carta intestata consulenza per circolari

Transcript

carta intestata consulenza per circolari
Forlì, 22 maggio 2013
Prot. n. 83/2013
LE ISPEZIONI SUL LAVORO: POTERI, LIMITI,
PROVVEDIMENTI
Quali sono i poteri del personale ispettivo? Quali i diritti dell’azienda
sottoposta a verifica? Quali sono le conseguenze nel caso in cui
l’ispettore rilevi delle irregolarità?.
Obiettivo della presente dispensa è prendere in esame le problematiche
più frequenti relative all’accesso ispettivo da parte del personale
incaricato alle verifiche e, seppur sommariamente, le figure adibite al
lavoro nel settore agricolo e le principali conseguenze sanzionatorie in
carico al datore di lavoro nel caso di irregolarità.
Il potere di ispezione nei luoghi di lavoro
A disciplinare l’attività del personale ispettivo sono intervenute, nel
tempo, numerose norme e disposizioni atte a regolamentare l’intero
operato dei funzionari ispettivi, dal sopralluogo in azienda agli atti
conseguenti le verifiche.
- Art.8 - co.2 - DPR n.520/55: “gli ispettori del lavoro hanno facoltà di
visitare in ogni parte, a qualunque ora del giorno e della notte, i
laboratori, gli opifici, i cantieri, gli uffici, i locali di pubblico spettacolo, i
dormitori ed i refettori annessi”.
Analogo potere è conferito anche ai funzionari addetti alla vigilanza
degli istituti previdenziali, che, come i colleghi delle Direzioni Territoriali
del Lavoro, hanno il potere di accedere ai luoghi di lavoro per esaminare
il libro unico del lavoro ed ogni altra documentazione necessaria a
verificare il corretto assolvimento degli obblighi contributivi o
l’erogazione delle prestazioni previdenziali (art.3 - D.L. n.463/83).
Al personale ispettivo delle Direzioni Provinciali del Lavoro e degli istituti
previdenziali, infine, è attribuito il potere di interrogare liberamente gli
esercenti delle aziende, il personale e quanti siano comunque ritenuti in
grado di dare informazioni utili ai fini dell’attività di vigilanza, comprese
le rappresentanze sindacali e gli enti di patronato (art.4 - L. n.628/61;
art.3 - D.L. n.463/83).
- Art.13 - L. n.689/81 - “Gli organi addetti al controllo sull'osservanza
delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione
amministrativa del pagamento di una somma di denaro possono, per
l'accertamento delle violazioni di rispettiva competenza, assumere
informazioni e procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla
privata dimora, a rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ad ogni
altra operazione tecnica. Possono altresì procedere al sequestro
cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca
amministrativa, nei modi e con i limiti con cui il codice di procedura
penale consente il sequestro alla polizia giudiziaria.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Il legislatore ha peraltro previsto un apposito profilo sanzionatorio applicabile nel caso di impedimento dei
poteri di vigilanza dei funzionari delle Direzioni Territoriali del Lavoro e degli istituti previdenziali da parte
del datore di lavoro, sanzionando quest’ultimo con una sanzione amministrativa da un minimo di 1.290,00
ad un massimo di 12.910,00 euro (art.3 - co.3, del D.L. n.463/83).
Con il Dlgs. 124/2004 (Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro)
il legislatore ha proceduto ulteriormente a riorganizzare funzioni e competenze degli uffici centrali e
periferici del Ministero del Lavoro nonché a delineare nuovi poteri in capo ai funzionari ispettivi quali il
potere di diffida (art. 13), di disposizione (art. 14) e di prescrizione (art. 15).
Con Decreto della Direzione generale dell’attività ispettiva del Ministero del Lavoro datato 20/04/2006, il
Ministero del Lavoro ha predisposto un “Codice di comportamento ad uso degli ispettori del lavoro” in
risposta all’esigenza di definire e diffondere i principi guida per un corretto e uniforme comportamento del
personale ispettivo nell’esercizio delle sue funzioni, andando ad elencare dettagliatamente le modalità
della pratica ispettiva, dalla preparazione dell’accesso ispettivo alla verbalizzazione.
