Persone nuove in Cristo Gesù Corresponsabili della gioia di vivere
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Persone nuove in Cristo Gesù Corresponsabili della gioia di vivere
Persone nuove in Cristo Gesù Corresponsabili della gioia di vivere Relazione alla XV Assemblea nazionale dell’Azione Cattolica Italiana FRANCO MIANO I. In questo tempo singolare Viviamo la nostra assemblea in un tempo davvero unico. I tre anni trascorsi sono stati densi di novità sorprendenti: i cinquanta anni dall'apertura del Concilio Vaticano II (che abbiamo ricordato nella memorabile fiaccolata dell'11 ottobre 2012) - un evento che ha cambiato e sta cambiando il volto della Chiesa - hanno fatto da cornice al singolare gesto delle dimissioni di papa Benedetto XVI e alla travolgente novità di Papa Francesco. Un tempo di grandi novità nella vita della Chiesa che sta suscitando tante attese tra i credenti e non solo, e che impegna sicuramente tutti noi a un di più di testimonianza della fede, sollecitandoci a camminare con maggiore determinazione lungo quei sentieri di santità a cui ci richiamano con forza la recente canonizzazione di Giovanni XIII e di Giovanni Paolo II, così come già la beatificazione di Giuseppe Toniolo, laico esemplare, avvenuta nel corso del triennio che si conclude. Un tempo di novità e di più forte invito alla santità, che acquista particolare spessore e rivela tutt'intera la sua carica di speranza se rapportato al contesto epocale in cui siamo immersi: alle questioni che lo attraversano, alle sfide che esprime, alla richiesta di un impegno fattivo e di azioni coraggiose che inequivocabilmente pone. Lo comprendiamo bene se guardiamo anche solamente alla situazione del nostro Paese. Questi anni di grandi novità nella vita della Chiesa sono stati gli anni in cui il Paese ha sperimentato la persistenza della crisi economica con tutto quello che per tanti ha significato. Penso in modo particolare a quanti hanno perduto il lavoro, spesso anche padri e madri (quarantenni e cinquantenni), che di colpo si sono trovati nella difficoltà di poter garantire il minimo indispensabile ai propri figli. Una nuova umanità impoverita che si è aggiunta al grande capitale sprecato del nostro Paese: giovani, costretti alla disoccupazione o messi alle corde da una precarietà che ormai non è più una parentesi di vita, una situazione di passaggio, ma una condizione esistenziale. I dati sono sotto gli occhi di tutti, ed è inutile ricordarli, così come è noto a tutti l'annoso dibattito intorno ad una possibile riforma del lavoro e dell'economia. Da anni si discute di una maggiore o minore flessibilità dei contratti di lavoro, dei costi di un’assunzione per le imprese, del blocco del credito che strozza gli investimenti. Ma il tempo delle analisi sterili e delle prese di posizione ideologiche è finito, perché l’attesa eterna di una prima o di una nuova opportunità non può tramutarsi in una paralisi che alimenta il male di vivere. La situazione drammatica che viviamo chiede di reagire e crediamo che sia il Paese intero e insieme a dover reagire. La politica mettendo più risorse di quante sinora reperite sul capitolo decisivo per il futuro dell’Italia. Le parti sociali rimuovendo incrostazioni che le hanno rese talvolta addirittura impopolari nel mondo del lavoro. Noi tutti, facendo rete, come comunità cristiana, intorno a chi vive una parabola difficile della vita. Come Ac, poi, abbiamo il dovere, oltre l’urgenza, di indicare anche i problemi di fondo, i veri divari strutturali del Paese: sacche di privilegio che tolgono opportunità a chi le meriterebbe; un sistema imprenditoriale troppo connesso ai poteri politici locali e nazionali; un sistema educativo, scolastico e universitario sempre più in affanno; l’assenza di una strategia di formazione permanente per chi si avvia, entra ed esce dal mercato del lavoro. Gli ultimi anni sono stati anni importanti anche per quanto concerne la conoscenza dei fenomeni malavitosi. Siamo oggi tutti più consapevoli che la forza finanziaria della mafia ha attecchito anche al Nord e al Centro, talvolta esportando anche i metodi violenti. È diventata inoppugnabile letteratura il traffico folle di rifiuti illegali e tossici sulla rotta Nord-Sud, e anche Italia-Paesi emergenti. La Campania è balzata all’onore delle cronache per la Terra dei fuochi, la Calabria per lo sfruttamento degli immigrati e addirittura, di recente, per la controversa vicenda dell’influenza di “padrini locali” nelle processioni religiose. Dinamiche simili si registrano purtroppo anche in Sicilia. Anche il dilagare devastante del gioco d’azzardo è spesso stato collegato, nei primi procedimenti giudiziari in materia, alla longa manus delle cosche. Ma più in generale ovunque, nelle Isole e sulla Terraferma, nelle cittadine operose del Settentrione come nei quartieri a rischio del Meridione, i mafiosi hanno trovato agevolmente sponde politiche, imprenditoriali e istituzionali, come dimostrano le numerose inchieste sui cosiddetti colletti bianchi. Nella grande sfida della legalità non ci sono derby territoriali da giocare. Il punto è un altro: se la malavita è per definizione “organizzata”, la buonavita è spesso disorganizzata. Non si riesce ancora a far rete di buone 2 esperienze, non si riesce a sfondare dal punto di vista culturale perché le iniziative sono parcellizzate e difficili da far conoscere, laddove anche in questo caso sono chiamati in causa diversi livelli e anche in questo caso è richiesta una reazione che si trasformi in azione comune. Di recente la politica ha rafforzato, non senza polemiche, le sue norme contro la corruzione politica e nell’amministrazione pubblica. Ma è solo un primo passo. Una legge sul conflitto d’interesse potrebbe certamente servire anche a tenere alla larga dalla cosa pubblica mondi solo apparentemente puliti, in realtà “ripuliti”. Per quanto ci riguarda, sicuramente ci è