IL BULLISMO -
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IL BULLISMO -
UNIVERSITÀ PONTIFICIA SALESIANA Facoltà di Scienze dell'educazione Curricolo di Pedagogia Sociale SEMINARIO DI PSICOSOCIOLOGIA DELLA DEVIANZA TEMA SVOLTO: IL BULLISMO eseguito da: CRISTINA ALBERTINI (16610E) LAURA POLI (16395E) SARA SAVELLI (16648E) Anno Accademico 2008-2009 1 INDICE: Introduzione pag 2 I CAPITOLO Profili del bullismo pag 4/12 1.1 Breve storia ed etimologia del bullismo 1.2 Caratteristiche del “bullismo” 1.3 Cosa non è bullismo? II CAPITOLO Analisi e Cause del Bullismo pag 13/21 2.1 Chi sono i bulli? 2.2 Dove avvengono le prepotenze 2.3 Causa e conseguenze del bullismo 2.4 Situazione italiana III CAPITOLO Prevenzione e proposte d’intervento pag 22/30 3.1 Prevenzione e comportamenti pro sociali 3.2 Prevenzione nelle agenzie di socializzazione 3.3 Iniziative scolastiche 3.4 A chi rivolgersi Conclusione pag 32 Bibliografia pag 33 2 Introduzione Il lavoro è stato svolto nell'arco del seminario di psicosociologia della devianza, tenuto dal Prof. Vettorato, nel secondo semestre dell'anno accademico 2008-2009. inizialmente il nostro gruppo era composto da quattro allieve; ma nel corso del seminario per motivi personali una ragazza ha preferito non portare avanti questo corso, quindi il gruppo di lavoro è formato da tre membri. L'argomento scelto è il bullismo. Il lavoro è stato svolto grazie all’utilizzo di molteplici libri, siti internet e ricerche già effettuate su tale argomento; tutto il materiale edito utilizzato è stato reperito all'interno della “Biblioteca Don Bosco” dell'UPS. Nella fase iniziale abbiamo trovato numerosi volumi sul bullismo che ci siamo divise per selezionare i testi più utili ed adeguati per la nostra ricerca. Questo è stato l'unico momento in cui il nostro gruppo ha lavorato individualmente; la ricerca è stata portata avanti con notevole collaborazione, spirito di partecipazione e impegno costante. Tuttavia abbiamo incontrato diverse difficoltà nel nostro percorso, in primo luogo perché il seminario stesso prevede una partecipazione costante ed attiva, tempo da dedicare, cooperazione fra i partecipanti ed in secondo luogo perché non è stato facile per noi del primo anno impostare un lavoro scientifico metodologicamente corretto. Ciò che ha consentito un buon esito alla nostra ricerca sta nel fatto che ognuna di noi ha rispettato i vari incontri fissati sia all'interno dell'università che fuori, dimostrando cosi maturità e interesse. Il lavoro è diviso in tre capitoli: Il primo capitolo contiene una definizione di bullismo, l'etimologia della parola e la descrizione delle caratteristiche del fenomeno come l'intenzionalità e la persistenza nel tempo. Nel secondo capitolo abbiamo affrontato il problema sotto un punto di vista psicologico, rintracciandone le cause principali all'interno delle principali agenzie di socializzazione, quali: la famiglia, la scuola e i mass media. Nel terzo capitolo ricollegandoci alle cause, analizzate nel secondo, abbiamo individuato dei possibili modelli d’intervento accennando ad una eventuale prevenzione all’interno delle principali agenzie di socializzazione. Avendo precedentemente 3 rintracciato le principali cause nel contesto scolastico, ci siamo basate maggiormente su modelli d'intervento da attuare all'interno delle classi. Per concludere abbiamo riportato alcune schede operative prese dai quaderni del telefono azzurro, utili proposte per insegnanti. Nonostante l'assidua e costante frequenza, l'elaborazione e il conseguente svolgimento del suddetto lavoro non è stato privo di difficoltà. Tuttavia l'argomento elaborato è stato fonte di arricchimento personale in quanto apporto di nuove fonti e conoscenze. 4 1. PROFILI DEL BULLISMO In questo capitolo si cercherà di introdurre in maniera generale cosa si intende per “bullismo” e quindi: la storia del termine, l’etimologia e le varie caratteristiche. 1.1 Breve storia ed etimologia del termine “bullismo” Nonostante non si trovi nei dizionari storici, “bullo” è una parola antica che risale al Rinascimento. Il primo a registrare questo termine in un dizionario è Alfredo Panzini nel 1935: lo definisce voce romanesca che sta per “smargiasso, bravaccio, teppista”. Il significato della parola, dunque, si associa inizialmente ad un’idea di violenza organizzata ed a un concetto di isolamento ed estraneità, di prevaricazione e di prepotenza. Nel Novecento il significato si attenua indicando per lo più un giovane arrogante. Nel secolo scorso lo troviamo persino in letteratura, con Pasolini che usa un vezzeggiativo: ”bulletto di provincia”. La definizione di bullo sembra cosi avere un’accezione che stempera la gravità della violenza e sopraffazione che vuole denunciare. Il bullo, nel senso comune, è il gradasso, quello che si dà delle arie, ma che non necessariamente prevarica gli altri, anzi spesso il termine “bullo, bulletto” ha un accezione positiva, di affettuosa presa in giro. È però necessario mettere da parte questo significato per capire a fondo il problema. Fare il bullo significa prevaricare i più deboli con atteggiamenti aggressivi e prepotenti, sottoporre a continue angherie e soprusi i compagni di classe o di giochi fisicamente e caratterialmente più indifesi (Fonzi,1999, p 22). In una società in cui si persegue la ricchezza e si rifugge dalla povertà ricorrendo alla forza e all’inganno, facendosi influenzare da pregiudizi e non badando alle ingiustizie, è chiaro che il bullismo non può essere considerato un comportamento antisociale. Il bullismo è legato ad una dimensione culturale, per cui non possiamo aspettarci che il fenomeno scompaia in un ambiente in cui si è d’accordo sul fatto che “ il perdente muoia”. Il termine italiano bullismo è la traduzione letterale della parola “bullying”, termine inglese usato nella letteratura internazionale per connotare il fenomeno delle prepotenze tra pari in un contesto di gruppo. 5 Il termine usato in Scandinavia per riferirsi al bullismo è mobbing (Norvegia e Danimarca) o mobbning (Svezia e Finlandia), ed è usato con diversi significati e connotazioni. La radice della parola originale inglese mob si riferisce ad un gruppo di persone, abitualmente esteso ed anonimo, implicato in azioni di molestie; il termine viene però anche usato per indicare una persona che critica, molesta o picchia un’altra. Secondo Dan Olweus è importante riferire al concetto di mobbing , o bullismo, entrambe le situazioni: sia quella in cui un singolo individuo molesta un altro, sia quella in cui ad essere responsabile della molestia è un gruppo. Il bullo può agire o in gruppo e scegliere come sua valvola di sfogo una o più vittime; in ambito scolastico si tratta per lo più dei propri compagni. Comunque sia, perché si possano verificare episodi di bullismo, è necessario che vi sia un’asimmetria della relazione. Lo studente esposto ad azioni offensive ha difficoltà nel difendersi e si trova in qualche modo in una situazione di impotenza contro colui o coloro che lo molestano. Pertanto, mentre la violenza tra ragazzini che a volte le danno e a volte le prendono è un normale scambio tra pari, il bullismo è invece una violenza fisica, verbale o psicologica ripetuta, che si protrae nel tempo, con uno squilibrio tra vittima e carnefice. Il bullo sceglie la sua vittima, di solito più debole sia fisicamente sia psicologicamente, e la perseguita, con effetti che nel tempo possono essere devastanti1. Per quanto riguarda il bullismo un’importante differenziazione riguarda la manifestazione del fenomeno che può essere di tipo diretto o indiretto. Il bullismo diretto riguarda le manifestazioni visibili di prevaricazione nei confronti della vittima che possono essere sia di tipo fisico (colpi, pugni, calci) che di tipo verbale (minacce, offese). Il bullismo indiretto, invece, molto più difficile da rilevare, è più sottile e riguarda l’esclusione da un gruppo oppure la diffusione di calunnie nei confronti di qualcuno. Olweus ha elaborato per primo un questionario anonimo che riportava una definizione di bullismo ripresa poi anche nella versione italiana di tale questionario: “[..] diciamo che un ragazzo subisce prepotenze, quando un altro ragazzo o un gruppo di ragazzi gli dicono cose cattive e spiacevoli. È sempre prepotenza quando un ragazzo riceve colpi, pugni, calci e minacce, quando viene rinchiuso in una stanza, riceve bigliettini con offese e parolacce, quando nessuno gli rivolge mai la parola e cose del 1 F. MARINI – MAMELI, Il bullismo nelle scuole, Roma, Carocci, 2000 pp 45-46 6 genere. Non si tratta di prepotenze invece quando due ragazzi più o meno della stessa forza litigano tra loro o fanno la lotta”2. Secondo questa definizione l’attenzione è focalizzata su tre aspetti fondamentali: • il disequilibrio di forza tra i due attori principali coinvolti, il bullo e la vittima; • il verificarsi di atti di tipo aggressivo diretto (fisico e/o verbale) o aggressivo indiretto; • la persistenza nel tempo di questi atti3. 