Con la Direttiva del Ministro Sacconi del 18/9/2008 si sono scandite le diverse fasi dell’accesso ispettivo e, a
completamento del percorso di riorganizzazione delle funzioni ispettive, l’art. 33 del c.d. Collegato Lavoro –
L. 183/2010, ha modificato l’art. 13 del citato Dlgs 124/2004 intervenendo in materia di accesso ispettivo,
potere di diffida e verbalizzazione unica.
Dopo la doverosa premessa, vediamo qualcuno degli interrogativi più frequenti legati all’accesso ispettivo.
“Gli ispettori devono esibire un documento di riconoscimento?”
Il citato Codice di Comportamento del 2006 recita all’articolo 7 - Obbligo di qualificarsi - Contestualmente
all’accesso, il personale ispettivo deve qualificarsi al soggetto da ispezionare o ad un suo rappresentante ed
esibire la tessera di riconoscimento. In mancanza della tessera di riconoscimento l’accesso non può avere
luogo. Il datore di lavoro ha pertanto la facoltà di consentire o meno l’ingresso in azienda degli ispettori
del lavoro che non esibiscano il tesserino di riconoscimento.
“Gli ispettori possono entrare in azienda? Serve un mandato?”
La Costituzione italiana, nel definire, all’art. 14, il domicilio “inviolabile" prevede, al terzo comma, una
deroga a tale principio per gli “accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a
fini economici e fiscali, regolati da leggi speciali”, che non necessitano pertanto del mandato dell’autorità
giudiziaria.
La Corte Costituzionale, con sentenza 10/71, riconosce il potere di accesso nei luoghi di lavoro degli
ispettori del lavoro a norma dell’art.8 del DPR n.520/55 rientrante nella predetta deroga in quanto
finalizzato a garantire la tutela del lavoro in tutte le sue forme: “la norma rientra nelle previsioni dell'ultimo
comma dell'articolo 14 della Costituzione, perché i fini per cui é istituito l'Ispettorato del lavoro non possono
non considerarsi "economici", come si desume dalla delimitazione di "rapporti economici", contenuta nei
Titolo III della Costituzione, e perché i poteri attribuiti all'Ispettorato sono rivolti anche alla realizzazione di
fini fiscali e di sanità e incolumità pubblica. Si rileva inoltre che é pacifico che gli accertamenti e le ispezioni
di cui al terzo comma dell'art. 14 della Costituzione non debbono essere preceduti dall'atto motivato
dell'Autorità giudiziaria”.
Nel caso, quindi, di impedimento all’ispezione da parte del datore di lavoro sarà elevabile a suo carico la
sanzione amministrativa citata in premessa, ferma restando la punibilità penale di eventuali condotte più
gravi, violente ed aggressive.
In questo contesto è opportuno precisare che l’ispettore del lavoro (e non degli istituti previdenziali), nei
limiti del servizio cui e' destinato e secondo le attribuzioni conferite dalla normativa vigente, opera anche
in qualità di ufficiale di Polizia Giudiziaria; ne consegue che qualora, nel corso di attività ispettiva o di
vigilanza, rilevi la sussistenza di un reato, l’ispettore ha il potere di porre in essere tutti gli atti necessari ad
assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
I compiti della polizia giudiziaria possono infatti sintetizzarsi in una attività informativa, investigativa e
repressiva, sia autonoma che delegata dal Pubblico Ministero; nell’eventualità, ad esempio, il funzionario
ispettivo, in presenza di indizi di reato, ritenga necessario acquisire atti e documentazione ritenuti fonti di
prova, procede al sequestro degli atti stessi con relativa verbalizzazione delle operazioni compiute, nel
rispetto delle procedure previste dal c.p.p.
Inoltre, ai sensi dell’artt. 13 e 20 della L. 689/81, gli organi di vigilanza in materia di illeciti amministrativi,
hanno facoltà di procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca
amministrativa, ovvero “le cose che servirono o furono destinate a commettere la violazione” o “ne sono il
prodotto” o “la cui detenzione costituisce di per sé illecito amministrativo”, di proprietà della/e persona/e
destinatarie dell’illecito amministrativo sanzionato.
Sempre l’art. 13 della citata L. 689/81 attribuisce agli organi di controllo la facoltà di procedere a rilievi
segnaletici, descrittivi e fotografici; risulta pertanto legittimo effettuare fotografie e filmati dei luoghi
dell’accertamento, se inerenti alla violazione accertata e per il solo periodo temporale strettamente
necessario.