chiesto di intensificare e rafforzare la portata civile e sociale dei nostri percorsi formativi arricchendoli di esperienze, testimonianze e campi di lavoro. Ma sono prima di tutto e fermamente convinto di una cosa: ogni ragazzo, adolescente, giovane e padre o madre di famiglia che riusciamo a portare “dentro” la comunità, sottraendolo a disagi e sofferenze morali e materiali, offrendogli cura e presenza di speranza, è un colpo duro che infliggiamo a chi fonda il suo potere sulla paura e sulla disperazione. Anche per questo motivo, raccogliamo l’invito di papa Francesco ad “uscire”, ad andare incontro alle persone senza stancarsi di farlo. La grande sfida che viene dal nostro tempo e alla quale come Chiesa possiamo e dobbiamo rispondere è quella di riscoprirci non come frammenti isolati chiusi nella difesa del proprio interesse particolare o nella ricerca di fragili garanzie di sopravvivenza, ma come realtà di relazione che solo nell'essere insieme, nel lottare, costruire, sperare, sognare insieme, trovano possibilità di realizzazione e di vita. La grande sfida è quella di pensarsi legati gli uni agli altri, responsabili gli uni degli altri, e responsabili insieme del bene che possiamo costruire. La sfida è quella di scoprire che la gioia di vivere si trova solo nel sapere stare insieme, nel saper essere questo insieme, e che questa gioia è affidata alle nostre mani in quanto queste sapranno toccarsi, intrecciarsi, sostenersi, spingere avanti, portare in alto. La gioia è affidata alla possibilità di una responsabilità che si fa corresponsabilità e che tende a costruirsi come comunione. È questo ciò che ci è chiesto di dire oggi, la parola che si attende dalla Chiesa, ed è questa la parola che abbiamo da dire. È una parola che nasce da un dono, il dono della comunione di cui la Chiesa vive, dono di Dio per la vita di ogni uomo, per la vita del mondo. È dalla convinzione che sia esattamente questo il dono da mettere in circolo e da condividere, la grande risorsa di bene e di speranza da far fruttificare ad ogni livello della vita, che viene il tema di questa nostra assemblea. Crediamo che la corresponsabilità che si vive in Azione cattolica abbia un valore quasi paradigmatico perché sperimentata sul campo, in un percorso radicato nelle parrocchie e nelle diocesi, un’esperienza popolare, e, proprio per questo capace di offrire interessanti prospettive per 3 la comunità ecclesiale e per il futuro del Paese. Personalmente in questi anni di presidenza nazionale ho trovato questa parola fatta carne e storia nelle tante persone incontrate, nelle tante esperienze raccolte, nella vita di ciascuno di voi. Situiamo dunque la nostra riflessione in questo tempo problematico e singolare. Qui, in questo tempo, vogliamo incontrare tutti e camminare con tutti, nella Chiesa e con la Chiesa, in ogni luogo. Nelle realtà locali in cui vive e in questo tempo, l’Azione Cattolica può e deve esprimere con forza la passione per la corresponsabilità sapendola sviluppare in tutte le sue implicazioni di senso. II. La corresponsabilità: il senso e il compito Chiamati ad una corresponsabilità viva «Il Concilio chiamando tutti i membri del popolo di Dio, ciascuno secondo il suo proprio ministero e carisma, a corresponsabilità totale nella costruzione e missione della Chiesa, ha dato un senso tutto nuovo a un’associazione laicale che, come l’Azione cattolica, si fa carico appunto non delle sole esperienze laicali, ma queste responsabilizza e fa confluire anche nella costruzione di tutta la Chiesa». Queste parole di Vittorio Bachelet all’Assemblea nazionale del 1970 sono illuminanti anche per noi oggi. Nella Chiesa nessuno vive e opera a titolo personale. Allo stesso modo, l’Ac non è per se stessa, ma per il Vangelo. La responsabilità, nella Chiesa come in Azione cattolica, è sempre corresponsabilità perché si riferisce, prima ancora che a compiti e funzioni particolari, all’intera missione della Chiesa, alla sua ragion d’essere, al senso profondo della sua testimonianza tra gli uomini e le donne di ogni tempo e di ogni luogo. E la sua testimonianza è il Vangelo del Signore Gesù. È questa la testimonianza che vogliamo offrire. Nel messaggio inviato all’Assemblea del Fiac, svoltasi in Romania nell’agosto 2012, papa Benedetto XVI ha ben precisato la differenza tra collaborazione e corresponsabilità: «La corresponsabilità – scriveva papa Benedetto - esige un cambiamento di mentalità riguardante, in particolare, il ruolo dei laici nella Chiesa, che vanno considerati non come “collaboratori” del clero, ma come persone realmente “corresponsabili” dell’essere e dell’agire della Chiesa». La corresponsabilità è allora anzitutto una dimensione spirituale che non si esaurisce, evidentemente, nel numero di ore spese o nei servizi resi. Per noi laici di Ac, la corresponsabilità è la forma attraverso la quale va ripensato il senso stesso del nostro essere associazione e sulla corresponsabilità si fondano gli elementi cardine della vita associativa. Potremmo dire ancora meglio che la corresponsabilità è lo stile attraverso il quale l’Ac offre il suo contributo più proprio 4 alla vita della Chiesa e del Paese, perché implica il continuare a credere nel valore sostanziale e irrinunciabile della partecipazione, di un coinvolgimento vivo e diffuso. Una corresponsabilità che si esplica attraverso la scelta di tempi, di mezzi, di luoghi semplici: i tempi, i mezzi, i luoghi della vita quotidiana e dell’esperienza comune. Rispondere in prima persona Questa corresponsabilità esige e presuppone la responsabilità che ciascuno assume in prima persona, in un coinvolgimento totale e diretto, una responsabilità che, pertanto, è primariamente personale. Come il Concilio ci ha insegnato, la responsabilità è dimensione fondamentale della vita del credente. Responsabilità non dice infatti prima di tutto un dovere da compiere, un incarico da assumere, ma una relazione