Un`esperienza di formazione-intervento nella Pubblica

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Un`esperienza di formazione-intervento nella Pubblica
Febbraio2016,annoX–N.2
Un’esperienza di formazione-intervento nella
Pubblica Amministrazione (1^parte)
di Milla Mariani1
Fare formazione, non addestramento
Nel 2013 il Comune di Parma, l’organizzazione in cui lavoro, ha dato il via a un
progetto
strategico
pluriennale
di
change
management
denominato
“Valorizziamoci”, finalizzato all’introduzione del sistema per competenze nella
gestione delle risorse umane - dalla selezione, alla valutazione, alla formazione. 2
In questo periodo, tra la fine dell’anno e l’inizio dell’anno nuovo, è tempo per me di
iniziare a lavorare all’analisi dei bisogni per la predisposizione del piano formativo
del 2016.
La mia esperienza parte dall’ente in cui lavoro, per estendersi alla Pubblica
Amministrazione, guardando però sempre alle grandi aziende e a tutto il contesto
contemporaneo, tormentato da una profonda crisi culturale. Il mio auspicio è di poter
“fare formazione”, progettare percorsi di apprendimento per il cambiamento, non solo
organizzare corsi e seminari di aggiornamento normativo. Non che l’informazione
non serva, anzi, è la base, il minimo. Si tratta tuttavia di un più ampio discorso di
contesto e di cultura, che crea blocchi laddove si dovrebbero generare possibilità,
per riprendere il titolo del XXVII Convegno Nazionale AIF.
Nel pensare alle mie prossime attività, intendo quindi definire alcuni punti e
descrivere alcuni semplici strumenti che possono essere utili per i formatori di altri
enti pubblici – e non – al fine di predisporre un piano formativo efficace.
Per me e per il mio lavoro emergono ora in modo particolare due parole chiave su cui
focalizzarsi: analisi e competenze.
1
Psicologa del Lavoro e delle Organizzazioni, esperta in processi di formazione e sviluppo
organizzativo, socio AIF Mail: [email protected]
2
Di tale sistema per competenze parlerà dettagliatamente la 2° parte di questo articolo, di prossima
pubblicazione su Learning News
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Analisi – La capacità di interpretare, il coraggio di progettare
L’analisi dei fabbisogni e della domanda, comunque la si voglia denominare, è un
momento cruciale per poter progettare percorsi formativi con un senso, un
significato, che non siano solo elenchi di cose e di argomenti. La progettazione deve
essere preceduta e supportata da una analisi sia formativa sia organizzativa,
orientata alla comprensione del contesto, che consenta di formulare una diagnosi
efficace. Dobbiamo puntare sulla nostra capacità di comprendere e interpretare.
Nella nostra realtà, in cui esiste un ufficio dedicato alla formazione, il processo di
analisi si concretizza nella realizzazione di interviste aperte o semi strutturate a
dirigenti e responsabili di tutti i settori. Si organizza un incontro cui partecipano il
dirigente di un determinato settore e i responsabili dei vari servizi e strutture dello
stesso settore. Siamo presenti noi della formazione ma anche – non
contemporaneamente, ma in tempi diversi –
il personale dell’ufficio che si occupa della predisposizione del piano delle azioni e
degli obiettivi strategici dell’ente. In questo modo, ogni incontro viene suddiviso in
due momenti diversi e ha la duplice funzione di raccogliere elementi per la
predisposizione sia del piano formativo, sia del piano degli obiettivi. L’adozione di
questa modalità ha finora presentato ricadute molto positive, che vanno
dall’ottimizzazione dei tempi dovuta al fatto di organizzare un solo ciclo di incontri,
alla maggiore creatività e generazione di idee e riflessioni che scaturiscono dal
collegamento formazione – obiettivi strategici.
La traccia di intervista che utilizziamo si articola in tre fasi: apertura, analisi,
chiusura.
