Il Cinema italiano che uccide se stesso

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Il Cinema italiano che uccide se stesso
Il Cinema italiano che uccide se stesso
A Roma diluvia. Lo sai che faccio? Vado a correre. Ma come, corri sotto quest’acqua? Sì, corro
sotto quest’acqua. Cento metri e sono fradicio. Ma vado avanti. Oggi esce in una decina di
sale sparse in Italia
Cavalli,
esordio di
Michele Rho
, “giovane” trentacinquenne milanese, un film che ho prodotto recentemente con i soldi del
Ministero, di Raicinema, del Tax credit, della Regione Toscana: un film di Sistema. In Italia il
film lo distribuisce la Lucky Red, all’estero i tedeschi di Bavaria: un film vero. Quindi tutto bene,
no? Tutto bene. Il film in Italia incasserà cinquantamila euro scarsi e tra tre settimane sarà
sparito dalle sale. Qualcuno penserà che è giusto così. Basta Arcopinto che ci propina film
pallosi! Questo qualcuno il film non lo vedrà mai, ma questo non gli impedirà di giudicare senza
appello.
E fin qui va tutto bene, fa parte del gioco. Un po’ meno bene va se a giudicare senza vedere è
un signor critico, uno di quelli che stimo di più, Alberto Crespi, simpatico interista che scrive
sull’
Unità, giornale che compro
tutti i giorni proprio perché ci scrive lui e perché rimane pur sempre il quotidiano fondato da
Antonio Gramsci. Ebbene Alberto Crespi, in occasione dell’ultimo festival di Venezia, in uno di
quegli articoli di commento consuntivo, che tanto amano i critici che così possono parlare di
dieci film in otto righe, perché tanto di più i giornali non gliene passano più, stroncava
Cavalli
e tutti gli altri film presenti a
Controcampo italiano
, tranne l’ottima commedia
Scialla!
, come “indegno di partecipare a un qualsiasi festival”. Legittimo. Peccato che Alberto Crespi
almeno
Cavalli
allora
non lo aveva visto
. E allora perché? Forse perché una delle attività preferite di chi il cinema lo fa, lo commenta o
lo vede, o meglio non lo vede, in Italia è quella di sparare a zero contro il cinema italiano. Io
sotto la pioggia incessante continuo invece a credere che miracolosamente in un paese ridotto
ai minimi termini come il nostro, malgrado la merda che ci sommerge al punto di spingere il
nostro premier a augurarsi di andarsene da qui e a molti di noi di chiederci perché non lo
faccia, una decina di film dignitosi ogni anno vengono realizzati, in media proporzionale con la
stragrande maggioranza dei paesi che fanno cinema in maniera sistematica.
Non cambia una virgola di quello che ho scritto il fatto che su l’Unità di oggi Alberto Crespi,
che nel frattempo il film lo ha visto, recensisca il film, nel box di sette righe concessogli dal
giornale. Sì vabbé, ma tanto la critica non conta niente! Non è vero. La critica, anche quella di
questi ultimi anni, che nulla ha a che vedere con quella dei decenni scorsi e che è comunque
figlia e specchio del nostro tempo di merda, pur senza forse aggiungere o togliere uno
spettatore che sia uno, ci può esaltare, ci può confortare, ci può consolare, ci può ferire, ci può
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aiutare a capire di avere sbagliato. Una recensione molto articolata e fondamentalmente
negativa di
Gianni
Canova
relativa a un altro mio film presentato anch’esso a Venezia,
Ruggine
, ha stimolato in me domande e dubbi su eventuali errori commessi nella genesi del film,
senza le quali per me il film risultava un quasi capolavoro. E le domande e i dubbi fanno
crescere. Mentre una critica basata su una non visione come quella di Crespi da Venezia mi
ferisce e basta
.
Il bello di correre sotto il diluvio è che puoi mettere i piedi nelle pozzanghere, tanto non fa
nessuna differenza. E il sudore si confonde con la pioggia. E il corpo diventa più pesante ma
sembra miracolosamente più agile. E l’acqua ti appanna gli occhi e ti confonde
momentaneamente la realtà. La mente, quella continua a lavorare nello stesso identico modo
in cui funziona quando si corre con il sole. Non si appanna lei, se non con la fatica.
Cavalli avrà la vita che ho detto, non tanto per la critica e i giornali, ma perché questo è il suo
destino segnato, come quello di tanti altri film. A meno che non accada
un miracolo.
Il film non è una commedia ed è italiano. Quindi esce in dieci copie, perché gli esercenti,
ancora una volta senza vederlo, non “sentono” il film e il distributore adotta una politica
prudente che forse poteva funzionare quindici anni fa: oggi, se va bene, dieci copie nel fine
settimana incassano venticinquemila euro, il che non consente nessun tipo di allargamento.
Uscire in dieci copie significa inoltre costringere tutti i potenziali spettatori spontanei, quelli cioè
che andrebbero a vedere il film comunque, a recarsi al cinema tra venerdì e domenica, perché
se l’incasso dovesse essere inferiore a quello considerato buono, il film potrebbe non essere in
sala la settimana prossima. Ma anche gli spettatori spontanei a volte tradiscono: c’è da
recuperare Sorrentino, o forse è meglio Bar Sport, o è meglio fare altro, magari una partita,
magari mangiare fuori. Dicono sì, ma ci vorrebbe più coraggio. Ma coraggio di che? Gli
esercenti, o meglio la conformazione delle nuove sale che hanno spazzato via le vecchie,
hanno selezionato un pubblico che non vede un film italiano
che non sia una commedia
. Lascia stare che siamo arrivati a questo perché a un certo punto tutti hanno deciso che il
cinema italiano che non sia una commedia non funziona. A cominciare dai produttori veri, cioè
le due televisioni, passando per i distributori, proseguendo per gli esercenti, che prima di
chiudere non hanno trovato di meglio che farsi pagare le giornate di programmazione di
cinema di qualità dallo Stato o ancora peggio dai produttori attraverso i distributori,
infischiandosene dei risultati, finendo con gli spettatori che hanno anch’essi la loro buona dose
di responsabilità. Ma qualcuno lo vuole decidere una volta per tutte se è giusto o no che
esista un cinema da assistere perché bene comune? E se la risposta dovesse essere sì, si
vuole ragionare una volta per tutte
in maniera diversa
rispetto alla distribuzione di questi film e agli spazi che li ospiteranno?
Piove sempre di più. Comincia a fare freddo. Mi scaldo all’idea che forse stavolta accada il
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miracolo, che tutti gli spettatori spontanei andranno compatti al cinema, che tutti parleranno
bene del film tanto da spingere altri ad andare al cinema, che sconvolgendo le regole
contemporanee la prossima settimana le copie saranno venti, anche perché intanto tutti i
giornali hanno dato spazio e risalto al film e i critici ne hanno parlato bene. Ecco, forse la
stanchezza ha cominciato a dare i suoi effetti. Mi si sta appannando la mente. Mi sto
allontanando dalla realtà, dalla morte di un cinema ucciso da chi doveva proteggerlo.
Eppure io continuo a correre, sotto questa pioggia. Forse appannato, ma per nulla incazzato
con il mondo. Anzi, felice di farne parte e fiero di stare dalla parte giusta. Con estrema
presunzione. E gioiosamente con i piedi nelle pozzanghere.
dal BLOG di Gianluca Arcopinto
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