I volti della bellezza.
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I volti della bellezza.
I volti della bellezza. Con tanti drammi che affliggono questa nostra umanità una riflessione sulla bellezza può, a prima vista, apparire frivola e non importante. In realtà non è così, anzi. Proprio ora che mille problemi, crisi, svolte epocali e paure esistenziali ci attanagliano a livello politico, ecologico, religioso, etnico tornano attualissime le parole di Dostoevskj: "La bellezza salverà il mondo". E' talmente vero, che la Scrittura, questo messaggio di Dio all'uomo, si apre con un'immagine di bellezza: " E Dio disse: sia la luce..." e chiude con un'altra immagine l'evento della creazione: " E vide che era cosa buona..." Per questo la Pro Civitate Christiana di Assisi ha dedicato un convegno alla bellezza, a cui hanno partecipato numerosi esperti, sulla cui riflessione ci soffermeremo: arti figurative, poesia, musica, teologia, liturgia hanno in se stesse l'urgenza di comunicare la Bellezza e di arricchire attraverso di essa la nostra interiorità. Non vi sembri strano se a parlare di questo è stato chiamato un filosofo, Sergio Givone, il quale ha sottolineato come la bellezza nell'arte nasce dalla libertà, non dagli schemi prefissati o dai numeri: "Essa scaturisce da un gesto, che è quello giusto, quello e non un altro, del tutto gratuito, altrimenti non ci sarebbe bellezza. Questo vale per l'artista contemporaneo e anche, per esempio, per l'artista giapponese di 2000 anni fa davanti alla sua carta di riso. Il bello poi è ambivalente: può portare al bene e può invece, spingerci a percorrere le vie del male." Dostoevskj dice che " la bellezza è il campo di battaglia dove Dio e Satana si contendono l'uomo". Per un bel volto - dice il filosofo - ci si può anche perdere. A sua volta lo scultore Floriano Bodini (famose le sue opere di arte sacra in tante cattedrali del mondo) sottolinea come la bellezza nell'arte non possa essere legata ad una politica di mercato e , comunque, non possa legarsi a nessuna politica. E come la bellezza sia frutto di un lavoro continuo, di tipo artigianale, paziente e scandito da lunghe ore: si va a bottega al mattino fino a sera, per progettare, provare e mettere in opera, attraverso numerosi passaggi, che richiedono una quotidiana fatica, una generosa dedizione. Altrettanto studio e meditazione richiede il raggiungimento della bellezza nella musica. Il direttore d'orchestra Aldo Ceccato afferma così di non considerarsi un protagonista , ma un " servitore di geni", che hanno rivelato, attraverso la musica, la gloria di Dio, la sua luce. Infatti fin dagli inizi la musica è stata un mezzo per l'elevazione dell'anima, aveva cioè un valore e un fine sacrale. L'essenza della bellezza è Dio stesso ed Esso è l'ispirazione per elevarsi fino al vero: se la bellezza è una percezione soggettiva ed è mutevole (ciò che oggi è bello domani non lo sarà più), il vero è invece assoluto, immutabile. Oggi, afferma il musicista, siamo in un momento di grande difficoltà espressiva, perché l'espressione artistica è messa in discussione, strumentalizzata a fini che non le sono propri. In realtà solo nella musica vera si trova l'armonia, l'equilibrio, si tende cioè alla bellezza. E lo spettatore, al di là di ogni mistificazione, percepisce, sa cos'è veramente bello e cos'è vero. Il compito essenziale di che esegue musica è che i giovani imparino ad amare il patrimonio artistico, che ci è stato tramandato: perché quando si celebra la Messa o si prega non si esegue la grande musica sacra? Non è opportuno - continua Ceccato - escludere le chitarre, i ritmi moderni, ma certo bisogna dare la preminenza al meglio, a ciò che hanno scritto i grandi musicisti. E' bello, per esempio, vedere nel Nord Europa, in paesi tra l'altro dove la vita di fede è meno diffusa che da noi, durante la Messa, tutti i fedeli che accanto al libro di preghiere, leggono le note musicali del libro dei canti e sanno cantare in maniera corale le musiche che vengono proposte. E' così anche che si educano i giovani alla bellezza della grande musica, quella cioè che sicuramente sa percorrere le vie segrete del cuore. La poetessa milanese Alda Merini, una delle voci più alte e più pure della letteratura contemporanea, a sua volta racconta come nella sua vita, pur segnata da grandi dolori (è stata a lungo malata, tanto da essere per anni internata in manicomio), abbia conosciuto la bellezza attraverso la poesia e come lei stessa, grazie ad essa, sia venuta a contatto con persone umanamente grandi, che l'hanno interiormente arricchita, "imbellita", come le piace dire. Un'anima grande è per ciò stesso bella e comunica quasi per osmosi la sua bellezza, il suo stupore, la sua luce. Piace molto ad Alda Merini paragonare con una metafora la poesia alla maternità: davanti alla propria opera si prova la stessa gioia, la stessa gratitudine che ci pervade davanti alla propria creatura di carne, lo stesso sbigottito silenzio. Ma mentre per alcuni poeti la composizione è frutto di travaglio, di fatica, per lei non è così: " Non ho mai sentito la sofferenza, la rabbia di non riuscire ad esprimere, a dar