Amx, fine della missione
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Amx, fine della missione
SABATO 21 GIUGNO ATTUALITÀ 2014 Amx, fine della missione A casa dopo cinque anni caccia italiani utilizzati in Afghanistan ROMA - Quasi 10mila ore di volo con 3.100 missioni portate a termine, tra cui la distruzione di antenne che servivano ai ribelli per comunicare. Numeri che l'Aeronautica militare non raggiungeva dai tempi della seconda guerra mondiale e che sono stati sciorinati ieri quando, sollevando il tettuccio e scendendo per abbracciare i loro familiari, tre piloti del gruppo di volo Black Cats hanno fatto rientro in Italia dopo quasi cinque anni passati in Afghanistan nell'ambito dell'operazione Isaf della Nato. Ieri mattina, infatti, all'aeroporto militare di Pratica di Mare (Roma) con l'atterraggio di tre caccia Amx e dei relativi equipaggi è stato fatto un altro passo significativo verso il rientro, previsto per la fine di quest'anno, di tutti i militari del contingente italiano (ne restano circa 2.000) da quel Paese dove proprio sabato scorso, non senza difficoltà, i cittadini sono andati a votare per scegliere con il ballottaggio il successore del presidente Hamid Karzai. Si è conclusa, ha spiegato il capo di stato maggiore Pasquale Preziosa, «la parte della missione con velivoli da caccia che è anche la più lunga missione dell'Aeronautica militare dopo la seconda guerra mondiale». Nel bilancio quasi 10mila ore di volo con 3.100 missioni portate a termine Un ritorno a casa, però, non senza inconvenienti: sarebbe dovuto rientrare, infatti, anche un quarto caccia ma nel viaggio da Herat verso l'Italia il velivolo ha avuto problemi tecnici durante una sosta negli Emirati Arabi Uniti. In particolare, si è verificato un guasto all'impianto di condizionamento, forse causato dalle alte temperature. E così, mentre la politica discute sui tagli o meno alle spese militari, F35 compresi, il generale Preziosa ha spiegato che quanto accaduto a quel caccia dimostra come ci sia «la necessità di nuovi velivoli, perchè questi sono degli anni '70 e come all'epoca c'era una prospettiva di 30 anni, ora è necessario avere una proiezione simile da qui a 20 anni». È fondamentale, ha aggiunto, «essere equipag- Il generale Preziosa sottolinea il bisogno di nuovi velivoli: «questi sono degli anni '70» giati per poter intervenire ovunque il Parlamento ce lo richieda, così come abbiamo fatto con gli Amx portando a casa successi». Poco prima Preziosa, salutando i piloti, accolti an- che dai loro figli che sventolavano bandierine dell' Italia, aveva fatto loro i complimenti per aver vinto la «partita della sicurezza, garantendo maggiore sicurezza al personale schierato in Afghanistan, maggiore sicurezza al popolo afgano, ma anche una migliore governance in quel territorio». Gli obiettivi della missione, dunque, ha proseguito, «sono stati raggiunti». E ha raccontato di aver ricevuto anche un messaggio dal ministro della Difesa, Roberta Pinotti, che «ha espresso l'orgoglio del Paese e del governo». Rientrati a casa nell'ultimo periodo tutti i militari del gruppo Black Cats, una settantina in tutto con i velivoli provenenti dal 32/o stormo di Amendola e dal 51/o stormo di Istrana - e anche gli elicotteristi del 'Task Group Panterà, restano in Afghanistan gli aerei per missioni di trasporto tattico, per la «neutralizzazione delle comunicazioni avversarie», per contrastare gli «ordigni esplosivi» e per missioni di «intelligence, sorveglianza e ricognizione». Intanto, come ha spiegato il generale Preziosa, «stiamo addestrando i piloti afgani e uomini con tutte le competenze specifiche per gestire un aeroporto». Igor Greganti 9 ZONE CALDE Cessate il fuoco anzi no Kiev e Mosca lontane C’è il Piano di pace ma si combatte MOSCA - Gelo del Cremlino sulle prime prove di pace in Ucraina. Il presidente Petro Poroshenko ha annunciato da ieri sera un cessate il