attacco di panico - Quartiere Morena
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attacco di panico - Quartiere Morena
L’ ATTACCO DI PANICO Tachicardia, dolore al torace, senso di soffocamento, sudorazione abbondante, nausea, diarrea, formicolio agli arti, tremori, gola secca e chiusa oppure iperventilazione. Questi alcuni dei sintomi somatici con cui si manifesta un attacco di panico (DAP). Si tratta di un disturbo che coinvolge la vita del 10% della popolazione dei paesi occidentali. Tutto insorge in modo inaspettato e senza un apparente legame con eventi ansiogeni. Roberta, di 37 anni, racconta “ero con mio marito in macchina, stavamo parlando di cosa fare durante l’estate ormai imminente, di come organizzarci con mia madre e con i suoceri per poter finalmente partire da soli dopo tre anni dall’ultima volta, quando all’improvviso ho sentito la gola chiusa, il cuore ha iniziato a battere velocissimo e ho iniziato a tremare… non riuscivo a controllarmi, non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo…… da allora altre volte mi è successo di stare male, nelle occasioni più diverse… sono sempre con la paura che d’un tratto tutto torni ad assalirmi… oramai evito di stare troppo fuori casa, mi vergogno di me e di quello che mi succede….” Spesso la persona in preda all’attacco o chi le è vicino, proprio perché i sintomi si manifestano in maniera così forte ed inaspettata, decide di ricorrere al pronto soccorso dove solitamente viene fatta una corretta diagnosi di DAP. L’intervento che prevalentemente viene utilizzato dai medici, nell’urgenza, per tamponare la crisi e l’angoscia che ne deriva, è quello farmacologico. Ben presto, però, avendo le crisi spesso un seguito ed essendosi sicuramente sottoposti ad un check up per indagare eventuali problematiche organiche, emerge la necessità di trovare il “bandolo della matassa”. Subentra così la psicoterapia. Gli approcci sono differenti. C’è chi considera, valorizza e “legge” il passato o quantomeno le esperienze infantili e chi, invece, si ferma sul qui ed ora, utilizzando un approccio descrittivo ed esplicativo del sintomo nel vissuto e nel significato che esso ha nell’oggi. Chi scrive segue un approccio dove l’aspetto relazionale ha un valore nella “lettura” dell’evento, collocando lo stesso nel sistema di vita della persona con disturbo di panico. In tal senso il sintomo non è più visto come improvviso e appartenente solo all’individuo. E’ probabile che la mente avesse già in precedenza mandato dei segnali più flebili che la persona non aveva assolutamente preso in considerazione. Il sintomo diventa così l’unico mezzo che la mente ha per comunicare il proprio disagio. Disagio che va capito, interpretato e non solo soffocato con i farmaci, se non si vuole che ben presto si ripresenti. Quindi l’attacco di panico metaforicamente blocca la persona poiché, bloccandola, non le fa percorrere una strada che sente sbagliata. Vuole farle cambiare direzione. Lo psicoterapeuta valuta attentamente i sintomi specifici che descrive il paziente e cerca di capire il valore che il disturbo ha per il singolo individuo ma anche per le persone che ruotano intorno a lui: madre padre, moglie marito ecc.. Successivamente il professionista “accompagna” la persona verso il significato profondo che l’ attacco di panico può avere ed il messaggio che il corpo sta mandando. Infatti questo disturbo può essere visto come una potente forza, una energia vitale di cui ognuno dispone che, se non ben utilizzata, si rivolge contro e soffoca per avvertire che c’è qualcosa che non va, che c’è un qualcosa che non riesce ad venire fuori. La persona deve arrivare, paradossalmente, a sentire la crisi di panico come un “alleato” che le vuole indicare la strada per svincolarsi dai ruoli fissi e le rigidità della propria vita e per liberare le energie costruttive che ha dentro di sé. Ottobre 2009 Dott.sa Stefania Martina