1.2 Caratteristiche del “bullismo” Il bullismo può essere considerato una sottocategoria del comportamento aggressivo, con alcune caratteristiche distintive: • l’intenzionalità: desidera ferire, offendere, arrecare danno o disagio • La persistenza nel tempo • L’asimmetria di potere ed uso ingiusto di quest’ultimo • Il piacere evidente da parte dell’aggressore • La sensazione di oppressione da parte della vittima4 Il fenomeno sociale del bullismo, generalmente, decresce con l’aumentare dell’età ma ha un'incidenza elevata quando i ragazzi iniziano la scuola secondaria poiché ogni nuovo gruppo è vulnerabile ai gruppi più anziani che comunque sono già ambientati all’interno della scuola. Il bullo e le vittime non hanno ruoli statici, infatti, esistono diverse categorie di bullo: 2 A. COSTABILE, Insieme contro il bullismo. Percorso educativo da attivare nelle scuole, La Terza, 1999 pp 31 3 F. MARINI – MAMELI [ibidem]. 4 TELEFONO AZZURRO, il fenomeno del bullismo. Analizzarlo e conoscerlo, Roma, 2002 p 8. 7 • Il bullo aggressivo o attivo ha un comportamento caratterizzato da un’aggressività generalizzata sia verso gli adulti sia verso i coetanei, con conseguente scarsa empatia verso gli altri. Vanta la sua superiorità vera o presunta, si arrabbia facilmente e presenta una bassa tolleranza alla frustrazione, utilizza la violenza che ritiene uno strumento positivo per raggiungere i propri obiettivi. La sua prepotenza non è dovuta a insicurezza o scarsa autostima, anzi ha elevate abilità che gli consentono di manipolare e dominare gli altri. È sempre alla ricerca di emozioni forti, estreme, de-umanizza e colpevolizza la vittima al fine di giustificare le sue forme di aggressività e violenza e stabilisce rapporti interpersonali improntati quasi sempre sulla prevaricazione. Inoltre, manifesta immaturità nel riconoscere le emozioni, soprattutto quelle positive. • Il bullo passivo o gregario, è un soggetto molto ansioso, insicuro, poco popolare, cerca la propria identità, ricopre un ruolo gregario nel branco e ha funzione di sostenitore di chi agisce le prepotenze. • Il bullo ansioso, è spesso sia bullo che vittima, ha una personalità caratterizzata da bassa autostima, ansia e instabilità emotiva, mette in atto comportamenti vessatori nei confronti dei compagni più deboli, ma cede spesso al rimorso e ai sensi di colpa. La vittima: Chi cade nelle grinfie dei bulli è di solito un individuo con scarsa autostima e con opinione negativa di sé. I bambini vittimizzati sono quelli molto sensibili, che si offendono facilmente, che lasciano trapelare il proprio disagio. Sono timidi, ansiosi, remissivi, poco sicuri di sé, più silenziosi rispetto ai coetanei. Queste caratteristiche sono tipiche delle vittime dette passive o sottomesse, che segnalano agli altri l’incapacità,l’impossibilità o la difficoltà di reagire di fronte ai soprusi. Esiste, tuttavia, un altro gruppo di vittime: le vittime provocatrici, caratterizzate da una combinazione di modalità di reazioni ansiose aggressive. Le vittime provocatrici hanno spesso problemi di concentrazione e si comportano in modo tale da causare tensione e irritazione, spesso sono considerate iperattive. Sono infelici e depresse per la loro incolumità fisica. 8 Possono risultare gradite agli insegnanti e tendere a prevaricare a loro volta gli studenti più deboli. Oltre al bullo e alla vittima è possibile identificare altri quattro ruoli differenti: ¾ l’aiutante: che agisce in modo prepotente, con una posizione secondaria nel gruppo, essendo il sostenitore del bullo. ¾ Il sostenitore: chi agisce in modo da rinforzare il comportamento del bullo, incitandolo o semplicemente guardando senza intervenire. ¾ Il difensore: chi difende la vittima, consolandola o cercando di porre fine alle prepotenze. ¾ L’esterno: chi non fa nulla, cercando di rimanere fuori dalle situazioni di prepotenza.5 Il potere del bullo risulta rinforzato dal supporto degli aiutanti e dei sostenitori, e dall’indifferenza di coloro che guardano e lasciano fare senza colpo ferire. È il gruppo che determina la cristallizzazione del ruolo del prepotente e della vittima. Il bullismo, pertanto, è un fenomeno relazionale e sociale, anche perché i ruoli nascono sempre nell’interazione sociale e sono determinati sia dalle caratteristiche individuali che dalle aspettative degli altri. Il bullismo è un fenomeno che riguarda sia i maschi che le femmine, anche se comunemente si pensa che appartenga solo ai maschi. Si manifesta e si esprime però in modi differenti. I maschi mettono in atto prevalentemente prepotenze di tipo diretto, con aggressioni di tipo fisico ma anche verbali. Questi comportamenti vengono messi in atto sia sulle femmine sia sui maschi. I maschi agiscono in modo diretto ma subiscono quasi sempre in modo diretto. Invece le femmine utilizzano in genere modalità indirette, pettegolezzi, escludere dal gruppo la persona che vedono più debole ecc; diretto solo alle femmine stesse. Il “Bullismo al femminile” è più difficile da scoprire sia per gli insegnanti sia per le famiglie poiché più sottile, e perché non lascia segni visibili sul corpo o sugli oggetti di 5 TELEFONO AZZURRO, il fenomeno del bullismo. Analizzarlo e conoscerlo, Roma, 2002 pp 14–17. F. MARINI – MAMELI, Il bullismo nelle scuole, Roma, Carocci, 2000 pp 58-63. 9 proprietà della vittima; infatti le tattiche verbali solitamente usate dalle bulle sono i sorrisetti, risatine in presenza della vittima, parlottare con gli altri su di lei, nomignoli antipatici, diffusione di malignità sulla vittima e fare commenti pesanti di carattere razzista o sessuale. Per quanto riguarda le percezioni del bullismo e gli atteggiamenti nei confronti della vittima emergono delle differenze anche qui tra i due sessi. Infatti per i maschi il senso di colpa non è presente ed è molto difficile immedesimarsi nella vittima, non provano neppure dispiacere. Contrariamente le femmine, manifestano una maggiore capacità di empatia, una capacità di mettersi nei panni della vittima, comprendendo il suo stato d'animo, il suo disagio e la sua tristezza. I soggetti implicati nel bullismo sono bambini ed adolescenti in una fascia di età compresa tra i 7-8 anni e i 14-16 anni, però il bullismo è molto più presente nei bambini delle elementari e nei primi anni di scuola media. Con il passare del tempo, il bullismo tende a seguire un decorso nella vita del bullo, infatti il numero e la frequenza degli atti di bullismo vanno diminuendo con il crescere dell'età. Questo decorso si nota sopratutto con il passaggio dalle scuole primarie a quelle secondarie e solitamente tali atti spariscono con il passaggio alla scuola secondaria di secondo grado. L'aspetto che muta di più è quello del bullismo diretto fisico, infatti diminuiscono gli attacchi fisici, ma possono aumentare i ricatti e le prese in giro. Anche se non tutti i ragazzi devono essere bulli o vittime, va anche detto che molte volte i ruoli che si creano vanno sempre di più a radicalizzarsi sia per quanto riguarda il bullo sia per la vittima; di conseguenza le prevaricazioni vengono indirizzate a un numero più ristretto di individui, che cosi si identificano sempre più nel ruolo. Con la diminuzione del numero, però, aumenta la pericolosità; infatti con il passare del tempo, durante l'adolescenza, cresce la gravità e la pericolosità delle azioni legate al bullismo che, nei casi più estremi, sfociano in comportamenti devianti. Questi ultimi comportamenti non possono essere definiti come “bullismo” ma come comportamenti antisociali e illegali. I luoghi in cui gli episodi di bullismo avvengono con maggior frequenza sono gli ambienti scolastici: le aule, i corridoi, il cortile, i bagni e in genere i luoghi isolati o poco sorvegliati, come per esempio gli spogliatoi della palestra o i laboratori. 