Testo critico Ugo Massolit

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Testo critico Ugo Massolit
 SAPERE AUDE!
Dio gioca con le parole, perché non dovrebbe farlo Dario Agrimi? Con una battuta che
sembra presa da un film di Woody Allen, Dario continua a prendere in giro lo spettatore
come ha sempre fatto nelle sue precedenti esposizioni. Chi non le conoscesse, non
avrebbe idea di come è fatto un gatto nero di tre metri che accerchia lo spettatore
ironizzando sulla superstizione insita in ogni individuo, non saprebbe com’è fatta la “gallina
dalle uova d’oro” o, in generale, la pletora di animali bizzarri per le loro dimensioni, forme o
posizioni che il giovane artista ha proposto in differenti contesti e occasioni riscuotendo,
più che il favore del pubblico, la sua sorpresa e strappato, forse, un sorriso tra i denti. È
questo, infatti, l’interesse dell’artista: sorprendere, non guadagnare pacche sulle spalle e
complimenti per “nature morte” vecchio stile. Ciò che l’artista vuole è l’inaspettato, lo
stupore improvviso verso qualcosa che, partorito dalla sua mente demiurgica, prende
forma e si materializza agli occhi dello spettatore. Il desiderio di rompere gli schemi
precostituiti dell’arte, spinge l’artista a sperimentare tecniche e soluzioni che soddisfano i
suoi scopi visionari. In questa occasione, non poteva far altro che misurarsi con il più
enigmatico tema dell’umanità occidentale: dio, ovvero la religione rivelata. In
“GRAZIEADIOSONOATEO”, Dario ripropone in maniera personale la dinamica di
approccio a dio o alla sua rivelazione. La vasca piena di carbone impone allo spettatore di
sporcarsi i piedi per poter conoscere ciò che è nascosto all’interno di ciò che non si mostra
mai in maniera evidente. Proprio come nel caso della religione, è richiesto quel famoso e
hollywoodiano “balzo di fede” (ricordate il terzo episodio di Indiana Jones? No?
Rivedetelo, oppure balzate!). In questo caso, l’artista pretende che ci si sporchi le mani
con l’arte, anzi che ci si sporchi i piedi e, solo successivamente, si giunga alla
consapevolezza di ciò che per l’artista è divino, di ciò che racchiude in una semplice
installazione l’ampiezza, la portata e lo squilibrio della domanda teologica.
Si è giustificato il gioco di parole di Dario accostandolo a quello di dio che, almeno nel
caso di quello cristiano-cattolico, ha giocato con le parole. Si potrebbe altresì dire che il dio
cattolico è stato addirittura menzognero.
Dio, se c’è, infatti, non è quello che spacciano le religioni. Sicuramente non lo è per Dario
Agrimi. Dio, almeno quello cristiano-cattolico, mente. Nella Genesi (III, 1-5), il diavolo,
sotto forma di serpente, smaschera dialetticamente la menzogna divina. Parlando con
Eva, infatti, il diavolo viene a sapere che dio ha concesso ai due proto-esseri-umani di
mangiare qualsiasi frutto del suo giardino. Ma dio è anche un fruttivendolo meschino e
tentatore poiché mette in vetrina ciò che non è in vendita e non può esser mangiato: la
famosa mela (di cui vittima, per altro, sembra essere stata anche la famosa Biancaneve, la
qual cosa la dice lunga sulla fondatezza e realisticità del racconto biblico). Sta di fatto,
pertanto, che dio vieta ad Eva di mangiare la mela intimorendola con il rischio di morte in
caso di mancata osservanza del divieto. In realtà, il diavolo fa notare alla golosa Eva che
non morirà se mangerà la mela, bensì acquisterà ciò che dio teme più di ogni altro male
sulla terra: la conoscenza. La mela, infatti, donerà la capacità di discernere tra il bene ed il
male, tra la beata e divina ignoranza e la sofferente e grama conoscenza che tuo “padre”
è un bugiardo, geloso delle sue piccole cose e che non vuole stimolare le tue potenzialità
tenendoti sotto una campana di vetro in cui osservarti giocare nudo tra i prati dell’Eden. Si
potrebbe dedurre da ciò che dio è un voyeur avaro e un po’ bieco, che si prende gioco dei
suoi figli, ma non facciamo concessioni improprie a ciò di cui nessuno può parlare con
reale certezza, tranne la congregazione sardonica del tredicesimo giorno ovviamente (una
setta vale l’altra). In un siffatto clima di spensieratezza retorica, inaugurato dal più venduto
libro al mondo - e non alludo al primo capitolo della saga di Twilight -, perché l’artista non
dovrebbe vestire i panni di un faceto messia che si fa portatore della propria fede?
L’artista, infatti, si fa demiurgo, mette insieme materia e forma e costruisce pezzi di
realtà. La realtà di Dario, però, fa a cazzotti con la nostra. Si sbilancia nella posa
innaturale di ciò che per esser visto richiede il sopracitato “balzo di fede”. La realtà
dell’artista impone che ci si sacrifichi per poter sapere, per poter godere dell’arte, pena il
restare nella beata, placida e pulita ignoranza di chi teme di valicare i limiti imposti. Chi
oserà saprà. Saprà qualcosa che gli altri non sanno, avrà il potere in quanto vicario
dell’artista e del suo messaggio.
Camminare sui carboni, quindi. Spenti, ovviamente, perché l’atto di fede deve essere alla
portata di tutti e non solo di fachiri e ciechi credenti. Camminare sui carboni è poca cosa in
confronto alle pene di Giobbe, allo spettatore non si chiede tanto, ma si chiede
partecipazione attiva e consapevole. Lo spettatore deve voler sapere cosa c’è dall’altra
parte, deve essere spinto dal desiderio di conoscenza - come Eva - e cogliere la mela
artistica dell’installazione di Dario Agrimi. Ciò che è celato si rivelerà solo a chi dimostrerà
fede nell’artista. Lasceremo, pertanto, oscuro il mistero di cosa attende lo spettatore, per
non tradire il segreto, il mistico, ciò che acquista importanza perché frutto di una libera e
responsabile scelta, ciò che rappresenta il centro teologico di questo visionario un po’
blasfemo. Perché, quindi, sporcarsi per svelare il mistero? Perché altrimenti saremmo
ancora bestie e ci sporcheremmo non solo i piedi, ma anche le mani e le ginocchia,
cammineremmo ancora a quattro zampe piegati sotto il giogo dell’ignoranza.
Alzatevi, la messa è finita, i carboni vi attendono.
Ugo Massolit