“Gli ispettori possono fermare l’attività per interrogare il personale? Possono allontanare il datore di
lavoro durante l’acquisizione della dichiarazione? Devono rilasciare copia del verbale di dichiarazione?”
Il Codice di Comportamento ci soccorre anche per questo aspetto: Articolo 4 - Principio di collaborazione - I
rapporti tra personale ispettivo e soggetti ispezionati sono improntati ai principi di collaborazione e rispetto
reciproco. Le ispezioni sono condotte in modo da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento
delle attività dei soggetti ispezionati, tenendo conto delle finalità e delle esigenze dell’accertamento.
Articolo 12 - Acquisizione delle dichiarazioni - Le dichiarazioni dei lavoratori vengono acquisite dai singoli
soggetti ai quali vanno rivolte domande chiare e comprensibili, tali da non dar luogo a dubbi interpretativi.
Eventuali rifiuti a fornire informazioni o a sottoscrivere dichiarazioni vanno riportati nel verbale di
accertamento, indicando anche, se sussistono, le relative motivazioni. In fase di acquisizione delle
dichiarazioni dei lavoratori non è ammessa la presenza del datore di lavoro e/o del professionista. Nessuna
copia delle dichiarazioni deve essere rilasciata al lavoratore e/o al soggetto ispezionato in sede di ispezione
e sino alla conclusione degli accertamenti. In caso di richiesta il personale ispettivo informa il richiedente
che l’eventuale accesso alle dichiarazioni può essere rivolto all’Amministrazione.
L’ispettore non può quindi rilasciare alcuna copia delle dichiarazioni raccolte che possono però essere
richieste successivamente all’Amministrazione di appartenenza.
Va precisato che il diritto a raccogliere dichiarazioni e notizie attinenti alla sussistenza dei rapporti di
lavoro, alle retribuzioni, agli adempimenti contributivi e assicurativi e alla erogazione delle prestazioni era
stato precedentemente previsto anche dall’art.3 della L. n.638/83 e rimarcato dal nuovo art. 13 del D.Lgs
124/2004 come modificato dal c.d. Collegato Lavoro.
In questo contesto, è importante evidenziare che, non di rado, i funzionari ispettivi della Direzione
Territoriale del Lavoro procedono ad inoltrare apposita comunicazione di notizia di reato alla Procura della
Repubblica, ai sensi dell’art. 4 della L. 628/61, denunciando il datore di lavoro che rifiuta di fornire notizie
legittimamente richieste o le fornisce “scientemente” errate; per tale violazione è prevista la pena
dell’arresto fino a 2 mesi o l’ammenda fino a 516,00 euro; analoga procedura (comunicazione alla Procura
della Repubblica) è prevista anche nel caso di violazione dell’art.496 c.p. (false dichiarazioni a pubblico
ufficiale sulla propria o altrui identità o qualità personali).
“Gli ispettori possono entrare in casa mia?”
Il potere di accesso nei luoghi di lavoro, riconosciuto agli ispettori del lavoro e degli enti previdenziali non
trova giustificazione, in assenza di un mandato dell’autorità giudiziaria, nei confronti della dimora privata, a
tutela dell’intimità del cittadino.
Va comunque rilevato che I’art.8 - co.2 – del citato DPR n.520/55 consente espressamente agli ispettori del
lavoro di accedere anche ai “dormitori e refettori annessi” ai luoghi di lavoro che potrebbero coincidere con
©RIPRODUZIONE RISERVATA
la dimora dei lavoratori “purché i locali annessi siano direttamente o indirettamente connessi con l’attività
d’impresa o vi sia sospetto che servano per compiere o nascondere violazioni”.
Inoltre, nell’eventualità in cui la sede dell’azienda corrisponda con la residenza del datore di lavoro appare
legittimato l’accesso se tale dimora è effettivamente ed inequivocabilmente utilizzata quale sede di lavoro.
“L’ispettore può procedere alla verifica se il datore di lavoro non è presente?”
L’art.9 del Codice di comportamento del personale ispettivo prevede che lo stesso deve conferire con il
datore di lavoro o con chi ne fa le veci, qualora ciò sia compatibile con le finalità dell’accertamento
ispettivo. Ne deriva che, anche in assenza del datore di lavoro, il funzionario ispettivo potrà procedere
all’accertamento e, compatibilmente con le finalità ispettive ed il buon andamento dell’accertamento, avrà
cura di richiedere che venga chiamato il datore di lavoro o “chi ne fa le veci”.