alla quale si è chiamati e, prima ancora, una relazione nella quale si è. La responsabilità è risposta. In primo luogo, all’appello che viene dal Signore, ma anche alle provocazioni che derivano dalla vita quotidiana e dagli altri, dal tempo e dalla storia nella quale siamo immersi, dalle sollecitazioni della comunità ecclesiale e della comunità civile, dalle intuizioni e dalle esigenze dell’associazione insieme alla quale camminiamo. La responsabilità si comprende come risposta dentro la tensione alla santità, intesa come una dimensione fondamentale della vocazione dei laici nella vita della Chiesa e del mondo, e come elemento che rende grande la vita di ogni cristiano (cfr. Lumen gentium, nn 40-42). La tensione alla santità fonda una responsabilità che non è semplicemente una risposta dovuta, ma si inscrive all’interno della relazione con il Signore, quella relazione sulla quale costruiamo tutte le altre relazioni della nostra vita. Anche la responsabilità associativa trova qui il suo senso e il suo fondamento. Ed è qui il rapporto tra la responsabilità e la gioia richiamata dal titolo dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium. La gioia del Vangelo che riempie il cuore, fa cogliere il significato autentico della responsabilità, e indica criteri non marginali ai fini della testimonianza personale, e del compito associativo. Anche l’evangelizzazione, infatti, non consiste in un insieme di iniziative da attuare, ma è un’esperienza di relazione, che può nascere soltanto nel contesto di vite che si incontrano. Dentro il popolo di Dio per l'annuncio del Vangelo 5 È questa la corresponsabilità vissuta all’interno del popolo di Dio, la corresponsabilità per l’annuncio del Vangelo: una corresponsabilità di popolo che si esprime anzitutto nella Chiesa locale. La centralità della Chiesa locale, nel suo legame vivo con un “luogo” e con una terra, rappresenta ancora oggi una grande ricchezza dalle enormi potenzialità, e questo anche, o forse, proprio tenendo conto di tutti gli elementi che attualmente spingono a ripensare in termini dinamici tale rapporto aiutando a comprendere che esso non si risolve certamente in un dato spaziale o geografico in quanto implica piuttosto dimensioni di senso e di valore e l’esser parte di una storia condivisa. Sposando la Chiesa locale, i laici di Azione cattolica scelgono di stare dentro il popolo di Dio, partendo anzitutto dai luoghi in cui il Signore li ha chiamati a vivere e offrendo un contributo nella linea delle indicazioni del Papa, che invita a superare le tentazioni funzionalistiche della pastorale (cfr. in particolare EG n. 96). Pur riconoscendo la rilevanza di tante forme di servizio, che soci e responsabili di Ac accettano volentieri di svolgere dentro la comunità, va tuttavia sottolineato che l’elemento più importante della corresponsabilità pastorale è la capacità di relazionarsi con le persone. «Per essere evangelizzatori autentici – ricorda papa Francesco – occorre sviluppare il gusto spirituale di rimanere vicini alla vita della gente, fino al punto di scoprire che ciò diventa fonte di una gioia superiore. La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo» (EG 268). La corresponsabilità della gioia di vivere che vogliamo assumere altro non è che la capacità di incontrare le persone, di far prevalere sempre l’incontro sullo scontro, di cercare le ragioni di bene e i semi di verità presenti negli altri. Come laici di Ac siamo chiamati, lì dove siamo, a intrecciare relazioni, a costruire ponti, ad aiutare a riscoprire la bellezza dell’essere insieme. Questo vuol dire promuovere una cultura dell’incontro, essere forza di comunione nella Chiesa e nei luoghi della vita quotidiana. Sappiamo bene infatti che, come ci ricorda papa Francesco, «diventare un popolo […] richiede un costante processo […]. È un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia» (EG 220). Per diventare un popolo, occorre che ciascuno impari ad uscire dalle proprie sicurezze, dalla difesa dei propri ruoli e dei privilegi acquisiti, dalla ricerca di garanzie, dal proprio orgoglio e dalla pretesa di autosufficienza, dai giudizi sbrigativi e dai ragionamenti sommari, dalla salvaguardia di se stessi: imparare ad uscire per imparare ad accogliere e ad accogliersi gli uni gli altri. Forse vale la pena ricordare che i luoghi privilegiati per questo esercizio di vita comune sono i luoghi dove la Chiesa fa casa con gli uomini, si mescola fra la gente, si inserisce tra le strade e le case dove si snoda la 6 vita di ogni giorno e si costruisce la storia degli uomini. Per questo prime destinatarie dell’invito ad uscire, ma anche spazio concreto di questa essenziale esperienza, sono prima di tutto le associazioni territoriali di Ac, che di per sé costituiscono esperienze concrete di relazione. Per questo abbiamo invitato tutte le associazioni parrocchiali, tramite i loro presidenti, all'incontro con il Papa che concluderà questa assemblea il 3 maggio, perché vogliamo dire che è a partire da lì che dobbiamo accrescere ulteriormente la propria capacità di dialogare, di sintonizzarsi con le attese delle persone e di intrecciare rapporti. «Per condividere la vita con la gente e donarci generosamente, abbiamo bisogno di riconoscere anche che ogni persona è degna della nostra dedizione. […] Al di là di qualsiasi apparenza, ciascuno è immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione. Perciò, se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello essere popolo fedele di Dio. E acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il nostro cuore si riempie di volti e di nomi!» (EG 274). La corresponsabilità della gioia di vivere, dunque, sta nel porsi accanto alle persone, facendo attenzione alle situazioni che esse vivono. E d’altra parte, l’Azione cattolica, nella sua lunga storia, ha sempre saputo essere una realtà che, capillarmente diffusa sul territorio