibile
incontrare il CORPO come noi lo viviamo e
il mondo come risponde al protendersi del
nostro CORPO.
Ma il CORPO che tentiamo di scoprire
non può essere riconosciuto da una ragione che è tale solo per ciò che essa riesce
ad oggettivare. E allora bisogna fare riferimento al mondo della vita, dove il nostro
CORPO non è ancora un supporto di iscrizioni, ma una sorta di intenzionalità, mai
tematizzata, che ha nel mondo il suo correlato e il suo indispensabile ambiente.
Isolato dal mondo, il CORPO diventa
oggetto, il significato intellettuale del gesto
che gli si prescrive stenta a tradursi in
significato motorio, non perché la prescrizione rimane incompresa, ma perché
manca un mondo dove poterla esprimere
con senso. Senza riferimento al mondo, il
CORPO ricade nella condizione di cosa,
essendo la cosa ciò che non si conosce,
ciò che riposa nella più assoluta ignoranza
di sé. Solo la presenza o l’assenza del
mondo decidono le sorti del CORPO, il
suo esistere come potenza operativa nel
mondo o come cosa del mondo.
In primo luogo, il CORPO è per ciascun
Uomo originaria apertura al mondo perché
è tramite esso che l’individuo si dirige verso il mondo ed è in grado di progettarsi
nella misura in cui il corpo non è qualcosa
di racchiuso in se stesso ma è sempre
aperto al mondo, proteso verso il mondo.
Quando l’intelletto giudica le cose del
mondo, le tematizza solo in quanto esse
sono già esposte a un CORPO che le
vede, le tocca, le sente. Ed è proprio attraverso il CORPO che ciascun Uomo inizia e
poi prosegue ad esprimersi e a comunicare con l’altro, quasi che il CORPO costituisca il principale medium tra l’Io e l’Altro, al
punto che senza di esso non potrebbe
esserci alcuna comunicazione e quindi
nessuna reale esistenza umana.
In secondo luogo, il CORPO dell’Uomo
è tale in quanto vi è una coscienza intenzionale che gli da dei significati facendolo
essere in un certo modo.
L’intenzionalità del CORPO umano, la
sua originaria apertura al mondo, il suo
esporsi e attendere dal mondo indicazioni
per sé è attestato, innanzitutto dalla sua
struttura anatomica. Noi siamo eretti perché siamo impegnati in un mondo; come
questo impegno vien meno, come si riduce la presa sul mondo, il corpo si abbandona, quotidianamente nel sonno, e alla
fine nella morte, dove diviene oggetto
puro, cosa tra cose, immobilità non gesto,
silenzio non parola, corpo come lo concepisce l’anatomia della scienza. Non è l’anima che se ne è andata, ma è il mondo che
non c’è più, o c’è solo come terra che l’accoglie e lo rinchiude.
Sempre secondo Merleau-Ponty, il CORPO dell’Uomo è sempre un corpo vivente
in quanto è un corpo proprio e non è solo
o non è tanto un corpo oggettivo, una
cosa “senza vita”.
Ecco perché si può parlare di linguaggio
del corpo sia nel senso che il CORPO contiene in sé i mezzi espressivi diretti e indiretti (i canali della Comunicazione Non
Verbale – CNV –; la concretizzazione dei
pensieri mediante le capacità corporee,
per esempio la voce, l’uso delle mani per
definire i segni: pittorici, musicali, della
scrittura e così via), sia nel senso che il
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CORPO da testimonianza delle modalità di
… essere nel mondo con gli altri assai più
che tramite la parola.
Nasce perciò la necessità
di un vero e proprio recupero educativo
del CORPO considerato nella cultura tradizionale e soprattutto in quella cristianocattolica, come una sorta di ingombro dell’anima se non addirittura come un pericoloso strumento di traviamento di quest’ultima, da cui quindi non ci si può che difendere.
Un recupero educativo del CORPO che
consenta da un lato l’uso del proprio CORPO (essere il proprio corpo) con libertà e
persino con gioia, da un altro lato di sviluppare al massimo tutte le potenzialità
esistenziali che vi sono contenute.
Educati come siamo dalla filosofia e dalla scienza, oggi nessuno di noi fa alcuna
fatica a rinunciare alla propria esperienza
e a svalutare il proprio punto di vista sul
mondo per adottare il punto di vista dell’Iopenso sul mondo. Si rinuncia così a vedere le cose da una prospettiva per vederle,
scientificamente, da nessuna prospettiva;
si rinuncia a vederle in un tempo, perché si
preferisce vederle scientificamente da nessun tempo.
Recuperare il CORPO significa respingere il formalismo della coscienza per
sostituirlo con la comunicazione sensoriale, senza la quale non ci è dato di abitare il
mondo, né di pensarlo con l’a priori della
ragione. L’importanza delle informazioni
sensoriali sono svalutate perché il sapere
scientifico prodotto dal formalismo dell’Iopenso ha rimosso a tal punto la nostra
esperienza corporea da farci disimparare
a vedere, a udire e in generale a sentire,
per dedurre dalla nostra organizzazione
mentale e dal mondo quale lo concepisce
il fisico ciò che dobbiamo vedere, udire,
sentire. Per questo e per chiudere con
Umberto Galimberti, la terra è divenuta
inospitale e inospitali si sentono ormai gli
abitatori della terra. … Il disagio nasce
dall’incontrollato sviluppo delle scienze,
dalla pretesa di abitare un mondo, che è
corporeo e terreno, con un pensiero puro
… dimentico del CORPO.
[U. GALIMBERTI – E. HUSSERL – M.
MERLEAU-PONTY]
L’antropologo M. Leenhart
in un suo saggio racconta di un missionario che chiede all’indigeno (melanesiano) se il loro lavoro abbia portato la nozione di spirito nel pensiero della popolazione a cui appartiene. L’indigeno risponde
che non hanno portato lo spirito perché
già conoscevano l’esistenza dello spirito
ma che avevano portato il CORPO. Indagando l’universo simbolico delle società
primitive ci si rende conto che per loro il
Infermiere a Pavia
CORPO non era quell’entità anatomica
isolabile dalle altre entità che compongono il mondo oggettivo e che generalmente
vengono identificate come sede della singolarità di ogni individuo; per loro il CORPO era il centro di quell’irradiazione simbolica per cui il mondo naturale e sociale
si modellava sulle possibilità del CORPO,
e il CORPO si orientava nel mondo tramite
quella rete di simboli con cui aveva distribuito lo spazio, il tempo e l’ordine del senso. Mai quindi il corpo nella sua isolata singolarità, ma sempre un corpo comunitario,
per non dire cosmico, dove avveniva la circolazione dei simboli e dove ogni singolo
CORPO trovava, proprio in questa circolazione, non tanto la sua identità, quanto il
suo luogo. Il CORPO comunitario non è il
mezzo attraverso cui comunicano i singoli
corpi, ma la zona in cui si esprime il senso
e a cui i singoli partecipano come frammenti o anelli del corpo comunitario, dove
circola quell’ordine simbolico che compone le energie di ogni CORPO UMANO
con quelle degli altri uomini, degli animali,
della terra e del cielo.
Lo stupore dell’indigeno è comprensibile di fronte alla nozione di CORPO introdotta dal missionario, una nozione radicata nella naturalità biologica ed espressiva
della singolarità dell’individuo separato
dalla comunicazione con la natura e con la
cultura.
Per l’indigeno il CORPO era tanto più
individuato quanto più si lasciava permeare dalle forze sociali e naturali. Queste erano oggetto di un intenso investimento
affettivo, dove il CORPO riversava le sue
energie, garantendo il funzionamento dei
simboli secondo modalità che sono sconosciute al funzionamento dei codici nelle
nostre società.
La cura del malato
nelle società primitive è affidata allo sciamano, la seduta sciamanica (Lévi-Strauss)
prevede la presenza dello sciamano, del
malato e del pubblico che collabora attivamente alla cura, distribuendosi attorno al
male che, al pari di tutte le cose, è inteso
come un “rapporto sociale”, a differenza di
quanto ACCADE DA NOI dove il male si
autonomizza come “rapporto organico”
con la sua causalità oggettiva.
L’arte sciamanica opera sul CORPO tramite il linguaggio, durante la sua seduta il
malato, ha la possibilità di “esprimersi”, di
parlare della sua malattia, della sua vita, in
un gruppo che con la sua presenza non
consente al delirio del malato di ingigantirsi e di oltrepassare, come facilmente può
accadere in solitudine, ogni limite sociale.
Lo sciamano ed i convenuti non confortano il paziente ma gli raccontano una storia, un mito e il malato, partecipando, può
vivere in forma ordinata e intelligibile
un’esperienza che altrimenti sarebbe folle
e inafferrabile, per l’eccedenza di sensazioni che non riescono a trovare un punto
di applicazione.
Uno scambio simbolico, dunque, tra il
malato e il gruppo, reso possibile dal fatto
che il CORPO non è ridotto alla povertà
dell’organismo, ma è il punto in cui si raccoglie una mitologia che da lì si espande
per l’universo, consentendo al CORPO
SOFFERENTE di esportare, lontano da sé
il proprio dolore.
E’ un’esperienza che richiede una dissociazione da parte del malato nei confronti
del proprio CORPO. In questo stato dissociativo, altrimenti detto trance, interveniva
lo sciamano che riportava nel loro ordine
la confusione per un momento verificatasi
nei codici simbolici; e, ristabilendo l’ordine, ristabiliva il CORPO del paziente dopo
il rischio di un pericoloso viaggio nelle
regioni dell’incodificabile.
Tornando al pensiero Occidentale
il CORPO è il KORPER nella lingua tedesca quando ci si riferisce ad una realtà
materiale (ambiti dell’anatomia e fisiologia), a un punto di vista puramente fisicalistico e meccanicistico, un punto di vista
riduttivo e fuorviante. Il CORPO è LEIB nella lingua tedesca, che è il corpo come
organicità, come oggetto di un’esperienza
complessiva ed unitaria, qualcosa di più
complesso della sola struttura corporea,
un sistema in cui coesistono, strettamente
interconnessi: materia, coscienza, emozione, pensiero, autocoscienza, anima o spiritualità.
Il nostro CORPO è qualcosa di più delle
possibilità che gli concedono i suoi sensi,
la sua vita può essere al di sopra o al di
sotto di queste possibilità, perché a decidere il suo grado di vitalità non sono i sensi, ma il suo interesse per il mondo.
La patologia, la malattia a qualsiasi livello si manifesta, non può essere compresa
che prendendo in considerazione tutti
questi aspetti, essendo essi parte integrante dell’organismo vivente.
L’immagine del corpo
Nella vita di tutti i giorni quasi non ci
accorgiamo del nostro corpo. Solo quando una funzione viene lesa ci rendiamo
conto di possederlo: una sequenza di
avvenimenti soggettivi ed oggettivi, compone lo schema e l’immagine del corpo.
L’uomo ha la facoltà di cogliere il proprio
corpo in una dimensione di spazio e di
tempo.
A livello psicologico, l’immagine del corpo viene vissuta come un ampliamento
dell’io.
Le tipiche disfunzioni psicologiche della
rappresentazione del proprio corpo sono
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presenti nei problemi legati all’aspetto fisico, ad esempio, relative al peso: obesità o
anoressia nervosa.
La modifica dell’immagine del corpo ha
un ruolo importante nella vita; è un’immagine individuale e dipende da diversi fattori: fisico, interiore, sociale.
Quando si chiede ad un individuo di
disegnare se stesso o una parte del suo
corpo, questi disegni, anche nelle persone
sane, riflettono il modo di sentirsi o di
essere che può non rispettare l’immagine
reale.
Ciò può dipendere dallo stato d’animo,
dall’età come pure dalla malattia o da
un’invalidità, particolarmente se non temporanea.
Nell’ambito della psicopatologia, rispetto al CORPO, si può creare una immagine
distorta o assente. In particolare nel disturbo di depersonalizzazione, per un senso
di estraneità dal proprio ambiente si può
avere la sensazione che il proprio CORPO
sia intorpidito o privo di vita, oppure che
certe parti anatomiche non siano collegate
al resto del CORPO, o ancora il sentirsi
come distaccato dalla propria immagine al
punto da vedersi estraneo o da osservarsi
a distanza.
Il culto del corpo sano
“Sono un corpo oppure ho un corpo?”.
Solo la nostra epoca, che si è staccata
dal puro aspetto scientifico delle cose ed
ha ammesso anche spiegazioni psicologiche, può dare una risposta intelligente a
questa domanda. In ambito operativo della salute è valido il concetto secondo cui,
l’uomo, è identico al suo corpo in senso
esistenziale e, contemporaneamente, lo
riflette essendo più conscio della sua corporalità.
In questo concetto si rispecchia anche
la libertà dell’individuo: io non sono il mio
corpo, posso entrare in contatto con lui, lo
posso modificare con le mie attenzioni ed
il mio atteggiamento positivo nei suoi confronti (esercizio fisico, esercizio di immaginazione creativa).
Per Karl Jaspers, il corpo rappresenta
“l’unica parte del mondo che contemporaneamente viene sentito da dentro e percepito da fuori. Per me è un oggetto e io stesso lo sono per lui”.
L’identità corporale (vita ed immaginazione del corpo) si ripercuote anche nella
lingua inglese: “somebody” è qualcuno e
“nobody” è nessuno.
You are nobody till somebody loves you
(Sam Keen): “non sei nessuno fintanto che
qualcuno non ti ama”.
Un’altra frase di Karlfield: “ho un corpo
ma sono carne”, indica che l’essere carne
e l’avere un corpo non sono scindibili nella mente umana dato che vi incidono
anche componenti interiori e spirituali.
All’essere appartiene la vita attiva e la
capacità di sapersi adattare al mondo circostante.
Questo concetto si esprime all’interno
delle attività di vita quotidiane (bisogni fondamentali) e in tutte le forme di espressione non verbale che indicano sentimento,
sensazioni ed umore.
All’avere appartiene la funzione “il corpo
funziona anche da strumento della nostra
volontà e dei nostri desideri, sebbene egli
governi arbitrariamente - anche senza un
consapevole effetto, con un sistema di
regole chiuso - su stimoli della nostra sfera interiore e del mondo esterno”.
La nostra vita intera è legata al corpo ed
alla corporalità. Necessita della percezione consapevole, del contatto, dell’appoggio e del movimento laddove questo ne è
ostacolato.
La cultura ed il culto della corporeità
indicano un adattamento, dinamico ed
armonico del corpo e dello stile di vita, alle
esigenze della realtà esterna ed interna.
Psiche, anima e spirito sono le componenti interiori non facilmente individuabili
ma che determinano, in modo sostanziale
l’andamento della vita umana, sono perciò
dati di fatto reali che bisogna osservare
per poter trarre conclusioni sullo stato psichico di una persona.
L’aspetto esterno (soma in senso biologico) è il supporto della psiche che permette all’essere umano di entrare in relazione con gli altri e con l’ambiente circostante,
La malattia mentale, indipendentemente
dalle sue cause, colpisce sempre l’uomo
nella sua interezza e, interiormente nel suo
io, come nelle relazioni con l’ambiente che
lo circonda.
L’Uomo è totalità ed unità
L’Uomo e la sua natura non possono
essere concepiti come “somma” o come
risultato di un’addizione, l’Uomo rappresenta la totalità, e come tale, una struttura
vivente.
Il CORPO (umano) è l’organismo composto nella sua totalità per cui l’Uomo è
Corpo-Anima-Spirito-totalità ed unità,
un’unità indivisibile.
La cura del CORPO è uno dei bisogni
fondamentali dell’Uomo e non riguarda
soltanto l’esteriorità (igiene corporea) ma
anche l’espressione di un’attitudine interiore. La percezione corporea da una parte si adegua alle leggi biologiche del CORPO che abbisogna di cure, dall’altra supera i confini biologici e diventa cultura del
corpo e del comportamento per esempio
attraverso la danza, la ginnastica, l’estetica
del movimento e così via.
Il CORPO in sé è anche espressione di
vita nel suo divenire; siamo CORPO nel
tempo e questo significa che siamo inseriti nel ciclo continuo dell’arco della vita: la
nascita e la morte.
Qualsiasi parte o livello del si prenda in
considerazione di un’organismo vivente, le
singole cellule, i tessuti, gli organi, gli
apparati, o la totalità stessa dell’individuo,
questo è sempre un sistema integrato di
energie di diversi gradi di vibrazione
dipendenti dalla complessità del livello
considerato.
L’Olismo è la concezione dell’organismo quale totalità, la concezione olistica
dell’Assistenza intende e vede l’Uomo nella sua totalità, lo pone al centro del proprio
pensiero e dell’azione nella sua correlazione Corpo-Anima-Mente, con il suo mondo
e l’ambiente.
Per questo, quando ci poniamo al livello
del singolo individuo per comprenderlo in
tutte le sue manifestazioni, in tutti i fenomeni che avvengono in esso, l’intero suo
modo di essere nel mondo, dobbiamo
sempre tener presente essi sono la risultante di un processo storico di interazione
fra tutti i suoi sottosistemi con la sua interazione nei sistemi ad esso superiore.
Bibliografia
- U. GALIMBERTI, “Il Corpo”, Ed. Universale Economica Feltrinelli
- L. JUCHLI, “L’assistenza Infermieristica
di Base”, Rosini Editrice Firenze
- E. MARIANELLA, “L’espressione creativa del corpo”, editoriale ESA
- G.A. PIGAT-R.BIANCAT, “Psicologia di
base per il nursing”, Rosini Editrice
Firenze
- P. BERTOLINI, Dizionario di Pedagogia
e Scienze dell’Educazione, Editore
Zanichelli
- L’ENCICLOPEDIA, La Biblioteca di
repubblica
L’autore
* Infermiera
Centro Diurno - Polo Psichiatrico Torchietto
Azienda Ospedaliera Pavia
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Infermiere a Pavia
Il linguaggio del Corpo
Preambolo
Annamaria Tanzi*
“Noi abbiamo esperienza della realtà solo per
mezzo del corpo”.
Lowen
Il Corpo parla un linguaggio che anticipa
e trascende l’espressione verbale.
Il linguaggio del corpo ha un ruolo primario nella determinazione del comportamento sociale. L’analisi del comportamento sociale a questo livello ha permesso di
considerare la psicologia sociale da un
nuovo punto di vista.
Le prime ricerche sulla Comunicazione
Non Verbale (CNV) ebbero per oggetto
l’espressione facciale e l’emozione.
Però, sul finire degli anni Cinquanta
crebbe l’interesse per alcuni altri settori di
ricerca come il gesto ed il paralinguaggio.
Gli studiosi di psicologia sociale ed etologia animale iniziarono a cogliere le somiglianze tra comunicazione umana e comunicazione animale e gli antropologi a porre in rilievo le differenze culturali.
Però gli uomini si differenziano dagli animali per la complessità e il grado di pianificazione del loro comportamento sociale.
Molti comportamenti sociali dell’uomo
consistono in “atti sociali”, cioè comportamenti che sono carichi di significati per
coloro che li compiono; vengono pianificati e compiuti con determinati obiettivi, vengono controllati nel corso della loro esecuzione e seguono regole precise. I segnali
non verbali di base vengono incorporati
negli atti sociali, secondo una struttura
gerarchica.
Si è verificato un notevole disaccordo
sui metodi di indagine tra approcci comportamentali, linguistici e psicoanalitici;
oggi, tuttavia, pare che vada affermandosi
fra gli studiosi un comune punto di vista.
I segnali che il corpo rimanda a noi
riguardano: l’espressione facciale, lo
sguardo, i gesti ed altri movimenti, la
postura, il contatto fisico, il comportamento spaziale, l’abbigliamento e altri componenti dell’aspetto esteriore, le vocalizzazioni non verbali, l’odore.
Ognuno di questi canali funziona in
modo distinto, e il discorso su ognuno di
loro è molto diverso.
Lo sguardo è un canale poiché può presentare diversi aspetti; l’espressione del
viso è per lo più innata; i gesti variano a
seconda delle culture; il contatto fisico è
spesso tabù; ecc.
I segnali corporei possono essere appena percettibili, subdoli o inconsci.
L’uso corretto della CNV è una parte
essenziale della capacità sociale e di specifiche competenze sociali: i pazienti con
sofferenza mentale sono, di solito, carenti
in questo campo.
Il linguaggio propriamente detto è notevolmente dipendente e strettamente
intrecciato alla CNV e vi sono molte cose
che non si possono esprimere adeguatamente in parole.
Tra le implicazioni pratiche della CNV vi
è la cura dei malati mentali.
La CNV ha luogo ogni volta che una persona influenza un’altra attraverso uno dei
canali sopra descritti.
Il significato di un segnale non verbale
per un emittente si può trovare nel suo stato emotivo o in qualche altro stato, o nel
messaggio che intende trasmettere.
Il significato per un ricevente si può trovare nella sua interpretazione del segnale.
Il significato dei segnali non verbali varia
nei differenti contesti sociali e dipende
anche dalla sua posizione spazio-temporale rispetto ad altri.
Anche l’arte e la musica fanno parte
della comunicazione non verbale, esse
hanno innanzi tutto un valore non verbale
e non possono essere tradotte in parole.
“L’arte è la creazione di forme che simboleggiano i sentimenti umani” – Langer
1953
Alcune ricerche hanno portato alla luce
reazioni all’arte ed alla musica: evocare
immagini visive ed emozioni, provocare
movimenti corporei, rappresentare oggetti
ed eventi, comunicare sentimenti profondi
e atteggiamenti verso la vita.
Una della applicazioni pratiche delle
ricerche sulla CNV riguarda l’addestramento alle abilità sociali per pazienti che
presentano disturbi del comportamento, in
particolare nevrotici, adolescenti, disturbati, depressi, persone sole e molto isolate.
Quasi sempre, la comunicazione non verbale di questi pazienti ha bisogno di un
vero e proprio addestramento poiché essi
tendono a sorridere, gesticolare e guardare meno degli altri individui, e manifestano
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altre anomalie comportamentali.
Un’altra applicazione interessa l’addestramento a contatti interculturali con coloro che devono lavorare all’estero, perché
molti pregiudizi razziali e incomprensioni
sono probabilmente fondati sui diversi tipi
di comunicazione non verbale usate dai
diversi gruppi culturali. Queste applicazioni potrebbero rappresentare un valido aiuto nell’etnopsichiatria.
La gestualità è l’aspetto che sembra
mutare di più nell’ambito di culture diverse, tuttavia alcuni studi hanno rivelato che
alcuni gesti sono universali, mentre altri
costituiscono variazioni di uno stesso
tema.
Altre differenze riguardano lo sguardo, il
contatto fisico, la postura, i movimenti del
corpo, la vocalizzazione, l’odore, l’aspetto
esteriore.
Esiste un corpus di conoscenze ottenuto con diversi metodi di ricerca nello studio
della CNV.
I canali della CNV
Si possono distinguere cinque tipi di
CNV o comunicazione corporea:
1. Esprimere emozioni
2. Comunicare atteggiamenti interpersonali
3. Accompagnare e sostenere il discorso
4. La presentazione di sé
5. Rituali
I segnali non verbali possono essere i
gesti e movimenti del corpo, il viso, lo
sguardo, la voce, il comportamento spaziale, la postura, il toccare ed il contatto
corporeo, le componenti dell’aspetto esteriore.
Ogni canale può comunicare determinati aspetti della personalità: l’espressione
delle emozioni avviene soprattutto attraverso il viso, il corpo e la voce; la voce può
anche comunicare dominanza (atteggiamenti interpersonale) e/o sottomissione
ed è importante nell’ambito delle abilità
sociali e per il mantenimento dei rapporti,
lo stile vocale inoltre favorisce la possibilità di persuasione e da esso può dipendere la credibilità di chi parla.
Sempre in riferimento alla voce alcune
ricerche hanno trovato che l’influenza
sociale richiede una combinazione di
autorevolezza e di gratificazione e questo
risultato è possibile ottenerlo con la voce.