“L’ispettore deve darmi informazioni su quello che sta facendo e dei miei diritti? Posso chiamare il mio
consulente?”
Oltre alle garanzie di tutela previste dal c.p.p. a favore dell’indagato qualora si rilevino violazioni di
carattere penale, il codice di comportamento più volte citato interviene in modo chiaro sull’argomento:
“Articolo 9 - Obbligo di informazione e assistenza all’ispezione - Il personale ispettivo, ove si riveli
necessario, informa il soggetto sottoposto ad ispezione, od un suo rappresentante, dei poteri attribuiti dalla
legge agli organi di vigilanza per l’esercizio delle funzioni ispettive e del potere di sanzionare eventuali
comportamenti omissivi o commissivi diretti a impedire l’esercizio dell’attività di vigilanza o comportamenti
da cui si deduca in modo inequivocabile la volontà di ostacolare la stessa. Il personale ispettivo informa il
soggetto ispezionato della facoltà di farsi assistere, nel corso dell’accertamento, da un professionista
abilitato ai sensi dell’articolo 1 della L. n. 12/1979 affinché presenzi alle attività di controllo e verifica.
L’assenza di tale professionista non è comunque ostativa alla prosecuzione dell’attività ispettiva, né inficia
la sua validità. Articolo 10 - Corretta informazione - Il personale ispettivo fornisce ai soggetti ispezionati
chiarimenti e indicazioni operative sulla corretta applicazione delle norme in materia di lavoro e legislazione
sociale e risponde nel modo più completo, chiaro e accurato possibile alle richieste di informazioni …”
L’evidente intenzione del Ministero del Lavoro di delineare procedure all’insegna della semplificazione e
correttezza dell’attività ispettiva ha portato alla sottoscrizione, il 15 febbraio 2012, di un protocollo d’intesa
con l’Ordine dei Consulenti del Lavoro per la “Semplificazione dei tempi di verifica e di riscontro della
documentazione nelle ispezioni sul lavoro”. La finalità è stata quella di identificare concordemente i
documenti che sono già nella disponibilità degli ispettori, in quanto presenti nelle banche dati della
Pubblica Amministrazione e che, pertanto, non devono essere richiesti alle aziende ispezionate quali, ad
esempio, le comunicazioni di assunzione inviate ai Centri per I’Impiego, le visure camerali, le posizioni
contributive, etc.
In proposito è però necessario sottolineare che, a tutt’oggi, non è ancora possibile, nella realtà forlivese,
accedere a tutti i dati contenuti negli archivi previdenziali e pertanto può accadere che il funzionario
ispettivo richieda, ad esempio, i versamenti effettuati alla cassa gestione separata INPS.
“Gli ispettori devono rilasciare un documento al termine dell’accesso ispettivo?”
Oltre all’articolo 13 del Codice di Comportamento (“Atto interlocutorio - Qualora l’accertamento si riveli
complesso e prolungato nel tempo, il personale ispettivo valuta l’opportunità di rilasciare al soggetto
ispezionato o a persona appositamente delegata, un atto interlocutorio contenente la descrizione delle
attività compiute, la documentazione esaminata, nonché l’espressa menzione che gli accertamenti sono
ancora in corso) anche il nuovo articolo 13 del Dlgs 124/04 modificato dalla L. 183/2010 ha previsto che il
funzionario ispettivo rediga, al termine dell’accesso ispettivo, il “verbale di primo accesso ispettivo”,
indicante l’elenco dei lavoratori trovati intenti al lavoro, le attività compiute dal personale ispettivo, le
eventuali dichiarazioni del datore di lavoro, di chi lo assiste o della persona presente, etc.
Col predetto verbale d’ispezione i funzionari ispettivi, di norma, provvedono inoltre a richiedere l’elenco
della documentazione di lavoro necessaria per la definizione degli accertamenti avviati in azienda, fissando
un appuntamento per l’esibizione della stessa.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Le figure presenti sul luogo di lavoro nel settore dell’agricoltura.
Oltre ai lavoratori subordinati (impiegati, operai a tempo determinato e indeterminato, etc), le aziende
agricole hanno facoltà di avvalersi delle prestazioni lavorative di particolari “figure” che, per loro natura,
non sono riconducibili ai lavoratori autonomi o subordinati.