10 Generalmente i bulli e le vittime fanno parte della stessa classe, per cui accade frequentemente che questa diventi il luogo privilegiato in cui si manifestano le prevaricazioni. Azioni di bullismo, però, possono essere effettuate anche durante il tragitto casa-scuola e viceversa. 1.3 Cosa non è bullismo? Si è parlato finora di questo fenomeno, però bisogna anche riconoscere che alcuni comportamenti tenuti da bambini e adolescenti non sempre sono da considerare vero e proprio bullismo. Il bullismo è tra le possibili manifestazioni di aggressività messe in atto dai bambini e dagli adolescenti. Esistono, perciò, diverse categorie non classificabili come “bullismo”, che molte volte possono portare fuori strada: Comportamenti antisociali e devianti: questi comportamenti sono quelli che si avvicinano particolarmente agli atti gravi che sono più vicini ai veri e propri reati. Ad esempio: attaccare un coetaneo con un coltellino o con altri oggetti pericolosi; fare minacce pesanti anche di tipo fisico; procurare ferite, anche se inizialmente leggere, ma che successivamente rischiano di essere gravi creando lesioni; commettere furti di oggetti molto costosi; compiere molestie o abusi sessuali. Tutto ciò non è assolutamente definibile come “bullismo”. Comportamenti quasi aggressivi: questi tipi di comportamento si verificano molto spesso tra coetanei; infatti sono i cosiddetti giochi turbolenti e le “lotte”, particolarmente diffusi tra i maschi, o la presa in giro “per gioco”; essi non sono definibili come bullismo in quanto implicano una simmetria della relazione, ovvero una parità di potere e di forza tra i soggetti coinvolti e anche un’ alternanza dei ruoli prevaricatore/prevaricato. Esistono altre difficoltà nel distinguere con chiarezza i comportamenti legati al bullismo, infatti i pregiudizi e i luoghi comuni diffusi nell’immaginario collettivo (idee 11 preconcette), giocano un ruolo di rilievo impedendo cosi molte volte l’intervento immediato e ostacolando l’azione prevista. Le idee “preconcette” più comuni sono: z il bullismo visto solo come una “ragazzata” ; invece al contrario i comportamenti da bulli non sono un gioco; i bulli a volte usano questa giustificazione per nascondersi cosi da evitare la punizione. z Il bullismo è parte della crescita, viene vista come una fase “obbligatoria” che tutti devono passare, e viene inoltre visto come un “rafforzamento” per l'individuo. In realtà questo fenomeno non è fisiologicamente connesso alla crescita, crea solo disagio e dolore per chi subisce questi tipi di atti ma anche per chi li compie. z Coloro che subiscono le prepotenze dovrebbero imparare a difendersi. Purtroppo, la vittima non è capace di difendersi individualmente, ciò comporta per forza ancora di più un indebolimento della vittima e un senso di impotenza. z Le caratteristiche esteriori della vittima rivestono un ruolo fondamentale. Si pensa comunemente che ad influire in modo decisivo nella “designazione della vittima” intervengano l'aspetto fisico e alcuni particolari esteriori come l’essere in sovrappeso, avere i capelli rossi, portare gli occhiali, avere un difetto di pronuncia. In realtà molti bambini possiedono tali caratteristiche, senza per questo essere vittime di atti di bullismo. Piuttosto, spesso i bulli portano tali elementi come “giustificazione” per i loro gesti. z Il bullismo è un fenomeno proprio delle zone più povere e degradate della città. Ciò non è vero visto che in realtà il bullismo è un fenomeno diffuso in egual modo nelle zone benestanti come in quelle povere. z Il bullismo deriva dalla competizione per ottenere buoni voti a scuola. Talvolta si crede che il bullo agisca aggressivamente in seguito alle frustrazioni per i ripetuti fallimenti scolastici: questa opinione non ha fondamento, anche perché sia i bulli che le vittime ottengono a scuola voti più bassi della media. 12 z Il bullo ha una bassa autostima e al di là delle apparenze è ansioso e insicuro. Il bullo è un soggetto con un forte bisogno di dominare sugli altri ed è incapace di provare empatia. Generalmente non soffre di insicurezza o ansia, e la sua autostima è nella norma o addirittura superiore alla media.6 6 TELEFONO AZZURRO [ibidem] 13 2. ANALISI E CAUSE DEL BULLISMO Per inquadrare in maniera completa tale fenomeno si intende, in questo capitolo, analizzare chi sono veramente i bulli andando a ricercare le cause che si trovano alla base del loro comportamento, il perché ed il come alcune prepotenze avvengono in determinati luoghi. Si darà infine uno sguardo generale alla situazione italiana per comprendere la diffusione del bullismo nelle diverse regioni. 2.1 Cause e conseguenze del bullismo Le cause che sono alla base del fenomeno del bullismo sono molteplici: contesto familiare: qui troviamo due diverse prospettive di studio che prendono in considerazione il sistema familiare dei bambini coinvolti, come bulli o vittime, in episodi di prepotenza. Una prima prospettiva ha indagato la qualità della relazione affettiva tra genitori e figli, in particolare ha considerato il legame di attaccamento madre-bambino. Da tali ricerche è emerso che i bambini con attaccamento insicuroevitante esibiscono con più probabilità comportamenti di attacco e prepotenza verso i compagni, dato che non sviluppano un atteggiamento di fiducia verso gli altri e si aspettano risposte ostili; mentre i bambini con attaccamento insicuro-resistente assumono con più probabilità il ruolo di vittima, dato che hanno poca fiducia, poca stima in se stessi e sono insicuri ed ansiosi. Una seconda prospettiva indaga gli stili educativi parentali, come contesto di apprendimento di regole e valori. Il bambino che vive in una famiglia in cui regna un educazione obbligatoria, ha più probabilità di interiorizzare schemi di comportamento disadattavi e, pertanto, utilizzerà gli stessi modelli di comportamento anche nelle relazioni al di fuori della famiglia. Al contrario, se la famiglia presenta uno stile educativo permissivo e tollerante, il bambino sarà incapace di porre adeguati limiti al proprio comportamento. Contesto culturale in cui si vive: secondo Olweus, i ragazzi che opprimono e quelli che subiscono sono il frutto di una società che tollera la sopraffazione. Il bullismo è figlio di un contesto culturale in cui viene perseguito un modello di forza e potere, in cui vige la distinzione tra vincenti e perdenti, in cui la sconfitta non è accettabile, e dove vengono esaltati leader autoritari e immagini maschili e femminili di successo. I mass media, la 14 televisione, il cinema, i videogiochi, ci presentano modelli di violenza giovanile come espressione di forza e vitalità. In una cultura fondata sui disvalori della sopraffazione, dell’arroganza, della furbizia e della competizione, diventa naturale prevaricare il più debole. Ruolo dei mass media: La società scandita dai tempi di Internet e della televisione ci ha condotto verso una precarietà dei parametri di riferimento. In questo momento storico, la televisione fa da padrona nella vita familiare. La tv ha cambiato il modo di stare insieme in famiglia, di trascorrere il tempo libero, per i bambini e per gli adulti. Presente in cucina, in salotto, in camera da letto, la tv partecipa assiduamente alla vita della casa e, ormai sempre più spesso, la assorbe e la regola: zittisce la capacità di comunicazione nel rapporto genitori-figli; toglie spazio al confronto, alla condivisione, alla lettura, ed a qualunque attività intenzionale. I bambini vengono attirati da questi mezzi tecnologici e ciò influenza il loro modo di trascorrere il tempo libero e di giocare, tanto da dedicare sempre meno tempo sia all’uso di giocattoli che al giocare all’aria aperta. Tramite la TV e la supertecnologia, i bambini sono esposti ad una grande quantità di stimoli diversi: alcuni sono utili all’accelerazione del loro sviluppo mentale e sociale, promuovendo fantasia e creatività; altri sono particolarmente negativi, in quanto