Il comportamento spaziale.
Comprende i seguenti elementi: vicinanza (distanza esistente tra due persone),
orientazione(angolazione secondo cui le
persone si situano nello spazio l’una
rispetto all’altra), comportamento territoriale (creazione ed invasione del territorio,
progettazione di spazi sociali), movimento
nell’ambiente fisico (aree con significato di
territorio di alcune persone o gruppi, aree
in rapporto con la posizione sociale o con
i ruoli sociali, parti di una casa che hanno
un significato simbolico, forma e dimensione di una stanza, dimensione dei mobili, esistenza di barriere fisiche).
È, in qualche modo, il segnale non verbale più diretto, dato che può essere misurato in termini di distanza e di orientazione.
Il comportamento spaziale esprime
anche certe proprietà della personalità, ed
è usato come un segnale di interazione,
ad esempio per iniziare e concludere
incontri.
L’estensione dello spazio personale probabilmente riflette le caratteristiche del
corpo e degli organi di senso.
Nell’ambito di ogni cultura esistono precise norme che regolano vari aspetti del
comportamento spaziale, le norme
comunque permettono una banda di tolleranza, all’interno della quale sono permesse variazioni.
Oltre questi limiti, i comportamenti
delle persone sono considerati come
deviazioni o rotture delle norme.
Rispetto agli atteggiamenti interpersonali la gente, sta più vicina alle persone
per le quali prova simpatia ma la vicinanza
può essere determinata dal fatto che due
o più persone sono simili per status o età,
per razza o per altre ragioni.
Le persone stanno ancora più lontane
da individui portatori di uno stigma.
La dominanza si esprime attraverso il
comportamento spaziale (un leader si
mette dove può vedere ed essere visto da
tutti; oppure il significato simbolico che
può avere una posizione)
La posizione spaziale è influenzata dalla
situazione e dal compito.
Per quanto riguarda la personalità, una
scoperta è stata quella che le persone con
disturbi mentali di qualunque tipo hanno
bisogno di più spazio, e ciò è particolarmente notevole nel caso degli schizofrenici.
È stato rilevato che anche i carcerati violenti hanno bisogno di zone cuscinetto più
grandi.
Altre ricerche hanno individuato che le
persone che si avvicinano di più tendono a
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guardare, sorridere e parlare maggiormente, e in generale presentano una tendenza all’approccio sociale (caratteristica
in relazione all’estroversione).
Alcuni studi invece hanno rilevato che le
persone ansiose stanno più distanti, mentre quelle sicure di sé ed assertive si avvicinano maggiormente.
In relazione al sesso si è notato che le
donne si avvicinano più degli uomini, e
sono a loro volta avvicinate di più, specialmente da altre donne.
Il comportamento spaziale come
segnale di interazione.
I movimenti nello spazio vengono usati
come “MOSSE” durante l’interazione
sociale, il movimento verso una persona
diventa un segnale, che indica il desiderio
di interagire. Questa intenzione richiama
altri canali della CNV come lo sguardo,
l’espressione del volto e con il discorso
che accompagna lo spostamento spaziale.
Per interagire con qualcuno è necessario avvicinarsi in modo sufficiente per parlare, per essere ascoltati e per far vedere il
volto.
Può essere necessario ottenere l’approvazione dell’altro al fine di avvicinarsi al di
là di un certo limite.
Generalmente l’inizio e il termine di un
incontro e quindi di un’interazione sono
accompagnati da movimenti nello spazio
con opportuni segnali non verbali (NV) e
verbali.
I movimenti spaziali, di solito, danno inizio anche a fasi particolari di un incontro.
Alcuni dei più importanti aspetti del
comportamento spaziale sono connessi al
“territorio” (comportamento territoriale),
alla sua delimitazione, invasione e difesa.
Per gli esseri umani si possono distinguere tre tipi di territorio di diverse dimensioni:
Spazio personale
Territorio personale
Territori domestici
Lo spazio personale è l’area che gli individui mantengono intorno a se stessi, e
all’interno della quale gli altri non possono
penetrare senza generare una situazione
di disagio.
Il territorio personale è costituito da
un’area più vasta, che un individuo possiede, ha in uso esclusivo o controlla, spesso
questo spazio gli procura la privacy o
un’intimità sociale (casa, giardino, auto,
ufficio).
Vi sono anche territori temporanei (tavoli e posti a sedere nei ristoranti, stanza in
hotel, posti nel cinema, un campo di tennis), Un territorio può essere semplicemente costituito con ripetute occupazioni
di un particolare posto a sedere a tavola.
In ricerche svolte in reparti di un
Infermiere a Pavia
ospedale psichiatrico si è scoperto che
i territori appartati sono cercati da schizofrenici e dai pazienti che si trovano in
basso nella gerarchia stabilita dai
pazienti stessi.
I territori domestici sono aree di spazio
pubblico che vengono utilizzate abitualmente dai componenti di un gruppo particolare.
Un altro aspetto è l’invasione del territorio che può avvenire con segnali NV come
la vicinanza fisica, il guardare, l’ascoltare,
facendo rumore, usando oggetti, o sporcando oppure mettendo in disordine parte
del territorio. L’invasione arreca disagio o
fastidio a chi la subisce che mette in atto
una serie di segnali NV.
Esistono diversi modi per difendere lo spazio personale, gli esseri umani contrassegnano i loro territori lasciando cappotti o
oggetti per esempio sulle sedie, oppure mettendo i loro nomi sulle porte delle stanze.
Anche le situazioni di affollamento e
isolamento possono essere causa di
disagio soggettivo e produrre forme di
angoscia.
Gli effetti del sovraffollamento sono
minori o nulli a secondo della situazione.
La necessità di avere uno spazio privato
sufficiente si riflette in una regola sociale
largamente accettata, cioè che in tutti i
rapporti uno dovrebbe “rispettare la privacy dell’altro”.
Infine, tutti i comportamenti sociali hanno luogo in un ambiente fisico, si può
quindi considerare la progettazione di
spazi sociali (arredamento, decorazione,
disposizioni
architettoniche)
come
un’estensione del comportamento sociale,
e di fatto come un tipo di abilità sociale.
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L’espressione del volto.
Il volto è il canale più rilevante della CNV
(espressione delle emozioni e atteggiamenti verso gli altri). Sia i lineamenti sia le
espressioni della faccia sono interpretati
come aspetti della personalità.
Durante l’interazione sociale il volto è in
continuo movimento e le sue espressioni
sono in parte spontanee e in parte intenzionali.
Solo entro certi limiti si può dire che la
personalità è espressa dal volto.
Le vocalizzazioni non verbali.
Sono composte di sequenze di suoni di
diversa frequenza e intensità, possono
essere di carattere emozionale (gemiti,
lamenti, strida e grida, pianto e riso, gli oh
e gli ah, borbottii e mugolii), e legate al
discorso (segnali prosodici: tono di voce
ascendente per fare una domanda, pause
ed altri aspetti della sincronizzazione per
mettere in rilievo la sintassi, la sonorità per
dare enfasi; segnali di sincronizzazione:
segnali vocali quali, un tono discendente al
termine di una frase; pause riempite: gli
ehm e gli ha che rappresentano un tipo di
mancanza di scorrevolezza nel discorso
oppure ripetizioni, balbettii, suoni incoerenti, omissioni, variazioni di una frase e
incompletezza).
I toni di voce possono comunicare
atteggiamenti interpersonali, dominanza e
sottomissione, cordialità o ostilità oppure
favorire la possibilità di persuasione e la
credibilità. Il tono della voce è anche
importante nell’ambito delle abilità sociali
e per il mantenimento dei rapporti.
È da supporre che esistano dei legami
fra la voce e la personalità; l’estroversione
una delle più affermate dimensioni della
personalità, è correlata con caratteristiche
della voce: tono più alto nei maschi, più
intensità, ritmo più veloce e meno pause
nelle femmine.
Il ritmo del discorso costituisce una
variabile, un ritmo più veloce è considerato segno di autorità, estroversione e competenza. Il tono ha due effetti: un tono più
alto è ritenuto un segno di estroversione,
autorità, sicurezza e competenza, ma
anche un segno di tensione e nervosismo.
Le qualità vocali del modo di parlare
delle persone ansiose non sono propriamente uguali a quelle che sono provocate da situazioni angosciose. Queste persone parlano in fretta, ma con pause
vuote particolarmente lunghe (oltre un
secondo e mezzo); forse hanno bisogno
di più tempo per organizzare il discorso,
e riescono a controllare altri elementi
che alterano la scioltezza di un discorso.
Studi e ricerche hanno permesso di
elencare alcuni dei principali tipi di perso-
nalità collegati alle diverse caratteristiche
della voce:
- ASPIRATA: più giovane, più artistica
- PIATTA: più maschile, pigro, freddo,
introverso
- NASALE: socialmente indesiderabile in
vari modi
- TESA: più vecchio, rigido, litigioso
- GUTTURALE: più vecchio, realista,
maturo, sofisticato, ben adattato
- ALTISONANTE: energico, sano, artistico, sofisticato, orgoglioso, interessante,
entusiasta
- VELOCE: animato, estroverso
- VARIATA NEL TONO: dinamico, femminile, con predisposizioni estetiche.
È importante precisare che il grado di
accuratezza dei giudizi sulla personalità
basati solo sulla voce non è molto elevato.
Attraverso le vocalizzazioni non verbali è
possibile comunicare delle emozioni, sono
stati condotti numerosi studi sul modo in
cui si decodificano le emozioni e alcuni dei
risultati principali sono:
Gioia, esultanza: aumento di tono,
variazione del tono all’interno di
un’espressione, variabilità del tono, intensità, quantità del discorso, profilo armonico.
Depressione: abbassamento del tono,
variazione del tono all’interno di
un’espressione, intonazione, intensità,
meno energia nei toni alti.
Ansia: aumento di tono, maggiore velocità ed un maggior numero di incertezze
nel parlare, pause vuote, voce di tipo aspirato; ci sono comunque ampie variazioni
individuali, ad esempio alcun persone parlano più lentamente quando sono ansiose.
Paura: aumento di tono, variazione del
tono, variabilità, molta energia nei toni più
alti, quantità del discorso, speciale qualità
della voce come nel pianto.
Rabbia: aumento di tono nel furore,
abbassamento di tono quando la collera è
fredda, aumento dell’intensità, voce di
qualità aspra, ritmo del discorso più sostenuto, improvvisi aumenti di tono e di sonorità su singole sillabe.
I segnali prosodici del tono, dell’enfasi e
della cadenza possono fornire informazioni sulle emozioni e altre caratteristiche di
chi parla. Essi possono modificare anche il
significato del messaggio.
Lo sguardo.
Lo sguardo, o l’azione del guardare, è
d’importanza fondamentale nell’ambito
dei comportamenti sociali.
È un segnale NV ma è ancor più un mezzo per percepire le espressioni degli altri,
particolarmente dei loro volti.
Anche l’azione e la maniera del guardare hanno un significato, in quanto rivelano,
quanto è l’interesse nei confronti di un’al-
tra persona.
Lo sguardo è dunque una fonte di informazioni, in quanto fornisce feedback, cioè
informazioni di ritorno sul proprio comportamento.
Ne segue che coloro che non guardano
abbastanza sono probabilmente poco
capaci di interagire.
Alcune ricerche hanno dimostrato che i
malati di mente privi di abilità sociali guardano poco il loro interlocutore.
Lo sguardo gioca un ruolo importante
nell’avviare o nel non voler avviare, stabilire e concludere gli incontri sociali e nell’instaurare relazioni con le persone (piacersi
e amarsi).
La quantità di sguardo è influenzata dalla dominanza e dallo status: le persone di
status più elevato guardano relativamente
poco mentre ascoltano e guardano maggiormente mentre parlano.
Rispetto alle emozioni, parecchi ricercatori hanno riscontrato che lo sguardo varia
con il variare dell’intensità dell’emozione
piuttosto che con il tipo di emozione: si
guarda maggiormente durante gli stati
d’animo positivi.
Esiste poi, un certo numero di chiare
correlazioni fra lo sguardo e la personalità,
le principali scoperte sono le seguenti: i
maschi, gli introversi, i bambini autistici e
la maggior parte dei malati di mente guardano meno. Le persone estroverse, dominanti o autoritarie, e socialmente abili
guardano di più. Lo sguardo è decodificato secondo le stesse variabili della personalità per cui, le persone che guardano di
più tendono ad essere percepite in modo
più favorevole, e in particolare come più
competenti, cordiali, credibili, autorevoli e
socialmente abili.
Gesti e movimenti del corpo.
Con il termine “gesti” si indicano di solito le azioni volontarie compiute dalle mani,
dalla testa o da altre parti del corpo, queste azioni hanno il fine di comunicare.
Si possono distinguere tre tipi principali
di movimenti corporei:
Emblemi – atti non verbali, di solito movimenti delle mani, che hanno una diretta
traduzione verbale e il cui significato verbale è noto a tutti o quasi i membri di un
gruppo o di una subcultura.
Illustratori – movimenti direttamente collegati al discorso che servono ad illustrare
ciò che viene detto verbalmente.
Automanipolazione – movimenti centrati
sul corpo.
Per quanto riguarda l’automanipolazione, alcuni studi su pazienti con sofferenza
psichiatrica hanno rilevato che le emozioni
sembrano essere espresse da movimenti
delle mani, furono osservati i seguenti
risultati:
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1. Forte inibizione: movimenti di ritiro,
movimenti stereotipati, gesti sui
capelli, generale agitazione motoria,
movimenti non necessari.
2. Depressione: i movimenti sono lenti,
rari, esitanti, privi di enfasi; uso di
gesti per nascondersi.
3. Euforia: i movimenti sono veloci,
espansivi, ritmici, spontanei, autoaffermativi, affettuosi.
4. Ansia: gesti che scompigliano i
capelli che nascondono il volto; torcersi e riunire le mani, aprire e chiudere i pugni, pizzicarsi le sopracciglia, grattarsi il volto, tirarsi i capelli,
agitarsi senza scopo.
Alcuni studi hanno messo in relazione i
gesti o stili gestuali con la personalità.
Molti caratteri dello stile gestuale sembrano essere collegati alla capacità di rinforzare l’interlocutore e ad altri aspetti della sua efficacia sociale. È stato rilevato che
i malati di mente socialmente disadattati
fanno un minor uso dei gesti ed è stato
osservato che i malati di mente si toccano
più degli altri.
L’uso dei gesti accresce l’efficacia di
alcuni tipi di comunicazione, ci si è accorti
che le persone che possiedono maggiore
facilità di eloquio utilizzano i gesti più degli
altri.
Lo stile gestuale di una persona è in parte il prodotto del suo background culturale e occupazionale, dell’età e del sesso,
dello stato di salute, dell’affaticamento e
così via.
La postura.
Le tre principali posture dell’uomo sono:
- eretta;
- a sedere, rannichiata e in ginocchio;
- distesa.
All’interno di una cultura, per ogni situazione ci sono posture approvate, l’omissione di una postura giusta può determinare disapprovazione.
La postura può comunicare dominanza
e status: postura eretta, rigonfiamento del
petto, mani sui fianchi, esecuzione di gesti
esuberanti oppure sottomissione con
abbassamento del capo, corpo raggomitolato o inchinato.
Anche la simpatia, l’attrazione interpersonale o la schiettezza sono chiaramente
comunicate dalla postura.
Rispetto alle emozioni, il corpo ne esterna le dimensioni più generali come ad
esempio il grado di tensione-rilassamento
o di eccitazione.
Una persona tesa siede o sta in piedi in
modo rigido, sta eretta o si sporge in avanti, spesso tiene le mani congiunte, le gambe unite e ha i muscoli tesi.
Nelle posture di certi malati di mente si
possono percepire emozioni spinte all’eccesso. I depressi assumono una postura
Infermiere a Pavia
accasciata, indifferente, siedono rannicchiati e fissano il pavimento.
I maniaci sono vigili e stanno eretti, il
loro corpo è in uno stato di notevole eccitazione.
Anche i pazienti in stato ansioso sono
molto “attivati”, ma in questo caso l’emozione specifica è l’ansia più che l’euforia e
questo lo si può notare nella tensione
muscolare.
Sulla relazione tra postura e personalità
è indubbio che alcune persone forniscono
delle impressioni circa la loro personalità
per mezzo della postura.
Diversi psicoanalisti hanno dato interpretazioni sulle posture adottate dai
pazienti durante la terapia basandosi sulle
personalità di particolari pazienti. Non vi
sono in merito dimostrazioni scientifiche di
validità.
La postura può anche avere una funzione nella presentazione intenzionale di sé.
Probabilmente la postura è legata all’immagine del corpo. Le persone possono
ostentare o mascherare le caratteristiche
del proprio corpo, o possono anche cercare di proteggere varie parti del corpo e
possono sforzarsi di apparire più rilassate
di quanto siano in realtà.
I cambiamenti posturali si possono considerare come una sorta di gesti supplementari consistenti in movimenti del corpo
più ampi e più lenti.
Una persona ripete le sue posture quando gli si presenta la stessa emozione o lo
stesso argomento, ma il codice usato è
individuale e non può essere decodificato
senza considerare l’esperienza di quell’individuo.
La postura occupa un posto ed una funzione che sta a metà tra i gesti e il comportamento spaziale.
I gesti accompagnano e sostengono il
discorso in vari modi e in particolari occasioni possono trasformarsi in variazioni
della postura.
Il toccare ed il contatto corporeo.
È la forma più antica di comunicazione
sociale, le altre forme di CNV costituiscono
uno sviluppo ulteriore di tipo evolutivo e
maturativo.
Negli esseri umani, il contatto corporeo
stimola diversi tipi di recettori, sensibili al
tatto, alla pressione, al caldo, al freddo e al
dolore. La pelle invia diversi tipi di segnali
sul suo stato, per mezzo del suo colore,
sapore, odore e della temperatura.
La maggior parte dei contatti corporei
possono essere considerati l’espressione
di atteggiamenti nei confronti di un’altra
persona: sesso, affiliazione (lagata alla
conversazione, lavoro cooperativo e
gioco), aggressività, dominanza.
Il toccare rappresenta anche un segnale
di interazione: saluti di benvenuto e di
commiato, congratulazioni, cerimonie.
Il più elementare significato del contatto
fisico è forse quello di offrire o di stabilire
un legame interpersonale, qualcosa di
analogo ad uno sguardo diretto o a un
movimento di avvicinamento. Tuttavia il
contatto fisico implica anche invasione
dell’intimità personale, ed esposizione
all’aggressività oppure alla sessualità.
Abiti, fisico e altre componenti
dell’aspetto esteriore.
L’aspetto esteriore può essere considerato un modo per comunicare, per mandare informazioni agli altri.
La teoria più importante in questo campo è quella della “presentazione di sé”
(self-presentation) elaborata da Goffman
(1956).
Affermò che le persone manipolano le
impressioni che desiderano suscitare sugli
altri tramite un modo intenzionale di presentarsi, che assume quasi la forma di una
rappresentazione teatrale, nell’ambito della quale l’aspetto esteriore gioca una parte di rilievo.
Le circostanze in cui ha luogo la presentazione di sé sono: i colloqui, le esibizioni
in pubblico, le situazioni formali, ogni circostanza in cui è in gioco la propria reputazione, o si cerca il favore degli altri.
Gli abiti, i capelli, i cosmetici e altre componenti dell’aspetto esteriore sono oggetto di una scelta attentamente meditata,
specialmente quando le persone si preoccupano del loro aspetto esteriore, o delle
reazioni di un determinato pubblico, oppure quando sono impacciate o socialmente
insicure.
Gli stessi elementi cambiano con le circostanze e con la moda.
Abiti formali proclamano uno status e
affidabilità, un ruolo sociale; le divise offrono un modello convenzionale di abito che
ha la funzione di mostrare l’appartenenza
a un gruppo e lo status. Fra i giovani è pratica comune indicare l’appartenenza a un
gruppo con elementi caratterizzanti dell’aspetto esteriore.
Parecchi aspetti della personalità sono
comunicati dagli abiti.
Molte persone cercano di personalizzare se stesse creando per sé un’immagine
esteriore caratteristica; gli elementi dell’aspetto esteriore hanno un significato in
sé e per sé e la loro combinazione trasmette informazioni su noi stessi, sui nostri
atteggiamenti verso gli altri, inclusi i conflitti e altri aspetti complessi.
Dopo gli abiti, l’aspetto fisico è il secondo elemento dell’aspetto esteriore.
L’aspetto fisico è in larga misura dato e
può essere modificato entro certi limiti,
agisce in qualche modo come strumento
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fiducia in se stessi, dominanza
Percentuale di sguardo fisso estroversione, nevrosi
Guardare parlando dominanza
Movimenti corporei
Toccarsi ansia
Rilassamento dominanza, ansia
Precisione del giudizio autosorveglianza,
reattività
fisiologica, esperienza d’azione
e occupazioni sociali
Espressività estroversione, nevrosi,
stima di sé, dominanza, abilità
sociali
di comunicazione.
Una delle dimensioni più importanti dell’aspetto esteriore è la bellezza, ovvero
l’essere fisicamente attraenti per gli altri. È
possibile intervenire per migliorare l’attrazione fisica e di conseguenza l’impatto
nella relazione con gli altri.
In certi casi intraprendere cambiamenti
dell’aspetto esteriore troppo radicali può
determinare conseguenze negative.
La personalità e la CNV
Ogni canale non verbale è in qualche
misura in correlazione con aspetti della
personalità, la tabella qui di seguito, riporta i principali correlati della CNV con la personalità.
PRINCIPALI CORRELATI DELLA CNV
CON LA PERSONALITA’
Espressione facciale sorriso-affiliazione,
estroversione
non sorriso-dominanza
Voce
Quantità di parola estroversione
Altezza della voce estroversione, assertività
Sonorità della voce dominanza
Errori della parola ansia
Pause di silenzio introversione, ansia
Velocità della parola estroversione,
ansia
Interruzioni dominanza
Prossimità spaziale disturbo mentale,
estroversione,
Nel 1969 fu condotto uno studio sui vari
aspetti della CNV di una serie di malati di
mente osservati in una varietà di ambienti
ospedalieri differenti. Dai risultati si dedusse che ogni canale può comunicare soltanto determinati aspetti della personalità.
La forma del volto è collegata principalmente con l’attrattiva. L’espressione facciale manifesta soprattutto le emozioni
positive e negative e gli atteggiamenti verso gli altri. Anche la voce può assolvere
questo compito, ma in più può comunicare dominanza. Il comportamento spaziale
potrebbe rivelare affiliazione; la componente principale della personalità in correlazione con la vicinanza è l’instabilità emotiva.
La postura rivela principalmente la tensione o il nervosismo e il rilassamento dall’altro, in combinazione sia con la dominanza sia con l’ansia.
I gesti e gli altri movimenti corporei
variano in base a delle dimensioni, alcune
delle quali sono analoghe alle dimensioni
della personalità.
Il legame principale stabilito con la
personalità è rappresentato dalla scoperta che i malati mentali e gli individui
ansiosi e socialmente inefficaci si toccano di più e fanno un minor uso di
gesti diretti verso l’esterno.
Non sembra che il contatto fisico rifletta
alcun aspetto della personalità. L’aspetto
esteriore opera in una maniera abbastanza peculiare: esso è uno dei principali
canali della presentazione di sé.
Gli individui si differenziano anche in
base al controllo del loro comportamento
espressivo, alla capacità di codificazione,
e alla precisione nel valutare le espressioni degli altri.
Una gran parte del comportamento corporeo è regolarmente controllata al fine di
dare agli altri una determinata impressione.
L’immagine che si presenta è spesso
una versione idealizzata del sé reale,
oppure un’immagine che risulterà più
accettabile agli altri.