nazionale, è divenuta fonte di crescita per tantissime persone e per il Paese tutto. «L’ampio respiro ecclesiale, che identifica il vostro carisma associativo – ha sottolineato Benedetto XVI nell’Incontro nazionale con l’Ac del 4 maggio 2008 – non è il segno di un’identità incerta o sorpassata; attribuisce piuttosto una grande responsabilità alla vostra vocazione laicale: illuminati e sorretti dall’azione dello Spirito Santo e costantemente radicati nel cammino della Chiesa, siete provocati a ricercare con coraggio sintesi sempre nuove fra l’annuncio della salvezza di Cristo all’uomo del nostro tempo e la promozione del bene integrale della persona e dell’intera famiglia umana». Ora proprio guardando al nostro tempo, se dovessimo chiederci di che cosa si avverte maggiormente il bisogno, potremmo dire sicuramente che c’è un grande bisogno di ritrovare le ragioni profonde della vita. È questa sfida che l’Ac deve accogliere, avendo il suo punto di forza proprio nella capacità di far relazionare le persone, offrendo e proponendo la possibilità di un libero incontro con gli altri attraverso il quale ricercare ciò che veramente vale e che dà valore alla nostra vita. Vogliamo essere sempre di più un’Azione cattolica che sa “uscire”, a partire dalla semplicità delle sue esperienze, degli impegni quotidianamente portati avanti in uno stile di corresponsabilità che diviene solidarietà tra le famiglie, educazione all’impegno culturale politico e sindacale, esercizio di condivisione e di sobrietà. È questo che può contribuire veramente a liberare il 7 desiderio di bene presente nel cuore delle persone, ed è questo che può lasciar avvertire nei nostri luoghi, piccoli o grandi che siano, il respiro infinito della vita di Dio, aprendoli alla vita del mondo. Il valore dell'essere associazione In relazione a tutto questo la dimensione associativa, la scelta di essere associazione, non costituisce un’esperienza meramente funzionale. Si sceglie di aderire, perché, liberamente e responsabilmente, si risponde positivamente a una proposta che presenta tante dimensioni significative e fondanti, prima fra tutte quella dell’essere insieme e del camminare insieme, come famiglia e come popolo. È la scelta dell’unitarietà. Responsabilità e corresponsabilità dei laici si traducono in chiave associativa prima di tutto nella scelta della unitarietà, che costituisce un’importante modalità di rilettura del Concilio, una sua chiara “messa in opera” per così dire. Per chi elaborò lo Statuto del 1969 non si trattò infatti, semplicemente, di una scelta di natura organizzativa, ma della volontà di far camminare insieme giovani e adulti, di costruire un più forte rapporto tra le generazioni. L’unitarietà è dunque un dato rilevante su cui insistere, non soltanto per la sua valenza organizzativa, ma per il suo significato sostanziale. Lo stare insieme rappresenta infatti un valore superiore rispetto all’operare da soli. Spiegava Bachelet: «Siamo qui, giovani e adulti, in una proporzione che lo Statuto ha voluto pressoché paritaria a segno di una collaborazione e di una corresponsabilità che costituiscono un fatto singolare nella vita associativa dei nostri giorni. I giovani, cioè, non si chiudono fra di loro a parlare dei propri problemi […], ma insieme con gli adulti dibattono e deliberano, insieme assumendo una comune responsabilità della vita associativa, vivificandola con la loro critica e la loro esperienza. Gli adulti non contrappongono a quella dei giovani la loro responsabilità, né vi rinunciano, ma accettano la fatica di una comune ricerca e di una comune decisione» (1970). E ancora: «L’aver fortemente richiamato la dignità di cristiani dei ragazzi e la ricchezza del dono che essi fanno alla comunità, è un grande servizio che l’Azione cattolica rende non solo ai piccoli, ma all’intera comunità cristiana. L’aver sottolineato questo dono e questa corresponsabilità […] sottolinea infatti che anch’essi sono non solo oggetti dell’azione pastorale, ma soggetti della costruzione della Chiesa, partecipi a pieno titolo della sua missione apostolica» (1971). Nel vivere questa esperienza di unitarietà con uno stile familiare e nel dialogo tra le generazioni, ci impegniamo a esercitare un discernimento comunitario, a sperimentare la fatica e la bellezza del pensare insieme, del progettare insieme, del costruire giorno dopo giorno un’opera condivisa, e per questo aperta a un coinvolgimento sempre più ampio, a creare un’associazione che si lascia 8 avvertire e sperimentare come una famiglia dentro la più grande famiglia della Chiesa. Va detto però che la ricchezza di implicazioni della dimensione unitaria probabilmente non è ancora del tutto sviluppata nelle sue possibilità. Se il percorso realizzato dall’approvazione del Nuovo Statuto ad oggi è stato sicuramente notevole, il cammino da compiere è ancora lungo. L’unitarietà è un campo da scoprire ancora e da esplorare in tutte le sue potenzialità, non soltanto in senso organizzativo, ma prima di tutto come mentalità. Talvolta, infatti, anche nella Chiesa, si tende a operare da soli, o semplicemente dividersi i compiti, a procedere per funzioni e per frammenti, ritenendo di poter cercare così la soluzione più rapida. Camminare insieme, con la fatica e i tempi lunghi che questo comporta, è però una grande forma di testimonianza e un incredibile fermento di cambiamento dal punto di vista ecclesiale e sociale. È a questa prospettiva di senso che va ricondotta l’altra grande scelta che contraddistingue la nostra Associazione e ne fa una scuola viva e concretissima di corresponsabilità: la scelta della democraticità. In questa prospettiva di una unitarietà costruita attraverso l’esercizio di una democraticità che nel rispetto di regole date consente l’articolarsi interno dell’Associazione e il suo strutturarsi in una dimensione istituzionale, vanno viste infatti le assemblee parrocchiali e