Parenti e affini
L’art. 74 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n.276 recita: “Con specifico riguardo alle attività agricole, non
integrano in ogni caso un rapporto di lavoro autonomo o subordinato le prestazioni svolte da parenti e
affini sino al quarto grado in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto,
mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salvo le spese di mantenimento e di
esecuzione dei lavori.
In merito alla predetta previsione normativa, appaiono necessarie alcune precisazioni.
Premesso che, in mancanza di espresse limitazioni, rientrano nelle “attività agricole” tutte le attività poste
in essere da parenti ed affini entro il quarto grado, è necessario rammentare che i gradi di parentela
(vincolo di persone che discendono da uno stesso stipite, con il computo dei gradi secondo le generazioni,
escluso il primo) e di affinità (vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge e nella linea e nel grado in
cui è parente di uno dei coniugi, l’interessato è affine dell’altro coniuge) sono determinati dagli articoli 74,
75 e 78 del codice civile.
A differenza del passato, l’attuale previsione normativa è riferita ai parenti ed affini fino al quarto grado
senza specifica della figura del titolare dell’impresa agricola; ne consegue che la prestazione non è più
limitata alla sola figura del coltivatore diretto bensì riferita anche allo IAP (Imprenditore agricolo
professionale) anche in forma di società di persone o di capitali.
Relativamente al requisito temporale, non abbiamo limiti nel periodo di riferimento; la prestazione va resa
in modo occasionale o ricorrente di breve periodo (riferibile, in modo evidente, alle attività correlate ad un
determinato periodo o stagione quali, ad esempio, la raccolta dei prodotti).
La prestazione è resa a titolo di aiuto, di mutuo aiuto e di obbligazione morale sulla base, quindi, della
solidarietà familiare.
Elemento qualificante della prestazione è la gratuità della prestazione; non possono essere corrisposte
somme se non quelle riferibili a spese sostenute per mantenimento o esecuzione dei lavori.
Per la tipologia di prestazione in esame, non vi è ovviamente, a carico dell’imprenditore agricolo, alcun
adempimento di carattere amministrativo inerente l’instaurazione di un rapporto di lavoro; è il caso di
sottolineare però, che, come per la generalità delle prestazioni “non genuine”, il venir meno delle
caratteristiche proprie della prestazione (ad esempio, del vincolo di parentela/affinità, della occasionalità
della prestazione e, soprattutto, della mutualità e gratuità della stessa), determina che il funzionario
ispettivo tenderà a ricondurre la prestazione lavorativa al rapporto di lavoro dipendente con tutte le
conseguenze sanzionatorie previste per il “lavoro nero”.
Lo scambio di manodopera
L’art. 2139 c.c. prevede testualmente che “tra piccoli imprenditori agricoli è ammesso lo scambio di
manodopera o di servizi secondo gli usi”. Con Interpello n. 6/2011 il Ministero del Lavoro è intervenuto
sull’argomento specificando, innanzitutto, che per piccoli imprenditori agricoli devono intendersi i
coltivatori diretti del fondo o “coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente
con il lavoro proprio o dei componenti della famiglia” diretta alla produzione o allo scambio di beni e
servizi.
L’istituto c.d. della “reciprocanza” di cui all’art. 2139 c.c. si configura quando un coltivatore diretto svolge la
sua attività sul fondo di un altro coltivatore, gratuitamente ma con l’impegno allo scambio delle
prestazioni.
L’interpello, nel prendere in esame le figure dei mezzadri e dei coloni, ritiene che le stesse, equiparate, da
un punto di vista previdenziale, ai lavoratori autonomi (coltivatori diretti iscritti alla medesima gestione
©RIPRODUZIONE RISERVATA
speciale pensionistica presso l’INPS) si possano far rientrare nel concetto di “piccoli imprenditori agricoli”
ammettendo conseguentemente anche in tal caso lo scambio di manodopera ex art. 2139 c.c.
In merito alla figura dello IAP, l’interpello conclude che possa farsi rientrare nella nozione di piccolo
imprenditore, ai sensi dell’art. 2083 c.c., l’imprenditore agricolo professionale che risulti in possesso dei
requisiti richiesti; rientrano tra i piccoli imprenditori coloro che esercitano un’attività professionale
organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.
Pertanto, la partecipazione personale del titolare e dei suoi familiari va individuata comunque quale
elemento discriminante della fattispecie.