Secondo Goffman, coloro che interagi-
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scono hanno bisogno di informazioni sulle
rispettive caratteristiche al fine di sapere
come comportarsi reciprocamente. Coloro
che interagiscono si propongono un consenso concorde, mediante il quale raggiungere reciproche percezioni che siano
concordi.
Uno dei modi principali di comunicare le
caratteristiche di sé è tramite l’aspetto
esteriore.
Gli attributi personali che possono essere comunicati sono:
1. Le capacità, intellettuali o d’altro tipo
2. Le credenze e i valori
3. Le qualità e caratteristiche del temperamento
4. L’esperienza passata
5. Il ruolo, come l’occupazione o la classe
sociale.
La CNV nei malati di mente
I malati di mente, indipendentemente
dalla diagnosi, presentano una tipologia
comune di CNV:
- minore espressione facciale, specialmente meno sorrisi
- meno sguardi
- minore vicinanza
- un minor numero di gesti diretti verso gli
altri; un maggior numero di gesti diretti
verso di sé
- espressioni verbali più brevi, meno conversazione.
Vi sono elementi in cui si può riconoscere uno schema complessivo di chiusura.
Questi malati risentono di emozioni negative, quali la depressione e l’ansia, e ne
esibiscono i corrispondenti segnali NV.
Sono stati considerati tre gruppi principali di malati: gli schizofrenici, i depressi e
i nevrotici.
La schizofrenia
Volto – tende ad essere inespressivo,
con alcune smorfie.
Sguardo – alcuni studi hanno riscontrato
un’avversione allo sguardo. Per i bambini
autistici l’avversione per lo sguardo (o forse l’avversione per il volto) costituisce un
elemento cruciale della loro sindrome,
infatti è uno degli indizi che la definiscono.
Spazio – gli schizofrenici hanno bisogno
di maggiore spazio personale rispetto alle
persone sane, specialmente durante uno
stadio acuto, e di solito scelgono posti che
sono più lontani e possono orientarsi in
direzione opposta agli altri, benchè in
qualche caso si siedano troppo vicini.
I gesti – sono più orientati verso il corpo
del paziente stesso, e si può osservare
una più continua ripetitiva auto-stimolazione, ad esempio sfregandosi le dita e le
mani. I gesti possono non essere sincronizzati con il discorso, oppure una parte
del corpo può muoversi a una velocità o
ad un ritmo differenti, o gli occhi possono
Infermiere a Pavia
muoversi indipendentemente.
Postura – gli schizofrenici possono rimanere immobili, oppure possono assumere
posture simboliche.
Voce – il modo di parlare degli schizofrenici si differenzia in vari modi da quello delle persone sane: è più monotono, ha tono
e sonorità più basse, limitata articolazione,
è affannoso, ha poco ritmo ed enfasi.
Aspetto esteriore – Spesso è possibile
riconoscere gli schizofrenici dal loro aspetto trasandato.
Accuratezza di giudizio – scarsa valutazione di espressioni intenzionali di emozioni. Di fronte a indizi vocali e verbali contrastanti gli schizofrenici prestano più
attenzione a quelli verbali. Mentre le persone sane sono più attente al tono della
voce.
Gli schizofrenici non classificano le fotografie dei volti in base alla dimensione gradevole/sgradevole, ma in base alla dimensione della stimolazione: paura, rabbia e
disgusto, contrapposti a tristezza, felicità e
sorpresa.
Alcuni studi rivelano che hanno delle difficoltà a decodificare i volti.
Abilità di decodificazione – gli schizofrenici costituiscono il gruppo meno abile nel
codificare le emozioni in modo che possano essere decodificate dagli altri.
Depressione
Espressione facciale – i depressi presentano prevalentemente volti depressi,
ostentano sorrisi deboli.
Sguardo – le persone depresse guardano meno, tendono a guardare verso il basso.
Spazio – vicinanza ridotta.
Gesti – è stato notato che i pazienti
depressi usano meno gesti illustratori e
più gesti di automanipolazione per esempio pulirsi e grattarsi. Mentre vanno ristabilendosi, i pazienti depressi eseguono
movimenti più complessi, che coinvolgono un maggior numero di parti del corpo,
che risultano più sincroniche.
Postura – quella caratteristica delle persone depresse è con la testa abbassata e
lo sguardo rivolto verso il basso.
Voce – questo è il canale maggiormente
investito dalla depressione: tono e sonorità più basse, minore velocità, profilo tonale discendente e una qualità di voce
monotona, piatta, priva di vitalità. I pazienti depressi parlano lentamente, soprattutto
perché ci sono molte pause prolungate,
probabilmente dovute all’intrusione di
pensieri deprimenti.
Aspetto esteriore – i pazienti depressi
indossano abiti tetri, trasandati e scuri. La
creazione e la confezione di abiti più attraenti è stata usata come terapia con donne
depresse, come pure un miglior uso dei
cosmetici femminili.
Accuratezza di giudizio – le persone
depresse sono in genere più precise nell’individuare le risposte positive da parte
degli altri, rispetto alle persone sane che
tendono a peccare di eccessivo ottimismo.
Abilità di decodificazione – non vi sono
studi.
Nevrosi
Espressione facciale – più le persone
sono nevrotiche, ansiose o disturbate,
meno sono espressive dal punto di vista
facciale, e meno sorridono. Lo stesso vale
per le persone che sono socialmente prive
di abilità.
Sguardo – alcuni pazienti nevrotici, ma
non tutti, presentano avversione per lo
sguardo.
Spazio – le persone più ansiose o più
disturbate si tengono ad una maggiore
distanza dagli altri.
Gesti – i pazienti fanno meno uso di
gesti illustratori e maggior ricorso all’automanipolazione. Gli psicoamalisti si occupano dell’uso di gesti simbolici.
Postura – nessuno studio.
Voce – le persone ansiose presentano
una maggiore discontinuità del discorso,
spesso parlano in fretta, in modo inintelligibile e con espressioni brevi.
Aspetto esteriore – le persone isteriche e
i maniaci vestono in modo eccessivamente vistoso e colorato, non sempre adatto
allecircostanze.
Accuratezza di giudizio – la nevrosi presenta una correlazione positiva con l’accuratezza. I paranoici interpretano meglio le
espressioni spontanee, peggio in quelle
intenzionali nel caso in cui la persona da
giudicare stia per essere sottoposta a
scossa elettrica o ne simuli l’attesa. Ci si è
accorti che i nevrotici tendono a sopravvalutare il rifiuto sociale manifestato verso di
loro o verso gli altri.
Abilità di codificazione – i nevrotici sono
codificatori di emozioni poco abili.
In conclusione, la maggior parte dei
malati mentali evita gli altri anziché cercare di interagire, guarda di meno, sorride di
meno, si avvicina di meno, parla di meno,
produce meno gesti orientati verso gli altri.
Gli schizofrenici sono molto chiusi in se
stessi e rifuggono gli altri. Essi sono
descritti come socialmente falliti. Inoltre
sembrano essere particolarmente inefficaci per quel che riguarda sia l’invio sia la
ricezione di segnali, rispetto ai messaggi
verbali.
La caratteristica predominante della
depressione, ovviamente, è lo stato d’animo depresso, con la relativa faccia, voce e
postura. Spesso essa è causatav dalla
perdita di rapporto affettivo, è contraddistinta da una sensazione di impotenza e di
incapacità a controllare gli eventi, ma
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anche dal fallimento di abilità sociale, e da
un basso livello di retroazione, che rende
ardua la formazione di nuovi legami.
Nella maggior parte delle nevrosi l’ansia
costituisce l’aspetto dominante, e spesso
comprende un’ansia di tipo sociale, che
porta all’inibizione dell’espressione facciale e dei gesti diretti verso gli altri, a una
minore vicinanza e a espressioni verbali
brevi.
I nevrotici sono anche molto impacciati
e sono di conseguenza preoccupati del
loro aspetto esteriore, e rivolgono i gesti
verso se stessi. Molti nevrotici sono carenti per quanto riguarda le abilità sociali, e
non riescono a fare un uso efficace dei
segnali NV, possono quindi essere aiutati
da un addestramento delle abilità sociali.
Il Corpo e le Emozioni
Col termine emozione si intende solitamente significare uno stato che altera
positivamente o negativamente l’equilibrio
psichico. Sono emozioni l’angoscia, la
paura, il disgusto, la gioia, la depressione,
la rabbia, il disprezzo, la felicità e via dicendo.
Si possono anche includere stati più sfumati o “umori”, sentimenti di piacere e
dispiacere, gradi differenti di eccitazione o
di sonnolenza, e l’attivazione e la soddisfazione della fame, del sesso e di altre pulsioni.
James sosteneva che un’emozione è la
percezione che una persona avverte
nelle proprie reazioni motorie e corporee infatti, ad ogni esperienza emotiva corrisponde uno stato fisiologico, un’esperienza soggettiva e una serie di segnali NV.
Una teoria dell’emozione considera
l’esperienza soggettiva come un’interiore
“lettura a voce alta” dello stato interno e
l’espressione come una seconda “lettura a
voce alta” verso terzi.
Conviene distinguere lo stato emotivo
che non è diretto verso altre persone e l’atteggiamento interpersonale che veicola
un’emozione nei confronti di una o più
persone.
Entrambe possono però aver luogo contemporaneamente.
Sull’espressione delle emozioni sono
implicati anche gli schemi culturali.
Per quanto riguarda la CNV il volto è il
canale più informativo nell’espressione
delle emozioni, esistono comunque altre
segnalazioni emotive come i gesti, le
posture, la voce e anche tutto l’aspetto
esteriore.
Le aree principali sono le seguenti:
• Voce bocca, sopracciglia, pelle, movimento facciale
• Occhi apertura oculare, dilatazione
delle pupille, quantità di sguardo
• Gesto forma della mano, movimenti
della mano, mani unite, mani al volto
• Postura tesa o rilassata, erezione della postura, stile dei movimenti del corpo
• Tono di Voce tonalità, velocità, volume, ritmo, difficoltà del discorso.
Con Darwin fu avviato lo studio delle
espressioni emozionali, le osservazioni di
Darwin hanno notevolmente influenzato le
ricerche successive che confermando
l’esistenza di una capacità innata di comunicare le emozioni suggeriscono che la
loro espressività, a livello non verbale, è
condizionata anche dallo stato fisiologico
e dai codici sociali di segnalazione. Ricordiamo a tal proposito che alcune espressioni delle emozioni possono essere considerate segnali sociali inviati intenzionalmente, perché esiste un repertorio di
espressioni condivise nei loro significati.
Tuttavia, tali segnali non riflettono sempre
lo stato emozionale realmente provato. Ci
sono “regole di ostentazione” che controllano le emozioni che si possono esprimere, e spesso ci sono ottime ragioni per non
mostrare quello che si prova.
Sono i segnali non verbali quelli che forniscono informazioni involontarie sull’individuo che li invia, anche se essi possono
essere manipolati in relazione all’opinione
che il soggetto ha di sé, all’immagine di sé
che vuole esprimere.
L’immagine di sé viene definita anche e
più propriamente identità dell’Ego, ed è, in
definitiva, la percezione che il soggetto ha
di se stesso, percezione che si articola nel
nome, nelle sensazioni corporee, nell’età e
nell’appartenenza ad una categoria sessuale.
Tra l’immagine di sé e la presentazione
di sé esiste qualche differenza, ci si presenta con la migliore immagine di sé, cioè
con l’abito della festa.
Le emozioni in tal senso sono controllate e finalizzate per far buona presa sugli
altri ossia gli ascoltatori che captano tali
segnali non verbali e rispondono con una
“sincronia interattiva”, il feedback di ritorno.
Nell’interazione sociale esiste un’ importantissimo feedback: il rinforzo. Se un individuo parla e trova intorno a sé cenni di
consenso, il suo discorso riceverà un rinforzo ed egli parlerà più diffusamente a
lungo.
Il rinforzo è estensibile ad ogni manifestazione biofisiologica. Questo tipo di
osservazioni hanno reso possibile il condizionamento strumentale, il BIOFEEDBACK.
L’espressione delle emozioni in psichiatria.
Le parole, i linguaggi delle emozioni, il
linguaggio del corpo, l’inquietudine, la
memoria, gli stati d’animo, la malinconia,
le increspature dell’anima, l’immaginazione, l’angoscia, la speranza, le sconfinate
ragioni del cuore costituiscono l’oggettosoggetto della psichiatria (da “Le pietre
del silenzio” pagina 111, nella parte terza –
Le ombre ferite delle emozioni, L’arcipelago delle emozioni di E. Borgna – editore
Feltrinelli)
Eugenio Borgna, psichiatra e autore di
diversi libri e saggi, nel suo ultimo lavoro “
L’arcipelago delle emozioni” illustra il
discorso emozionale del corpo, dei volti e
dello sguardo.
Le emozioni, vergogna, nostalgia, tristezza, inquietudine, ma anche la gioia e l’allegria, sono emozioni fortemente interiorizzate che hanno un’alta e diversa, risonanza nei modi di essere del volto e dello
sguardo come sorgenti di comunicazione
e di linguaggio; e su questi modi di essere, sulla trasparenza che c’è in essi ma
anche sull’estraneità che può sconvolgerli
che l’autore si sofferma. Questo perché è
proprio nei volti e negli sguardi che si
imprimono le infinite emozioni che vivono
nei nostri cuori e che, non solo in psichiatria, è necessario conoscere nelle loro
metamorfosi e nel loro significato relazionale.
Il tema dello sguardo e del volto consente di riflettere sia su di una realtà psicologica ed umana nella quale siamo ogni giorno imbarcati sia di confrontarci con i modi
di essere e con le metamorfosi che il linguaggio del corpo vissuto assume nel
contesto delle esperienze psicopatologiche, in particolare delle esperienze psicotiche.
Il volto e lo sguardo sono assunti da E.
Borgna come categorie ermeneutiche,
idonee a farci capire cosa si muova, e
cosa ci sia, nella vita interiore delle persone che soffrono di malattie dell’anima.
Tratteggia nello specifico due realtà cliniche, la malinconia e l’esperienza psicotica per eccellenza la schizofrenia, facendo risaltare la fenomenologia degli sguardi e dei volti profondamente diversa.
Presenta la malinconia come una realtà
clinica, ma anche uno stato d’animo che è
necessario riconoscere e distinguere nei
suoi diversi significati.
Il volto e lo sguardo della malinconia,
sembrano essere segnati dall’inquietudine
e dallo smarrimento, dal trasalimento e
dall’annebbiamento. Un’altra immagina
rimanda a volti infinitamente perduti e infinitamente destinati alla ricerca di identità
scisse e disfatte, ma rimanda anche alla
solitudine ed all’estraneità dell’io che si
distacca dal mondo comune, dell’intersoggettività e riprecipita nell’isolamento di
immagini smondanizzate.
Esamina Borgna, testi figurativi, nei quali la malinconia si costituisce come leitmo-
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tiv tematico riempendo di sé volti e sguardi:
“…occhi perduti in lontananze irragiungibili, …espressioni segnate dalla malinconia e dalla nostalgia, dal dolore e dal fluire
inarrestabile delle cose …”.
Nella malinconia clinica il volto testimonia i un’angoscia e di una corrosione rapace, di una sospensione attonita di ogni
emozione e di uno stravolgimento dello
sguardo che non sembra più aprirsi alla
speranza e alla comunicazione. Il modo di
essere straziato del volto e dello sguardo
nella malinconia permettono di cogliere la
dimensione della sofferenza e della desolazione e ancora, l’attesa degli sguardi
degli altri, del nostro sguardo e …”del mio
sguardo” perché possano raccogliere la
sfida del silenzio e del deserto (apparente).
Nei volti scavati dalla depressione non è
più possibile sorridere ma non è nemmeno più possibile piangere.
Nell’esperienza psicotica della schizofrenia, la fenomenologia degli sguardi e
dei volti cambia profondamente poiché
l’esperienza psicotica trascina con sé una
metamorfosi radicale della vita emozionale
e della vita interiore, dei modi di vivere nel
mondo delle persone e delle cose, e dei
modi di immaginare e di pensare il mondo.
Cambia la fisionomia del mondo interiore, e cambia contestualmente quella del
mondo-ambiente.
Esperienze psicopatologiche, come
quella dell’estraneità, dell’ambivalenza,
della dissociazione, della frattura dell’identità storica e personale, dilagano nella vita
interiore, e possono spezzare la concordanza espressiva del volto e dello sguardo: a un volto macerato e divorato dall’angoscia si può accompagnare uno sguardo
con un’altra tensione emozionale, con un
altro orizzonte intenzionale, con un’altra
connotazione tematica.
Vi sono quindi infinite espressioni degli
stati d’animo, che si riflettono immediatamente nei modi di essere dei volti e degli
sguardi, anche nel contesto di una esperienza psicotica benché in essa prevalgono espressioni accese, incandescenti,
esasperate e radicalizzate.
Gli sguardi, nella malattia, non riconoscono più i volti degli altri e le linee tematiche del mondo sensibile e … per essere
decifrati, hanno bisogno che ciascuno di
noi abbia a cambiare il suo proprio modo
di guardare e sorridere, di stendere la
mano e di adombrare solidarietà e comprensione. Questi sono cammini ermeneutica che consentono di capire qualcosa di
quello che avviene nel mondo psicotico
attraverso i volti e gli sguardi soffocati dalla sofferenza.
In questi volti e sguardi si colgono
Infermiere a Pavia
disperazione e angoscia che hanno un
significato e valore di risposta emozionale
che la metamorfosi psicotica trascina in
sé.
Bleuler ha drasticamente sostenuto
come nella schizofrenia non si ha solo la
presenza di uno sguardo “malato”, di uno
sguardo psicotico, ma si ha soprattutto la
presenza di uno sguardo disperato e supplicante che chiede aiuto, che chiede
disponibilità dialogica, di amore, di contatto umano.
E come se, rispecchiando nel suo
sguardo e nel suo volto disperazione e
speranza, fiducia e inquietudine, il paziente intende richiamare o ridestare l’aiuto e
l’amore delle persone che vivono accanto
e delle persone che si propongono di
essere portatrici di cura e di salute.
L’angoscia psicotica traccia confini invalicabili che non consentono interscambia-
bilità di esperienze e che raggelano i volti
e gli sguardi. Nonostante tutto, nelle infinite forme dello sguardo e nei volti imprigionati negli artigli roventi dell’angoscia si
intravedono poi, brandelli di luce e di
nostalgie disperate, frammenti di una speranza…
Il discorso emozionale del corpo nella sofferenza psichiatrica
Borgna tematizza alcuni dei problemi
che, nel discorso della psicopatologia, riemergono nel contesto delle modificazioni
nell’esperienza del corpo in alcune emblematiche situazioni: la condizione depressiva, mutevole nei suoi contenuti e nelle sue
forme di espressione, e la condizione dissociativa, radicale nelle lacerazioni dell’identità e della continuità storica dell’io.
Le emozioni, i modi di vivere le proprie
emozioni, si rispecchiano nei modi di
essere, nei modi di trasformarsi, del corpo:
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del corpo vissuto; e molte emozioni inespresse verbalmente possono essere
decifrate solo analizzando questi modi di
essere, queste inesauribili metamorfosi
del corpo.
È possibile interpretare il linguaggio
del corpo, i suoi diversi linguaggi, educandosi ad ascoltare le persone e intravedere le regioni segrete dei volti e
degli sguardi: gli orizzonti sconfinati
della vita emozionale così lontani da
quelli della vita razionale.
Il corpo, sottolinea l’autore, è abitualmente tenuto lontano dal discorso della
psicologia e della psicopatologia che
rigettano il tema del corpo nel contesto
della stomatologia: della medicina cioè
che si occupa delle malattie corporee o
organiche; per questo il concetto di corpo
è spesso ridotto a quello di corpo-cosa e
di corpo-oggetto.
La fenomenologia ha riscattato il corpo
dalla sua oggettivazione e recuperato nella fondazione psicologia ed umana.
Gli studi iniziali di Binswanger, Plugge e
Straus hanno delineato nuove prospettive,
in psichiatria, nella conoscenza del corpo.
Da questi studi sono derivate concrete
indicazioni per la comprensione di alcune
significative modalità di essere del linguaggio del corpo, e di alcune loro modificazioni, in esperienze psicopatologiche,
neurotiche e psicotiche.
La parola si spegne, o almeno si inaridisce, in alcune forme depressive e in alcune forme dissociative, e allora non si salva
se non il linguaggio del corpo.
Non c’è solo il corpo-oggetto ma c’e
anche il corpo-soggetto che è il corpo vissuto (il corpo vivente): il corpo intenzionale che non ha nulla a che fare con il corpo
ridotto a cosa delle scienze naturali.
Il corpo-soggetto, il corpo vissuto, è nel
mondo ma, in forma più incisiva, abita il
mondo.
Ovviamente, parlare di un corpo che si
apre al mondo e che abita il mondo significa sfondare il senso arcaico di un corpo
chiuso, e murato in se stesso, e riportare il
corpo nella categoria dell’intersoggettività.
Il cambiamento del corpo è di conseguenza il cambiamento del mondo, del
modo di stare al mondo della vita e l’adolescenza vive pienamente questa problematica, questa rivoluzione del corpo nel
passaggio dalla preadolescenza, nella
realtà dilemmatica tra corpo-vivente, corpo-cosa, corpo sessuato nel senso,
riprende Borgna, di corpo come apertura
all’altro.
Nelle situazioni di crisi (neurotiche e psicotiche) la disfatta nella percezione del
proprio corpo si manifesta emblematicamente nell’adolescenza.
Nell’adolescenza, più che nell’età adul-
ta, si è nel mondo attraverso, e mediante il
corpo e il corpo si ammala nella misura in
cui il cambiamento non abbia luogo: non
sia adeguato.
Nel cambiamento si realizza un modo
diverso di abitare il mondo con il proprio
corpo. L’adolescenza rappresenta il
momento di cambiamento più profondo in
cui si possa cadere nel cammino della vita.
L’essere nella crisi significa non poter
vivere con il corpo che si ha, e nondimeno
non riuscire a entrare nel corpo che è altro
da quello di prima.
Nella crisi, l’immagine del corpo può
determinare una dilagante inquietudine e
giungere sino alla perdita della propria
identità.
La tendenza a guardarsi e ri-guardarsi
disperatamente nello specchio, nell’illusione di cancellare, di vedere dissolversi, ciò
che è vissuto come difetto, testimonia di
questo collasso (disfatta) dell’identità storica (personale).
Si crea un dilemma fra il modo di essere
del corpo pre-adolescenziale, che non si
vuole perdere, e il modo di essere del corpo post-adolescenziale, che incombe
come realtà contestualmente ricercata e
rifiutata. Questa contraddizione o ambivalenza angosciata può condurre nel solco
della crisi sino ad una radicalizzazione della struttura dilemmatica: nel contesto di
un’immagine corporea che si frantuma
dissociandosi fra il corpo slanciato ed etereo della pre-adolescenza e il corpo che
via via si fa sessuato del post-adolescenza.
Quando la dissociazione è conseguenza di una radicale esperienza psicotica, il
corpo si destituisce della sua unità e della
sua identità giungendo ad essere il corpo
che non ha più confini, sommerso dagli
altri da sé.
Le cose possono ulteriormente diventare più complesse, non solo il corpo è vissuto nella sua dissociazione e frantumazione, ma non è più il “mio” corpo ma il
“possibile” corpo degli altri.
Nelle crisi di maturazione adolescenziale e in particolare nelle crisi adolescenziali
psicotiche, il corpo non svolge più la sua
funzione di mediazione fra l’io e il mondo.
L’esperienza del corpo, i modi di vivere
del corpo, sono ineliminabili da ogni psicopatologia. È importante valutare nella
vita di un paziente come il corpo vissuto
(l’esperienza soggettiva del corpo) si sia
articolato nel corso dell’esistenza e come
la comunicazione fra l’io e il corpo, fra il
corpo e il modo, si sia venuta sviluppando
o franando.