diocesane, ma anche gli organismi collegiali di coordinamento e di progettazione: i consigli e le presidenze a tutti i livelli. È una democraticità che si esprime certamente, in particolare nel caso delle assemblee, attraverso l’esercizio del diritto di voto per eleggere coloro che saranno chiamati per un certo periodo di tempo ad assumere in prima persona le responsabilità dell’Ac, ma anche mediante il confronto grazie al quale si tracciano le linee progettuali dell’associazione, si compiono insieme scelte a volte coraggiose, si valorizza il contributo di ciascuno con semplicità e creatività. Credo vada sottolineato il grande e significativo percorso compiuto da 6.000 associazioni parrocchiali, 220 associazioni diocesane e dai collegamenti regionali per programmare insieme il proprio cammino, nel confronto vivo con gli assistenti e i Vescovi. Si tratta di un bene prezioso, che costituisce un servizio offerto alla Chiesa e al Paese. L’Assemblea nazionale non è un momento celebrativo, ma il culmine di un lungo cammino fatto dall’Associazione a livello parrocchiale, diocesano e regionale. È uno sforzo di partecipazione viva che può essere veramente l’anima del futuro. È questo un aspetto sostanziale, su cui occorre insistere ulteriormente. Si tratta di una democraticità che per noi si attua attraverso l’attenzione alle singole realtà ma che, nello stesso tempo, esprime il sentirsi parte di un progetto ben più ampio, il sentirsi parte della Chiesa universale, e l’essere un’unica famiglia non solo con l’Azione cattolica nazionale, ma con l’Azione cattolica di tanti altri paesi del mondo raccolti dal Forum internazionale di Ac. Il legame con la propria parrocchia e con il proprio territorio – caratteristica peculiare dell’Associazione – non 9 chiudersi nella loro particolarità, ma portare in essi il respiro del mondo, il respiro della Chiesa universale. Riletta in questo modo la dimensione associativa rivela tutta la sua importanza sul versante formativo. È il nostro stesso essere Associazione, e l’esserlo in questo modo, che ha una chiara valenza formativa. La proposta formativa dell’Ac è un insieme di contenuti vissuti, e resi plasticamente prima di tutto attraverso la dimensione associativa, nella quale questa proposta ha il suo punto di forza e la sua prima possibilità di concretezza. Il metodo e il contenuto nella proposta formativa dell’Ac sono pertanto strettamente interconnessi perché nel metodo che scegliamo c'è già il contenuto. La formazione al centro La formazione, una formazione integrale, è sicuramente al cuore della proposta associativa. E va sottolineato che questa formazione, come del resto l’intera proposta dell’Ac, è sotto il segno della gratuità. La formazione che l’Ac offre ai suoi aderenti, e a tutti i membri del popolo di Dio che vogliano avvalersi di questa possibilità di accompagnamento educativo, non ha una funzionalità immediata, non risponde a quella esigenza di utilità e di spendibilità funzionale che oggi sembra prevalere in ogni campo e che porta spesso anche in ambito ecclesiale a pensare in termini di professionalizzazione la cura educativa e perfino i cammini di fede fino ad “appaltare” i percorsi formativi a strutture o a enti specializzati. In un tempo come il nostro che privilegia in modo esasperato la funzionalizzazione di ogni esperienza con il rischio di ridurla ad un dato meramente tecnico, l’esperienza educativa dell’Ac ha una forte valenza profetica, perché è tesa unicamente alla crescita delle persone attraverso la vita di gruppo e dentro la comunità, attraverso cioè la costruzione di “legami di vita buona”: una crescita che è ritenuta in quanto tale valore per cui spendere quello che abbiamo e che siamo: il tempo, le energie, le sensibilità, le competenze, la pazienza e la tenacia, la capacità di sognare e il coraggio di guardare lontano. «Il processo educativo – affermano gli Orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Vangelo – è efficace quando due persone si incontrano e si coinvolgono profondamente, quando il rapporto è instaurato e mantenuto in un clima di gratuità oltre la logica della funzionalità […]. L’educatore è un testimone della verità, della bellezza e del bene, cosciente che la propria umanità è insieme ricchezza e limite. Ciò lo rende umile e in continua ricerca. Educa chi è capace di dare ragione della speranza che lo anima ed è sospinto dal desiderio di trasmetterla. La passione 10 educativa è una vocazione, che si manifesta come un’arte sapienziale acquisita nel tempo attraverso un’esperienza maturata alla scuola di altri maestri» (nn. 28-29). È una passione che ha come obiettivo la persona, tutta la persona. Servire l’unità della persona è un obiettivo solo apparentemente scontato. Spesso, infatti, si rischia di “sezionare” la persona, quasi che essa sia la somma di tutte le sue parti, o l’insieme dei suoi bisogni, mentre si tratta di una realtà decisamente più complessa e soprattutto più grande. In un tempo in cui prevale la dimensione del frammento, e del frammento irrelato, in un tempo in cui la vita si spezzetta in schegge che faticano a ritrovare possibili nessi, lo sforzo di un impegno educativo serio deve essere quello di ricondurre dalla parte al tutto, dal frammento all’insieme. Ed è in questa direzione che vogliamo assumere e declinare il tema del prossimo Convegno ecclesiale di Firenze: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Per questo la scelta educativa resta decisiva per la proposta associativa. L’Ac continua a credere, cioè, nella semplicità del servizio di educatori e animatori, di persone che responsabilmente si mettono a disposizione degli altri, contribuendo a creare quel circolo virtuoso tra la vita e la fede che rappresenta il bene fondamentale da far crescere. L’Azione cattolica assume perciò come suo compito primario un’evangelizzazione che si riscopra come l’imparare a raccontare ad