tendono a rendere passivi i bambini, che invece di fare preferiscono guardare. Infatti in questo ultimo caso i bambini osservano il mondo degli altri dall’esterno, non partecipando in prima persona, e distanziandosi dalla compagnia dei loro coetanei, dalle attività di gioco, che sono elementi di crescita fondamentali. Se l’azione educativa di genitori e insegnanti non è sufficientemente incisiva, essi rischiano di crescere del tutto eterodiretti e di non sviluppare spazi interiori di riflessione, ragionamento ed ascolto dei propri stati psichici e fisici. La TV viene spesso utilizzata dai genitori come “babysitter elettronica”, soprattutto per il fattore della comodità; con la loro superficialità, gli adulti ritengono che la TV sia un momento di svago, anche se in realtà fa male al bambino, poiché lo isola e lo fa giungere in una realtà che non esiste, impedendogli così le naturali interazioni con i coetanei e i genitori. La tv non fa altro che alterare la percezione della realtà. La TV ha sul bambino un vero e proprio effetto ipnotico, portandolo non soltanto ad estraniarsi dalla realtà ma anche da sé stesso, in quanto, da piccoli, non si possiede né la consapevolezza di sé né un adeguato senso critico e 15 conseguentemente non si sa come difendersi da ciò che trasmette le televisione. La violenza attrae il bambino, nonostante nel contempo provochi in lui un enorme danno. Il messaggio che arriva allo spettatore che nel nostro caso è un bambino, è che i problemi vanno risolti non in modo pacifico, bensì dilaga la sensazione dello scontro necessario per superarli. Moltissimi studi hanno dimostrato che c'è uno stretto legame fra l'aggressività in bambini che vanno a scuola e la quantità di violenza cui sono esposti attraverso i media. I bambini, poi, non ricevono dai programmi TV gli strumenti adatti per affrontare le loro paure e da qui occorre sottolineare la sostanziale differenza tra il passato ed il presente, che riguarda anche lo stesso rapporto con i genitori: mentre in passato le insicurezze del bambino erano accolte dagli adulti, presso cui trovavano la giusta rassicurazione, oggi il bambino è solo nel mondo creatosi con la TV, e non riceve un adeguato supporto emotivo dagli adulti. Ecco perché molti bambini rispondono alle loro paure con aggressività, che diventa la loro unica modalità di comunicazione. Ci si trova così dinnanzi all’accettazione dell’episodio della violenza come fenomeno normale. In questi prodotti televisivi non esiste la possibilità di confrontarsi, di comunicare con il dialogo, di porsi delle domande e di venirsi incontro: l’unica possibilità di relazionarsi è la lotta. Il messaggio che raggiunge i bambini è che la violenza sia giusta, necessaria, accettabile, strumento di potere e di riscatto. L’ esposizione a modelli violenti determina nei bambini: z z l’apprendimento imitativo di comportamenti aggressivi; maggiore aggressività di fronte a successive frustrazioni, rispetto ai soggetti ugualmente frustrati ma che non sono stati esposti a modelli aggressivi. Popper (1994) sostiene che: “la televisione produce violenza e la porta in case dove altrimenti violenza non ci sarebbe. So per esperienza che ai ragazzi non piace vedere film nei quali succedono cose terribili. Stingono le mani prima di serrare le palpebre, devono venire “domati” per diventare capaci di assistere alla violenza. È questo, quello che facciamo ai nostri 16 figli, li educhiamo a tollerare la violenza, a considerare la violenza come qualcosa che accade dappertutto, che non può essere evitata e alla quale ci si deve abituare.”7 Nel caso di spettacoli come il wrestling, che coinvolge i bambini nel ruolo di spettatori, si verificano delle dinamiche psicologiche tipiche dei prodotti televisivi che propongono quelle forme di violenza, che Bandura prima e Caparra dopo hanno identificato come disimpegno morale:quest ultimo consiste in una tecnica di neutralizzazione che il soggetto attiva per aderire a scelte devianti rispetto al sistema di valori interiorizzati, permette in altre parole all’individuo di giustificare e rendere accettabile a se stesso il suo comportamento deviante, aggressivo, violento e consiste nelle seguenti strategie, messe in atto per svincolarsi dalle norme e dalla responsabilità: z la giustificazione morale (è un ladro, se lo è meritato); z l’etichettamento eufemistico (picchiare dei compagni fastidiosi significa dar loro una lezione); z il confronto vantaggioso (ho rubato solo un astuccio, non è grave visto che c’è chi ruba milioni di euro); z la dislocazione della responsabilità (non può rimproverare solo me, sono stati gli altri a provocarmi); z la diffusione della responsabilità (non è solo colpa mia, l’abbiamo fatto tutti insieme); z la distorsione delle conseguenze ( non si è fatto male, gli ho dato solo un pugno); z la deumanizzazione della vittima (è nero … è ebreo … è inferiore a me, se lo meritava); z l’attribuzione di colpa (l’ho picchiato perché è stato lui a cominciare e se lo meritava).8 La condotta trasgressiva, tipica del disimpegno morale, può diventare stabile e, conseguentemente, trasformarsi nel modello culturale di riferimento del soggetto. Il 7 L.PETRONE-TROIANO M., Dalla violenza virtuale alle nuove forme di bullismo,strategie di prevenzione per genitori, insegnati, operatori, Roma, Edizioni Magi, 2008 pp 23. 8 L.PETRONE-TROIANO M., Dalla violenza virtuale alle nuove forme di bullismo,strategie di prevenzione per genitori, insegnati, operatori, Roma, Edizioni Magi, 2008 pp 24-25. 17 soggetto svincolato dalle regole e dalle norme di rispetto nei confronti della persona umana, acquisisce un modello comportamentale violento. Essere vittima o essere prepotente, ed esserlo a lungo nel corso del tempo può rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di successive manifestazioni psicopatologiche. Gli studi longitudinali, già condotti da Olweus e altri, rivelano che chi rimane a lungo nel ruolo di prepotente corre più rischi di altri di entrare in quella escalation di violenza che va da piccoli episodi di vandalismo, furti, piccola criminalità, fino ad incorrere in problemi seri con la legge. I giovani prevaricatori, quindi, incappano più facilmente nel rischio di venire coinvolti in comportamenti problematici legati alla sfera dell’etero-aggressività, che vanno da tutte quelle forme di trasgressione, all’abuso di alcool e sostanze stupefacenti, alle condotte criminali. Cosi come i bulli anche le vittime sono affette da diversi tipi di disturbi: solitudine, depressione, ansia, insicurezza, bassa autostima ed eccessiva passività nelle relazioni interpersonali che porta a un sempre maggior isolamento sociale. L’essere bersaglio delle prepotenze del bullo, ripetutamente nel tempo, denota una forma di vittimizzazione particolarmente grave che può portare, in chi le subisce, alla messa in atto di condotte auto-aggressive, a sferrare attacchi rivolti al proprio corpo, fino ai casi più estremi in cui si incorre in comportamenti autodistruttivi, come il suicidio. Le prepotenze subite in giovane età continuano ad affliggere le vittime per anni dopo la conclusione degli studi. Nell’età adulta, tutto ciò può condurre ad una bassa stima di sé, a sindromi depressive e all’isolamento sociale. Inoltre le donne e gli uomini che hanno subito prepotenze, umiliazioni e vessazioni in giovane età hanno spesso difficoltà a vivere un sereno rapporto con il sesso opposto. L’adulto perseguito a scuola si porta quel senso di impotenza anche nella vita lavorativa e se incontrerà un prepotente in ambito lavorativo si farà nuovamente sopraffare. Resta comunque il fatto che la causa principale del bullismo è senza dubbio rintracciabile all'interno della scuola, in particolare all'interno del contesto classe. Infatti, sono sempre presenti nella singola classe i protagonisti. Un fenomeno ricorrente riguarda bambini che si inseriscono, per vari motivi, in un contesto classe già formato e 18 consolidato; il bambino avrà più probabilità degli altri a diventare una “vittima”. Questo perché il bullo tende ad attaccare i più deboli e i più isolati nel contesto in cui agisce. 