Vi sono esperienze psicopatologiche in
cui il corpo si fa “oggetto” però è bene evidenziare che nulla è statico nella vita psichica, ma ogni esperienza si intreccia e si
confonde con ogni altra esperienza e i
modi di fare esperienza cambiano con le
situazioni. Questo avviene anche nel contesto delle forme di vita psicopatologiche
nelle quali, fino a quando non si giunga
all’immobilità e alle pietrificazioni artistiche, non è possibile applicare schemi teorici rigidi o generalizzazioni astratte: il corpo vivente e il corpo-cosa si possono pensare come due orizzonti ideali ai quali
l’esperienza del corpo “sano” e del corpo
“malato” si avvicinano, o dai quali si allontanano.
Nelle esperienze neurotiche (per esempio quella ossessiva e isterica) e psicotiche (quella depressiva e quella schizofrenica), ma anche in alcune malattie somatiche, il corpo si trasforma da “soggetto di
intenzioni a oggetto di attenzioni”.
Nel confronto con il problema della
depressione in psichiatria, è necessario
tener presente come un paziente viva, o
riviva il proprio corpo al fine di comprendere nella condizione umana depressiva la
difficoltà, o l’impossibilità, a entrare in relazione con il mondo. Il linguaggio del corpo
entra in crisi (prima quello della parola) e
via via si opacizza, non riesce più a trasmettere emozioni, tende a inaridirsi ed a
svuotarsi. Non si ha più il desiderio di partecipare alla vita.
Le modificazioni dell’esperienza del corpo nella schizofrenia sono più complesse
e sconvolgenti rispetto alla depressione.
Nel mondo della vita schizofrenico sono
molte le modalità distorte di vivere e rivivere il corpo: la frantumazione, l’etereità, la
leggerezza scarnificante e la dissolvenza,
la mineralizzazione e la corrosione dei
confini del corpo, che non delimitano più il
corpo dal mondo ma che possono essere
sommersi dalle cose del mondo, sono tra
le più frequenti e le più emblematiche
metamorfosi nella percezione del proprio
corpo.
Il corpo non ci appartiene più, il corpo
mondanizzato che si fa cosa del mondo.
Dall’etereità e dall’estraneità del proprio
corpo (corpo unito e compatto ma privo di
significato, lontano e inconoscibile, inafferrabile e ignoto, presente alla coscienza
come dato di conoscenza ossia realtà
geometrica e non come esperienza immediata e vissuta) si può passare alla decomposizione e frantumazione del corpo prima
che abbia a delinearsi come silenzio e
immobilità, per esempio nell’esperienza
catatonica.
L’autore
* Infermiera
Centro Diurno - Polo Psichiatrico Torchietto
Azienda Ospedaliera Pavia
18
PAGINA
Infermiere a Pavia
INCONTRARE IL CORPO …
L’Espressione Corporea nella Riabilitazione Psichiatrica
Polo Psichiatrico Torchietto – Azienda Ospedaliera di Pavia
Settembre 2003 - Settembre 2004
a rafforzare la consapevolezza
necessario pensare a spazi
Angela:
del proprio corpo.
che consentano il rafforzamen“Bellissimo, stavo
La riabilitazione a tal fine si
to del senso di identità e delmale e avevo le
avvale di interventi di tipo
l’autonomia, che diano la posallucinazioni. Sono
espressivo (individuale e di
sibilità di sperimentare la concontenta di essere
gruppo) e di tipo motorio (indidivisione e l’appartenenza.
riuscita a portare a
viduale o di gruppo) già elenLA RELAZIONE: gli aspetti
termine comunque il
cati e definiti precedentemenrelazionali devono essere il
saggio”.
te.
cardine del lavoro riabilitativo,
“Mens sana
Uno dei privilegi dell’essere
la cui bontà dipenderà dalle
Donatella:
umano
è la sua capacità di
tecniche,
dalle
strutture
a
in corpore sano”
“Mi è costato fatica,
essere creativo, che emerge
disposizione, ma sarà influenma sono contenta di
dalla prima infanzia e si manzato in prima istanza dalla relaaverlo fatto e
tiene in un modo o nell’altro
zione interpersonale fra utenti
soprattutto di essere
per tutta la vita.
e operatori. E’ importante quinriuscita a farlo”.
Le persone con disabilità fisidi che l’operatore sviluppi la
che e/o mentali non fanno
propria sensibilità, imparando
eccezione, né gli operatori o i professionia riconoscere e gestire le emozioni che la
sti che lavorano con loro.
relazione stessa fa nascere in lui e nel
La nostra capacità creativa può essere
paziente,
vivendole
in
maniera
autentica,
LA DOTTRINA …
molto sviluppata o, al contrario, può essema allo stesso tempo sapendosene
La sofferenza psichica è un’esperienza
re un potenziale ancora ampiamente inedistanziare. Stiamo parlando dell’empatia,
isolante in cui si alterano i tre parametri
splorato.
quel particolare modo di percepire lo stato
fondamentali di rapporto con la realtà:
Le attività non dovrebbero essere esepsichico di un’altra persona fondato non
IL TEMPO: quando si parla di lavoro riaguite meccanicamente, perché l’esecuziotanto su una comprensione intellettuale
bilitativo non si può considerare soltanto il
ne di un movimento meccanico può
ma essenzialmente su una “conoscenza
tempo dell’orologio, esiste un tempo visaccentuare maggiormente la scarsa conemotiva” dell’altro. Questo è il presupposuto, un tempo interiore che è necessario
sapevolezza del proprio corpo ed il consto fondamentale su cui costruire l’alleancomprendere. In riabilitazione il tempo è
cetto e la percezione di sé.
za terapeutica.
scandito dal paziente, dalla patologia, dai
L’uso della voce, del contatto fisico e di
Lo sviluppo della persona umana
mezzi a disposizione, dalle strutture, dal
altri canali verbali, la musica (mezzo stimotipo di intervento. Molto spesso il tempo
dipende dalla capacità e dalla possibililante ed efficace) sono di grande aiuto per
dell’istituzione non coincide con il tempo
tà di acquisire, organizzare e utilizzare tutdescrivere in modo chiaro e armonioso
necessario alle persone per ritrovare senta una serie di informazioni essenziali
ogni attività.
so, desiderio, capacità di fare; per fare
riguardo a se stessi. E’ in questo modo
Il presupposto più importante in questi
buona riabilitazione bisogna garantire
che le persone familiarizzano con il prointerventi di tipo espressivo-motorio è la
questo tempo.
prio corpo e imparano ad usarlo.
volontà di pensare e agire in maniera tale
LO SPAZIO: così come esiste un tempo
Tuttavia, vi sono persone che, per motivi
da far vivere all’altra persona una espevissuto esiste anche uno spazio vissuto,
più vari, hanno difficoltà nel ricevere ed
rienza positiva di rapporto interpersonale,
inteso come spazio personale, di fantasia,
elaborare queste informazioni. Il loro intedi vicinanza, di contatto appunto.
distanza-prossimità che consentono proragire con l’ambiente circoNon devono mancare coinvolgimento
spettive e cambiamento. E’
stante risulta così limitato e, di
personale e sensibilità da parte degli opeGiuseppe:
necessario prestare molta
conseguenza, l’immagine che
ratori che istruiscono. Importante è anche
“Divertente e
attenzione alla strutturazione
sviluppano del proprio corpo
utilizzare qualsiasi programma e materiale
stancante, il
degli spazi perché siano spazi
può essere distorta. Non riein modo significativo (per temi), come parpomeriggio
ho
abitati e non solo attraversati,
scono a controllare i movimente di un approccio unitario e integrato (olidovuto dormire”.
spazi dove ci sia il rispetto dei
ti ed hanno problemi di comustico) alla persona.
territori del sé e della “distanza
nicazione, ciò può generare un
Violetta:
vissuta” cioè di quell’area persenso di insicurezza e di umiltà
GLI OBIETTIVI NELL’ESPRESSIONE
“Non mi sono
sonale nella quale ci si può
oltre che disturbi emozionali
CORPOREA
SONO:
muovere sentendosi sicuri sen- piaciute le sciarpe. Il che ostacolano ulteriormente
Sviluppo
della
persona
lavoro di un anno è
za l’ansia che nasce dal sentirla possibilità di uno sviluppo
Sviluppo mentale
stato
bello
e
sono
si spaesati in un luogo indeterarmonioso.
Sviluppo artistico
stata bene”.
minato.In
riabilitazione
è
E’ dunque importante mirare
Annamaria Tanzi*
Numero 2/2005
19
PAGINA
Sviluppo della Persona
L’espressione corporea per:
- Affrontare la spontaneità che significa
ascolto interno, padronanza
d e i
mezzi espressivi, autoaccettazione eliminando la paura di mostrarsi come si è
- Confronto costante e dinamico con le
proprie capacità
- Provare piacere
- Avviare un processo di cambiamento
che potrebbe prolungarsi nella vita quotidiana
- Scoprire le proprie possibilità e prendere coscienza dei propri limiti
- Vivere lo spirito di gruppo per promuovere il rapporto interpersonale, la conoscenza dell’altro, la collaborazione, la
Sviluppo Artistico
• dimensione spazio-temporale disturbata
comprensione delle difficoltà altrui e la
• difficoltà a sentire l’unità corporea e
fiducia nell’Altro
L’espressione corporea per:
un’accettazione vera e profonda del cor- Imparare l’autonomia per il rispetto di sé
- Stimolare e sviluppare armoniosamente
po
stessi e degli altri
la sensibilità artistica approfondendo
•
difficoltà a scoprirsi e scoprire il proprio
- Conoscere, modificare, accrescere l’iml’espressione corporea in termini di temcorpo
in una dimensione diversa
magine di sé per avere nuove possibilità
po, spazio ed energia
• difficoltà a provare piacere e gioia del
di entrare in relazione con gli altri e con
- Affinare l’intuizione, lo spirito critico e stimovimento
l’ambiente esterno, uscire dai ruoli
molare la creatività.
• difficoltà ad esprimersi con il corpo ed a
- Piacere di scoprirsi e di scoprire il proL’ESPERIENZA …
comunicare attraverso il corpo
prio corpo in una dimensione diversa,
• difficoltà nelle funzioni cognitive: memoNel Settembre 2003, utilizzando dappriprovare la gioia del movimento in sé e
ria, attenzione, concentrazione
ma la piccola palestra del Polo
della relazione dello spazio,
•
difficoltà nella coordinazione delle diverPsichiatrico
Torchietto
a
Pavia
il tempo, l’Altro
Ester:
se parti del corpo
- Sentire l’unità corporea per “Mi sono piaciute le e successivamente per esigen• difficoltà a controllare il movimento ed a
una accettazione vera e pro- coreografie. E’ stato ze di uno spazio fisico più
dirigerlo sui contrari (dentro/fuori –
ampio
il
salone
del
Centro
fonda del corpo.
pesante per me e
alto/basso e lateralità sinistra/destra).
Diurno, ho avviati una espesono molto stanca.
Sviluppo Mentale
A tutto questo si possono aggiungere
Comunque è andato rienza motoria con gli ospiti del
L’espressione corporea per:
abulia,
indifferenza, depressione, ansia,
Centro
Diurno,
della
Comunità
bene anche se non
- Allenare la concentrazione siamo stati perfetti”. Protetta e del Centro Riabilitatipaura della prestazione, scarso controllo
per fermare il filo del pensiedelle emozioni, spesso inadeguato grado
vo Terapeutico, le tre strutture
ro procurando un certo rilasdi adattamento alla realtà e incapacità di
intermedie
situate
all’interno
Francesco:
samento
sopportare frustrazioni.
del
Polo.
“Il lavoro che
- Avere una possibilità di aperTuttavia la presenza degli utenti, alla
L’obiettivo era quello di
abbiamo fatto mi è
tura mentale
seduta
settimanale della durata di un’ora,
costituire
attraverso
il
gruppo
piaciuto e mi ha
- Strutturare il pensiero e affiè
stata
quasi
sempre garantita e le assenuna
possibilità
di
relazione
che
divertito. Mi è
nare il senso di osservazione
ze erano giustificate da impegni inderogamettesse in primo piano l’agito
spiaciuto non aver
- Migliorare l’attenzione
bili e/o problemi di salute fisica più che
piuttosto che il verbale e
partecipato al
- Sviluppare l’apprendimento
mentale.
ponesse
l’attenzione
sul
corpo
filmato, spero di
e mettere in pratica ciò che si
Il lavoro è stato organizzato per fasi: nelcome progressiva conoscenza
poter fare il saggio
è appreso
la prima fase, dopo un momento di accoe consapevolezza di sé.
anch’io perché ci
- Modificare alcuni comportaglimento e di saluti, si è cercato di stabilire
Un progetto riabilitativo non
tengo”.
menti sostituendo certe abiun rapporto, un contatto attrastrutturato sul comtudini mentali
verso il corpo, il movimento e
portamento patologico delGregorio:
- Aumentare il grado di controllo delle
la comunicazione non verbale
l’utente, ma sull’individuo nella
“Mi è piaciuto”.
emozioni, il grado di adattamento alla
con una fase iniziale di riscalsua interezza, quindi il movirealtà, la capacità di sopportare frustradamento, una fase centrale di
mento come mezzo di educaCarlo:
zioni
esercizi a corpo libero indivizione globale della personalità.
“E’ stato bello e mi
- Acquisire la capacità di decidere ed agiduali e in coppia per permetteSi è sempre cercato di valosono divertito”.
re autonomamente
re il contatto con l’intera superrizzare il potenziale di salute
- Vincere abulia, indifferenza, depressioficie corporea e in seguito eserpresente nel soggetto.
Alessandro:
ne, ansia, paure, insicurezze,…
All’attività hanno partecipato “Ci siamo divertiti, ci cizi in gruppo che hanno con- Scaricare tensioni, aggressività ed il
sentito di accedere ad una
quindici utenti eterogenei per
siamo applicati
bisogno di scoppio
maggiore intimità e identità
sesso, età e diagnosi psicopatanto, ce l’abbiamo
- Sviluppare l’autostima
gruppale con incremento del
tologica, che presentavano in
messa tutta. La
- Esteriorizzazione delle proprie sensaziosenso di appartenenza.
toto e/o in parte:
musica era troppo
ni ed emozioni attraverso il movimento
Una seconda fase ha preso
• difficoltà di relazione con l’Allenta per me, mi
del corpo.
in considerazione il gioco
tro
faceva dormire”.
20
PAGINA
Infermiere a Pavia
soprattutto con la palla; le vocalizzazioni;
esercizi per stimolare e sviluppare la percezione di sé e quindi, esercizi di ritmo,
tempo, spazio ed equilibrio ed esercizi sulla lateralità e sui contrari; esercizi per il
controllo e la distensione dell’ipertono
muscolare attraverso una ginnastica dolce
dalla testa ai piedi e viceversa.
Ampio spazio ha avuto la respirazione,
la conoscenza delle fasi di inspirazione ed
espirazione e l’attuazione di esercizi corretti a favorirle. Rispetto alla respirazione
gli utenti sono stati aiutati a divenire consapevoli di questa funzione vitale per il
controllo della stessa sulla sfera affettiva
ed emotiva, considerato che è l’unica funzione corporea che ogni essere è in grado
di modificare volontariamente.
Sono stati utilizzati sempre strumenti
quali: la musica, il ritmo, il suono, il gioco
ed oggetti attivatori di azioni e movimento.
Durante queste prime fasi è stata posta
molta attenzione a creare un con testo
emotivo piacevole e via via questo ha perfinale ha evidenziato un’attivaseduta e cioè oltre un’ora, è
messo l’espressione delle emozioni , una
Anna:
zione della memoria, dell’attenstato
stabile
e
coeso,
attento
e
gestualità sempre meno stereotipata, un
concentrato sul compito e sul- “Mi sono divertita, la zione, della concentrazione; ha
controllo dell’ansia derivante dal senso di
la preparazione delle coreogra- compagnia bella, la sviluppato l’apprendimento a
contenimento nel gruppo oltre che dallo
coreografia è stata
mettere in pratica ciò che si è
fie a corredo del saggio finale.
stare in uno spazio definito e chiuso, un
bella”.
appreso, a rompere il silenzio o
Il
predetto
saggio
è
stato
discreto controllo dei movimenti nel tempo
il rumore interno e a rompere il
svolto due volte, una prima vole nello spazio richiesto e infine, un attegAnnamaria:
silenzio
con l’esterno … con
ta
presso
la
palestra
dell’Acagiamento di fiducia nei confronti di noi
“La società di oggi è l’Altro, con il mondo della vita,
demyScuola
di
Danza
Clasoperatori.
ssica in Pavia che ha permesso portata alla bellezza, ad interrompere l’abulia, la triOgni seduta è stata sempre completata
la realizzazione del filmato ed il la nostra, nonostante stezza, la frammentazione, a
da una fase di rilassamento e da una fase
i nostri problemi, al
calmare le tensioni e talora i
montaggio dello stesso in un
finale con la verbalizzazione dei vissuti delsignificato. Ci siamo bisogni di scoppio.
DVD
e
una
seconda
volta
nel
l’utente nel corso dell’incontro, attraverso
Il lavoro finale ha stimolato e
Centro Diurno alla presenza di sentite persone, ogni
il racconto delle proprie emozioni e sensamovimento lo
sviluppato
armoniosamente la
tutti
gli
operatori
del
Torchietto.
zioni.
abbiamo sentito
sensibilità
artistica approfonQuesta
esperienza
è
durata
Man mano che l’espressività personale
dentro, con un
dendo l’espressione corporea
un anno esattamente, nell’arco
diventava sempre più articolata, ho incredi questo tempo sono emersi significato, non solo in termini di tempo, spazio ed
mentato la complessità del lavoro sino a
cambiamenti sia a livello moto- per pura bellezza del energia ed ha contribuito a
decidere insieme agli ospiti della possibiligesto”.
“tirar fuori” la creatività.
rio sia a livello relazionale.
tà di finalizzare l’attività del 2004 in un sagLa
maggior
parte
delle
pergio.
Incontrare il corpo …
sone partecipanti, ha migliorato o reso
Ho utilizzato delle basi musicali tratte da
nell’intervento riabilitativo significa offrire
possibile la propria coordinazione motoria,
tre audio-cassette comprese in un lavoro
la possibilità di sperimentare il proprio corha
imparato
ad
avere
confidenza
con
il
ritteorico sulla motricità e musicoterapia nelpo, di sentirlo e usarlo per entrare in relamo, ad affrontare il problema del tempo ed
l’handicap fisico grave. Su ognuna della
zione con se stessi e con gli altri, vuol dire
a rispettare il tempo, ad usare tutto lo spabasi musicali è stato ideato
anche veicolare esperienze relazionali
zio
fisico
e
mentale
per
armonizun movimento in sintonia con
socio-affettive e cognitive. Una “ri-esplorazare
l’incontro
tra
mondo
interno
Silvia:
il pezzo; le basi finali scelte
zione del mondo” per ri-appropriarsi di
sono state sistemate in CD in “Il filmato si è svolto e mondo esterno, a confrontarsi
conoscenze e riprendere ad aver fiducia
in
modo
costante
e
dinamico
una sequenza ordinata rispet- in un ambiente molto
nelle proprie capacità.
con
le
proprie
capacità,
a
scopribello. Ci siamo
to alle diverse parti del corpo
re piacevolmente le proprie posmossi in maniera
ed alla sua plasticità e modelsibilità e a prendere coscienza
lodevole. Mi è
labilità per dare … MOVIdei propri limiti, a sentire l’unità
piaciuto molto”.
MENT in MUSICA.
corporea, a recuperare la sponIl gruppo in questo difficile
taneità e soprattutto a divertirsi e
Nadia:
lavoro, basato sulla continua
provare piacere, un piacere che
“Mi è piaciuta la
ripetizione dei movimenti,
L’autore
riguarda anche l’essere in un
compagnia
del
ascolto delle medesime musi* Infermiera
che in un arco di tempo di gruppo, il luogo del gruppo di persone per condiviCentro Diurno - Polo Psichiatrico Torchietto dere emozioni e conoscersi.
filmato era
ben sette mesi e sulla dilataAzienda Ospedaliera Pavia
Su
un
piano
squisitamente
zione della durata di ogni accogliente e bello”.
cognitivo e mentale, il saggio
21
PAGINA
Numero 2/2005
La comunicazione
il corpo e la parola
Giovanni Calloni *
Lucrezia Bravo **
La figura che ha maggiore contatto con
le persone in condizione di malattia è senza dubbio l’infermiere. È presente nelle
diverse articolazioni della struttura sanitaria e accompagna le diverse fasi della terapia. Ha una funzione di raccordo tra le
molte figure specialistiche e si rapporta
spesso con tutte le figure coinvolte, anche
all’interno della famiglia del malato.
Le occasione di interazione con le persone in condizioni di malattia sono perciò
molteplici, giocate su livelli molto diversi e
ricchi di implicazioni interpersonali.
A queste componenti più esclusivamente assistenziali si debbono aggiungere tutte le funzioni gestionali che gli infermieri
svolgono e che sono sempre più frequentemente richieste ed attestate.
Queste ultime richieste gestionali, oltre
alle competenze tecniche di base, mettono in grande risalto la necessità di poter
svolgere funzioni di mediazione e di motivazione: tutte componenti professionali
che richiedono attrezzature comunicative
adeguate.
Stiamo parlando della necessità di dotare le persone di strutture specifiche che le
pongano nella condizione di utilizzare al
meglio le occasioni di interazione personale e di saper direzionare le proprie
modalità comunicative al fine di far arrivare al destinatario della propria comunicazione esattamente il messaggio che si
desidera che arrivi.
È interessante sottolineare che una possibile chiave di accesso utile è costituita
dal fatto che la figura infermieristica lavora
sulla dimensione comunicativa e che ha
una dotazione di base sufficiente per farlo.
Proprio a partire da questa consapevolezza possiamo lavorare per migliorarne l’efficacia e per dotarla di strumenti ulteriori.
Stiamo parlando delle modalità concrete con le quali formuliamo le nostre comunicazioni: ci riferiamo alle parole che utilizziamo per tradurre le nostre intenzioni.
Certamente abbiamo fatto l’esperienza
di riuscire ad entrare in maggiore sintonia
con alcune persone e meno con altre; esiste la possibilità di comprendere quali
sono le strutture specifiche che ci hanno
permesso di realizzare le interazioni
migliori per poterle poi riprodurle al
momento più opportuno.
Abbiamo sicuramente sperimentato,
nella nostra pratica professionale, persone
che sanno mantenere un assetto maggiormente utile alle funzioni svolte e persone
che più facilmente si trovano a sperimentare situazioni di difficoltà: è possibile capire le modalità specifiche utilizzate da noi
stessi e da altri nei momenti di forza e di
efficienza e, successivamente, renderle
disponibili per noi stessi e per gli altri.
Partiamo dal presupposto che tutte le
prestazioni dotate di grande efficacia possono essere comprese nei loro elementi
costitutivi per poter essere riproducibili e
disponibili per tutti coloro che se ne
vogliono avvalere.
Esistono parole per esprimere qualsiasi
concetto ed esiste soprattutto un modo di
utilizzare le parole che ci permette di dire
ogni cosa nel modo più utile ed efficace.
Questo aspetto riguarda i messaggi inviati
a livello non verbale: i nostri gesti, le
posture che assumiamo, gli spazi che
occupiamo, il tipo di contatto fisico che utilizziamo ecc. svolgono diverse funzioni
all’interno dei processi di codifica e decodifica di un messaggio. Frequentemente
confermano, sostengono, rinforzano le
nostre parole, altre volte risultano incongruenti e la comunicazione diviene contraddittoria.
La comunicazione rappresenta il mezzo
che ci permette di entrare in relazione con
le persone: un processo che comporta
una interazione tra i soggetti comunicanti.
In questo caso si tratta di comunicazioni
in contesti di cura, dove la relazione infermiere paziente di tipo asimmetrico è motivata da uno stato di bisogno.