In apertura chiariamo insieme ai nostri interlocutori in cosa consiste l’analisi dei
fabbisogni e condividiamo eventuali linee guida strategiche espresse dal vertice
politico amministrativo (Sindaco, Direttore Generale, Segretario Generale).
In fase di analisi ci concentriamo in modo particolare su alcuni punti:
il bisogno formativo dichiarato: raccogliamo il bisogno dichiarato (non
necessariamente rispondente a un bisogno reale) e cerchiamo di capire
insieme se deriva da progetti strategici, riorganizzazioni strutturali e funzionali,
cambiamenti del contesto, cambiamenti del quadro normativo, osservazione
l’apprendimento: cerchiamo di ragionare insieme ai nostri interlocutori in
un’ottica di sviluppo di competenze attraverso processi di apprendimento,
provando a condividere quali tipologie di competenze sviluppare e con che
modalità
In chiusura vediamo insieme i prossimi passaggi che porteranno alla
predisposizione del piano, fornendo temi indicativi per la stesura definitiva e
l’approvazione.
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Niente effetti speciali: semplicemente incontrare le persone per conoscere
l’organizzazione. Raccogliamo le esigenze, le analizziamo, creiamo collegamenti, le
traduciamo in un documento programmatico, il piano della formazione, che viene
nuovamente sottoposto ai dirigenti per la validazione. Il piano della formazione non è
quindi un elenco – sommatoria delle richieste raccolte, ma piuttosto una sintesi
ragionata e condivisa. Come sviluppo per l’immediato futuro, stiamo anche pensando
di fare più incontri intersettoriali.
L’idea di fondo è che dal confronto possano emergere più facilmente tematiche di
tipo trasversale di più ampio respiro. Si sta anche pensando di aprire il documento
ai suggerimenti di tutto il personale, in un’ottica di partecipazione, utilizzando magari
la rete intranet.
Dall’ultimo rapporto Formez sulla formazione nella Pubblica Amministrazione, diffuso
nel 2014 e relativo al biennio 2012-2013, emerge che sono davvero tante le
Pubbliche Amministrazioni che non fanno un piano della formazione. Per quanto
riguarda i Comuni, i due terzi non fanno alcuna programmazione. Le difficoltà sono
causate non tanto dalla razionalizzazione della spesa pubblica che pure ha colpito
pesantemente l’ambito della formazione, quanto piuttosto da un blocco culturale,
una scarsa consapevolezza delle potenzialità della funzione formativa e della sua
strategicità per lo sviluppo delle risorse umane e dell’organizzazione.
Eppure, la formazione assume una importanza ancora più significativa nel quadro
attuale, con l’impossibilità per le amministrazioni di assumere nuovo personale, con
la necessità di “riassorbire” tutto il personale delle Province, con il blocco del turn
over, con il prolungamento dell’età pensionabile. Per di più, in modo quasi
paradossale, laddove esiste una qualche forma di consapevolezza, la formazione
corre il rischio di diventare, come afferma Lipari, una formazione apparente,
caratterizzata cioè da “scolasticismo” per quanto riguarda le metodologie e da
“giuridicismo” per quanto riguarda i contenuti. Quindi va bene fare l’analisi e la
diagnosi, in chiave formativa e organizzativa, per vedere quali sono i bisogni di
formazione dell’ente, ma poi il piano della formazione va riempito di contenuti che
corrispondano in modo pertinente e non apparente ai bisogni reali,
opportunamente interpretati e contestualizzati.
Competenze – Sviluppare le persone per generare il cambiamento
Cerchiamo quindi di puntare sul concetto di competenza, diffuso nelle grandi
aziende, non ancora sufficientemente conosciuto nella Pubblica Amministrazione. E,
per quanto possibile, su competenze trasversali, “alte”, non tecnico-specialistiche,
per cercare di comprendere, vedere dove stiamo andando, e, nel caso, provare a
cambiare direzione. Ricordo ancora Spaltro sottolineare con convinzione
l’importanza strategica dell’immateriale nelle organizzazioni contemporanee, senza
dimenticare di ricondurlo ad una dimensione non individuale, ma di gruppo e di rete.