Il documento conclude con l’indicazione di valutare singolarmente ogni caso, avuta contezza del requisito
della “misura” della partecipazione all’attività dei componenti del nucleo familiare.
Come precedentemente evidenziato, anche nell’eventualità in cui nello scambio di manodopera tra piccoli
imprenditori vengano meno le caratteristiche identificative del rapporto preso in esame quali, ad esempio,
la qualifica di coltivatore diretto o piccolo imprenditore oppure la gratuità della prestazione, il funzionario
ispettivo potrà prendere in esame la possibilità di ricondurre la prestazione lavorativa al rapporto di lavoro
dipendente.
Il lavoro occasionale accessorio – I voucher
Il primo comma dell’articolo 70 del Dlgs 276/03 come modificato dall’articolo 1, comma 32 della legge n.
92/2012, definisce l’ambito di applicazione dell’istituto del lavoro occasionale accessorio, indicando come
prestazioni di lavoro accessorio quelle attività lavorative di natura “meramente occasionale” che non
danno luogo a compensi, complessivamente percepiti dal prestatore, superiori a 5.000 euro nel corso di
un anno solare, indipendentemente dal numero di committenti. Le prestazioni accessorie rese a favore di
imprenditori commerciali o professionisti, non possono comunque superare i 2.000 euro annui, con
riferimento a ciascun committente.
Per il settore agricolo, il comma 2 dell’articolo 70 prevede che, nell’ambito dei limiti economici previsti al
comma 1, è possibile ricorrere al lavoro occasionale accessorio in agricoltura con riferimento:
- ad attività lavorative di natura occasionale rese nell'ambito delle attività agricole di carattere stagionale
effettuate da pensionati e da giovani con meno di venticinque anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo
di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici,
ovvero in qualunque periodo dell'anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l'università;
- alle attività agricole svolte a favore di soggetti di cui all'articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente
della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, che non possono, tuttavia, essere svolte da soggetti iscritti l'anno
precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.
Sull’argomento il Ministero del Lavoro è intervenuto con circolare n. 4 del 18/1/2013 e con nota n. 3439
del 18 febbraio 2013 fornendo importanti indicazioni operative.
Va rilevato che, a differenza della precedente normativa, il lavoro occasionale di tipo accessorio non è ora
soggetto ad alcuna esclusione, sia di tipo soggettivo che oggettivo, ad eccezione delle limitazioni previste
per il settore agricolo sopra citate.
ll lavoro occasionale accessorio in agricoltura è pertanto ammesso, sempre nei limiti del compenso
economico di 5.000 euro annui per prestatore (senza l’ulteriore limite economico di 2.000 euro per
committente) per:
a) aziende con volume d’affari superiore a 7.000 euro,
esclusivamente tramite l’utilizzo di specifiche figure di prestatori (pensionati e studenti) ma solo
nell’ambito delle attività agricole di carattere stagionale;
b) imprese ricadenti nel comma 6 dell’art. 34 D.P.R. n. 633/72
(ossia aventi un volume d’affari inferiore a 7.000 euro nell’anno solare) che possono utilizzare in qualunque
tipologia di lavoro agricolo qualsiasi soggetto purché non sia stato iscritto l’anno precedente negli elenchi
anagrafici dei lavoratori agricoli.
Il compenso annuale riferito al singolo prestatore, pertanto, delinea oggettivamente la fattispecie del
lavoro occasionale accessorio, in quanto il rispetto del limite di carattere economico per prestatore
definisce il limite legittimo del ricorso al lavoro accessorio; ai fini della verifica, da parte del datore di
lavoro, del rispetto dei limiti economici previsti per le prestazioni accessorie rese dal lavoratore, il
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Ministero del Lavoro ha chiarito che l’azienda procede a richiedere al lavoratore apposita dichiarazione in
ordine al non superamento degli importi massimi previsti per il lavoro accessorio.
Secondo la predetta circolare n. 4/13, il valore economico nominale del voucher (10 euro) è da ritenersi
orario, ferma restando la possibilità di remunerare una prestazione lavorativa in misura superiore con più
voucher; il buono lavoro, comprensivo delle quote per INPS, INAIL e concessionario, ha un valore nominale
netto di € 7,50, è numerato progressivamente e datato.