“Una definizione più articolata dei concetti di salute o di malattia implica un
approccio con il paziente di tipo nuovo,
centrato più sul rapporto interattivo che
sull’analisi del sintomo, che prevede
accanto alla tradizionale esperienza medica, anche una competenza di tipo comunicativo..” [Ricci Bitti e Caterina, 1991]
L’operatore sanitario, si trova costantemente in relazione con persone che vivo-
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PAGINA
no uno stato di sofferenza dove la paura, il
dolore, l’impotenza, la malattia generano
processi relazionali a volte complessi da
gestire.
La complessità è determinata principalmente dal bisogno di essere ascoltati, da
un lato, e il desiderio di ascoltare, dall’altro. È la sfera delle emozioni.
Le emozioni si esprimono primariamente attraverso la via corporea regolano
l’energia nel campo individuo ambiente,
sono mezzi unici dell’esperienza e non
possono essere sostituite, le emozioni
hanno un posto particolare nell’architettura globale della mente, perché stanno
all’intersezione fra la dimensione cognitiva, quella biologica e quella sociale.
La possibilità di porre maggiore attenzione al corpo, ai diversi messaggi inviati
ed a quelli ricevuti permette di attraversare
il complesso mondo della relazioni interpersonali evidenziandone gli aspetti emotivi che entrano in gioco.
Nelle relazioni le emozioni acquistano
un significato molto importante e complesso non riducibile a semplici attribuzioni di
significato a gesti o movimenti o alle singole parole: si tratta di un processo dove
due o più persone si incontrano attraverso
una sottile trama di segni che si influenzano, si attivano o inibiscono, si confondono
o differenziano, si completano, si rispecchiano. Una trama non riproducibile se gli
attori della relazione cambiano.
Una trama composta di sguardi, espressioni facciali, contatti, vicinanze, parole,
tempi.
Il corpo non smette mai di comunicare, i
canali non verbali, accompagnano ogni
messaggio verbale e svolgono una parte
molto importante nelle relazioni umane: il
corpo invia messaggi sullo stato emotivo
della relazione in corso, essendo in contatto diretto con il vissuto emozionale.
Nello scambio verbale e nelle diverse
forme di contatto/comunicazione tra infermieri e pazienti, favorire la possibilità di
assumere un atteggiamento di ascolto ed
il riconoscimento consapevole del linguaggio corporeo personale e dell’altro
permette di creare quelle condizioni che
facilitano fiducia, collaborazione, disponibilità, alleanza che rendono efficace l’inte-
Infermiere a Pavia
razione in rapporto agli obiettivi professionali che l’intervento clinico richiede.
La malattia è sempre fonte di disagio, di
ansia di preoccupazione o comunque
comporta uno stato di adattamento della
persona, una fase di passaggio delicata.
Le emozioni e i sentimenti dei pazienti
emergono nell’assunzione di posture, nella ricerca/ rifiuto di contatto, nel tono della
voce, dal tipo di sguardo durante i diversi
momenti di uno scambio.
Pensiamo a quanti gesti, contatti, sguardi, a quante emozioni, parole a volte difficili da dire, a quanti silenzi pieni di significato un operatore, che si occupa di persone in stato di malattia, attiva e riceve generalmente in modo inconsapevole.
La sensibilità verso i segnali non verbali
sviluppa il potenziamento della capacità
degli operatori di relazionarsi al paziente
con modalità coerenti, attente, efficaci. In
questo modo il professionista, consapevole del proprio stile comunicativo e attento
a cogliere quello del paziente, crea quelle
le condizioni che sono alla base di un rapporto di fiducia, riconosce gli stati d’animo
e facilita la disponibilità del paziente. Si
tratta di attivare un processo di maggiore
attenzione al paziente nella sua globalità.
Una competenza che implica innanzitutto il saper riconoscere le proprie emozioni
e quelle del paziente e di saperle gestire
entrambe nel corso della comunicazione,
al fine di promuovere un benessere globale della persona.
È la capacità dell’uomo di avere consapevolezza delle proprie possibilità e quindi
di gestire intenzionalmente anche la propria corporeità.
L’azione formativa è tesa a rendere ogni
professionista capace di utilizzare le proprie strutture comunicative, aumentandone l’efficacia e la flessibilità.
Un campo nel quale è apprezzabile l’apporto della comunicazione efficace è costituito anche dall’abilità di “staccare” dal
contesto lavorativo. Staccare la spina è
un’operazione tanto utile quanto difficoltosa da fare.
La formazione personale è in grado di
incidere sulle comunicazioni interne delle
persone in modo da porle nella condizioni
di utilizzare al meglio il proprio governo
interno delle informazioni.
Gli autori
* Psicologo, Psicoterapeuta
Collabora con “Modelli di comunicazione”
come formatore ai corsi di Comunicazione e
sviluppo
** Psicomotricista, Counsellor
Formatore in psicomotricità e comunicazione non verbale
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Numero 2/2005
Nursing e corporeità
Silvia Giudici *
L’argomento del rapporto con la dimensione corporea dell’assistito, pur essendo
centrale nella pratica professionale, risulta
complesso e sconosciuto agli stessi infermieri che non sempre riescono a decodificare i risvolti problematici: anche le pubblicazioni di settore tacciono su questo tema
e la letteratura professionale e accademica selezionano aspetti della corporeità vissuta, difficilmente utilizzabili nella pratica
professionale. Il contesto delle cure prevalentemente ospedaliero aumenta inoltre la
difficoltà a cogliere la dimensione complessa della corporeità, perché attraverso
l’uso di simboli di cura, fra l’altro molto
potenti, e la negazione dell’identità dell’assistito si affermano piuttosto i bisogni e i
valori dell’istituzione curante.
Da quando però gli scritti dell’infermiera
antropologa americana M. Leininger
(1978) sono apparsi in Italia, gli infermieri
hanno iniziato a scoprire la dimensione
culturale dell’assistenza. Tuttavia, le riflessioni sulla dimensione della corporeità,
colte nelle loro valenze rituali e simboliche,
appaiono per la maggior parte di essi sconosciute e se non saranno capaci di sviluppare l’olismo delle cure, senza cadere
nei riduzionismi dell’individualismo e dell’assistenza integrata, saranno destinati a
essere assorbiti da altri professionisti e a
scomparire come figura autonoma.
Il tema centrale oggetto di questo lavoro
è rappresentato dalla corporeità perché è
sul corpo, sui suoi vissuti e sui suoi prodotti che l’infermiere opera con un preciso
mandato sociale. Solo negli ultimi anni,
l’argomento della corporeità ha assunto
una centralità di riguardo, nei convegni e
sulla stampa specializzata: con il presente
lavoro si è voluto conoscere più approfonditamente questo interesse che a tratti
assume i connotati di un problema partecipato al quale è doveroso fornire una
risposta, ma che in certi momenti sembra
anche il riflesso di un interesse culturale
che investe il mondo occidentale, sotteso
ad affermare quella identità del soggetto
entrata in crisi nella società post-industriale.
L’insegnamento dell’antropologia culturale nei corsi per infermieri ha contribuito a
far maturare in molti di essi una coscienza
critica verso i modelli curativi usati nella
quotidianità, oltre a fornire importanti strumenti di lettura e di codifica. Alcune osservazioni:
- il corpo e la corporeità sono gli elementi centrali sui quali ruotano le cure infermieristiche, ma con il progredire degli
studi infermieristici e con l’aumentare
dell’anzianità professionale, l’allievo e
l’infermiere sono sempre più distaccati
dal contatto diretto con il corpo;
- il corpo è visto dagli infermieri prevalentemente nella sua dimensione fisica;
esso è un corpo da sanare, curare,
medicare…La corporeità intesa come
“corpo vissuto” non è molto presente; al
suo posto c’è spesso un “corpo macchina” sul quale è imperativo il dover fare
qualcosa;
- il concetto di persona è accolto nella
sua accezione psicologica occidentale e
il paziente è più un’entità etica, magari
fortemente idealizzata, ma spesso
inconsciamente utilizzata per differenziarsi dalla professione medica;
- il non dover effettuare attività di assistenza diretta al capezzale del malato, il
non entrare in contatto con gli excreta
del suo corpo è considerato dai più il
segno di una progressione professionale;
- il contatto terapeutico (definito di seguito con l’espressione il “toccare terapeutico”), è quasi sempre un “toccare coi i
guanti”; esso aumenterà con l’aumentare dell’alterità del paziente.
Tendente a una visione olistica, per conseguire un modello “con cui trattare l’uomo nella sua interezza e per il quale le attività fisiche e quelle psichiche sono di pari
rilevanza in quanto manifestazione dell’essere umano” (Perls, 1977), questa tendenza cerca di ricomporre la separazione del
soggetto dal mondo, del singolo dal
cosmo e da sé stesso, suggerendo che
l’uomo prima di avere un corpo, è un corpo. Spesso la percezione del corpo come
macchina è più forte negli ambienti dell’area intensiva per definizione chiamati a
ristabilire le funzioni vitali del soggetto. In
area critica gli infermieri finiscono con il
conoscere l’assistito attraverso gli impianti
tecnologici che lo mantengono in vita. Per
un meccanismo difensivo si tende a non
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considerare il malato in stato vegetativo
come detentore di un corpo vissuto; facilmente perde la sua identità di persona. E’
doveroso chiedersi allora come percepiamo nella nostra cultura la persona.
Nel rapporto relazionale con il corpo
alterato, sfigurato, stigmatizzato, viene da
chiedersi se realmente si può “far finta di
niente”, garantendo l’autenticità del colloquio, o se questa operazione non ha un
prezzo che si paga a livello emozionale,
attraverso l’uso di difese che allontanano
dal confronto (congelamento delle emozioni). Ma il rapporto con il corpo vissuto
chiama in campo anche il rapporto con le
emozioni: una tendenza alla quale non
sono sfuggite generazioni di infermieri.
Toccare il corpo del paziente suscita
emozioni quando il contatto riguarda le
zone a forte connotazione sessuale: esse
sono considerate neutre solo dopo averle
delineate con telini sterili che assolvono la
funzione di creare un campo asettico ma
anche di separare, scomporre un’unità
carica di significato. Per noi il modo di
intendere le “neutralità” va passato al
vaglio con quanto affermava M. Mauss
riguardo alla non naturalità dei comportamenti corporei; secondo questo antropologo non esistono comportamenti naturali
verso il corpo umano, ma solo comportamenti che nel corso dei secoli sono diventati socialmente plausibili. Sarebbe quindi
questo il trabocchetto culturale che ci porta a considerare “naturale” un comportamento socialmente approvato. Nella relazione infermiere-paziente questa distinzione immette importanti attenzioni alle quali
l’operatore sanitario non può sottrarsi, perché se non è pensabile l’esistenza di un
“comportamento naturale” tante procedure e tanti modi consueti di operare diventano “problematici” e per essere svolti
richiedono come minimo il confronto con
questa realtà.
L’antropologo Le Breton (1985) riconduce i divieti contro le manifestazioni naturali ai modelli borghesi che in occidente iniziarono a svilupparsi a partire dal XV sec.,
volti all’elevazione a una socialità discreta,
dotata di un codice morale, intessuta dal
sentimento del pudore, che gradualmente
privò della naturalità anche le espressioni
sessuali e i distretti corporei.
Le emozioni suscitate dal contatto o dalla vista di zone sessualmente connotate
Infermiere a Pavia
sono inoltre mediate dal ruolo che gli infermieri ricoprono rispetto al medico e dalle
immagini cariche di purezza simbolica delle infermiere (Litterwood, 1990), che devono fornire una garanzia di neutralità sessuale all’assistito; le infermiere risultano
inoltre poste a controllo degli orifizi corporei, margini carichi di simbolismo tra il sé e
il mondo esterno (Douglas, 1975).
Le Breton collega il problema della comprensione del dolore a quello della percezione del corpo: il corpo è un’articolazione
estremamente complessa dei domini
sociali, psicologici e fisiologici e pertanto il
problema del dolore diventa insolubile se
lo si estrae dall’una o dall’altra di queste
influenze. Il corpo che soffre ci mostra il
dispiegarsi a più livelli di quanto in antropologia viene definito embodiment (incorporamento), ovvero il ponte simbolico, il
reticolo sociosomatico che unisce percezione, cognizione, corpo ed esperienza.
Semplicemente, incorporamento significa
essere inseriti nel mondo con il corpo e le
esperienze del mondo vengono a noi
attraverso il nostro corpo. E’ attraverso la
relazione tra corpo ed esperienza che è
possibile rileggere il dolore.
Di fronte a un intervento doloroso o invasivo la tecnica prevale nel rapporto con il
corpo ed emerge quasi come protezione
psicologica separando il “corpo vissuto”
dall’operatore. Comparando questa osservazione, fortemente occidentalistica, con i
canoni di cura africane, orientate verso un
modello magico-salvifico della terapia, troviamo che i “professionisti guaritori” utilizzano tecniche rigorose, il cui potere è fornito sull’esecuzione di un cerimoniale preciso e inderogabile; ma la percezione della totalità non viene mai meno, anche
quando a essere curato è un piede.
Molti infermieri desiderano lavorare in
servizi ad alta tecnologia (emergenze, sale
operatorie, ecc.) e disdegnano l’assistenza agli anziani per l’immagine di maggior
sicurezza fornita dai primi servizi. E’ più
facile lavorare in realtà dove, una volta
apprese le attività secondo uno schema
definito e ripetitivo, è sufficiente la loro
riproduzione precisa e costante, mentre
non è richiesto un continuo adattamento
alla mutevole realtà presente invece nei
settori a “bassa tecnologia”, nei quali è
maggiormente richiesto un contatto e un
confronto con la corporeità dell’assistito.
Quando prevale l’organizzazione per compiti si perde il rapporto interpersonale e
profondo con la persona . Questo rischio è
sempre più fortemente riscontrabile dato
che la così detta emergenza infermieristica mette a dura prova anche gli operatori
più “umanamente” vicini al malato.
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Numero 2/2005
Proposte per la consapevolezza delle proprie
modalità di rapporto con la corporeità
vissuta dell'assistito
Prima di porsi le seguenti domande, è opportuno creare attorno a sé un
ambiente tranquillo e accogliente; buoni risultati si possono ottenere se prima di
iniziare a rispondere alle diverse domande viene praticata una breve meditazione incentrata sull’attenzione al proprio respiro, oppure una delle tante tecniche
di rilassamento appartenenti alla tradizione yoga, al training autogeno, alla
visualizzazione…
Ciascuna delle seguenti domande richiede un tempo di approfondimento; ne
consegue che non si tratta di domande tipo quiz, bensì di tracce esperienziali
che possiamo percorrere più volte concedendoci un tempo di riflessione, uno di
attesa e uno di risposta. Sarebbe poi molto utile portare la propria attenzione,
mentre si assiste un paziente, a queste tracce che lentamente si sono consolidate dentro di noi. Buon lavoro.
A)
In quali situazioni assistenziali avverto (o ho avvertito) la sensazione che pur
operando sul corpo del paziente, era come se io stessi operando su una
“macchina” (metafora del corpo-macchina)?
In queste situazioni, che cosa c’era dentro di me, che mi rendeva difficile (o
impossibile) il rapporto da persona a persona?
B)
Quali difficoltà provo quando mi avvicino al corpo di uno sfigurato?
Quali difficoltà provo quando mi avvicino a un corpo portatore di decubiti?
Quali sono le mie emozioni e i miei stati d’animo quando mi accosto a questi pazienti? (paura, tristezza, rabbia, irritazione, speranze, commiserazione, dolore…).
Come mi comporto nel contatto diretto con il corpo del paziente amputato?
Quali pensieri ed emozioni provo?
Quali pensieri passano nella mia mente, in quegli istanti? (rassicuranti per
me stesso/a, tendenti a limitare l’incontro, compassionevoli, distraenti…).
Che cosa c’è in me che mi fa provare queste emozioni e questi pensieri?
(esaminare se sono presenti convinzioni personali, immagini ideali sull’altro
e su noi stessi, aspettative personali, ideali professionali…).
C) In quali occasioni ho avvertito difficoltà e ho avuto problemi nel toccare il
corpo del paziente? (portare l’attenzione alle parti corporee interessate dal
problema/difficoltà e alla patologia del paziente).
Quali comportamenti ho adottato per avvicinarlo nonostante tutto?
Che cosa c’è in me che mi fa vivere come difficile il contatto con questi
pazienti?
D) Quando mi trovo a dover toccare la pelle del paziente, sento il bisogno di
indossare un paio di guanti?
E)
Quando tocco senza guanti il corpo di un assistito anziano, quali sensazioni e quali sentimenti suscita in me questo contatto?
F)
Quali comportamenti discriminanti mi accorgo di mettere in atto (se esistono in me) quando assisto un paziente appartenente a una cultura diversa
dalla mia?
Che cosa maggiormente temo in chi mi appare come “diverso”?
G) Quali sono le mie paure verso il morente?
Quali sensazioni provo nel toccare un corpo privo di vita?
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L’autore
* Infermiera
Neuroriabilitazione I e II
Fondazione Salvatore Maugeri
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Infermiere a Pavia
il corpo e la vergogna:
teorie ed osservazioni per
conoscerci meglio.
Silvia Giudici *
I conflitti della vita conformano il corpo
fisico in maniera specifica e modellano il
carattere. Wilhelm Reich ha enfatizzato tali
rapporti evidenziando sempre più l’importanza del corpo, non come entità materiale separata dalla psiche, ma come aspetto
visibile e concreto dell’unità mente-corpo.
Prevale tuttora, in alcuni ambienti scientifici e nell’opinione generale, soprattutto
nella cultura occidentale, la concezione
dualistica dello psicosoma, che considera
il corpo separato dalla mente e identifica
nel cervello la psiche. La dicotomia investe
la medicina, le scienze, le istituzioni, il
modo di pensare e nel modo di considerare le emozioni, la malattia, il corpo stesso.
Questa visione ha fatto sentire come
opposti e contrastanti, o in conflitto, il corpo e la mente.
L’avvento della medicina psicosomatica
ha ribaltato la concezione tradizionale.
Finalmente si scopriva che ciò che è vissuto con la mente è vissuto con il corpo.
Anzi, per Reich tale vissuto psichico è possibile leggerlo concretamente e verificarlo
nella realtà del corpo, nella sua struttura,
nelle sue contrazioni, nei suoi blocchi, nei
suoi movimenti, nelle sue posture, nel suo
carattere e nella corazza caratteriale.
Da ciò deriva che per parlare della vergogna dovremo parlare del corpo e per
parlare del corpo dovremo inquadrare la
vergogna come fenomeno generale e particolare che interessa, sia pure in misura
diversa, ogni essere umano.
Per Nanetti il corpo non rimanda al semplice organismo: ogni discorso sul corpo
esige un interrogarsi sull’esperienza di
una corporeità vissuta, mai estranea alle
vicende quotidiane del soggetto agente, in
quanto corpo. Per Rizzardi rappresenta il
luogo dove si ha la sensazione della continuità di sé.
La scoperta e l’esperienza della corporeità sono essenziali per il costituirsi della
coscienza e della soggettività. Il corpo è
l’unico mezzo che si possiede per andare
al cuore delle cose.
Emozioni e sentimenti come la vergogna, anche se universali, vivono però nel
corpo dell’individuo .in maniera unica, irripetibile, perché si svolgono in quella persona, in quel corpo.
Il corpo, in quanto soggettività, è un corpo soggetto, e non è qualcosa che si ha.
Su questa scia Galimberti distingue il corpo anatomico dal corpo vissuto, in quanto
avere un corpo è diverso dall’essere un
corpo. La prima è un’esperienza riflessiva,
la seconda pre-riflessiva, poiché si costituisce come coscienza incarnata, cioè
come “esserci” al mondo. Il corpo è l’intermediario della relazione con l’altro, in
quanto l’incontro pone in primo piano
l’esperienza psicofisica soggettiva e al
contempo interpersonale, poiché spesso
è l’altro che ci rivela il suo corpo, diventa
fonte di un’infinita varietà di vissuti, di emozioni piacevoli e spiacevoli, di fughe, di
vergogna, di imbarazzo, di ritiri nevrotici e
psicopatologici, di somatizzazioni. In queste modalità reattive rientrano i sentimenti
di vergogna come risultato dialettico tra
l’io e il non-io.
Nella visione reichiana, in cui è centrale
il corpo (in quanto l’io è il corpo e il corpo
è l’io, e dunque io sono la vergogna), il
corpo è ciò che un individuo vive, è ciò
che sente, è ciò di cui ha coscienza, è sofferenza e gioia, malattia e benessere. Il
corpo, dunque, viene segnato dalla storia
individuale come da quella sociale.
Quando le emozioni vengono inibite si
creano tensioni muscolari; secondo la terminologia reichiana esse “bloccano l’energia vitale”, limitando le capacità espansive
ed espressive dell’organismo.
Se il corpo di un individuo è vibrante,
vivo, c’impressionerà allo stesso modo, e
ci sentiremo nei suoi confronti in modo
diverso da come ci sentiremmo nei confronti di una persona il cui corpo è relativamente privo di vita, per quanto riguarda la
sua espressività.
La nostra reazione intuitiva a una persona è determinata dal modo in cui percepiamo le sue qualità corporee. Lo sguardo
negli occhi, il calore della sua stretta di
mano, la sua postura e il grado della sua
vivacità e spontaneità, sono non soltanto i
segni che dicono chi è egli; sono i fattori
che determinano la nostra reazione inconscia o emotiva nei suoi confronti.
Il corpo esprime chi siamo, dice come
siamo attraverso un suo linguaggio, poiché i sentimenti e le sensazioni di una persona possono essere letti nell’espressione
fisica. Le emozioni sono avvenimenti corporei, sono cioè movimenti intensi del corpo, che in genere sfociano in un’azione
esterna. L’ira, per esempio, crea una forte
tensione verso la parte alta del corpo, verso il viso, il petto, le braccia, produce rossore, porta a serrare i pugni e a contrarre
la bocca.
La paura, la preoccupazione che questi
segni vengano visti e letti dagli altri, crea
poi un circolo vizioso che peggiora lo stato d’animo del soggetto. Le parole potrebbero, invece, non comunicare o addirittura
nascondere, mentre l’espressione corporea è involontaria e non mente, lo sperimentiamo quotidianamente.
E’ chiaro che non tutti sanno analizzare
con obiettività i messaggi trasmessi dal
corpo nei gesti quotidiani, tanto che spesso si verificano complesse distorsioni e
travisamenti, a causa dei meccanismi di
proiezione e d’introspezione molto comuni. Ma questi fenomeni, che fanno parte
della comunicazione sociale, difficilmente
potranno essere evitati.
Il modo di percepire sé stessi condiziona il rapporto con il proprio corpo e il rapporto con gli altri, che può essere improntato a fiducia, autoaffermazione, gioia, piacere, sicurezza, oppure vergogna, insicurezza, paura, ansia, dolore, esitamento.
Rizzardi fa delle osservazioni in proposito. Dice: “ L’immagine corporea è una rappresentazione mentale che ogni individuo
ha del proprio corpo, della conformazione
fisica, del volto, degli occhi, dei capelli,
ecc. E’ l’insieme delle percezioni e rappresentazioni che ci servono per evocare il
nostro corpo, valutarlo non solo in quanto
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oggetto dotato di certe proprietà fisiche
(peso, statura, colore, forma), ma anche
come soggetto o parte di noi stessi, carico
di affetti senza dubbio molteplici e contradditori: non è lo specchio fedele del
nostro corpo com’è, ma l’interpretazione
del corpo per l’individuo”.
Cargnello, un critico topologico, dà molta importanza nella costituzione dello
schema corporeo alla sfera ottica, accanto
a quella tattile e cinetica. Questa immagine si crea gradualmente durante l’infanzia.