ogni uomo e ad ogni donna le meraviglie di Dio, l’incredibile bellezza dell’incontro con il Signore che cambia l’esistenza. Nel nostro impegno educativo, che è tutt’uno con l’annuncio del Vangelo, vorremmo che emergesse sempre più che la fede non è distante dalla vita, ma – al contrario – la trasforma radicalmente anche nella sua quotidianità. Moltiplicare il tempo, costruire la storia Per questo la corresponsabilità che impariamo a vivere nella Chiesa e in Azione cattolica si declina nel tempo, per certi versi si fa tempo: tempo speso e donato, e perciò tempo moltiplicato e ritrovato nella sua qualità intrinsecamente umana. Tutta l’esistenza è scandita dal tempo e in una realtà dalla vertiginosa rapidità, in cui il tempo è il bene più prezioso, l’Azione cattolica ci insegna a credere nel valore del tempo donato, speso per gli altri, vissuto con senso di gratuità. Diamo il nostro tempo per poter stare dentro il tempo in cui ci è dato di vivere, facendone emergere l’orientamento ultimo, le potenzialità di bene e le istanze di comunione. Facciamo nostre in tal senso le parole di Benedetto XVI nell’udienza generale del 10 ottobre 2012: «Siamo qui per testimoniare che con umiltà ci assumiamo le nostre responsabilità per questo tratto di strada che ci è affidato, a servizio del Vangelo e solidali con gli uomini e le donne del nostro tempo, a cominciare dai più poveri, per trasmettere con gioia il dono della fede alle giovani generazioni. Siamo qui, convinti che questo è il 11 momento favorevole in cui operare insieme, in cui “stare nel presente per potere dare forma al futuro”». Di questo tempo ci è chiesto di leggere i segni attraverso un’opera di discernimento comunitario, e in questo tempo ci è chiesto, seguendo papa Francesco, di porre dei segni, gesti significativi ed eloquenti che lascino intravedere la forza rivoluzionaria e rigeneratrice della fede in Cristo Gesù, la potenza umanizzante del Vangelo. È in questa prospettiva che vanno rilette le belle e ancora attuali parole di Bachelet: «Ci è chiesto di saper vedere i segni dei tempi e di saperli giudicare alla luce della fede. L’atteggiamento del cristiano di fronte alla vicenda della storia umana deve essere insieme di ascolto e di annuncio, di accoglienza e di superamento» (1968). E ancora: «Nel momento in cui l’aratro della storia scavava a fondo, rivoltando profondamente le zolle della realtà sociale italiana, che cosa era importante? Era importante gettare seme buono, seme valido. La scelta religiosa – buona o cattiva che sia l’espressione – è questo: riscoprire la centralità dell’annuncio di Cristo, l’annuncio della fede da cui tutto il resto prende significato» (1977). Questo è il senso della corresponsabilità che sperimentiamo in Ac. Ne siamo consapevoli e quanto detto fin qui ha cercato di dare voce a questa consapevolezza diffusa che accompagna la nostra esperienza associativa. Ma l’Assemblea è anche un momento per guardare avanti per fare un passo ulteriore. In questo spirito, vogliamo esplicitare il rapporto tra la corresponsabilità e la gioia di vivere, tra la corresponsabilità e la vita. III. Una proposta di piena umanità: persone nuove in Cristo Gesù Primato della vita e stile di misericordia In questa direzione possiamo dire che oggi, al tempo di papa Francesco, la scelta religiosa si ripropone in forma nuova e svela ulteriori inedite possibilità di reinterpretazione. Papa Francesco con i suoi gesti, la sua testimonianza, le sue parole, ci sta mostrando il Concilio all’opera. Ci sta mostrando che attuare il Concilio è possibile. Allo stesso modo anche noi possiamo sempre più mostrare che è possibile attuare la scelta religiosa che proprio dal Concilio è nata. Oggi siamo forse più liberi da letture ideologiche o forme pregiudiziali sulla scelta religiosa. Questo ci consente di dire che se la scelta religiosa è stata, in un tempo problematico, con spirito profetico e anticipatore, primato della fede, primato dello spirituale, oggi la sua ulteriore declinazione è nel primato della 12 vita. Non la vita pensata però come un assoluto, come una realtà chiusa in se stessa, ma la vita in quanto abitata dalla presenza di Dio, resa nuova dall'incontro con il Signore. Si tratta capire e di testimoniare che credere nel Signore Gesù ci fa cogliere la bellezza della vita, di ciascuna vita, in ogni sua stagione, in ogni situazione, e che la fede cambia la vita, è principio di vita nuova, perché ne fa emergere tutto il bene possibile nell'incontro con Colui che è sorgente di ogni bene. La fede si fa vita e non può non farsi vita. Se la fede non si fa vita, non è vera fede. Può aiutarci a cogliere il significato di questo primato della vita il n. 233 della Evangelii gaudium: «La realtà è superiore all’idea […]. Il criterio di realtà di una Parola già incarnata e che sempre cerca di incarnarsi, è essenziale all’evangelizzazione. Ci porta, da un lato, a valorizzare la storia della chiesa come storia di salvezza, a fare memoria dei nostri santi che hanno inculturato il Vangelo nella vita dei nostri popoli, a raccogliere la ricca tradizione bimillenaria della Chiesa, senza pretendere di elaborare un pensiero disgiunto da questo tesoro come se volessimo inventare il Vangelo. Dall’altro lato, questo criterio ci spinge a mettere in pratica la Parola, a realizzare opere di giustizia e carità nelle quali tale Parola sia feconda. Non mettere in pratica, non condurre la Parola alla realtà, significa costruire sulla sabbia, rimanere nella pura idea e degenerare in intimismi e gnosticismo che non danno frutto, che rendono sterile il suo dinamismo». La realtà è superiore all’idea: primato della vita, primato dell’incarnazione, primato dell’essere dentro la carne della storia, diventa anche in questo senso rinnovata priorità per l’associazione. Proviamo a pensare insieme, a partire dalla base solida di un’Ac scuola di responsabilità e di corresponsabilità, oggi