2.2 Dove avvengono le prepotenze? ¾ In famiglia: le mura domestiche sono forse il luogo ideale per la prevaricazione, l’esclusione e l’emarginazione dell’altro. Bambini ed adolescenti si pongono nei confronti dei loro fratelli e dei genitori in maniera aggressiva, facendo fare loro brutte figure, urlando di fronte agli altri, prendendo in giro, ignorando ed emarginando. La cosa terribile è che molto spesso rispetto agli altri luoghi in cui la “violenza” viene esercitata, la famiglia è il luogo di omertà per antonomasia. Forse perché, il genitore si trova coinvolto in un circolo vizioso in cui per farsi obbedire, deve aumentare la propria aggressività ed il bambino impara che per ottenere le cose si deve usare la violenza e lo farà con chi si mostrerà più debole di lui. Ma se ai figli viene insegnato il rispetto, iniziando a rispettarli, loro si comporteranno allo stesso modo dentro e fuori casa. ¾ A scuola: la scuola nasconde nel suo tessuto di relazioni tra coetanei, una cultura di violenza, finora poco presa in considerazione dagli adulti. Le sfide più grandi, che oggi giorno i bambini e ragazzi devono affrontare, non sono tanto le interrogazioni o gli esami, ma i processi di inserimento nel gruppo dei pari. Il bisogno di essere parte integrante del gruppo, di essere accolti e valorizzati ha un suo costo. Le prevaricazioni, le umiliazioni, gli episodi di violenza avvengono fuori dal controllo degli insegnanti e del personale non docente. ¾ Nel territorio: cosi come la scuola anche il territorio si presta ad essere luogo di prevaricazione. Luogo in cui vige la legge del più forte che attraverso l’uso di parolacce, offese, “prese in giro” o con minacce e botte, riduce la vittima ad uno stato di prostrazione profonda, conducendola all’isolamento, poiché teme ulteriori rappresaglie e vendette. I luoghi di “violazione” prescelti sono: gli autobus o scuolabus, la piazza del quartiere, il parco giochi,i cortili e i luoghi d’incontro; in strada come a scuola gli adulti sembrano essere eterni assenti. 19 ¾ Per strada: i ragazzi costituendosi in comitive si riuniscono in “branco” e scorazzano liberamente tra quartieri alla ricerca della vittima designata. Tra i fattori che spiegano perché i soggetti tendenzialmente miti e non aggressivi tendano a partecipare ad azioni violente, c è la diminuzione del senso di responsabilità individuale. Vi sono meccanismi di disimpegno morale e tecniche di razionalizzazione dell’azione deviante; la diffusione di responsabilità all’interno del gruppo è un meccanismo che rende più facile l’azione aggressiva, poiché il senso di responsabilità personale nei confronti dell’azione negativa diminuisce se si partecipa in tanti. 2.3 Chi sono i bulli? Ancora grazie alle ricerche di Olweus fatte nel 1973, si è giunti ad una conclusione circa chi siano i bulli: essi rappresentano una categoria ristretta di bambini, che incute paura e gode di scarsa popolarità. È il mondo in cui viviamo che, condannando la violenza da una parte, ed esaltandola come simbolo di potere dall’altra, tende ad impaurire e nel contempo ad affascinare i bambini. Mentre alcuni bambini non trovano alcun piacere nel fare male agli altri per ottenere ciò che desiderano, altri utilizzano l’aggressività, associata alla forza fisica (se sono maschi) per conquistare il potere e predominare; col passare del tempo questi ultimi finiscono per ritrovarsi sempre più isolati, solitamente fanno parte del classico terzetto formato dal capo e dai suoi due luogotenenti. Ciò che li distingue dagli altri bambini è la mancanza di empatia, l’insensibilità ai sentimenti degli altri, che li rende incapaci di stabilire relazioni positive, di creare un vero e proprio rapporto con coetanei, insegnanti e genitori, verso i quali hanno spesso atteggiamenti oppositivi ed arroganti. La loro prepotenza non è dovuta, come generalmente si pensa, ad insicurezza interiore e scarsa autostima, al contrario, si tratta di bambini quasi sempre sicuri di sé e del loro valore. Se fanno un uso così distorto, distruttivo dell’aggressività non è per mascherare la loro debolezza, bensì perché non sono stati educati a controllare questo impulso e ad incanalarlo verso mete costruttive. Spesso si tratta di bambini che all’età di due anni, 20 l’epoca dei “no”, delle crisi di opposizione e degli scoppi di violenza, sono stati lasciati in balia della loro aggressività; altri invece sono stati troppo repressi, sgridati a volte puniti con la stessa violenza da genitori altrettanto impulsivi. Infatti sia un atteggiamento troppo lassista, permissivo, che uno troppo rigido, punitivo, da parte dei genitori può potenziare nel bambino un alto grado di aggressività, trasformandolo in una mina vagante per i compagni più tranquilli e remissivi. Come già detto, esiste anche la categoria dei cosiddetti bulli passivi, spesso insicuri ed ansiosi, che pur partecipando al bullismo, non prendono iniziative. Vi sono almeno tre cause psicologiche che stanno alla base del comportamento del bullo e che risultano essere collegate tra loro. Primo, i bulli hanno un forte bisogno di dominio e di potere, per cui trovano gusto nel controllare e sottomettere gli altri. Secondo, considerando le condizioni familiari, sovente inadeguate, nelle quali molti di essi sono stati allevati, è naturale ipotizzare che abbiano sviluppato un certo grado di ostilità verso l’ambiente; questo potrebbe spiegare la soddisfazione che essi provano nell’infliggere danno e sofferenza agli altri. Infine c’è una componente “strumentale”: i bulli spesso costringono le vittime a procurare loro denaro, sigarette, birra e altri oggetti di valore. Il bullismo è considerato, dal punto di vista psicopatologico, un disturbo ossessivo compulsivo: il bullo infatti, ha sempre bisogno di una vittima e non si assume mai le responsabilità delle sue azioni; può anche essere visto come una forma di condotta antisociale, che si caratterizza per la mancanza di rispetto delle regole. Da questo punto di vista è naturale aspettarsi che i giovani aggressivi e prevaricatori incorrano più facilmente nel rischio di essere coinvolti in altri comportamenti problematici, quali la criminalità o l’abuso di alcol. 2.4 Situazione italiana Una prima ricerca sulla situazione italiana del bullismo è stata portata avanti da Ada Fonzi, nel 1997. Lei condusse questa ricerca in molte scuole italiane concentrandosi su alcune zone in particolare. Qui vengono riportati i dati principali di questa ricerca per avere un quadro generale dell' Italia. I primi dati italiani sono stati raccolti in due città 21 del Centro Sud Italia: Firenze e Cosenza, mediante la somministrazione di un questionario anonimo. Il questionario si pone l’obiettivo di indagare la natura e le caratteristiche del fenomeno, ed è strutturato in diverse sezioni: le relazioni di amicizia, le prepotenze subite, le prepotenze agite, gli atteggiamenti di bambini ed insegnanti verso il fenomeno. Alla ricerca hanno partecipato 1.379 alunni di età compresa tra gli 8 ei 14 anni (dalla terza elementare alla terza media). I risultati riportano che, nella scuola elementare, un’alta percentuale di soggetti riferisce di aver subito prepotenze, a Firenze il 46% ed a Cosenza il 38%; nelle scuole medie le percentuali diminuiscono, pur restando elevate, Firenze 30% e Cosenza 27%. Successivamente, gli studi effettuati in altre città italiane hanno messo in evidenza come il bullismo, nelle scuole italiane, si presenta con valori molto elevati e con indici complessivi che vanno dal 41% nella scuola elementare al 26% nella scuola media, in rapporto agli alunni che dichiarano di aver subito prepotenze. Nel confronto con i dati europei, quelli italiani sembrano addirittura più elevati. Da alcuni studi si evince che il fenomeno in Norvegia coinvolge il 16% degli alunni, in Inghilterra il 27%, in Spagna il 15% e in Giappone il 12%, e come abbiamo visto a Firenze il 46% e a Cosenza il 38%. Una spiegazione dei ricercatori sembra dovuta alle differenze culturali tra il nostro e gli altri Paesi. Occorre tener conto, infatti, che uno dei primi problemi che i ricercatori hanno dovuto affrontare è stato quello della traduzione del termine inglese “bullying”, la cui trasposizione letterale “bullismo” avrebbe comportato troppe ambiguità e scarsa chiarezza, per cui si è optato per il termine “prepotenza” e “vittimizzazione” per definire il ruolo di coloro che fanno o subiscono maltrattamenti dai compagni. Dai risultati è emerso anche che la forma di bullismo considerata meno grave è quella verbale, che costituisce il 50% degli episodi di prepotenza denunciati dai bambini. Cosa importante che gli studi mettono in evidenza è la forte differenza tra una regione e un’altra, per cui, esaminando i dati, si nota come il fenomeno sia più frequente in alcune città della Campania, come Napoli, e della Sicilia, come Palermo, e meno in città del Piemonte e della Calabria. Ciò in qualche modo evidenzia una pluralità di fattori come: il genere, le caratteristiche di personalità, le relazioni familiari, le dinamiche di classe, mentre incidono di meno l’ampiezza della scuola e le condizioni socioeconomiche della famiglia. 