Di pari passo si muove Head. Egli sostiene
l’esistenza non di un solo schema corporeo, ma di più schemi, quello tattile, quello
cinetico, quello visivo, la cui integrazione
va a formare una specie di somatogramma in continua evoluzione.
Lo schema corporeo è sempre cosciente nell’individuo oppure il suo contatto non
è così scontato, in quanto condizionato da
diversi limiti? A tale interrogativo Schilder
risponde che, essendo lo schema corporeo soggetto a un processo di destrutturazione sin dall’infanzia, è un’immagine in
perenne cambiamento, e seguendo la
Gestaltpsychologie, cioè la psicologia della forma, ritiene che essa si propone come
un tutto che non si distacca mai dallo sfondo, ma che non è la somma delle parti.
Inoltre Schilder ritiene che lo schema corporeo, che dunque non è un fatto statico,
ma un continuo divenire, è sostenuto e
continuamente investito dalla libido che lo
rappresenta al mondo oggettuale.
La genesi, la formazione, lo sviluppo e
l’evolversi dello schema corporeo è legato
per Schilder alle zone erogene: alle cavità,
bocca, vagina, utero, narici; alle prominenze: pene, dito, piedi, ecc., ma anche ai
grandi sensi: occhi, orecchi. La costituzione dello schema corporeo è legata a particolari tendenze, come il narcisismo, masochismo, sadismo, voyeurismo.
La personalità è un misto di caratteristiche psichiche e somatiche integrate,
armoniche e disarmoniche, contrastanti,
conflittuali, alcune mature, altre involute,
represse e latenti, altre più sviluppate. La
personalità percepisce il proprio schema
corporeo sulla base di questa struttura
stratificata. A sua volta lo schema corporeo condizionerà la formazione della personalità in stretta relazione con le correnti
erotiche.
Secondo la concezione reichiana, poiché la contrazione dell’organismo non è
sempre percepita, non si ottiene una rappresentazione e un contatto obiettivo del
sé e del corpo, ma una loro immagine
distorta e proiettiva.
La difficoltà di una percezione obiettiva
del nostro corpo si riscontra anche nella
percezione del corpo altrui, perché sempre mediata da schemi personali parzial-
mente distorti dalle barriere caratteriali e
somatiche, dalle proiezioni, dalle identificazioni, dai rifiuti, dalle somatizzazioni che
condizionano il modo di “sentire” e di
“vedere” gli altri secondo propri modelli
riduttivi di riferimento. Gli elementi propricettivi, le sensazioni (reazioni neurovegetative spiacevoli, uno stato di insicurezza,
un aspetto fisico non accettato), o percettivi esterni (il percepire negli altri un atteggiamento più disinvolto, o caratteristiche
estetiche migliori, o sentimenti più “normali” dei propri) verranno valorizzati o ignorati, e comunque interpretati, a seconda dell’importanza a essi data dal soggetto
rispetto a schemi di autoriferimento mentali e corporei.
Queste considerazioni portano immediatamente a riflettere sull’importanza che
rivestono, nella formazione dello schema
corporeo del bambino, l’esperienza e il
contatto con le figure genitoriali, in specie
con la madre. Un contatto materno caldo,
rassicurante, dolce, aiuterà il bambino a
prendere coscienza del proprio io-corpo e
a differenziarsi dal non-io, dalla realtà
esterna e, allo stesso tempo, contribuirà in
maniera determinante alla costituzione
dello schema corporeo, sulla base delle
sensazioni di gratificazione e di frustrazione. Toccare, accarezzare, abbracciare, le
forme primarie di contatto tra madre e
bambino sono di vitale rilevanza per una
crescita sana, equilibrata, gratificante. Forniranno al bambino gli elementi concreti
per la presa d’atto e di conoscenza del
proprio corpo, distinto da quello della
madre, e si tradurranno dai primi mesi di
vita in poi in una rappresentazione matura
del proprio schema corporeo. Da queste
prime esperienze dipenderà il tipo di sviluppo e la formazione del carattere, della
personalità del bambino, la nascita o
meno di aspetti normali o nevrotici e psicopatologici, ma anche lo strutturarsi di
sentimenti di insicurezza o di sicurezza,
nonché di senso di vergogna come aspetto del corazzamento individuale.
In genere le persone sono inconsapevoli dei loro blocchi corporei. Questa condizione riduce la possibilità di utilizzare totalmente le proprie energie. Gli individui
inconsapevolmente si proteggono dalle
esperienze dolorose e minacciose. Il sentimento di vergogna nasce e cresce all’interno di questi meccanismi protettivi,
impedendoci un contatto pieno con noi
stessi e un’apertura spontanea e naturale
alle relazioni interumane e alla vita in
generale, riducendo le capacità di espansione e di realizzazione dell’io. Ciò comporta anche una riduzione della libertà, del
benessere, della funzionalità psicofisica,
un limite ai processi energetici del corpo e
della mente.
La limitazione delle sensazioni, delle
emozioni, dei bisogni, rende la vita dell’organismo meccanica, estranea, disfunzionale, caratterizzata spesso da un’economia energetica a basso livello. In più la
nostra società, caratterizzata dalla fretta,
contribuisce a rendere sempre di più l’individuo macchina. Il nostro essere viene
ristretto entro valori e schemi materialistici
e alienanti. Lo stato di insoddisfazione, la
frustrazione, la rabbia alimentano il disagio
esistenziale e innescano altri meccanismi
psichici negativi o atteggiamenti sociali
distruttivi con ripercussioni in ambito famigliare e lavorativo (si pensi a quella miriade di operatori sanitari che prima di assistere i pazienti devono curare sé stessi!). Il
rischio è che questi comportamenti vadano a condizionare le generazioni successive e che non sia possibile trovare una via
di uscita.
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L’autore
* Infermiera
Neuroriabilitazione I e II
Fondazione Salvatore Maugeri
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Infermiere a Pavia
Approcci socioculturali sui
canoni della bellezza corporea
Silvia Giudici *
Per i sostenitori del punto di vista radicalmente ambientalista tutto il comportamento umano è modellato dalla cultura, la
quale spinge il suo potere condizionante
fino al livello biologia. Afferma ad esempio
Sève che “le strutture essenziali della personalità non hanno un’essenza biologia” e
che “nell’individuo sviluppato persino l’organismo è diventato in larga misura il prodotto della personalità”.
In effetti, se nel Vangelo è scritto che
nessuno può aggiungere un pollice alla
propria statura o un pelo ai propri capelli,
molti fatti mostrano che biologia e cultura
non sono così nettamente separate e che
quest’ultima esercita profondi influssi sulla
prima. Ad esempio, le abitudini alimentari
ed igieniche possono determinare un
aumento medio della statura, com’è testimoniato dalle rilevazioni di serie storiche
effettuate sui militari di leva e dalle correlazioni positive che si riscontrano tra statura
e condizioni socioeconomiche. Le mutate
condizioni di vita comportano profonde
modificazioni anche nella struttura corporea. Eloquente al riguardo è il rapporto tra
le ricche abitudini alimentari delle società
del benessere e l’enorme sviluppo dell’obesità (cui fa da contrasto l’ideale di
magrezza enfatizzato dai mezzi di comunicazione e diffusione dell’anoressia).
Il vissuto del sé corporeo è regolato dal
valore che la cultura attribuisce alla corporeità. La concezione del corpo come inferiore all’anima ha prodotto visioni della vita
come quelle dell’ascetismo e del puritanesimo, mentre la sua esaltazione, quale ha
avuto luogo nel Rinascimento e nell’epoca
attuale (si pensi all’enfasi su “fitness” e
“wellness”), la valorizzazione del corpo
come mezzo di espressione e come componente fondamentale della personalità.
Anche il modello di corporeità cui i singoli individui cercano di conformarsi, quindi la morfologia fisica preferita, le parti del
corpo da valorizzare maggiormente e
l’ideale generale di bellezza fisica, sono
imposti dalla cultura (Fallon, 1990). Si pensi alle più strane pratiche messe in atto nel
corso della storia per ottenere particolari
conformazioni del corpo: le grandi orecchie forate degli Incas, la cui cartilagine
scendeva fin quasi alle spalle; la fronte
schiacciata dei Maya, ottenuta mediante
un’assicella legata sulla testa dei bambini,
e lo strabismo provocato da una pallina di
argilla appesa ad una cordicella e fatta
penzolare in mezzo agli occhi; il piede
minuscolo delle orientali; il collo lungo,
ottenuto mediante progressiva aggiunta di
collari d’argento, della cosiddette “donne
giraffa” della Birmania e della Tailandia,
ecc. Si pensi all’enorme diffusione nella
nostra attuale cultura di pratiche come la
chirurgia estetica o il tatuaggio ed il piercing, mezzi con cui si cerca di correggere
o “culturalizzare” il dato biologico.
Anche riguardo ai criteri che determinano la percezione della bellezza corporea
non sono tuttavia da escludere influenze di
tipo genetico. Particolarmente evidente è
l’influenza culturale nell’imporre l’ideale
della bellezza femminile, ideale che
mostra una sensibile variabilità nel corso
delle epoche: dalla “Venere steatopigia”,
tipica delle antiche civiltà mediterranee ed
africane, si è passati all’attuale look
“androgino” delle “top model”.
Interessanti al riguardo alcune ricerche
effettuate su come nel corso degli anni
sono mutate le caratteristiche corporee
delle modelle, delle partecipanti al concorso di miss America e delle “pin-up”, seducenti e mozzafiato, immortalate su qualche
rivista sexy: da tali studi emerge che il corpo femminile è diventato sempre più longilineo, con seno più piccolo (o più sviluppato a secondo del trend, grazia alla chirurgia estetica), fianchi più stretti, perdita di
peso ed aumento di altezza.
Per contro, da un’analisi degli annunci
pubblicitari apparsi nelle dieci riviste più
diffuse in America emerge che nel corpo
maschile tende ad affermarsi un modello a
“V”, con spalle larghe e vita stretta e con
una sviluppata massa muscolare.
L’apprezzamento delle rotondità femminili sembra caratterizzare le culture più tradizionali. Presso il clan Efik della Nigeria
un rito di passaggio dalla fanciullezza alla
maturità per le ragazze consiste nel farle
rimanere per vari mesi in una “stanza d’ingrasso” fino a quando raggiungono il livello di peso considerato ottimale. Le preferenze per le forme corporee maschili e
femminili variano in funzione del carattere
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“tradizionale” o “progressista” delle culture: le prime preferiscono il corpo maschile
a V e quello femminile caratterizzato da
curve, le seconde preferiscono per
entrambi le forme angolari. Ricerche di
Jackson e McGill (1996) mostrano che gli
afroamericani preferiscono nelle donne
strutture corporee più arrotondate rispetto
agli angloamericani.
Come per i criteri che guidano la scelta
del partner, anche per quanto concerne
l’apprezzamento della bellezza corporea,
accanto alle mode dettate dalla cultura
sembrano essere presenti componenti
biologiche ed innate. Secondo l’ipotesi
evoluzionistica, i tratti del viso e del corpo
che vengono maggiormente apprezzati,
come ad esempio regolarità e simmetria,
sono in genere quelli che segnalano “alta
qualità” e successo riproduttivo (Celerino,
2002).
La cultura può influire anche sui tempi
delle funzioni biologiche: ne sono esempi
l’anticipazione della comparsa delle
mestruazioni nelle ragazze e l’enorme prolungamento dell’età fertile delle donne,
resa possibile dalla tecnologia medica.
Infine, la cultura determina anche la
diversa valorizzazione dei canali sensoriali. Secondo Falk, sarebbe tipica della cultura occidentale la gerarchizzazione dei
sensi in “alti” (quelli a distanza) e “bassi”
(quelli a contatto) ed il progressivo spostamento dalla predominanza del toccare
e del sentire (predominante nelle popolazioni africane)a quella del vedere (predominante nella cultura occidentale).
L’autore
* Infermiera
Neuroriabilitazione I e II
Fondazione Salvatore Maugeri
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- FEATHER N. T. (1994), Masculinity,
Femininity, Psychological Androginy,
and the Structure of Values, Journal of
Personality.
- GIACCARDI C., (1997), Morfologia dell’identità, Comunicazioni sociali.
- LOMBARDO G. P., DUICHIN M., (1997),
Frenologia, fisiognomica e psicologia
delle differenze individuali, Bollati Boringhieri, Torino.
IDENNIZZO 210/92
UN DIRITTO DELL'OPERATORE SANITARIO
La legge 25 febbraio 1992, n. 210, prevede un indennizzo economico a vita di importo variabile da un minimo a un massimo, ma
comunque non inferiore a circa mille euro al bimestre, per gli operatori sanitari che, in occasione e durante il servizio, abbiano
riportato danni permanenti alla integrità psicofisica conseguenti a infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da infezione da HIV.
La Corte costituzionale, con sentenza 20 novembre 2002, n. 476, ha esteso il diritto all'indennizzo stesso anche agli operatori sanitari che, in occasione del servizio e durante il medesimo, abbiano riportato danni permanenti alla integrità psico-fisica conseguenti a infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da epatiti.
Quindi per avere diritto all'indennizzo nel caso di epatiti, occorre che l'operatore sanitario sia affetto da un'epatite virale cronica (o
che sia stato colpito da un'epatite virale fulminante), alle condizioni prima descritte.
Il diritto all'indennizzo è indipendente dalle condizioni di reddito ed è autonomo rispetto alla eventuale causa di servizio.
Noi dell'Associazione EpaC Orilus ci stiamo adoperando in tal senso, perché tra i nostri sostenitori ci sono molti che appartengono a questa categoria e che riscontrano una lacuna informativa su tale diritto e quindi per noi, che riteniamo l'unica terapia per il
silenzio sia l'informazione, abbiamo ritenuto importante mettere a conoscenza tale cosa.
Da anni facciamo informazione sull'epatite C, e ci teniamo affinché i diritti di tutti i malati siano rispettati e messi alla luce del sole,
la 210/92 è stata pubblicizzata pochissima, infatti molta gente si è vista rifiutare questo diritto perché era fuori termine.
Per me che in veste di Delegato EpaC e paziente sono a contatto con molti infermieri, era un dovere scrivere qualcosa in merito.
Per maggiori informazioni potete visitare il nostro sito: www.epac.it o contattare il numero di telefono della sede EpaC
039.6612460.
Delegato EpaC Onlus
Massimiliano Conforti
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Infermiere a Pavia
Il corpo invaso
(dal tubo in cavità all’invasione delle vie
biliari, passando per Barroughs...)
Lorenzo Marvelli *
Epilogo. Verso il corpo senz’organi
Il tubo in cavità
Il tubo gastroscopio scivola ben lubrificato nel lume dell’esofago: è tutto rosso
intorno ché l’elicobatterio ha disseminato
mine antiuomo senza parsimonia facendo
del tubo un campo minato.
È così pericoloso avventurarsi per l’esofago senza uno strumento capace di rilevare metalli sospetti!
Chi lo ha fatto ci ha lasciato una gamba
ed ora si aggira fortunato-in-protesi, uomo
biomeccanico e cibernetico, mutato e privato dell’organo nel canale esofageo.
Alcuni tentativi, accenni di vomito conato, bloccano il tubo gastroscopio per un
attimo poi, quando il buon respiro mette
quiete nello stomaco, ecco che lo strumento riprende il suo tragitto come serpente strisciante nel contesto peristaltico
di quest’apparato digerente appena all’inizio e già così infestato di mine antiuomo
ed elicobbateriche antibiotico-resistenti.
Un fastidioso restringimento valvolare, un
Cardiàs come Flegiàs, come sentinella in
garitta armata di tutto punto che grida:
“Fermo là!”, un anello connettivo slarga &
stringi introduce il gastrotubo nell’organo
cavo per antonomasia.
Ed è gran festa!
Nello stomaco.
Tutti dicono: “Viva la gastrofesta!”
Erano ormai anni che nessuno si faceva
vedere da queste parti: tutto buio e triste,
acidopepsina sulle pareti a tutto tondo,
silenzio e talvolta un borborigmo per livelli
aerei ed idroaerei che cessano improvvisamente con uno svuotamento peristaltico
per cui il Gastro si rovescia su se stesso
facendo l’interno dell’esterno e viceversa
senza tuttavia mutar granché nel sacco
peritoneale che avvolge con così tanta luccicanza.
Ecco il tubo gastroscopio, il faro che
questo monta in testa, il fascio della luce
che, ove illumina, scalda per la gioia dei
villi intestinali che, seppur lontani dalla
rivelazione, s’agitano come spighe al vento, come plancton sottomarino, come veli
di sposa.
C’è un gran fermento nella cavità e,
come un dragone cinese azionato da cento uomini, volteggia il gastrotubo, disegna
parabole, si spinge verso l’alto e poi precipita, sta fermo per un attimo ma presto volta e parte come un toro impazzito dalla
rabbia, ora qua, ora là, facendo aria e luce,
un rumore tondo e sordo nel quale è possibile riconoscere l’eco dell’applauso: mille anatomie cellulari che per la casuale
mitosi, qui si sono ritrovate loro malgrado,
ora ringraziano il destino e strappano finalmente le pareti riversando dappertutto
citoplasma: “Evviva!”, gridano corpuscoli
rotolanti sulle pareti del grande Gastro,
“Viva la gastrofesta!”, ciarlano ribosomi,
vacuoli e mitocondri scivolando nel marasma citoplasmatico.
Dieci minuti di follia generale poi il tubo,
ormai povero di lubrificante, pensa d’andar via.
Come il serpente strisciante, aziona l’onda contraria che da come risultato il moto
inverso e prima di passare in galleria, proprio quando appare all’orizzonte Cardiàs
sotto garitta, il tubo estrae una grossa pinza e, prima che nessuno se ne accorga,
taglia di netto un pezzo di materia per il
laboratorio.
Il corpo organizzato è studiato e curato
perché non marcisca sotto l’azione del
tempo ed il gastro non fa eccezione nonostante il suo aspetto così cavo ed aperto
ad ogni tentativo di contatto con l’esterno:
neanche lo stomaco di passaggio tiene
lontana l’invasione degli Apparati Strumentali, risultando così, il corpo, sempre
in balia dei tubi-serpenti-striscianti che prima fanno credere chissà cosa e poi…
E se questo non basta perché voi princi-
piate a convincervi del fatto che il corpo è
perennemente sottopressione e che la
manipolazione della carne umana è l’esercizio preferito di chi comanda, ora proverò
a dirvi dell’Epa che, pur non essendo
cavo, è comunque sistemato nella luccicanza peritoneale ove tutto è ovattato e
calma piatta tanto da credere che, ed invece…
L’invasione delle vie biliari
Il fegato cirrotico e stanco, siede nella
sua loggia in attesa di togliere il disturbo.
Bande di connettivo lasso sconvolgono
la normale architettura ed un tanfo insopportabile rende inavvicinabili i poveri epatociti, una volta veri e propri laboratori di
armi di distruzione di massa, oggi dissidenti al confino, scienziati aterosclerotici e
incapaci, algebre impazzite, pile alcaline
scariche, barriere inconsapevoli al deflusso della bile che così diviene reflusso
pestilenziale finalmente raccolto in formazioni sacciformi radiopache e iperdense
dal colore verde smeraldo nauseabondo.
Poveri scienziati!
Questo è quello che spetta a chi ha passato la vita intera a brigare, a trasformare
in legami covalenti l’ alcol in formaldeide e
glucosio in quantità esagerata che poi in
ultima analisi, come dice il dottor Krebbs,
di lipidi si tratta, ergo, grasso!
Grasso nel sangue e colesterolo che poi
fa ictus ed infarto del miocardio in barba
agli ipolipemizzanti che sono una gran fregatura: “La dieta ipocalorica ed iposodica
è l’unica cosa!” ma chi glielo va a dire alle
multinazionali del colesterolo che finanziano gli epatociti sin da piccoli perché trasformino-trasformino-trasformino sino a
dichiararsi esausti e puzzolenti con gran
reflusso di bile verde e gialla.
Questi lobi epatici sono una gran rottura!
Soprattutto quando, non più giovani,
perdono la capacità d’essere trapassati da
vasi d’ogni tipo che tutti conosciamo come
il “Circolo Portale Artico” ed allora questi
tubi pieni di sangue rosso-disossigenato,
si inginocchiano e divengono turbolenti,
“Ipertensione, ipertensione portale!”, sino
alle varici esofagee che nella peggiore delle ipotesi, esplodono in un grande sbotto
di sangue e poi a seguire una infinità di
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spruzzi ematici che dipingono pareti circostanti e poveri passanti.
Ma questo non è niente in confronto al
rovesciamento improvviso della bile nel
flusso sanguigno con il risultato che il
colorito corporeo si fa d’improvviso gialloverdognolo fosforescente facendo del corpo in esame un s-oggetto non identificato
luminescente e visibile di notte.E che dire
poi del K-deficit vitaminico che è fattore di
coagulazione?
Il corpo impiagato perde sangue senza
sosta dalle più piccole soluzioni di continuo per cui s’interviene con bendaggi
compressivi ed acqua ossigenata o perossido d’idrogeno dalle magiche proprietà
emostatiche e rinfrescanti.
Il corpo così fasciato è irriconoscibile a
se stesso e perde il nome e l’identità tanto
che a qualcuno verrebbe a dire che la
malattia è sinonimo di libertà.
E questo è suffragato dal fatto che il
Potere della Scienza che è contro ogni
possibile accenno di libertà, interviene
immediatamente ad impedire questo
superamento d’identità del corpo bendato
e procede all’assalto dell’epa con ogni
mezzo penetrando dal coledoco per le vie
biliari fino al connettivo lasso a sparare
liquidi iodati che s’espandono a raggiera
rendendo possibile il passaggio dei raggiX e gamma nonostante la convenzione
internazionale che prevede la distruzione
delle armi nucleari, chimiche e batteriologice.
Questi scienziati vogliono salvare a tutti i
costi il fegato invecchiato perché sanno
che un corpo da esso liberato, diviene un
tantino più libero, direi leggero, vuoto,
disponibile ad essere attraversato da
chiunque senza che venga percepita puzza alcuna.
Un fegato morente è il più grande anelito alla libertà.
Tutti a tavola
Sul tavolo giace il corpo incosciente per
il curaro e la ketamina, il volto mascherato
ed intubato per il gas nervino ed anidride
ed ossigeno in bombole a pompare macchine e polmoni, ingranaggi di metallo,
artifici matematici, elettroniche algebriche:
è il trionfo della scienza operatoria e dei
padroni del sonno e della veglia, dei meccanici dentisti, taglialegna, seghe elettriche, martelli pneumatici, il sibilo bruciato
del bisturi elettrico sulla pelle rossa disinfettata dallo sporicida PH basico, la breccia operatoria, cinque, dieci centimetri, un
vero e proprio squarcio, la porta del caveau umano, la cattedrale della Natura; puzzo di carne morta e bruciata, cauterizzazione capillare per evitare il sanguinamento eccessivo, il bisturi è anche un ferro
infuocato disinfettante e quando è all’azione solleva fumo e cenere tutto intorno.
S’apre il portale della chiesa: “Meraviglia, meraviglia del creato!”
La navata centrale grigio intestino è un
groviglio di tubi intrecciati nei quali è possibile farsi spazio senza creare danno alle
impalcature intorno che sono come affreschi sulla volta peritoneale, i reni nelle logge, il rilievo splenico, poco distante la fonte insulinica, il grande gastro davanti l’abside come un altare sul presbiterio digerente acido e pepsinico a contatto, per il
coledoco transetto di sinistra, con l’epa
cirrotico e pestilenziale, la cripta corporea
e luogo di sepoltura biliare.
Vien voglia di segnarsi con le mani piene di guanti giunte sino a qui con l’intento
di organizzare un po’ il gran groviglio digerente avvolto in luccicanza peritoneale ma
c’è così poco tempo per le ingegnerie
operatorie e poi c’è l’anestesia e l’emivita
farmacologia con il cronometro puntato
sull’ora della veglia e della comparsa del
dolore: “Fate presto, fate preso, passateci
le pinze!”