che cosa può significare questo per noi laici di Azione Cattolica, di un’associazione che in questi quasi 150 anni di storia ha saputo sempre accogliere la sfida di un ripensamento di se stessa, come la sua storia d’altronde testimonia. Primato della vita, nel senso indicato, significa prima di tutto imparare ad immergersi in un particolare che vive spalancato sull’infinito e sull’universale. La vita di ciascuno è sempre particolare, ma è un particolare che ha il respiro dell'universale ed è per certi versi un assoluto perché è qualcosa che merita l’intera nostra opera, l’intero nostro impegno (Bene lo sanno coloro che per una intera vita si dedicano all’assistenza di un ammalato e che colgono come valga la pena di spendersi appieno in questo servizio). Cogliere il senso profondo di ogni vita, contribuire a farne emergere l'armonia d'insieme implica il confrontarsi con una logica che in quanto logica del reale è spesso logica del disordine fatta di contraddizioni e di smarrimenti ma è una logica nella quale occorre avere il coraggio di immergersi senza riserve. A noi di Ac è chiesta questa immersione: l’ascolto delle vite, della nostra vita, della vita degli altri, di tutte le vite, specie di quelle scartate, messe da parte, declassate. Quelle vicini a noi e quelle più lontane. Non bisogna chiudersi, e 13 soprattutto non bisogna lasciare fuori dalla porta quello o quelli che solo apparentemente sono lontani. Un nuovo tirocinio, un nuovo esercizio mi sembra urga alla responsabilità di noi laici di Ac se vogliamo servire il Vangelo nella corresponsabilità con la chiesa: imparare a sentire la vita, a sentire la vita del mondo e lasciarsene provocare, imparare a sentire la fede che in modi diversi attraversa la vita. Si tratta di una provocazione intellettuale (lo sforzo di capire, l’esercizio del comprendere) ma anche di una provocazione spirituale e morale perché esige il vincere l’indifferenza, il recuperare tempo, capacità di dedizione, occasioni perché ci lasciamo interpellare. Ed è alla scuola dei poveri che maturiamo questa capacità. È nell'attenzione a chi è più fragile e più debole che impariamo a cogliere il valore della vita, che impariamo a vivere senza lo sguardo rapace di chi è alla ricerca solo di nuove opportunità da sfruttare per sé, e a non farci prendere da quella frenesia che ci allontana dalla vita e ci fa prigionieri di altro. Ed è nell'attenzione a chi è più debole che impariamo a pensare con criteri diversi la vita comune. L'idea coltivata di un individualismo irresponsabile, chiuso nella logica del consumo e dello sfruttamento delle risorse (e dunque anche degli altri), non ha creato una società felice e libera, ma un mondo triste e ingiusto. Mettersi accanto a chi è più debole, a chi non è garantito, camminare col passo del povero perché nessuno resti indietro, misurare nuovi sviluppi sulla base dei passi in avanti fatti dai più deboli è un metodo che restituisce dignità, prima di tutto a noi stessi. Che genera un mondo più giusto, ma prima di tutto ci ri-genera come persone più umane. È questo lo stile da assumere, lo stile della misericordia. Una misericordia che si fa accoglienza, ascolto, riconoscimento, condivisione, dono di sé e soprattutto gratitudine, riconoscenza grata dinanzi al valore dell'altro. Ed è uno stile che comunica anche senza parole. Misurare i nostri progressi, il nostro star bene sul passo e sulle opportunità offerte ai più deboli è ciò che può aiutarci a vincere veramente la globalizzazione dell'indifferenza e a recuperare il senso vivo di una fraternità che è la vera forza per la costruzione di un mondo come villaggio globale in cui le differenze possano trovare accoglienza e una possibile armonizzazione. Va tuttavia sottolineato che i poveri, i non garantiti di cui avvertire la responsabilità e di cui imparare ad essere corresponsabili, sono persone in carne ed ossa che ci vivono accanto; la scelta dei poveri e della povertà come stile per i credenti non è fine a se stessa, ma esprime la reciprocità evangelica dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo. Una vita in relazione 14 È questo il primo passo avanti che siamo chiamati a compiere e l’interrogativo da porsi. Ma accanto a questa sottolineatura, ve ne è un’altra, che ci conduce a offrire un contributo al Convegno ecclesiale di Firenze. A questo modo di intendere la vita, infatti, è sottesa un’idea di persona. Una persona da amare e da porre al centro. Si tratta di un esercizio non da considerare irrealizzabile, ma che ha un forte profilo relazionale, morale e intellettuale. Esiste un nucleo fondante: il nesso tra il primato della persona e il primato della vita, che ha sempre fatto parte del patrimonio dell’Azione cattolica. Un patrimonio di bene che va oggi espresso e messo in circolo attraverso segni e gesti. Occorre fare emergere con chiarezza la concretezza della molteplicità di progetti che l’associazione ha in atto nei campi più svariati. Il primato della persona, quindi, si coniuga con il primato della vita. Si apre qui un ampio panorama di riflessione su ciò che significa essere padre, madre, figli, famiglia, uomo, donna. Non bisogna quindi disgiungere l’amore e il rispetto per ogni vita dalla capacità di interpretare la vita, da far crescere e su cui interrogarsi anche criticamente se pensiamo, per fare solo alcuni esempi importanti, a tutte le questioni relative alla nascita e alla morte, all’identità umana e sessuale, al modo di intendere le relazioni. Se è vero che con la scelta di fare intervenire i presidenti e gli assistenti parrocchiali all’udienza pontificia vogliamo ribadire l’impegno di un’Ac in uscita, è necessario operare un cambiamento di mentalità. Non possiamo, cioè, attendere che siano le persone a venire a noi, ma dobbiamo noi andare verso di loro. Occorre pertanto moltiplicare le iniziative di bene che siano capaci di mettere in relazione. Molte