fuoco unilaterale da parte delle truppe di Kiev per permettere ai miliziani separatisti dell'est di deporre a loro volta le armi. Secondo il portavoce delle forze ucraine, Vladislav Selezniov, la «tregua» dovrebbe durerà solo una settimana e i filorussi che non smetteranno di combattere - tuona Kiev - «verranno eliminati». Si tratta del passo iniziale per l'attuazione del piano di pace in 15 punti progettato da Poroshenko e reso noto stamane nei suoi tratti essenziali, ma la proposta del presidente ucraino è finora stata accolta dai leader separatisti con un coro di 'niet' che non fa ben sperare. E nella serata, dopo le aperture di Vladimir Putin sui 15 punti, è arrivata anche la bocciatura del Cremlino sulla tregua: che, secondo Mosca, nei termini in cui è stata proclamata «sembra piuttosto un ultimatum», in assenza della disponibilità a negoziati diretti con i miliziani filorussi. Gli stessi che il governo ucraino accusa di essere armati dal grande vicino orientale. Rischiano così di crollare le speranze suscitate da una conversazione telefonica nella notte tra il nuovo presidente ucraino e lo 'zar' Putin proprio sulla crisi nell'est: la seconda della settimana. A frenare ci aveva del resto già pensato poco prima il rappresentante di Mosca all'Onu, Vitali Ciurkin, definendo «prematuro parlare di un sostegno» russo all'iniziativa di Poroshenko. Mentre il ministero degli Esteri insisteva a chiedere a Kiev di «trattare con coloro che controllano davvero la situazione nel sud-est dell'Ucraina». Il governo ucraino non sembra però avere intenzione di sedersi al tavolo della pace con quelli che definisce «terroristi», anche se l'influente oligarca Rinat Akhmetov ha rilasciato una dichiarazione che sembrerebbe andare sulla strada auspicata da Mosca affermando che «la gente non è interessata al processo, ma al risultato: la pace». Il cessate il fuoco unilaterale non significa comunque che per una settimana non ci saranno combattimenti. Parlando con la gente a Sviatogorsk, un paesino a 14 chilometri dalla roccaforte dei separatisti, Poroshenko ha infatti puntualizzato che le truppe di Kiev «opporranno resistenza e apriranno il fuoco» in caso di attacco. AUSTRALIA PRIMO GIORNO DA RE Tra i primi impegni di Felipe al trono il secondo incontro con il pontefice Bloccata la discarica nucleare Salvo il luogo sacro aborigeno MADRID - Il primo appuntamento nell'agenda interna è oggi con le associazioni per le vittime del terrorismo, mentre la prima visita all'estero sarà in Vaticano, il 30 giugno, dove saranno ricevuti in udienza da papa Francesco. Per i nuovi sovrani Felipe VI (nella foto con il primo ministro Mariano Rajoy) e Letizia, sarà l'occasione per un secondo incontro con il Pontefice, che conobbero alla messa di inizio del pontificato, alla quale parteciparono come principi delle Asturie. La decisione della Santa Sede come prima destinazione all'estero, Felipe VI l'ha presa d'accordo con il governo e «in funzione dell'interesse» della corona e «della convenienza per la politica estera spagnola,» come ha spiegato un portavoce di casa reale. Nello studio al Palazzo della Zarzuela, che per 39 anni è stato del padre Juan Carlos I, il capo dello Stato ha ricevuto ieri il presidente del governo, Mariano Rajoy. Il re è apparso più sorridente e rilassato, rispetto al nervosismo mostrato giovedì nel pronunciare il discorso di investitura davanti al Parlamento, come tutore di «una monarchia rinnovata per un tempo nuovo». SIDNEY - Gli aborigeni australiani hanno salvato la loro terra dalle scorie nucleari. Il governo, dopo una disputa legale durata sette lunghi anni, ha rinunciato definitivamente a costruire una discarica di rifiuti radioattivi nel sito di Muckaty Station, nel nord, che secondo le popolazioni originarie è vicino a luoghi da loro considerati sacri. Il governo, dopo l’intesa con i rappresentanti degli aborigeni, sarà così costretto a cercare