Queste pinze lanzichenecchie fanno
irruzione nel tempio corporeo e bruciano,
strappano, squarciano, asportano, aspirano, attaccano, cuciono protesi, lasciano
tubi aspiranti, sciacquano e lavano per
bene il peritoneo luccicante e appena
appena trasparente: il tubo digerente
asportato dalla cavità, è adagiato con cura
in petto, dentro è un gran vuoto e lo stomaco tende a precipitare sull’impianto diaframmatico ma la sapiente mano chirurga,
con un moto brusco, lo ricaccia di dove
era venuto e con lui, il sistema dei collegamenti viari con i pianeti della costellazione
digerente, Pancreàs, Epa, Ex-ofago, Spleen, tutte stazioni-laboratorio ove la sostanza cambia forma con l’intento proteico,
glucidico e lipidico mentre è un gran passare di tir-carrier-vitaminici alla guida dei
quali siedono infaticabili auto-trasportatori
che bevono whisky per rimanere svegli di
notte ad ascoltare canzoni e sesso alla
radio ed a strombazzare alle puttane fingendo di investirle.
Sul retro, come due containers, stanno i
reni nelle loro logge, collegati ad un sistema fognario di acque bianche che, insieme al velo peritoneale, danno quella luccicanza che permette a noi tutti di vedere.
Le acque poi, raccolte in una cisterna
trasparente, raggiungono un livello accettabile prima dell’esondazione che avviene
per apertura della diga sfinterica ed innervata elettricamente con circuiti a fibre ottiche organizzati in fasci che raggiungono il
Cervello Centrale.
Potenza del software corporeo!
Questo sistema fognario è garante dell’equilibrio acido-basico per la sufficienza
dei reni, unico e vero filtro dell’intera architettura umana, addirittura replicabili in
chiave artificiale in un processo che porta
il nome di Seduta Emodialitica per corpi
con reni dis-organizzati in cortocircuito.
Le mani guantate, fatto il largo necessario, vanno verso lo zenit della sfera celeste con la speranza d’asportare il cancro
tumefatto, responsabile del Gran Disordine Digerente e cortocircuito che di così
tanto connettivo ha infettato il fegato ormai
definitivamente impazzito e distributore di
bile dappertutto.
La sorpresa è che il cancro ha messo le
radici, ha invaso tessuti in ogni parte, ha
mangiato organi ed apparati, ha dis-organizzato il corpo.
Non resta, per le mani, che chiudere al
più presto sedendo finalmente, al tavolo
degli sconfitti.
E così è con una gran bella cucitura sulla pancia, un punto a croce sul corpo
invincibile e dis-organizzando.
L’autore
* Infermiere
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Infermiere a Pavia
Dialogare con il corpo
psichiatrico
Susanna Cassinelli *
Dialogare con il corpo psichiatrico è dialogare con l’anima che soffre.
La metonimia “corpo psichiatrico” riconduce a due ampi concetti, dei quali risulta
necessario puntualizzare a priori il senso,
nel contesto della trattazione.
Il significato di essi viene dipanato nello
svolgersi del tema, ma deve essere subito
inteso nella sua corretta accezione, essendo, al tempo stesso, complemento oggetto e strumento di un minuzioso intendimento
“CORPO”: tale lemma non deve richiamare, in codesta contingenza, il corpo
anatomico solo. Corpo è ivi da considerarsi, in modo scevro da ogni riduzionismo,
”ciò che si è” piuttosto che “ciò che si ha”.
Ovvero complesso di CORPOREITA’, PSICHE, ANIMA, SPIRITO: sono questi gli elementi che s’intrecciano e si incastonano
sul supporto dell’umanità di ciascuno,
imprimendo quel carattere indelebile che
rende ogni individuo UNICO ed IRRIPETIBILE.
Corpo, che specificamente, in questa
circostanza, è “PSICHIATRICO”.
Il termine, già esaminato, viene quindi
coniugato con ciò che grammaticalmente
è considerato “aggettivo qualificativo”, il
suo nucleo strutturale si ridimensiona, si
rinnovano i suoi contenuti e ne viene
impreziosito.
Perché il “CORPO PSICHIATRICO”
manifesta la coesione di uno SPIRITO
LACERATO, di una PSICHE ANGOSCIATA, di un’ANIMA DISPERATA, che si congiungono così omogeneamente, da confluire in un essudato sgorgante dal cuore
‘infiammato, per trasudare inquietantemente e dolorosamente da ogni poro di
una CORPORERTA’ RECLUSA e SOGGIOGATA.
Il “CORPO PSICHIATRICO” è allora l’immagine della devastazione dell’essere.
Mi pare d’obbligo a questo punto qualche riflessione circa l’IMMAGINE.
L’epistemologo Gregory Bateson iniziò
una delle sue conferenze chiedendo: ”Alzi
la mano chi crede di vedermi”. Avendo
quasi tutti i presenti attuato, un po’ perplessi, il gesto, riprese: “Voi NON VEDETE
REALMENTE ME, quello che vedete è un
mucchio di informazioni su di me. Voi VI
COSTRUITE QUELLA IMMAGINE”.
È necessario che ciascuno di noi si soffermi allora a riflettere, affinché possano
affiorare alla consapevolezza l’insieme dei
processi inconsci ed impulsivi che viziano
la rappresentazione del ‘corpo psichiatrico’, stereotipandola nell’immaginario collettivo.
È necessario essere sinceri con la propria interiorità, fino in fondo: ammettendo
la propria debolezza; riconoscendo con
umiltà
che il rifiuto del ‘corpo psichiatrico’ coincide con la fuga dagli interrogativi oscuri
ed enigmatici che la condizione umana,
come tale, si porta appresso;
che il diniego del ‘corpo psichiatrico’
collima con la negazione delle nostre
angosce di precarietà, di limite;
che la ricusa del ‘corpo psichiatrico’ corrisponde anche, talvolta, alla colpevolizzazione —istintiva ed automatica — e alla
conseguente punizione del sofferente per
il disagio che i nostri fantasmagorici meccanismi di identificazione e proiezione ci
ha apportato.
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interinati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. (...)
(…) e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni…“
Nell’illustre componimento Leopardiano
“L’infinito”, la siepe, delimitando, protegge
dall’illimitato, minaccioso perché incontenibile nella restrizione umana.
Il doveroso coraggio di guardare oltre,
richiama ossimoricamente al soggetto
l’eterno del cosmo, e le ‘stagioni umane’
destinate a perire; ed “il cor si spaura”.
Attraverso questa citazione intendo
rimarcare l’universalità di tali sensazioni;
perché la sete di serenità è, accanto al turbamento, insita ogni animo. L’iniquità verso il ‘corpo psichiatrico’
non risiede dunque nello scaturire dei sentimenti sopra esposti, bensì nel processo
sacrificale, come appellato dal sociologo
Renè Girard ne ”La violenza e il sacro”, in
cui l’operazione di transfert collettivo si
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effettua a spese della vittima designata,
capro espiatorio che sintetizza tutto il
potenziale di violenza interno alla società,
scongiurando il rischio di violenza entropica.
Costretta a portare tutto il peso di una
patologia sistemica, la vittima, dunque,
con il suo sacrificio, riconcilia i membri;
allontanando il pericolo della reciproca
distruzione. Scrive Franco Basaglia in “Crimini di pace”:
“Ciò che importa è individuare subito il
diverso ed isolarlo, per confermare che
siamo noi i sani, i normali, i buoni; che non
è la struttura della nostra organizzazione
sociale a pro durre contraddizioni. È sempre l’altro che produce il Contagio, contagio che deve essere prevenuto e neutralizzato a tutela della acontradditorietà della
norma.
Ecco allora l’infamia, che si configura in
quanto denunciato da GIRARD e BASAGLIA.
È intuibile, quindi, la necessità di coltivare un pensiero che sappia rivelare l’autentica natura di quanto viene mascherato da
false apparenze; il bisogno di esercitare
ed affinare una facoltà critica che sappia
“intus-ire”, ovvero addentrarsi nelle profondità recondite delle situazioni.
Solo attraverso questi imprescindibili
mezzi, è possibile superare l’ illusionismo
ingannatore di una immagine deviata del
‘corpo psichiatrico’; rimuovere l’etichetta
riduttiva di una realtà artificiosa, defraudata della storicità dell’esperienza personale
e dell’essenza individuale.
È nuovamente Basaglia ad illuminarci
ed esortarci, con il carisma e l’irreprensibilità morale che lo caratterizzano.
Nel saggio ‘Il concetto di salute e malattia”, 1975, asserisce:
“Quello che si deve arrivare a capire è
che il valore dell’uomo, sano o malato,
normale o anormale, va oltre il valore della
salute e della malattia, della normalità e
dell’anormalità; che la malattia e l’anormalità, come ogni altra contraddizione umana, possono essere usate come strumento d’appropriazione e di alienazione, quindi come strumento di liberazione e dominio.. “.
Anche il filosofo Toscani, riaffermando
quanto sostenuto da Laig, rivendica una
nuova considerazione del ‘corpo psichiatrico’: “Proprio attraverso la sua miseria ed
il suo sfacelo, il malato psichiatrico può
essere per tutti noi ‘lo ierofante del sacro’,
colui che ci invita a scuoterci dalle nostre
tranquille certezze e ad interrogarci più
radicalmente su ciò che ci manca e che
stiano perdendo, su ciò che realmente
vale ed è essenziale nella vita”.
Basaglia ancora esalta “l’importanza di
impedire un pericoloso e falso acquieta-
mento che vorrebbe mantenere le cose
nel loro immobilismo e nella loro insensatezza. Sollecita ad avversare la “follia della
normalità di un mondo e di un sapere senza amore e senza cuore”, caratterizzato
dalla “ipocrisia delle bugie sociali dominanti”.
Similmente Jan Patocka proclama:
“L’uomo deve lasciar crescere dentro di sé
l’inquietante, l’inconciliabile, l’enigmatico,
ciò da cui la vita comunemente intesa si
distacca per passare all’ordine”. (Saggi
eretici)
Per poter INIZIARE UN DIALOGO.
Perché ricerca il dialogo solo chi non si
adagia nella subdola quiete che la distorsione modella, chi avverte la sua incompletezza, chi si riconosce parte di un tutto
di cui necessita e membro di una collettività che abbisogna, viceversa, del contributo di ogni sua umile unità.
Chi, come uomo, si sente ansiosamente
“essere sempre proteso verso i propri possibili” (Sartre).
Ma cos’è il DIALOGO?
Dialogo, vocabolo derivante dal greco
“dialogos”, corrisponde letteralmente ad
un discorso (logos) tra (dia) più parti.
A mio parere è un’altra pervasiva e
penetrante che aleggia tra due o più esseri i quali, con autenticità, stupore e meraviglia contemplano l’alterità delle differenti
soggettività. Ogni individuo rappresenta
quello che la Fisica (ovvero lo studio della
physis, della natura) definisce ‘sistema
aperto’: complesso che scambia biunivocamente con l’ambiente materia ed energia.
Qualora questa interazione venisse
meno, il soggetto collasserebbe su se
stesso, annichilendo celermente.
Locatelli, studioso contemporaneo dei
linguaggi, in modo originale ed affascinante attesta:
“La relazione è FONDAMENTALE: il
mondo è l’INSIEME delle RELAZIONI, non
delle cose. E le relazioni sono l’UNICO
LUOGO GENERATIVO”.
Il sensibile psichiatra Eugenio Borgna
denomina il nostro destino “essere un colloquio” . Aggiungendo che “in ogni dialogo vi è apertura al mondo degli altri ed al
nostro mondo interiore: nella loro continua
e dialettica correlazione tematica”.
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Ed Erwin Straus, leader della psichiatria
fenomenologica ed antropologica, ha
scritto: ”Noi non siamo coscienze isolate e
chiuse, non siano monadi con le finestre
sigillate, ma siamo originariamente costituiti nel contesto vertiginoso e mutevole
della reciprocità della comunicazione e
delle relazioni”.
Infine, per citare solo alcune voci rappresentative, Michel Foucault ha dichiarato
che ”ogni società si può giudicare dal
modo con cui organizza e vive il rapporto
con l’altro”. Tutti gli autorevoli autori menzionati, attraverso definizioni al tempo
stesso splendidamente poetiche ed estremamente pragmatiche, rivelano all’umanità turbata, smarrita ed infelice l’unico ricercato, prezioso ed efficace antidoto: il rapporto autentico ed appassionato con i
simili.
“Uomini, pace! Nella prona terra
troppo è il mistero; e solo chi procaccia
d’aver fratelli in suo timore, non erra.”
(G. Pascoli, ”I due fanciulli”)
Solo atteggiamenti di disponibilità dialogica e partecipazione emozionale, contrapposti a neutralità e freddezza, possono
costituire terreno fecondo per: ben-essere
ed il ben-divenire di ciascuno.
Attraverso questi ultimi concetti di benessere/ben-divenire si può pervenire specificamente al “dialogo con il corpo psichiatrico”.
“Pazzia e devianza sono avvenimenti
che fanno parte della vita dell’uomo, sono
espressione di ciò che l’uomo è o può
essere e, insieme, di di Ciò CHE PUO’
DIVENTARE ATTRAVERSO IL MONDO DI
RELA ZIONI E DI RAPPORTI.’ “Il deviante o il pazzo (..) conservano
anche nella devianza e nella pazzia le
ALTRE FACCE DEL LORO ESSERE UOMINI (..) come il BISOGNO DI UN’ESISTENZA CHE NON SIA MALATA”. (F. Basaglia,
“Psichiatria e giustizia”, 1974)
Ritengo essenziali tali aspetti esplicitati
da Basaglia; mi preme pertanto rimarcare,
innanzi tutto, l’indispensabilità di considerare ogni malato - a maggior ragione quello psichiatrico - come persona INTERA e
REALE, con le medesime esigenze di
INTERESSE e RISPETTO di tutte le altre
anime, con una storia personale e una
soggettività che abbisognano d’ASCOLTO
PREMUROSO ed ACCURATO; secondariamente la ragguardevole influenza di
RELAZIONI e RAPPORTI sull’essere/divenire di ogni individualità.
Questi due concetti costituiscono i pre-
Infermiere a Pavia
supposti della necessità di un approccio
verso il ‘corpo psichiatrico’ che sia ERMENEUTICO, ovvero fondato su CONPRENSIONE, CONPARTECIPAZIONE ed ‘EINFUHRUNG’, cioè IMMEDESIMAZIONE.
In contrapposizione alla “psichiatria
svuotata di conoscenza psicopatologica e
inaridita in una organizzazione tecnica che
non ha anima”, come accusa Borgna.
Lo stesso autore, riproponendo
Jaspers, risalta l’urgenza di un’interazione
con il ‘corpo psichiatrico’ rinnovata,
decentrata “dalla osservazione e semplice
descrizione dei modi di essere esteriori” e
focalizzata invece alle esperienze vissute e
DIALOGHI
Dialogare: Percepire.
Dolcemente sostare in assorto
Silenzio
L’animo avvolto da impalpabile
Brezza
Aprire. Ascoltare accarezzare la melodiosa
Sinfonia, udire lambire il tintinnio
Soave dello scorrere dell’esistenza
Nell’essenza
Di un Fiato che anima futuro, presente
e passato.
Dialogare: Contattare.
Decisamente avanzare tra l’inquietudine
Pensosa
Della fretta, nel rumorio della folla
Chiassosa.
Osservare, penetrare lo sguardo
Nello sguardo, pupilla nella pupilla.
Fiume che si getta nel mare.
In un muto dialogare
Dialogo è armonia.
Un sorriso che ristora,
una stretta di mano, una parola.
Dialogare è combattere l’avversa
Sorte, sconfiggere
La morte della solitudine.
Alla chiusura
Egoistica del mondo opporsi…resistere.
Dialogare: Esistere
Susanna Cassinelli 1999
conservate negli ‘abissi della soggettività’,
per decifrare segni sempre dotati di senso.
Tale decodifica diviene infatti attuabile soltanto mediante l’identificazione con la percezione di ogni soggetto verso “il mondo
delle cose e della intersoggettività”:
“La storia della vita è cosa molto più
complessa ed intrecciata di qualsiasi storia clinica; ha a che fare con eventi della
vita, con le infinite sequenze di significati
che ognuno ha attribuito ed attribuisce agli
eventi che ha vissuto.
Non ci sono mai eventi emozionalmente
incolori e indifferenti, ma soprattutto NON
CI SONO EVENTI CHE ABBIANO UGUALI
RISONANZE IN CIASCUNO DI NOI” (Borgna). Nel rapporto con il ‘LEIB’ (corpo vissuto, corpo vivo corredato di un suo spazio di azione e di relazione con il mondo)
non si può dunque assolutamente prescindere da doti di “sensibilità, spontaneità, preparazione, intuizione, che spero siano raffinate, educate, coltivate” (Laig).
La ’profanazione’ di questi requisiti e
queste modalità sfocia nella violenza: in
quella manifesta ed in quella mascherata:
la violenza ”dell’insensibilità, della noncuranza, della delega esclusiva alla farmacopsichiatria, della fretta e della routine
che lacerano le coscienze divorate dalla
sofferenza, anelanti ad un attimo di ascolto e pazienza, delle molte forme di oggettivazione, del linguaggio tecnico e gelido
che non tiene minimamente presente la
fragilità e la rabdomantica capacità di ogni
persona che soffra (e sia disperata e soia)
nel cogliere la non partecipazione ed il
rifiuto che si nascondono nelle forme di
linguaggio opaco ed insignificante” (Borgna).
IL LINGUAGGIO: mi sembra in fine fondamentale la valutazione di questo cruciale fattore del dialogo.
Il linguaggio è la facoltà di espressione,
e “non c’è espressione umana che non sia
portatrice di comunicazione” (Borgna).
“Linguaggio” ed “espressione”, allora,
come strumenti di trasmissione; ma in
cosa essi consistono?
Usualmente tali termini rimandano, in
primis, alla interazione verbale, alla parola.
Ma il “linguaggio parlato” non è che uno
delle numerosissime forme di contatto
possibili.
Oltre alla conversazione, vi è il LINGUAGGIO DEL CORPO, ovvero il canale
di COMUNICAZIONE NON VERBALE:
ESPRESSIONE FACCIALE, SGUARDO,
POSTURA, GESTI, MOVIMENTI, COM-
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PORTAMENTO SPAZIALE, CONTATTO
FISICO, ABBIGLIAMENTO e COMPONENTI dell’ASPETTO ESTERIORE, VOCALIZZAZIONI NON-VERBALI, ODORE.
Enunanuel Lévinas ha lasciato scritti
splendidi inerenti il VOLTO: “Il volto è, di
per sè, VISITAZIONE e TRASCENDENZA.
Comprendere la miseria del volto che grida giustizia NON CONSISTE NEL RAPPRESENTARSI un’IMNAGINE, ma nel
FARSI RESPONSABILE DELL’ESSERE
che SI PRESENTA NEL VOLTO’.
Ti volto dell’altro, in modo particolare
dell’altre sofferente, deve quindi suscitare
in noi quella forma severa dell’Amore, che
è la RESPONSABILITÀ.
Il comportamento spaziale è elemento
basilare nel (e del) dialogo con il “corpo
psichiatrico”.
Borgna esorta ad una ”vicinanza adeguata alla fragilità indifesa del soggetto” e,
simultaneamente; ad una “distanza che gli
consenta di non rifiutare un contatto affet-
tivo”; ad un intervallo spaziale adeguato,
affinché “non si senta abbandonato, ma
neppure aggredito da una vicinanza vissuta come oppressione”. Ed “è in quello spazio che possono essere scoperti gli elementi di separazione e di inseparabilità”
come dice Locatelli.
Ritengo poi necessario rimembrare che
ogni incontro dialogico può realmente
avvenire alla condizione che ci sia un contesto di libertà; l’interlocutore deve sempre
percepirsi LIBERO di creare UN suo linguaggio e NEL suo linguaggio; affinché
possano essere ricostruite lentamente ed
appassionatamente le strutture dialogiche
“frantumate ma non incenerite, smarrite
ma non perdute (Borgna). Infine, modalitàchiave di dialogo (e, soprattutto, di dialogo
con il ‘corpo psichiatrico) è il SILENZIO.
Proprio così, il silenzio; che permette di
entrare in relazione con la solitudine e la
timidezza dell’altro (Eugene Minkowski).
Perché “gli infiniti movimenti dell’anima
non si possono
intravedere né tantomeno cogliere se
non si conosce, se
non si impara a
conoscere il linguaggio del silenzio: il suo alludere
ed il suo indicare, il
suo irradiarsi ed il
suo spegnersi, il
suo trasalire ed il
suo vibrare” (Borgna), il silenzio
come “ciò che permette di sentire una
voce ALTRA, che
parla un’altra lingua.
Lingua
sconosciuta di una “vox
ignota”
che
si
nasce dietro il silenzio, come il silenzio
si nasconde dietro
ai rumori superficiali della quotidianità.
Perciò
l’uomo
attento, tramite una
sorta di dialettica
rivolta al profondo,
scava attraverso lo
spessore rumoroso
che lo circonda per
portare allo scoperto le pieghe.. “(Vla-
dimir Jankèlèvitch). Il dialogo ed il silenzio,
allora, come “la sistole e la diastole della
vita: come l’aprirsi ed il chiudersi dell’anima; nel silenzio si possono ascoltare voci
segrete, voci dell’anima, che nascono dalle più profonde interiorità e che portano
con sé significati e risonanze indecifrabili
che l’ermeneutica (l’ascolto in silenzio del
silenzio, nel nuovo mirabile orizzonte che
ne consegue)ci aiuta a decifrare” (Borgna).
La metafora di ‘sistole e diastole ’ richiama l’immagine del cuore, “viscere più
nobile, perchè porta con sé l’immagine di
uno spazio, di un dentro oscuro, segreto e
misterioso che, in alcune occasioni si
apre. Le ferite del cuore sono le ferite dell’anima; l’angoscia, la disperazione, l’inquietudine, la tristezza, l’estraneità, lo
smarrimento, l’accasciamento creaturale,
la nostalgia, la malinconia, la dissociazione, l’esclusione, la frantumazione del tempo e dello spazio, il desiderio della morte”.(Maria Zainbrano)
“In alcune situazioni estreme della vita
non c’è salvezza se non ci sono, se non si
incontrano persone capaci di testimoniare
qualcosa, di ascoltare fino in fondo, di
decifrare i segni indicibili dell’angoscia e
della disperazione e soprattutto DI SIGILLARE OGNI LORO AZIONE E OGNI LORO
PROPOSTA CON IL TIMBRO INCONFONDIBILE ED IRREMOVIBILE DELL’AMORE.
Persone capaci di INFINITA DISPONIBILITÀ UMANA, imnersa in una IMMENSA
UMILTA’ e in una SCONFINATA PAZIENZA
(Borgna).
Per concludere:
il fulcro del “corpo psichiatrico” è il cuore spezzato; “ma ANCHE I CUORI SPEZZATI, COME SI SA, GUARISCONO; PURCHÈ SI ABBIA ABBASTANZA CUORE DA
LASCIARLI GUARIRE” (Laig).
L’autore
* Allieva corso di laurea Riabilitazione Psichiatrica
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Infermiere a Pavia
I l C o rp o N o b i l e
Maura Cattanei *
“La trappola! Dissociare
la coscienza dal corpo,
non identificarsi più con
il corpo, sapere che si
abita l’illusione, sarà
sempre e solo una tappa.
Ed anche una trappola!
La trappola più sottile,
perché stiamo pur
sempre ancora operando
una distinzione, è
separare ancora una
volta la Materia dallo
Spirito. In verità, da
sempre Tutto resta Uno,
Tutto si fonde!”