sono già in atto: sono quelle che ogni realtà locale potrebbe raccontare e quelle che racconteremo al Papa il 3 maggio. Sono iniziative di impegno per il Paese, di accoglienza verso gli immigrati e i poveri, di attenzione a situazioni di difficoltà ….. Non sempre le facciamo conoscere adeguatamente. È invece necessario, perché sono scelte semplici e concrete che danno il senso della vita e della vita associativa. IV. Tessiture di corresponsabilità. La trama associativa In questa ottica essenziali appaiono tessiture di corresponsabilità, da realizzare attraverso scelte da attuare e percorsi da compiere. Qui si offrono a titolo indicativo solo alcuni esempi. Adesione e vita associativa È importante, anzitutto, ribadire il valore dell’adesione all’Ac come scelta di libertà e responsabilità. È questo un contributo da portare alla vita della Chiesa, in spirito di amicizia con le altre aggregazioni, con cui si vuole camminare insieme, nella gratitudine per il dono che ciascuna di 15 esse rappresenta. Aderire all’Azione cattolica, quindi, non è un gesto di separatezza, ma significa uscire dall’anonimato, mostrare come dalla fede nasca una scelta convinta. È la scelta specifica, esplicita, non indistinta, di essere laici di Ac, capaci di prendere posizione ed assumere responsabilità. Esiste un numero cospicuo di simpatizzanti (ben il 20% di educatori non è aderente), perché forse ancora si sottovaluta troppo il valore del gesto dell’adesione e non se ne coglie il carattere decisivo. Solo se si ha un’identità forte infatti, si può “uscire”, come invita a fare il Papa. Si apre qui un vasto orizzonte, che riguarda la conoscenza reciproca tra le associazioni locali, l’attenzione per gli studenti e i lavoratori fuori sede, i gemellaggi per far nascere e crescere l’Ac anche in altri Paesi. La cura degli educatori e dei responsabili Se la questione dell’adesione chiama in causa l’identità di tutti i soci, va anche considerata l’importanza di un altro aspetto sostanziale: l’identità e la vocazione degli educatori e dei responsabili, e quindi la loro formazione. Sono passati dieci anni dalla elaborazione del Progetto formativo, che resta un riferimento essenziale per il nostro cammino. In questo triennio occorre quindi far crescere e qualificare le esperienze formative che ci caratterizzano. Va valorizzata l’importanza dei movimenti impegnati a livello culturale e sociale, il lavoro svolto per gli insegnanti, l’impegno per la scuola. Ma è anzitutto chiamato in causa l’impegno educativo di tutta l’associazione. Va ulteriormente incrementata la riflessione sui Laboratori della formazione, come pure sulla formazione dei responsabili in termini vocazionali, utilizzando i materiali che si stanno approntando, considerando che si prevede anche la revisione di Sentieri di speranza e la pubblicazione di Cuore e testa, nuovo sussidio per la formazione degli educatori. La realtà ecclesiale che cambia Per comprendere quale sarà il compito dell’Azione cattolica nei prossimi anni, va considerato inoltre che essa deve immergersi in una vita parrocchiale che cambia, nelle trasformazioni in atto nelle diocesi (unità pastorali, comunità pastorali ….). In questa ottica va vista la relazione con i presbiteri, tenendo conto di quell’amicizia tra preti e laici che è il punto di forza dell’Ac. La vita associativa all’interno della realtà ecclesiale costituisce un campo fondamentale, perché significa anche essere dentro il territorio. Occorre quindi interrogarsi sull’Azione cattolica nelle grandi città metropolitane, sulla ricchezza delle esperienze regionali. La nostra è una grande associazione, che 16 va dal Nord a Sud, da Domodossola a Lampedusa, e che ha la ricchezza delle diversità che sanno mettersi assieme. Stili di vita politica bene comune L’Azione Cattolica ha a cuore la vita politica e il bene comune. Lo testimonia l’impegno di Dialoghi, dei movimenti, degli Istituti, ma soprattutto l’intera vita associativa. È un impegno che sta crescendo, come mostra, del resto, il sempre maggior numero di persone di provenienza associativa che scelgono di scendere in campo in modo diretto a livello sociale e politico. Appare dunque essenziale incrementare e qualificare la formazione culturale a una cittadinanza piena, facendo crescere le vocazioni all’impegno, la conoscenza della Dottrina sociale della Chiesa, puntando concretamente l’attenzione a questioni fondamentali quali la famiglia, la scuola, il lavoro e l’ambiente. V. Un grazie sincero Al termine del mio mandato vorrei esprimere un grazie sincero a tutti per il bene grande che ho ricevuto in questi anni, con la consapevolezza di avere avuto molto più di quanto ho dato. Esprimere gratitudine, con semplicità, è esercizio importante se effettivamente vogliamo far parlare la vita e la nostra vita. Un grazie a ogni membro della Presidenza, con cui abbiamo condiviso il lavoro, ma anche al consiglio nazionale, ai collaboratori centrali e al personale del Centro nazionale. Un grazie che si estende a tutti coloro – Vescovi, persone impegnate a livello ecclesiale, responsabili di altre associazioni –, a cui devo tanto. Un grazie alla mia famiglia, senza il cui sostegno non avrei potuto svolgere il mio servizio. Un ricordo particolare va a mia madre, che ci ha preceduto in cielo proprio nel giorno in cui Mons. Sigalini ebbe l’incidente che ci ha fatto temere per la sua vita. Vi invito a unirvi nella preghiera a me e a mia moglie Pina, che il 9 settembre festeggeremo il nostro venticinquesimo di matrimonio. Non posso fare a meno di pensare a questi anni tanto belli, ricchi di un amore grande, che è cresciuto nel tempo, né di pensare ai nostri figli Irene e Armando, che quando ho iniziato il mio servizio come Presidente nazionale erano ancora ragazzi e ora frequentano l’Università. Ma il grazie più grande per questi anni belli e felici, anche se impegnativi, non può che andare al Signore. 17