Sviluppo di un biosensore piezoelettrico a base di DNA per la

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Sviluppo di un biosensore piezoelettrico a base di DNA per la
SVILUPPO DI UN BIOSENSORE PIEZOELETTRICO A BASE DI DNA PER LA
RICERCA DI BATTERI PATOGENI
A. Santucci, M. Minunni, S. Tombelli, M.M. Spiriti, M. Mascini
Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Chimica
Via della Lastruccia 3, 50019 Sesto Fiorentino (FI)
e-mail:[email protected]
Un problema rilevante negli ambienti nosocomiali è la presenza di un elevato numero di
batteri manifestanti resistenza antibiotica. Tra questi vi è lo Staphylococcus aureus meticillino
resistente (MRSA), che suscita seria preoccupazione negli ambienti sanitari in quanto è
responsabile di una vasta gamma di gravi infezioni post-operatorie, quali meningiti, polmoniti
ed endocarditi. La resistenza antibiotica del batterio deriva dalla produzione di una proteina di
membrana anomala (PBP2a), codificata da un gene denominato mecA (2007 pb), acquisito
dallo S. aureus da altre specie per trasferimento orizzontale. La rapida identificazione di
questo ceppo batterico è necessaria per consentire l’isolamento delle aree e delle persone
infette e per eseguire un mirato intervento terapeutico.
Le tradizionali tecniche di microbiologia per l’identificazione del MRSA richiedono dalle 24
alle 48 ore per una risposta di positivià/negatività. L’utilizzo di un biosensore quale quello
presentato in questo lavoro punta ad una riduzione dei tempi di analisi.
Il sistema piezoelettrico studia la reazione di ibridazione tra un’opportuna sonda,
immobilizzata sulla superficie del biosensore, e la sequenza complementare presente nel
campione, in tempo reale e senza l’impiego di marcatori aggiunti. Per l’immobilizzazione
della sonda (27 basi) sono stati seguiti due protocolli: nel primo viene impiegata una sonda
oligonucleotidica sintetica modificata in posizione 5’ con una molecola di biotina. Nel
secondo metodo si utilizza invece una sonda funzionalizzata questa volta in posizione 5’, con
un gruppo C6-SH. Del biosensore realizzato con entrambi i metodi di immobilizzazione, sono
stati valutati parametri analitici quali sensibilità, specificità e riproducibilità, così da
determinare il sistema più adatto all’analisi intrapresa.
La capacità del sensore di individuare il gene mecA è stata valutata prima su sequenze
oligonucleotidiche sintetiche ed in seguito su campioni di DNA batterico amplificati tramite
reazione polimerasica a catena. Quest’ultimi si presentano a doppio filamento quindi per
essere disponibili all’ibridazione devono essere sottoposti a denaturazione, a tale scopo è stato
ottimizzato un nuovo metodo di denaturazione.
Il sistema è stato in grado di rilevare la presenza del gene mecA sia nelle sequenze sintetiche
che negli amplificati PCR.
I risultati delle reazioni di ibridazione indicano come tecnica di immobilizzazione più adatta a
questo tipo d’indagine, quella con sonde biotinilate che, a parità di concentrazione di
campione indagata, fornisce segnali maggiori (~ 40% in più) e più riproducibili (Il CV%
passa da 18 a 8 nei campioni di PCR) della tecnica che utilizza le sonde tiolate. Inoltre, i
campioni analizzati con il nuovo procedimento di denaturazione hanno fornito, a parità di
metodo d’immobilizzazione, segnali maggiori.