8 8 A. FONZI, Il bullismo in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla 22 3. PREVENZIONE E PROPOSTE D’INTERVENTO Dopo aver esaminato sotto vari aspetti il fenomeno del bullismo, si intende a questo punto parlare di prevenzione, presentando alcune proposte d’intervento ed una possibile collaborazione tra famiglia, scuola e istituzioni. 3.1 Prevenzione e comportamenti prosociali Nel periodo dai tre ai sei anni circa, le abilità sociali dei bambini si arricchiscono grazie alle maggiori occasioni di contatto con i coetanei e con adulti al di fuori della famiglia: l’ingresso alla scuola materna rappresenta per il bambino/a una importante esperienza sociale allargata. Il bambino entra a far parte in modo stabile di un gruppo di coetanei, con i quali ha l’opportunità di compiere nuove esperienze di gioco, ma la convivenza gli pone nuove sfide: capire il punto di vista dell’altro e adattarvisi almeno in parte, collaborare con i compagni e frenare gli impulsi aggressivi, imparare a difendersi quando occorre. I rapporti con i coetanei contribuiscono in modo sostanziale allo sviluppo delle competenze sociali e la mediazione dell’adulto è necessaria per far sì che il bambino si adegui alle nuove regole di comportamento. E’ importante tenere presente che l’aggregazione dei bambini nelle istituzioni educative può portare alla nascita di frequenti litigi e tensioni che sono da considerare normali. Il bambino ha, in effetti, il diritto a vivere il conflitto o il litigio perché ciò rappresenta per lui una specifica forma di apprendimento per l’acquisizione di regole sociali: è nel conflitto, infatti, che il bambino scopre il senso del limite, ovvero la presenza degli altri, siano essi adulti o coetanei. In questo contesto relazionale, il bambino impara ad arginare il proprio egocentrismo, a controllare i propri impulsi aggressivi e a riconoscere la resistenza dell’altro. Insomma, nel conflitto il bambino vive un’esplorazione personale come vera area di crescita formativa. Sicilia, Firenze, Giunti, 1997. 23 Le ricerche condotte negli ultimi anni hanno dimostrato che il bambino in età prescolare è desideroso di contatti con l’altro ed è in grado di sviluppare rapporti significativi con i coetanei e con gli adulti di riferimento e di mettere in pratica una infinità di strategie per favorire e mantenere questi rapporti. Inoltre, varie ricerche hanno individuato nei bambini la capacità di comportarsi con modalità “empatiche”, in modo collaborativo e cooperativo, e non ultimo la capacità di risolvere in maniera positiva un conflitto. Questi aspetti sono definiti come comportamenti “prosociali”, dove alla radice di questi atti c’è la comprensione dell’altro e la conseguente e adeguata reazione emotiva. I bambini e le bambine spendono una considerevole dose di saggezza per riuscire a risolvere le eventuali situazioni conflittuali, confrontandosi tra loro e negoziando soluzioni accettabili sul piano interpersonale; tuttavia, sia pure in un limitato numero di casi, i conflitti possono sfociare in aggressioni fisiche o verbali. Per evitare che questo accada, è necessario che il bambino riconosca e comprenda le emozioni che entrano in campo (rabbia, aggressività, competizione, paura ecc.) ed è quindi opportuno sostenerlo nel riconoscimento, nella comprensione e nella gestione di tali emozioni. Spesso nel conflitto la rabbia prende il sopravvento sul bambino che, trovandosi davanti a tale esperienza emotiva disarmato ed impotente, è portato a trasformarla in taluni casi in aggressività e/o violenza. Questa “impotenza” è alla base del disagio che egli prova nell’affrontare una relazione conflittuale, nel sentirsi pervaso dalla propria condizione emotiva che non conosce o non riconosce e che pertanto lo spaventa. La rabbia è un sentimento che ogni individuo prova e deve provare: come tutte le condizioni emotive è positiva ed è possibile esprimerla senza violenza, senza danneggiare se stessi o il prossimo. La rabbia repressa, invece, può diventare esplosiva e dannosa in quanto può trasformarsi in violenza e/o sopruso verso l’altro. I bambini, anche se piccoli, possono imparare quale limite devono imporre ai loro comportamenti per il proprio bene e l’altrui sicurezza. Ma è necessario educarli a gestire queste emozioni trovando delle modalità di espressione che risultino efficaci e non distruttive. L’educazione a questa emozione, intesa come il suo reale riconoscimento, è quindi necessaria per prevenire future disfunzioni relazionali sin dall’età prescolare. 24 • Dietro alla rabbia del bambino possono nascondersi sensazioni di sofferenza, paura e impotenza. La comprensione da parte dell’adulto diventa fondamentale perché per il bambino è essenziale sapere di essere “riconosciuto” e compreso dall’adulto (empatia adulto/ bambino). In questo modo egli si sente valorizzato e ciò lo aiuta a sviluppare un sano concetto di sé. • La comunicazione con il bambino deve essere tale da fornirgli un vocabolario adatto a parlare delle proprie emozioni e delle occasioni per poterle esprimere. • Aiutare il bambino ad esprimere senza paura le proprie emozioni, ad esempio iniziare la conversazione dicendo “Sembra proprio che tu sia arrabbiato. Me ne vuoi parlare?”. Questo aiuta il bambino a trovare delle parole per esprimere ciò che sente e quindi scaricare la tensione. • Aiutare il bambino a riflettere e a capire quando si sente arrabbiato, perché e cosa vorrebbe fare è un buon inizio per prendere dimestichezza con le proprie emozioni. • Evitare di rispondere alla rabbia dei bambini con aggressività; questo non farebbe altro che esasperarli. • Dare regole chiare, precise e motivate aiuta il bambino a fargli capire la regola e perché va osservata (ad esempio aiutandolo a capire la reazione dell’altro). • Far capire ai bambini che comprendiamo le loro emozioni: “Si vede che sei molto arrabbiato”. • Un buon ascolto aiuta a far sbollire la rabbia ed accresce l’autostima dei bambini. • I bambini imparano di più da ciò che gli adulti fanno che da quello che dicono. Sarebbe opportuno che ogni adulto valutasse la propria modalità di risoluzione dei conflitti. Si può davvero concludere che i bambini, in età prescolare, dovrebbero aver già acquisito delle strategie che permettano loro di risolvere le situazioni di conflitto e che lascino spazio all’ascolto dell’altro (controproposte, mediazione, compromesso) piuttosto che utilizzare delle soluzioni che producono rottura dei rapporti o soluzioni violente. 