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Il nostro piano formativo parla quindi il linguaggio delle competenze, che per noi
vuole essere un linguaggio comune per l’intero ente a tutti i livelli (dal personale ai
dirigenti) e per tutti gli ambiti di gestione delle risorse umane. Il piano infatti non è
una semplice lista di argomenti intorno ai quali fare dei corsi, ma è articolato
innanzitutto per competenze generali/trasversali o competenze tecnico/specialistiche,
in base al modello delle competenze dell’ente. A seconda della tipologia di
competenze, vengono identificati degli obiettivi di apprendimento, e in base a questi
vengono delineate le modalità e le metodologie di apprendimento ritenute
maggiormente efficaci, anche in relazione al numero e alle caratteristiche
professionali dei destinatari. Vengono anche indicate le modalità di valutazione, per
lo più una valutazione di apprendimento.
Abbiamo costruito in modo partecipativo il modello delle competenze trasversali (i
comportamenti) dell’ente, attraverso una serie di focus group che hanno coinvolto
dirigenti, responsabili e personale di diversi settori. Stiamo ora definendo il
dizionario delle competenze tecnico-specialistiche, parallelamente ad una analisi
dei profili professionali che tiene in considerazione processi e funzioni. Forse le
etichette “trasversali” e “specialistiche” non sono attualissime, ma da qualche parte
bisogna pur cominciare.
Non sono tante, anche se ci sono, le Pubbliche Amministrazioni che “parlano” per
competenze. Per contro, tantissime parlano di competenze, a partire dalle stesse
normative, in particolare nelle ultime due riforme della PA, le cosiddette “Riforma
Brunetta” del 2009 e “Riforma Madia” del 2015. Se ne parla quindi da tanto, ma
ancora non si può dire che la Pubblica Amministrazione abbia abbracciato la cultura
delle competenze.
Cultura vs Caos
Di fatto, accanto al nostro processo di analisi e diagnosi e al nostro progetto sulle
competenze, nella nostra realtà organizzativa permane in parallelo ancora tanta
formazione da svolgere come quotidiana routine (ma bisogna ammettere che, nella
giungla normativa della Pubblica Amministrazione, anche l’in-formazione talvolta non
guasta). Ed ecco quindi che, se da una parte ci sono spinte ad agire per e nel
cambiamento, in parallelo ci sono sempre anche forti spinte a subire il
cambiamento in modo passivo. E dalla formazione si passa in un battere di ciglia
all’addestramento, convinti che puntare in alto, ormai, non si possa fare. E invece è
proprio quell’ormai su cui dovremmo focalizzarci: in un momento di grande crisi
culturale, dovremmo avere il coraggio di fare diagnosi e di proporre percorsi,
disegni, strategie finalizzate allo sviluppo delle competenze più elevate. E qui parlo
pensando non solo alla mia piccola realtà di ente locale, ma soprattutto pensando ai
grandi formatori che hanno l’opportunità di lavorare con le più importanti realtà
organizzative.
Anche nel caos del contesto contemporaneo,vogliamo trovare il coraggio di fare
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formazione. Vogliamo credere in una cultura delle competenze e della formazione,
del merito e della valorizzazione delle persone e stiamo costruendo e sperimentando
strumenti per esprimerla al meglio. E ci piace sapere che siamo in tanti a volerlo:
nonostante gli sprechi e le inefficienze, nonostante i tagli e la scarsità di risorse,
nonostante le normative poco chiare e la formazione apparente, esistono progetti
formativi densi di significato, che le pubbliche amministrazioni realizzano e mettono
in rete in un proficuo scambio, nella consapevolezza che da soli non si va lontano.
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