Con nota 3439/13 è stato precisato che l’importo-orario del voucher pari a € 10 non si applica al settore
agricolo; in questo contesto si dovrà far riferimento alla retribuzione oraria delle prestazioni di natura
subordinata individuate esclusivamente dalla contrattazione collettiva di riferimento.
Relativamente al periodo temporale di utilizzo del voucher, restano ferme, in attesa dell’implementazione
delle procedure telematiche INPS, le previgenti disposizioni che non ne riconducono l’utilizzo ad un
determinato limite temporale.
Anche in questa tipologia di rapporto di lavoro, in analogia con i punti precedentemente trattati (parenti e
affini - scambio di manodopera), il superamento dei limiti e dei criteri qualificativi (in questo caso solo
economici) non potrà che determinare la trasformazione del rapporto di lavoro in quella che costituisce la
forma comune di rapporto di lavoro, ovvero di natura subordinata a tempo indeterminato con
l’applicazione delle relative sanzioni civili e amministrative, ritenendo la prestazione, di fatto, “in nero”.
Medesimo epilogo avrà luogo nell’eventualità in cui, alla data dell’accesso ispettivo, l’azienda non abbia
ancora provveduto alla comunicazione preventiva all’INAIL/INPS necessaria per l’attivazione delle
prestazioni occasionali accessorie per il lavoratore oggetto di verifica (solo all’INPS in caso di voucher
cartacei).
Le conseguenze del lavoro irregolare: la sospensione dell’attività lavorativa e la maxi sanzione.
Gli organi di vigilanza del Ministero del Lavoro possono adottare il provvedimento di sospensione di cui
all’art. 14 del Dlgs 81/2008, in sede di sopralluogo ispettivo, nel caso di impiego di personale non risultante
dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori presenti sul
luogo di lavoro e in caso di gravi e reiterate (ovvero almeno due della stessa indole) violazioni in materia di
tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Per lavoratore “in nero”, ai fini della sospensione, si intende sconosciuto alla Pubblica Amministrazione,
non necessariamente subordinato, per il quale non si sia provveduto a formalizzare il rapporto di lavoro
con le previste comunicazioni (ad esempio: soci e collaboratori familari).
La Circolare ministeriale n. 33 del 2009 dispone che il provvedimento di sospensione deve essere “di
norma” adottato salvo circostanze particolari: non va adottato qualora l’interruzione dell’attività svolta
determini una situazione di pericolo per l’incolumità dei lavoratori, qualora comprometta il regolare
funzionamento di un servizio pubblico (ad esempio fornitura di energia elettrica) e quando lo stesso causi
un grave danno agli impianti, alle attrezzature e ai beni (ad esempio frutti giunti a maturazione o
allevamento)
Non si applica nel caso in cui il lavoratore in nero sia l’unico occupato dall’azienda (la c.d. micro impresa).
Per i soli casi di sospensione per “lavoro nero” è prevista la possibilità di posticipare la decorrenza degli
effetti della sospensione dalle ore 12 del giorno lavorativo successivo al giorno dell’ispezione, salvo che non
si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori e di terzi.
Il provvedimento di sospensione viene revocato dall’organo ispettivo che lo ha redatto previa
regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture obbligatorie ovvero il ripristino delle regolari
condizioni di lavoro, nonché il pagamento di una somma pari ad € 1.500 nelle ipotesi di sospensione per
lavoro irregolare e ad € 2.500 nell’ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela
della salute e della sicurezza sul lavoro.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
La somma sopra descritta va a sommarsi a quelle previste dalle violazioni amministrative per il lavoro
irregolare quali, ad esempio, la mancata consegna al lavoratore di copia della comunicazione di assunzione
trasmessa al Centro per l’Impiego (€ 250,00 per ciascuna violazione), le omesse/infedeli registrazioni sul
libro unico del lavoro (€ 150,00 per ciascun mese fino a 10 lavoratori).
Va rammentato che l’ispettore provvede anche, col medesimo verbale d’ispezione, a richiedere all’azienda
il versamento dell’eventuale contribuzione omessa a favore degli istituti previdenziali ed assicurativi, come
nel caso, ad esempio, della mancata registrazione di ore di lavoro e retribuzioni sul libro unico.
La sanzione certamente più onerosa a carico delle imprese per lavoro nero è la c.d. “maxi sanzione”
applicabile per l’occupazione dei soli lavoratori subordinati per i quali non risulta trasmessa la preventiva
comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro al Centro per l’Impiego.