Da “Viaggio a Shambhalla”
di Anne e Daniel MeuroisGivaudan, ed. Amrita
Questo spazio della rivista, strettamente
legato all’argomento trattato nella parte
monografica, ha sempre avuto il compito
di suggerire ipotesi, libri e riflessioni, che
conducano “al di là delle colonne d’Ercole”; l’intento di questa parte del giornale
vorrebbe essere quello di offrire idee, punti di vista tecnici, letterali e culturali, così
che si possa acquisire un panorama più
ampio del tema, andando oltre le tematiche infermieristiche.
Rispetto al soggetto trattato in questo
numero, il corpo, l’impresa è davvero
ardua. Quale romanzo può ignorare la
realtà del corpo? Quale saggio, anche
quello che discute di temi mistici può fare
a meno di prendere in considerazione
l’aspetto più visibile dell’essere umano?
Anche l’arte, (tranne quella islamica) fa del
corpo umano palestra e scienza: non esiste pittore che non abbia sentito il desiderio, e la sfida, di dipingere un nudo femminile o il corpo martoriato del Cristo crocefisso, Karol Wojtyla definì gli affreschi della
Cappella Sistina “teologia del corpo”.
Corpo toccato
Pensiamo, per un momento, quanta parte del nostro lavoro concerne il corpo.
Ogni giorno la nostra attività ha come
punto focale la cura del corpo fisico, è nel
momento in cui mettiamo in atto le pratiche infermieristiche, che noi abbiamo
modo di conoscere le persone nella loro
complessità, andando, poi, oltre la dimensione prettamente fisica.
Nel rapporto infermiere-paziente la relazione parte quasi sempre dal corpo; l’essere umano che vediamo sdraiato in quel
letto ha bisogno di noi per la cura del proprio corpo e per la soddisfazione di bisogni di base. Solo successivamente, nella
quotidianità, accompagnandolo nelle
situazioni che deve affrontare per arrivare
alla dimissione, interagiamo con il paziente a livello emotivo, intellettuale e spirituale; è nella quotidianità che troviamo indizi
utili a cogliere ed accogliere i bisogni
espressi ed inespressi del paziente, le sue
paure, le sue domande; attraverso la
capacità di osservazione e il prestare
attenzione agli atteggiamenti, alle posture,
ai movimenti del corpo, possiamo affinare
la visione olistica della persona, che deve
contraddistinguere la nostra professione.
È innegabile: il nostro lavoro ha a che
fare con il corpo.
Ha a che fare con le sue secrezioni, sue
escrezioni, ed è forse questo a determinare un certo modo di essere percepiti e di
percepire noi stessi come professionisti.
Le feci, l’urina, il sudore, il vomito, sono
tutti elementi che ci avvicinano alla parte
più “infima” dell’esistenza di una persona,
ci fa entrare in contatto con la parte più
“corporale”, più materiale dell’essere e
anche se il nostro lavoro sta diventando
sempre più intellettuale, non si può negare che la materia di studio è il corpo.
La valutazione, che facciamo ogni giorno, dello stato di salute e di benessere di
una persona passa, per noi, attraverso il
modo in cui essa espleta i suoi bisogni primari: evacuare, alimentarsi, vestirsi, lavarsi, dormire. La comunicazione è, sì, un
bisogno fondamentale, ma, se prendiamo
come riferimento la piramide dei bisogni di
Maslow, troviamo che la necessità di relazione con gli altri è già al terzo livello, quello che comunica è ancora corpo, ma dobbiamo definirlo “corpo mentale e/o corpo
emotivo”. La soddisfazione del bisogno di
comunicare si esplica attraverso il rapporto con il mondo e con altri uomini; al contrario, “scaricarsi in modo adeguato”, è
una faccenda privata, cui attendere in solitudine.
Eppure, la crescita personale di ogni
essere umano, passa attraverso le esperienze che facciamo grazie al nostro corpo; ancor prima di nascere l’essere umano esplora se stesso e il mondo attraverso
i sensi fisici e, subito dopo l’udito, è il tatto
a farla da padrone nelle prime relazioni
con l’esterno a noi: è indagando la pelle
della mamma, i propri piedi ed i propri
escrementi, che il bambino acquisisce la
certezza di esistere.
Senza il corpo fisico innumerevoli esperienze ci sarebbero negate; ricordate il film
“Il cielo sopra Berlino”? In quella opera
emerge chiaramente il bisogno di sperimentazioni fisiche dell’angelo Daniel, ed è
questa necessità che lo spinge a prendere
forma fisica!
Giovanni Paolo II, negli ultimi anni della
sua vita, parlava della Nobiltà del Corpo,
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proprio nel momento in cui ne veniva
costantemente tradito. Fino all’ultimo giorno della sua vita terrena ha mostrato al
mondo il suo corpo malato e con questo
atto ci ha trasmesso un messaggio: non
dobbiamo vergognarci della materia, essa
ci offe la possibilità di sperimentare il Creato in tutte le sue manifestazioni, dalle più
sottili alle più dense; sta a noi non lasciarci travolgere dalla materia e usarla, invece,
come trampolino per spiccare il volo nell’intangibile realtà dello Spirito, dal quale,
lo affermano ricercatori di fama mondiale,
si differenzia solo per il tasso vibratorio.
La consapevolezza che il corpo possiede una sua propria nobiltà lo rende degno
di aver riconosciuta una dignità pari a
quella dell’Intelletto e dello Spirito e questa coscienza ci deve far pensare al modo
in cui noi infermieri tocchiamo il corpo delle persone che ci sono affidate.
Cercando, mi sono resa conto, che i
corpi, che più di altri, sono oggetto di
attenzioni sono quelli che appartengono ai
bambini o ai morenti. Solo in queste circostanze ci si chiede qual è il modo più corretto di toccare un essere e ci sono indicazioni,corsi d’aggiornamento, libri per
imparare come farlo nel modo giusto.
Corpo di bimbo
Nel caso dei neonati, specie se prematuri, ci sono sperimentazioni e studi che
dimostrano quanta importanza abbia il
“toccare” il corpo del bambino. L’Associazione Italiana Massaggio del Bambino
(A.I.M.I.), istituisce corsi di formazione per
genitori ed operatori che vogliono imparare ad usare il senso del tatto per instaurare una relazione profonda ed empatica
con il bambino.
La pratica del massaggio, applicata, in
un primo tempo nelle neonatologie prenatali, compresa quella del Policlinico
S.Matteo di Pavia, è stata ampliata in
modo da comprendere bimbi più grandi
e/o soggetti autistici, portatori di Sindrome
di Down, persone affette da mielomeningocele, ecc. perciò, fino a che il bambino
accetta quelle che sono “coccole” e carezze, instaurare e mantenere un rapporto
anche fisico con il proprio bambino facilita
il processo di attaccamento e il formarsi di
una “base sicura” che consentirà il suo
armonico sviluppo. Con il massaggio, le
carezze, il toccarsi il dialogo tra genitori e
figlio si amplia e si approfondisce nell’armonia di una comunicazione che comprende il non-verbale. Nel caso di bambini
affetti da patologie, il MB (Massaggio del
Bambino) ha lo scopo di portare i genitori
oltre le parti malate del figlio, in modo da
ricomporre il bambino nel suo insieme,
ricostituendo uno schema corporeo integro e riportare la relazione tra i componenti della famiglia sulle le parti sane del piccolo.
Il Massaggio del bambino non è un
intervento terapeutico, non è fisioterapia,
come spiega Adrienne Davidson, terapista
della Riabilitazione presso l’Azienda Ospedaliera Meyer di Firenze in un suo intervento al convegno “Il massaggio del bambino. Strumento per la promozione di salute nel lattante” del 1996.
Nel suo intervento la Davidson descrive
il MB e dice: “La tecnica e le modalità di
insegnamento del MB sono state elaborate da Vimala Schnieder negli Stati Uniti,
fondatrice dell’International Association
Infant Massage Instructors, in seguito ad
una preparazione professionale e personale. Le manovre sono state sviluppate da
una sintesi del massaggio indiano e svedese e dalle tecniche della reflessologia
plantare. Queste tecniche vengono insegnate in un modo ed un ordine relativamente preciso, ma possono essere poi
liberamente adattate al singolo bambino
dal proprio genitore, secondo preferenze
e reazioni individuali. Il corso di insegnamento del MB consiste in 4-5 incontri a
cadenza settimanale, di un ora e mezzo
circa ognuno. Il numero del gruppo può
variare dai 4 ai 10 bambini con i loro genitori, e l’età preferibile per frequentare il
corso è dalle tre settimane ai sei mesi di
età, anche se il MB può essere praticato
ed adattato alle età più avanzate, finché il
bambino lo gradisce.
Va ricordato che il corso serve soprattutto ad imparare la tecnica ed a sensibilizzarsi ai suoi benefici per fare sì che il massaggio venga inserito nel normale accudimento quotidiano del bambino a casa.”
La Davidson suggerisce una bibliografia
che riporto al termine di questo articolo.
Corpo morente
Veldman definisce l’aptonomia “una
scienza ontologica focalizzata sulle conoscenze e sull’esplorazione di leggi, norme
e condizioni che determinano i fondamenti del tatto, incorporando i sentimenti e la
vita emozionale che si sviluppano dal senso tattile. In pratica, si tratta di una guida
pre e postnatale mirata alla promozione del
“bonding” attraverso il ‘toccare raffinato’ e
il ‘sentire affettivo’ reciproco feto/bambino
–genitore”.
Iniziata come una ricerca relativa al “toccare il bambino”, l’aptonomia si è sviluppata come modalità applicabile anche ai
malati terminali.
Marie de Hennezell la usa costantemente nel suo approccio e nel suo accompagnamento dei malati terminali. In un articolo del 1999 e nei suoi libri, racconta come
questa pratica le abbia permesso un
approccio empatico, rassicurante e rilassante con chi sta affrontando l’ultima parte
della sua vita terrena. La de Hennezell fa
poi un ulteriore passo avanti; con il coraggio di chi riesce a mettersi in gioco costantemente e totalmente lascia che si crei, tra
lei stessa e la persona che tocca, una specie di contatto profondo in modo che “sia
chi riceve il contatto fisico che chi lo offre
immagina di prolungarsi al proprio interno
e anche all’interno dell’altra persona, in
una reciprocità di ‘prolungamento’ consapevole”.
Corpo accudito
Quante volte, in una giornata, tocchiamo
il corpo di un paziente? E come lo tocchiamo?
Certo non possiamo permetterci di creare un contatto come fa Marie con i suoi
pazienti, il rischio di un fraintendimento o
di un rifiuto è alto, i tempi di degenza nei
normali reparti di degenza non consentono l’instaurarsi di un rapporto così intimo,
oltre ad anni di preparazione occorre un
costante supporto psicologico, una buona
conoscenza di sé e un ottimo equilibrio
psico-fisico; ma neppure possiamo ignorare che ogni nostro intervento tocca il
malato e sta a noi, alla nostra sensibilità,
alla nostra “arte” il saper usare le nostre
mani come un “toccasana” e non come
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strumenti invasivi che provocano fastidio o
dolore.
Tra le terapie non convenzionali a noi è
concesso di mettere in atto la reflessologia
plantare e nella nostra preparazione di
base ci vengono impartiti i rudimenti della
riabilitazione motoria e del massaggio,
sappiamo come si riattiva la circolazione
sanguigna in un malato allettato, sappiamo come si effettua la mobilizzazione passiva di un arto!
Ma, al di là di alcune specifiche situazioni, possiamo divenire consapevoli che il
momento in cui tocchiamo una persona fa
parte della relazione che instauriamo con
lei. In un altro articolo M. de Hennezell
afferma che: “…il contatto con l’altro deve
essere stabilito nel rispetto di tre condizioni: presenza, trasparenza e prudenza. La
presenza è intesa non in senso fisico, ma
come empatica partecipazione; trasparenza nel tipo di contatto che si effettua: deve
essere chiaro che questo avviene per
generosità, e che si contatta la persona
attraverso il corpo; infine prudenza intesa
come rispetto per l’altro: attraverso l’ascolto e l’intuizione si può capire quali sono i
suoi bisogni e raggiungere un equilibrio
tra il dare troppo e il non dare abbastanza”.
Divenire consapevoli di ciò che trasmettono le nostre mani è importante, così che
si possa condividere senza essere travolti;
ci sono alcune unità di Cure Palliative che
hanno organizzato corsi di formazione sull’aptonomia, ma questa arte richiede anni
di preparazione e un supporto che nella
realtà pavese e probabilmente italiana,
non esiste. Il con-tatto consapevole con il
malato, così come altri aspetti della nostra
professione, ha bisogno di avvalersi di una
crescita personale che si acquisisce sia
con l’esperienza e la riflessione, sia con
l’aiuto della formazione somministrata da
professionisti competenti.
Corpo sensibile
La pelle ricopre interamente il nostro
corpo e difficilmente ricordiamo che essa
è l’organo del tatto. Ogni minima variazione atmosferica, climatica, ma anche più
sottile, passa attraverso questa ‘veste’,
quante volte abbiamo affermato “quella
persona non mi piace” o “mi piace” senza
comprendere il motivo di quella repulsione
o di quella affinità e se ci chiedevano spiegazioni rispondevamo: “è una sensazione
di pelle”. La pelle è la prima tappa che
incontriamo nel nostro rapporto con il corpo e nel nostro viaggio di conoscenza dell’altro.
Sotto la pelle stanno i muscoli, e sotto i
muscoli organi e apparati che garantiscono la nostra sopravvivenza, e più sotto?
Più in profondità? Dove finisce il corpo
Infermiere a Pavia
materiale e inizia quello emotivo, e dov’è il
confine tra questi e il corpo mentale? Ed è
tutto qui? Cosa è questa energia che ci
anima e ci fa amare?
Qual è il confine tra nobiltà e bassezza?
E siamo certi che esista un confine?
Oppure Tutto è veramente UNO.
Bibliografia
- M. De Hennezel: “La morte amica” ed.
Rizzoli
- A e D. Meurois-Givaudan: “Viaggio a
Shambhalla” ed Amrita
- Siti:
www.ghirotti.org/pubblicazioni/
1999_1_2/aptonomia.htm
- http://www.careperinatologia.it/news/
lavori/neonatologia/alba%20dei%20sen
si.html#tasto
L’autore
* Infermiera
A.O. Pavia
BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA da Adrienne Davidson
- Winicott D. Sviluppo affettivo ed ambiente. Ed. Armando, Roma, 1970
- Klaus M e Klaus P. Venire al mondo. Ed. Il Pensiero Scientifico, 1988
- Relier J.P. Amarlo prima che nasce: il legame madre-figlio prima della nascita. Ed.Le
Lettere, Firenze, 1994
- Veldman. Life Welcomed and Affirmed. Academy for Haptonomy and Kinesionomy,
Nijmegen, 1976
- Aucklett A. Il massaggio per i vostri bambini. L’Altra Medicina Ed. Red , Milano, 1987
- Walker P. Massaggi al tuo bambino. Ed Mondadori 1988
- Costa B. Il Massaggio del Bambino. Rivista Associazione Italiana Terapisti della Riabilitazione, 1989
- Rossini R. Il massaggio del Neonato. Atti del Convegno :”Dentro e fuori la pancia
della mamma” , Bologna, 19/11/89
- Brazelton B. Touchpoints. Ed. Doubleday, Sydney, 1993
- Barth M e Markers U. Il libro delle coccole. Ed Red, Milano, 1991
- Montagu A. Il linguaggio della pelle. III ed, Ed Garzanti, Milano, 1989
- Ohashi W. Touch for Love: Ohashiatsu per il vostro bambino. Ed Oltre il Ponte
- Rossini R. La Comunicazione Tattile nel Neonato. Atti del Congresso Nazionale di
Neonatologia della S.I.N., Montecatini, 1995
- Schneider V. Manuale per insegnanti di massaggio del bambino. II edizione, a cura
dell’ A.I.M.I., Genova Nervi - via D. Somma, 12/8, 1994
- Field T e coll. Tactile/kinesthetic stimulation effects on preterm neonates. Pediatrics
77:6 54-658, 1986
- Rossini R. Terapia Fisica del Lattante: l’importanza di una stimolazione sensoriale nel
lattante e nel prematuro. Istituto di Pediatria Preventiva e Neonatologia, Univerità
degli Studi di Bologna. Premio internazionale FondazioneErnesto Cacace per la
Nipiologia
- Field T. Massage Therapy for Infants and Children. Development and Behavioural
Pediatrics 16,(2), April 1995
- Leboyer F. Shantala, l’arte del massaggio indiano per fare crescere i bambini felici.
Ed. Bonpiani, Milano, 1976
- Anzieu D. L’io pelle. Ed Borla, 1985
- Morris D. La comunicazione non-verbale nella specie umana. Ed Mondadori, Milano,
1977.
39
PAGINA
Numero 2/2005
Aggiornamento
IN
ITALIA
ANDATA
Silvia Giudici *
A causa della consistenza di
questo numero la rubrica
Aggiornamento Ritorno
verrà pubblicata
sul prossimo numero della Rivista.
Il Caporedattore
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tel. 011505900 - fax 011505976
Fonti:
- Internet: www.ministerosalute.it/ecm
L’autore
* Infermiera
Neuroriabilitazione I e II
Fondazione Salvatore Maugeri
Elenco dei titoli delle tesi discusse nelle sessioni di Laurea
20-21 aprile 2005 sede Pavia - 22 aprile sede Vigevano
Nominativo
Titolo Tesi
Alessandrin Marco
Altomare Annalisa
Balocco Vanessa
Bianco Antonella
Bosco Nagia Francesca
Brasolin Simone
Buonanno Laura
Cespinoli Chiara
Chiacchiera Massimo
Il ruolo infermieristico nella gestione del paziente politraumatizzato in Pronto Soccorso
Obesità in età pediatrica: assistenza infermieristica ed educazione sanitaria
Il ruolo infermieristico nell'educazione sanitaria per la prevenzione, l'assistenza e la terapia dell'infezione da virus HCV
Applicazione di protocolli per la terapia del dolore in ambito chirurgico: responsabilità infermieristiche
La violenza rivolta verso sé stessi in psichiatria: quale assistenza infermieristica?
Gli infermieri e il trattamento sanitario obbligatorio
Il trapianto di cuore: vissuti psicologici del paziente ed assistenza infermieristica
Ruolo dell'infermiere nel sistema di emergenza/urgenza territoriale
Il ruolo dell'infermiere nella gestione attuale dello scompenso cardiaco: problematiche relative ai prelievi per la determinazione dei Peptidi Natriuretici Cardiaci
I benefici della "Kangaroo mother care" nel neonato prematuro: ruolo infermieristico
Le infezioni nella persona affetta da Leucemia Acuta Mieloide: ruolo dell'infermiere
Infermiere di famiglia
Aspetti sociologici ed antropologici della professione infermieristica
Assistenza infermieristica al paziente con disturbi dell'umore
Le ustioni: Nursing e primo soccorso
Il 118 bimbi: ruolo dell'infermiere e aspetti medico-legali del trasporto del bambino in ambulanza
Il dolore post-operatorio: ruolo, responsabilità e limiti di autonomia dell'infermiere nel trattamento dello stesso
L'assistenza infermieristica al paziente terminale e la ricerca della qualità della vita fra l'emozione e la tecnica
Il bambino sordo: alcune questioni di assistenza infermieristica
Nursing in dialisi e qualità di vita della persona dializzata
La ricerca infermieristica in oncologia
Il Triage in ambito intraospedaliero: il punto di vista dell'utenza. Indagine conoscitiva sul grado di soddisfazione di chi
afferisce al Servizio di Pronto Soccorso dell'AO di Vigevano
Il ruolo infermieristico in una struttura di prima accoglienza (casa di accoglienza alla vita)
Assistenza Infermieristica al paziente in coma ipercapnico
L'infermiere e la gestione delle maxi emergenze
Complessità assistenziali della persona con politrauma: dall'evento alla riabilitazione
Ruolo dell'infermiere in endoscopia digestiva
Assistenza infermieristica alla persona sottoposta ad intervento chirurgico per aneurisma cerebrale
Promozione ed educazione sanitaria alla madre per l'allattamento al seno in modo "consapevole"
Indagini relative al ruolo infermieristico nella gestione di persone con lesioni cutanee croniche
L'assistenza infermieristica all'adolescente ricoverato in Neuropsichiatria Infantile. Esperienza personale di "maternage".
Il ruolo dell'Infermiere: aspetti valutativi e gestionali del paziente anziano con malnutrizione secondaria a disfagia
Gli strumenti di valutazione dell'infermiere nell'assistenza all'anziano fragile
Assistenza infermieristica alla donna affetta da tumore dell'utero
Il ruolo dell'infermiere nell'osservazione breve in Pronto Soccorso
Indagine conoscitiva relativa alla qualità di vita delle persone portatrici di colonstomia
L'infermiere e le problematiche assistenziali nei bambini stranieri
Il dolore: espressione del bisogno di assistenza infermieristica
Virus respiratorio sinciziale: assistenza infermieristica al neonato
La terapia trasfusionale: responsabilità infermieristiche
La dimensione psico-patologica del malato di AIDS. Assistenza infermieristica
Il Bambino ospedalizzato e la Madre: competenze educative nella Professione Infermieristica
Assistenza Infermieristica al paziente in dialisi peritoneale
Responsabilità infermieristica nell'individuazione precoce dei soggetti a rischio di lesioni da decubito
La difficoltà di essere Infermiere nei confronti di un familiare affetto da malattia oncoematologica
La relazione e la comunicazione dell'équipe sanitaria nei confronti di un utente con diagnosi infausta
Ruolo dell'infermiere nella gestione della malnutrizione in età senile
L'Infermiere nel progetto di intervento psico-oncologico
Il ruolo dell'infermiere nella gestione delle ulcere vascolari croniche agli arti inferiori
Essere Infermiere nei paesi in via di sviluppo economico
Analgesia peridurale post-operatoria: costi e benefici nell'assistenza infermieristica
Triage infermieristico avanzato per la selezione di pazienti con ictus cerebrale eleggibili alla trombolisi
Assistenza infermieristica al neonato in Sala Parto
Assistenza infermieristica al paziente con trauma cranico
L'infermiere nelle strutture intermedie psichiatriche residenziali
L'alcolismo: aspetti clinici, terapeutici ed assistenziali
Aspetti etici e legislativi del trapianto d'organo
L'Infermiera e il gioco per aiutare il bambino a vincere la paura dell'intervento chirurgico
Ruolo dell'Infermiere nella NAD in seguito all'introduzione della riforma sanitaria regionale
Il ruolo attuale dell'Infermiera nell'ambito dell'attività della CRI
L'infermiere e la Medicina alternativa: l'Ippoterapia
Cirillo Nunzia
Coller Francesca
Cossali Shiala
Costa Filippo
Cucci Lucia
Di Salvo Giuseppe
Dolzanelli Vera
Edo Giulia
Failla Benedetta
Fasone Jessica Alessia
Garofalo Gennaro
Gendusa Dario
Giacalone Tiziana
Giorgi Simona
Guida Silvia
Landriani Simona
Lattuca Maria Rosa
Lauricella Ninotta Vito
Linfanti Giuseppe
Lo Curto Calogero
Marchese Mauro
Martorano Silvia
Mazzitelli Antonella
Melpignano Cinzia
Messana Antonella
Minnella Dolores
Mormile Silvana
Moro Maria Antonietta
Moscato Caterina
Moscato Giuseppe
Pancaro Rosaria Michela
Pecere Filomena
Piccoli Cristina
Protano Giovanni
Provenzani Calogero
Reale Carolina
Rizzo Domenico
Rolandi Cinzia
Roscini Danka C.
Rosso Silvia
Roveda Chiara
Spagnuolo Daniele
Spalluzzi Mauro
Spinelli Francesca
Spirolazzi Martina
Testa Cristina
Tonali Enrico
Tondo Giuseppe
Trabacchi Edvina
Tricarico Giorgio
Venditti Emidia
Volpati Daniela