un territorio alternativo. Una storia, secondo il Guardian, iniziata nel 2005, quando il governo del premier John Howard introdusse delle norme per facilitare la creazione di discariche per scorie radioattive. L’Australia non utilizza il nucleare come fonte energetica, ma possiede un reattore vicino Sidney, utilizzato per la ricerca e per scopi medici. Nel 2006 l’inizio dei negoziati per l’assegnazione della discarica. Iraq in fiamme: «Al Maliki si faccia da parte» Anche Ali Sistani scarica il premier e invoca un nuovo governo. Arrivati consiglieri Usa BEIRUT/BAGHDAD Traballa la posizione del premier Nuri al Maliki dopo che anche la principale autorità sciita dell’Iraq e della regione, il Grand Ayatollah Ali Sistani, lo ha sfiduciato invocando un nuovo governo in un Paese scosso dall’offensiva qaedista sostenuta da un’insurrezione nelle zone a maggioranza sunnita. Questo mentre l’Iran, principale sostenitore del primo ministro iracheno sciita, si è scagliato contro il presidente americano Ba- rack Obama colpevole, a suo avviso, di non voler «combattere il terrorismo». Sul terreno, sono proseguiti scontri in varie regioni dell’Iraq tra miliziani dello Stato islamico dell’Iraq e insorti loro alleati, contro forze governative e miliziani ausiliari sciiti. In Libano un attentato suicida, attribuito a terroristi qaedisti e rivolto forse contro un generale della sicurezza, ha ucciso due persone, mentre nella Siria centrale un’autobomba ha ucciso 34 persone. Washington ha intanto inviato in Iraq un primo gruppo dei 300 consiglieri militari promessi in sostegno dell’azione di contro-insurrezione avviata con ritardo da Maliki. Ali Sistani, che rappresenta milioni di sciiti iracheni, nel Medio Oriente e nel mondo, ha invocato per la prima volta dall’inizio dell’offensiva qaedista dieci giorni fa la creazione di un nuovo governo, che non commetta «gli errori del passato», unendosi così di fatto alla richiesta degli Stati Uniti, l’altro principale sponsor internazionale di Maliki, di mettersi da parte o di dar vita a un esecutivo che dia maggior equilibrio politico-confessionale in favore dei sunniti. Nei giorni scorsi sia Obama sia il vicepresidente Usa Joe Biden, il segretario alla difesa Chuck Hagel e il capo di Stato maggiore Martin Dempsey avevano invitato Maliki a una politica più inclusiva. Gli Stati Uniti hanno così ribadito che l’opzione militare è di fatto esclusa al momento e che la soluzio- ne deve essere trovata tra gli attori iracheni. Per questo l’Iran è insorto contro Obama, perché «non ha volontà seria di combattere il terrorismo in Iraq e nella regione». Sempre Sistani ha però chiesto a gran voce che i «takfiri», ovvero i qaedisti dell’Isis, siano «combattuti e cacciati dal Paese». Nei giorni scorsi, Sistani aveva legittimato di fatto l’arruolamento di volontari - sciiti - nelle milizie governative anti-Isis. Una trentina di questi sono stati uccisi. ALLARME ROSSO Polizia in mano ai corrotti Cresce la tensione in Serbia BELGRADO - In Serbia è allarme rosso per il crescente diffondersi della corruzione tra le forze di polizia, che - denuncia il governo, facendo cadere la mannaia sui vertici delle forze dell'ordine - vanifica gli sforzi contro la criminalità organizzata, a cominciare dal traffico di droga. La lotta a corruzione e criminalità è decisiva nella lista delle richieste dell'Unione europea alla Serbia impegnata nel negoziato di adesione alla Ue. E in una conferenza stampa tenuta a poche ore da un duro intervento televisivo del presidente Tomislav Nikolic in diretta tv, il premier Aleksandar Vucic ha annunciato la rimozione dei capi di tutti i cinque dipartimenti del ministero dell'interno. Saranno sostituiti temporaneamente dai loro vice, fino alla nomina dei nuovi capi. Si è salvato solo lo stesso capo della polizia Milorad Veljovic, che ha mantenuto il posto perchè entrato in carriera per concorso e non per pura nomina.