Difret - Il coraggio per cambiare
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Difret - Il coraggio per cambiare
Difret - Il coraggio per cambiare Regia e sceneggiatura: Zeresenay Berhane Mehari. Fotografia: Monika Lenczewska. Scenografia: Dawit Shawel. Montaggio: Agnieszka Glinska. Musica: Dave Eggar, David Schommer. Interpreti: Meron Getnet, Tizita Hagere, Haregewoin Assefa, Shetaye Abreha, Mekonen Laeake, Abel Abebe, Genene Alemu, Semahegn Alemu, Teferi Alemu, Deribwork Assefa, Hiwot Assefa, Yeneneh Engedawok. Produzione: Haile Addis Pictures, Truth Aid. Origine: Etiopia/Usa, 2014. Durata: 99’. Etiopia, in un villaggio a tre ore da Addis Abeba, 1996. La piccola Hirut, quattordici anni, è prima rapita da un uomo che pretende di sposarla senza il consenso dei genitori e poi violentata. Sfruttando un attimo di disattenzione dei rapitori, riesce a fuggire impossessandosi di un fucile che utilizza per autodifesa contro l'aggressore, uccidendolo. Per le regole tribali del villaggio, che si rendono parallele all'applicazione della giustizia dello Stato, la ragazza è colpevole: Hirut dev'essere condotta in prigione e giustiziata. Alla condanna si oppone Andenet, un'associazione di donne avvocato: uno dei suoi membri, Meaza Ashenafi, decide di difendere Hirut, la fa uscire di prigione, l'affida a una comunità per evitare che possa cadere vittima di vendette e la assiste durante tutto l'iter processuale. Acclamato in molti festival, tra cui il Sundance e Berlino (nei quali ha ricevuto i premi del pubblico), voluto fortemente da Angelina Jolie, che figura come executive producer, Difret (in amarico significa "coraggio") è tratto da una storia realmente accaduta, una delle tante storie che si scontrano con una tradizione di soprusi nei confronti delle donne (e dei minori) avallate dalla legge (atavica e, di conseguenza, statale). Ingiustizie che privano la persona di qualunque dignità non solo giuridica ma anche individuale. Il film scritto e diretto da Zeresenay Berhane Mehari, etiope di nascita ma di formazione statunitense, riflette su un momento di passaggio fondamentale nella storia del suo paese, cui contribuì anche la vera storia che ha ispirato il film, grazie alla sua vasta risonanza mediatica. Nella seconda metà degli anni Novanta, infatti, in Etiopia si assisté a una messa in discussione di alcune delle pratiche tradizionali più radicate e impietose della civiltà tribale, come quella della Telefa, il rapimento e il susseguente stupro della donna nel caso in cui la famiglia si fosse rifiutata di concederla al pretendente. E il film, raccontando con cadenze da cinema processuale l'odissea legale delle due protagoniste, Hirut e Meaza, in filigrana osserva la sovrapposizione esistente tra un universo tribale ancorato alle sue salde consuetudini e il mondo moderno che si affaccia progressivamente su uno scenario immobile da secoli. Tra le pieghe di questa contrapposizione, il film apre anche al suo corrispettivo logistico, il confronto tra campagna e città, in cui, tramite Hirut ospite in casa di Meaza, i due mondi entrano in contatto, esplicitando il peso delle contraddizioni in atto sul personaggio della ragazza, ormai estromesso dalla società tribale di appartenenza (da cui è stata espulsa e condannata), ma impossibilitata a integrarsi nel tessuto della città, di cui non comprende i meccanismi e i principi che ne regolano la vita, le abitudini, la frenesia. È sul filo di questo paradosso che il film di Mehari racconta la trasformazione sofferta di un intero paese e della sua millenaria cultura. A cura di Giampiero Frasca