Antichi mestieri. “ `O scannapuorco”, de cuius del

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Antichi mestieri. “ `O scannapuorco”, de cuius del
Antichi mestieri. “ ’O scannapuorco”, de cuius del macellaio
Un tempo era uso che quasi ogni famiglia contadina curasse, fra le altre cose,
l’allevamento di uno o più maiali. Le bestie erano acquistate in tenera età, appena
svezzate, nella stagione estiva, e fino ad ottobre erano alimentate con erba, rimasugli
di cucina e poca farina gialla
mista ad acqua. Ad autunno
inoltrato il pastone di farina
diventava
più
solido
abbondante e l’erba era
sostituita dal granturco intero
da sgranocchiare e dalla
zucca.
L’abbondante
alimentazione e la scarsità
del movimento che era
imposto alle bestie per non
smaltire il grasso che
andavano
accumulando
faceva si che tra la fine di
dicembre e gli inizi di
gennaio esse si presentassero
belle e pronte per essere
macellate. Questa operazione
assumeva i caratteri di un
vero e proprio rito: qualche
giorno
prima
della
macellazione
l’artefice
dell’operazione,
“
‘o
scannapuorco”, faceva una
prima sortita nel porcile
durante la quale soppesava
con lo sguardo la bestia da
macellare e prescriveva,
come un medico, le giuste
quantità di spezie da
acquistare
per
la
conservazione
degli
insaccati, fissando nello
stesso tempo il giorno esatto
dell'esecuzione. All’alba del sacrificio, l’uomo arrivava con una capiente borsa di
paglia contenenti vari coltelli e punteruoli, si metteva in maniche di camicia,
nonostante la temperatura, con stivali lunghi fino al ginocchio, aspettava che il
proprietario del maiale, riproducendo lo stesso verso che era solito fare quando gli
Uccisione del maiale in un palazzo frattese
alla fine degli anni Cinquanta
serviva il pasto, attirasse l’ignara bestia nel luogo deputato alla macellazione. In
genere l’operazione si svolgeva nel fienile, dove in previsione si sospendeva una fune
ad una trave per sollevare il maiale da terra dopo l’uccisione. Facendo molta
attenzione a non irritare l’animale che, se si fosse arrabbiato - così come sostenevano
gli anziani- avrebbe alterato il buon gusto della carne, " ‘o scannapuorco", coadiuvato
dagli altri presenti, immobilizzava l’animale, lo sdraiava su un tavolaccio, gli
avvolgeva una corda attorno al grugno per evitare che durante l’uccisione strillasse
troppo rumorosamente, dopo di che gli sferrava con maestria un colpo di coltello alla
gola recidendogli la carotide. Il sangue, copioso, era fatto defluire direttamente in un
recipiente sottostante ed era rigirato con un coltello per non farlo coagulare (sarebbe
servito con l’aggiunta di cacao e zucchero per preparare il famoso sanguinaccio o
anche, previo l’aggiunta di spezie, il cosiddetto samurchiello). Dopo l'uccisione, mani
esperte pelavano, con l’abilità di un barbiere, il maiale che, una volta appeso, era
tagliato a metà, liberato delle interiora e messo a riposare per ventiquattro ore. Il
giorno dopo, sempre di buon mattino, “ ‘o scannapuorco" iniziava a sezionare le varie
parti del maiale che diventavano via via prosciutti, lonze, ventresche, capicolli,
pancetta, salsicce, salami, zamponi e cotechini. La maggior parte del lardo era invece
trasformato, dopo una bollitura che durava alcune ore, in sugna, un grasso che ha
lungamente sostituito l’olio nella cucina, prima di essere bandito per il suo alto
contenuto di colesterolo. A sera, quando le operazioni erano ultimate, il proprietario
del maiale era solito offrire allo “scannapuorco” e a quanti avevano collaborato con
lui, una cena a base di salsicce, costolette, ciccioli o cicoli (residui della fusione della
sugna), parti della testa e delle zampe del maiale (pere‘e musso); il tutto
rigorosamente innaffiato da abbondante vino rosso (giammai da acqua, sarebbe stato
male augurante) e davanti ad uno scoppiettante camino.
Franco Pezzella