3.2 Prevenzione nelle agenzie di socializzazione Prevenzione in famiglia: la prima prevenzione avviene in famiglia. Educazione e famiglia sono un binomio inseparabile. I genitori per diritto naturale sono i primi 25 educatori e hanno la responsabilità di svolgere questo compito. La vita familiare è la prima scuola dell’apprendimento emozionale. Il modo con cui i genitori trattano i figli ha delle conseguenze profonde e durevoli nella vita emotiva dei figli. Il primo e fondamentale passo per la prevenzione di tutti quei comportamenti come l’insicurezza, violenza, difficoltà emozionali è più semplice di quanto si pensi: regole chiare e precise che i bambini devono imparare a rispettare. L’assenza di regole chiare e condivise e l’indulgenza che caratterizza sempre più frequentemente i rapporti familiari causano spesso danni durevoli all’educazione dei figli con gli effetti conseguenti di comportamenti di violenza e prevaricazione nei rapporti sociali. Prevenzione a scuola: la migliore prevenzione è l’educazione. Il primo punto di forza di questa strategia è rappresentato dal coinvolgimento delle famiglie: i genitori, infatti, sono chiamati in prima persona a confrontarsi non solo con gli eventi scolastici dei figli, ma anche e soprattutto con l’evoluzione della loro peculiare personalità. Laddove tale coinvolgimento mancasse, la scuola stessa è chiamata ad affrontare questo punto di debolezza, utilizzando tutte le proprie risorse, a cui si aggiungono quelle delle istituzioni della società civile presenti sul territorio. È una necessità immediata che la cultura della scuola educhi oggi i suoi allievi al dialogo e al confronto, perché senza questa capacità noi condanniamo le future generazioni alla conflittualità e alla lotta permanenti, forse a divenire i protagonisti della distruzione del nostro pianeta. Pertanto, l’insegnante deve acquisire delle specifiche tecniche di comunicazione: una fra tutte è l’ascolto attivo. Prima di “saper parlare” è necessario “saper ascoltare”. L’ascolto è uno degli strumenti più efficaci poiché, anche solo ascoltando una persona la si può aiutare, se è in difficoltà. Il docente che sa usare il metodo dell’ascolto attivo può portare lo studente a liberarsi da ciò che lo opprime attraverso il dialogo, facendogli comprendere che lo accetta con tutti i suoi problemi. I conflitti tra bambini, a volte, possono sfociare in aggressioni fisiche o verbali, per evitare che questo accada, è necessario che il bambino riconosca e comprenda le emozioni che entrano in campo (rabbia, aggressività, competizione) ed è quindi opportuno sostenerlo nel riconoscimento, nella comprensione e nella gestione di tali emozioni. Prevenzione e società: oggi giorno, assistiamo al diffondersi di un sistema sociale caratterizzato dal disordine morale, privo di regole, dal disprezzo per la vita stessa 26 dell’uomo, senza alcun rispetto per l’infanzia e la sua innocenza. Sistema che porta alla frammentazione della società, alla formazione in essa di piccoli gruppi caratterizzati dal far prevalere, spesso con la violenza e la prevaricazione, la propria autorità che si contrappone all’autorità costitutiva, alla quale non viene riconosciuto alcun valore. Occorre la solidarietà dell’intera società per intervenire nei luoghi di vita comune, ma per fare ciò la società dovrebbe imparare a leggere i bisogni e i disagi dei bambini, ragazzi ed adolescenti, promuovendo una cultura del Ben-Essere in termini di partecipazione, legalità e responsabilità, che permetta alla persona umana di stare bene con sé e con gli altri nel pieno rispetto delle propri diversità. I media possono, in relazione alla loro particolare influenza socio-culturale, veicolare informazioni adeguate e utili a promuovere nei giovani un utilizzo sicuro e consapevole delle nuove tecnologie. Le istituzioni dovrebbero prevedere e promuovere efficaci campagne di sensibilizzazione e informazione rivolte ai genitori, insegnanti e studenti. Citiamo qui l’iniziativa di alcuni organi istituzionali: il Ministero della Pubblica Istruzione, in data 5 febbraio 2007, ha diramato a tutte le scuole, la direttiva n.16, contenente “le linee di indirizzo generali e azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta contro il bullismo”. La direttiva, nella quale viene spiegato il termine italiano bullismo, con cui si intende il fenomeno dinamico, multidimensionale e relazionale delle prepotenze esercitate tra pari in un contesto di gruppo, che riguarda tutti gli appartenenti allo stesso gruppo con ruoli diversi, ha come finalità la prevenzione ed il contrasto dei fenomeni di bullismo, di violenza fisica o psicologica, attraverso la valorizzazione del ruolo degli insegnanti, dei dirigenti scolastici e di tutto il personale tecnico ed ausiliario. A tutti i soggetti (docenti, alunni, genitori) è affidata la responsabilità di trovare spazi per affrontare il tema del bullismo e della violenza attraverso un’efficace collaborazione nell’azione educativa volta a sviluppare negli studenti valori e comportamenti positivi e coerenti con le finalità educative dell’istituzione scolastica. Il Ministero della Giustizia ha, invece, proposto un tavolo per disegnare un piano di prevenzione. ”il primo passo è eliminare a monte tutto ciò che scatena violenza, ad esempio i videogiochi”, e in questo senso insiste sulla sua proposta di istituire un 27 Garante per verificare preventivamente il contenuto dei videogame prima della distribuzione sul mercato. 3.3 Iniziative scolastiche Diversi studi hanno dimostrato come il lavoro cooperativo di gruppo possa migliorare il clima in classe e risulti essere un buon metodo per la riduzione del fenomeno delle prepotenze a scuola. Varie sono le attività che possono essere inserite nei curricula scolastici, sia per ciò che riguarda i contenuti ma anche e soprattutto le modalità di insegnamento/apprendimento ed i criteri di valutazione. Procedendo in questa ottica è possibile utilizzare i suggerimenti e le opportunità che provengono dalle diverse discipline mantenendo un obiettivo comune che è la formazione degli alunni come cittadini. Studi sui fattori di rischio dell’età evolutiva hanno evidenziato l’importante ruolo assunto dalla scuola nel processo di sviluppo, nella prevenzione e nella riduzione dei fenomeni di disadattamento psicosociale, e nei processi di interazione all’interno delle classi. Tra i modelli di intervento più utilizzati ricordiamo: Gli stimoli letterari: la lettura di brani o la creazione di testi destinati ai ragazzi possono contribuire ad un clima di apertura e fiducia nella scuola, e attraverso la discussione permettono la risoluzione di problematiche di convivenza sociale. Gli stimoli audiovisivi: i cartoni animati o le trasmissioni televisive legati ai problemi dell’attualità permettono ai ragazzi di sviluppare il senso critico riguardo temi specifici. Il role-play (gioco dei ruoli): è una tecnica psicologica che si fa risalire a Moreno (1959) e si basa sulla rappresentazione drammatica di situazioni conflittuali e rilevanti per la persona. La caratteristica di questa tecnica è l’assunzione di un determinato ruolo in relazione al quale il soggetto agisce sulla scena in modo libero, decidendo autonomamente sui comportamenti da attuare e sulle decisioni da prendere. Tutti i partecipanti hanno la possibilità di sperimentare altri ruoli e comprendere i sentimenti di ciascuno in determinati momenti. Questa tecnica educa i ragazzi allo sviluppo delle competenze emotive, sociali e relazionali, permettendo una migliore comprensione di sé 28 e degli altri, attraverso una riflessione sulle emozioni provate dai diversi attori della prepotenza (vedi appendice). Il problem-solving ed il quality circle: permettono di perfezionare la consapevolezza di sé e migliorare le relazioni sociali tra pari, di sviluppare l’intelligenza emotiva. Mentre il primo prevede l’articolazione in fasi per la risoluzione di un problema, il secondo utilizza il supporto di due schemi ad albero per scoprire l’origine del malessere che accomuna più persone e riuscire ad individuare quali potrebbero essere le strategie di intervento per rimuovere il problema base. Esistono, inoltre, alcuni modelli di intervento scolastico, particolarmente efficaci, che vedono i ragazzi “agenti del cambiamento”. Sulla base dei modelli di gruppo di autoaiuto, si parte dal presupposto che bambini ed adolescenti preferiscono parlare dei loro problemi con loro coetanei piuttosto che con genitori o insegnanti; questi modelli mirano a formare uno o più gruppi di ragazzi per classe, che siano di riferimento per l’intera popolazione scolastica. La formazione dei ragazzi avviene mediante un training formativo specifico, che si propone di sviluppare le loro innate capacità di ascolto, di provare empatia, di dare e ricevere aiuto sulla base di una identificazione esatta del problema ed una analisi delle possibili soluzioni/conseguenze; alla formazione segue un’organizzazione scolastica che sostiene e supporta il progetto. Questi modelli di supporto vengono definiti con diverse terminologie, befriending, peer support system,circle of friends. Il befriending è descritto come un aiuto spontaneo e naturale che i bambini mettono in atto perché appreso naturalmente nella vita quotidiana con gli amici e la famiglia, si potrebbe definire come “quel naturale interessamento che ognuno ha per l’altro”. Il peer support system è un sistema di befriending che prevede un training all’ascolto attivo e lo sviluppo di alcune competenze sociali innate. L’operatore amico prevede l’attivazione in classe di un piccolo gruppo di compagni coinvolti attivamente nel dare supporto e sostegno agli altri con compiti differenziati che spaziano da attività pratiche di tipo organizzativo e interventi più psicologici quali il sostegno emotivo, l’ascolto attivo, la consulenza. 