La legge n. 183/2010 ha previsto due diverse tipologie di maxi sanzione per lavoro sommerso.
La prima trova applicazione nel caso di impiego di lavoratori subordinati nei cui confronti il datore di lavoro
non ha effettuato la comunicazione anticipata di assunzione; in tal caso, la sanzione prevista va da € 1.500
ad € 12.000 per ogni lavoratore irregolarmente occupato ed € 150 (ridotti ad € 37,50 ai sensi dell’art. 13
della L. 124/04) per ogni giornata effettivamente svolta di lavoro irregolare.
La seconda tipologia di maxisanzione c.d. ‘‘ridotta’’ trova applicazione, come chiarito dalla circolare n.
38/2010, nei casi in cui il datore di lavoro ha occupato il dipendente per un primo periodo in nero e per un
successivo periodo in modo regolare (c.d. periodo di ‘‘prova in nero’’). In tal caso, trova applicazione un
regime sanzionatorio di maggior favore per il trasgressore, in quanto l’importo della sanzione va da un
minimo di € 1.000 ad un massimo di € 8.000 per lavoratore oltre alla sanzione in misura fissa di € 30
(ridotta ad € 7,50 ai sensi dell’art. 13 della L. 124/04) per ogni giornata di effettivo lavoro irregolare svolto.
Gli appalti in agricoltura e l’obbligo solidale.
Sempre più frequentemente si verifica che aziende (in particolare cooperative) mettano a disposizione
delle imprese agricole il proprio personale per lo svolgimento di opere o servizi, quali, ad esempio, la
raccolta, la potatura, il carico e scarico di bestiame, etc; tali prestazioni di lavoro, riconducibili all’appalto di
opere e servizi, sono regolamentate dall’art. 1655 all’art. 1677 del c.c. e dall’art. 29 del più volte citato Dlgs
276/03.
- Art. 1655 Cod. civ.: L’appalto è il contratto col quale una parte (c.d. appaltatore) assume, con
organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un
servizio (per conto di un committente) verso un corrispettivo in danaro.
- Art. 29 Dlgs 276/2003 “in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di
lavoro e' obbligato in solido con l'appaltatore, nonche' con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il
limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi (già
previsto dall’art. 1676 c.c.) comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonche' i contributi
previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto,
restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile
dell'inadempimento.
Nell’eventualità, pertanto, l’appaltatore non provveda regolarmente al versamento delle retribuzioni ai
propri lavoratori occupati nell’appalto così come la contribuzione previdenziale (INPS) ed i premi
assicurativi (INAIL), il committente ne risponde, in qualità di obbligato in solido, per due anni dalla
cessazione dell’appalto, in relazione al periodo di esecuzione del contratto stesso.
E’ quindi interesse del committente verificare che l’azienda fornitrice dell’opera o del servizio ottemperi
regolarmente agli adempimenti derivanti dalle norme in materia di lavoro.
Nel sottolineare che l’appaltatore deve necessariamente essere dotato di una propria struttura
organizzativa (mezzi-personale-attrezzature) e di un proprio rischio di’impresa, il committente può
richiedere, prima e durante l’esecuzione delle opere e dei servizi, la documentazione di lavoro
comprovante la regolarità dell’impresa e del personale interessato ai lavori.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Oltre all’iscrizione alla Camera di Commercio ed al DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) che
comprovano l’esistenza, l’operatività dell’impresa ed il regolare versamento della contribuzione sulla base
delle retribuzioni denunciate, è buona norma richiedere all’appaltatore copia del documento di
riconoscimento dei lavoratori impiegati nell’appalto nonché della comunicazione di assunzione trasmessa
al Centro per l’Impiego per la regolarizzazione dei rapporti di lavoro. L’esibizione, inoltre, dell’ultimo
prospetto paga comprova l’esistenza del rapporto di lavoro, quantomeno fino al mese di riferimento dello
stesso.
Resta inteso che l’obbligo solidale non si configura per eventuali provvedimenti sanzionatori in materia di
lavoro elevati nei confronti dell’appaltatore.
I riferimenti legislativi presenti sono pubblicati nel sito www.consulenzaagricola.it nella sezione dedicata
alla “Normativa”.
©RIPRODUZIONE RISERVATA