voce a pensieri e sentimenti. Per quanto riguarda la mia storia personale, le vicende sofferte, devo dire che esse mi sono servite a capire cos'è la vita, cos'è il mondo. E nella vita ho trovato anche la poesia, ma non solo quella. A proposito della bellezza posso cercare di darne una definizione valida per me, per il mio modo di sentire: bellezza è ciò che ti tocca il cuore. Finisco con un sorriso: sapete che a scuola sono stata bocciata in Italiano? Hanno detto che avevo una preparazione meccanica e che della lingua non capivo niente. Dovetti lasciare il liceo, andare alle professionali: per quella bocciatura ricordo che mia madre si ammalò ed io anche, un po' ... Poi è venuta la poesia, lo scrivere, i riconoscimenti. Quando si dice lo strano, il bello della vita..." Alda Merini è ironica, serena, appagata. Può succedere in questo pazzo mondo che un grande poeta, un comunicatore di bellezza, sia bocciato in Italiano. La definizione che la Merini dà della bellezza ("è bello ciò che tocca il cuore") si attaglia perfettamente alla vita della fede, cioè alla liturgia. Quante volte ci sentiamo toccati nel profondo dalla pregnanza, dalla ricchezza dei segni, che riusciamo a cogliere in una celebrazione! Così Giorgio Bonaccorso (Preside dell'Istituto di Liturgia Pastorale S.Giustina di Padova ) sottolinea il rapporto stretto che intercorre fra esperienza estetica e sensibilità. Nella liturgia, nel rito c'è anche un rapporto profondo fra il massimo della trascendenza (Dio) e il corpo (la gestualità e le sensazioni, che vengono suscitate in chi vi partecipa): "Il rito è dire Dio con il corpo" afferma lo studioso. E aggiunge: "L'esperienza estetica nella liturgia si fa entrando in gioco con il rito, partecipando: come quando di fronte alla natura, ne cogliamo la bellezza e ce ne sentiamo parte". Eppure, al di là di essa, intuiamo che c'è un Oltre, infatti la Bellezza che ci sta di fronte non si esaurisce nella nostra esperienza, non coincide con noi, ma ci supera e ci trascende. Per questa possiamo dire che al centro dell'esperienza estetica non ci siamo noi, perché essa va verso un Altro: è quanto ci viene nella liturgia, che è appunto comunicazione con il Trascendente, con l'Altro da noi. E perché questa comunicazione avvenga, dobbiamo "stare dentro", "essere parte", non possiamo porci come spettatori dell'esperienza religiosa, perché se rimaniamo al di fuori essa non può avvenire. Questo "farne parte" lo percepiamo concretamente nel fatto che la liturgia attiva tutti i linguaggi umani: c'è in essa il gesto, il movimento, le parole, i profumi, cioè le essenziali forme espressive ed estetiche dell'uomo. Ma c'è anche il momento prezioso in cui i linguaggi umani si sospendono: "si parla - dice Bonaccorso - ma è essenziale anche fare silenzio; ci si muove, ma si sta anche fermi; si mangia, ma non ci si nutre... ". Il rito, quindi, non si esaurisce in chi vi partecipa, l'uomo non può dominare ciò a cui prende parte. Percepisce che c'è un Altro, un Oltre. In una così articolata riflessione sulla bellezza non poteva mancare l'apporto del biblista. Gianfranco Ravasi, innamorato della Parola, parte da essa: "La parola è evento germinativo della Rivelazione: "In principio era il Verbo..." e anche della Creazione: " E Dio disse Nella Bibbia la parola viene privilegiata sull'immagine e diventa sorgente di Bellezza, perché esprime l'assoluto. Nel Deuteronomio infatti il comunicarsi di Dio è (letteralmente): "Il Signore si comunicò dal fuoco con suono di parola". Eppure la parola è una delle realtà in assoluto più fragili, nel momento in cui la pronunzio già non è più". Secondo Ravasi proprio comunicandosi attraverso qualcosa di debole, di fragile, Dio opera quella "chenosi", quello svuotamento di cui parla S.Paolo. Così, quando il Signore si manifesta al profeta Elia, lo fa attraverso (letteralmente) "una voce di silenzio sottile": Dio arriva a manifestarsi quasi nella contrazione della parola, nel suo contrario: il silenzio. C'è da sottolineare che tutto l'Antico Testamento è scritto in ebraico, una lingua poverissima. E che anche il greco del Nuovo Testamento è povero. Così, dice Ravasi, arriviamo al paradosso: quella parola, veicolo della Rivelazione di Dio, cioè della sua gloria e bellezza, si fa povera, esile, svuotata. Dovrebbe sollecitare tutte le dimensioni della luce dello splendore del signore, invece si fa piccola fino a giungere al silenzio. Ma è un silenzio denso, che compendia tutte le parole possibili , perché tutte le contiene, ed è pieno di luce, di bellezza. Da povera che era la parola si fa gloriosa, sontuosa: così nelle parti più poetiche della Bibbia (i Salmi, il Cantico dei Cantici) essa-è attenta alla tonalità dei suoni, diventa musicale. Ma qual è il punto di arrivo di questa Parola che comunica Dio? Senza dubbio il vederlo. Pensiamo a Giobbe: dopo che il Signore gli parla e lo fa anche duramente, dirà: "Prima ti conoscevo per sentito dire, ora ti vedo". Ecco, l'approdo ultimo della Parola è la contemplazione: stare in silenzio, rapiti davanti a Colui che è la Bellezza, significato ultimo e compimento di ogni ricerca e di ogni vicenda umana. Giuseppina Cudemo