29 La peer mediation consiste in un metodo strutturato di gestione e risoluzione delle difficoltà interpersonali a partire dall’aiuto di un team di compagni mediatori che generalmente operano in coppia. Il circle of friends in un certo senso completa il cerchio del supporto alla pari. Questa metodologia fa si che a seguito dell’individuazione di un particolare che ha difficoltà interpersonali, il gruppo di amici cerchi di essergli di aiuto e di sostegno. In genere si parte da un primo incontro con un esperto esterno che aiuta i ragazzi a ragionare sulle difficoltà del soggetto per cui si intende attivare l’intervento (generalmente un ragazzo isolato o aggressivo). 3.4 A chi rivolgersi Come abbiamo visto, le reazioni di bambini e adolescenti autori, vittime o testimoni di episodi di bullismo, possono essere estremamente diversificate. Nel caso in cui si abbiano dubbi o domande sul bullismo è possibile rivolgersi a professionisti esperti nelle problematiche dell’infanzia e dell’adolescenza. Può essere utile rivolgersi ad un consulente esperto anche solo per comprendere meglio una situazione, la reazione di un bambino, per sapere come muoversi ed imparare a gestirla. Accanto a reazioni di disagio lievi e limitate nel tempo, alcuni bambini in seguito a situazioni di bullismo possono sviluppare reazioni di disagio particolarmente acute e persistenti: in alcuni casi, queste possono arrivare ad interferire con la vita relazionale, il funzionamento familiare e la normale vita scolastica. In questi casi è opportuno rivolgersi ad uno specialista per un’adeguata valutazione. Per una consulenza si può consultare diversi specialisti dei seguenti servizi sociosanitari dell’Azienda Sanitaria Locale: • Pediatria • Neuropsichiatria Infantile • Servizio di Età Evolutiva • Consultorio Giovani • Consultorio Familiare 30 • Centri per bambini e adolescenti • Psicologo presente nel contesto scolastico E’ possibile rivolgersi anche alle linee di consulenza telefonica di : • Telefono Azzurro Il Centro Nazionale di Ascolto di Telefono Azzurro è attivo in tutta Italia 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. La Linea Gratuita - 19696 - è a disposizione di tutti i bambini e gli adolescenti fino a 14 anni di età che desiderano parlare con un consulente (psicologo o pedagogista) per affrontare il proprio disagio. La Linea Istituzionale – 199.15.15.15 – è a disposizione dei ragazzi oltre i 14 anni e degli adulti che desiderano confrontarsi in merito ad eventuali situazioni di disagio. Qualora si verifichino situazioni di pericolo che richiedono un intervento in emergenza si può far riferimento anche alla linea • 114 - Emergenza Infanzia Il Servizio Emergenza Infanzia 114 é una linea telefonica d’emergenza accessibile gratuitamente da telefonia fissa 24 ore su 24 da parte di chiunque intenda segnalare situazioni di pericolo immediato per l’incolumità psico - fisica di bambini e adolescenti. Il servizio in fase definitiva è stato affidato in gestione a Telefono Azzurro Onlus. 31 APPENDICE: Di seguito vengono riportate alcune schede operative di attività che l’insegnante può proporre e gestire autonomamente in classe. SCHEDA OPERATIVA N° 1 Attività: lettura di un testo, preparato dall’insegnante, scelto tra quelli disponibili in letteratura sull’argomento o tratto da fatti di cronaca. Obiettivi: promuovere la consapevolezza del problema, discutere e riflettere sul comportamento di chi agisce con prepotenza. Realizzazione: la lettura può essere “animata”, i dialoghi diretti dei personaggi vengono cioè letti da alunni diversi; questo rende meno monotona la lettura e mantiene alto il livello di attenzione di chi ascolta. Segue un momento di lavoro individuale in cui l’insegnante invita i ragazzi a immedesimarsi nel personaggio del bullo e a scrivere un breve testo dal titolo “Come mi sentirei se…”. Successivamente gli alunni cercano di stilare insieme un elenco di ragioni che possono indurre un ragazzo a fare il prepotente. L’insegnante pone agli alunni i seguenti quesiti: • Esistono buone ragioni per fare prepotenze ad altri? • Quali possono essere delle alternative al comportamento di prepotenza? • Quali possono essere le conseguenze del fare prepotenze ad altri? SCHEDA OPERATIVA N° 2 Attività: role -playing Obiettivi: promuovere la consapevolezza del problema, sviluppare l’empatia e comprendere le emozioni della vittima, riflettere sulle responsabilità degli osservatori. Realizzazione: l’insegnante invita i bambini a scrivere un breve testo in cui raccontano un episodio di prepotenza che hanno subito o al quale hanno assistito come osservatori. I testi vengono letti ai compagni e se ne sceglie uno da interpretare con un role-playing. Si individuano tra i ragazzi gli “attori” per i ruoli di bullo, vittima e osservatori; il racconto viene interpretato rispettando fedelmente quanto è scritto. Si chiede agli attori che cosa hanno provato mentre “fingevano” di essere la vittima o gli osservatori: • come mi sono sentito? • come mi sentirei se mi succedesse davvero? 32 Conclusione Arrivati a conclusione di questo seminario possiamo dire di essere soddisfatte del lavoro svolto e soprattutto di aver portato a termine una ricerca scientifica nonostante le ancora limitate conoscenze in questo campo. Portando avanti questa ricerca abbiamo compreso che il bullismo non è un fenomeno scontato o da sottovalutare data la sua pericolosità e per gli effetti che può avere a lungo termine negli individui. Abbiamo visto che sono molteplici le variabili da considerare e che intercorrono insieme nella nascita di questo fenomeno, come quelle psicologiche, sociali o ambientali. Fortunatamente è auspicabile una prevenzione nei riguardi del bullismo, che miri ad un primo ed essenziale contributo da parte della famiglia, che con le sue regole ed un determinato tipo di educazione può portare il bambini a scegliere strade alternative a quelle della violenza. Non sempre però le famiglie sono cosi presenti ed attente ai bisogni ed alle esigenze dei proprio figli, che non seguiti e privi di un adeguata giuda incorrono più facilmente in episodi di violenza, utilizzata per raggiungere i loro obiettivi. A questo punto è necessario l’intervento e la collaborazione concreta delle principali agenzie di socializzazione, come la scuola ed i mass media, che con la loro influenza sui bambini possono essere in grado di porre rimedio a queste condotte negative, offrendo anche un ausilio alle famiglie in difficoltà. Grazie alle nozioni acquisite, in un futuro da educatrici, con i dovuti approfondimenti e con la dovuta esperienza, saremo più pronte e consapevoli nell’affrontare le condotte dei bambini non escludendo a priori nessuna ipotesi ma piuttosto analizzando a fondo il singolo caso, il contesto di riferimento ed un possibile intervento di recupero che sia il più immediato possibile. 33 BIBLIOGRAFIA: COSTABILE A., Insieme contro il bullismo. Percorso educativo da attivare nelle scuole. La Terza, 1999. FONZI A., Il bullismo in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia, Firenze, 1997. MARINI F. - C. MAMELI, Il bullismo nelle scuole, Roma, Carocci, 2000. MENESINI E., Bullismo che fare? Prevenzione e strategie di intervento nella scuola. Firenze, Giunti, 2000. Olweus D., Hackkycklingar och översittare. Forskining om skolmobbning. Almqvist & Wicksell, Stocholm, 1973. PETRONE L.-M. TROIANO, Dalla violenza virtuale alle nuove forme di bullismo,strategie di prevenzione per genitori, insegnati, operatori, Roma, Edizioni Magi, 2008. TELEFONO AZZURRO, Il fenomeno del bullismo. Analizzarlo e conoscerlo, 2002. SITOGRAFIA: www.medeu/bullismo.it www.edscuola.it 34