evoluzione e mente artificiale: una sfida per la metodologia della

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evoluzione e mente artificiale: una sfida per la metodologia della
Materiali di studio per il corso di
Psicologia cognitiva e neuroscienze (Laurea Specialistica in Psicologia – 2° anno)
Modulo b: Modelli della mente e neuroscienze
(prof. Santo Di Nuovo)
EVOLUZIONE E MENTE ARTIFICIALE:
UNA SFIDA PER LA METODOLOGIA DELLA RICERCA EMPIRICA
NELLE SCIENZE COGNITIVE
Ne L’origine delle specie [1859] Darwin si propone di spiegare come si siano “potuti
sviluppare e perfezionare tutti i finissimi adattamenti di una parte dell’organismo rispetto ad
un’altra e alle condizioni di vita, e di un organismo rispetto ad un altro organismo”. La spiegazione
sta nella lotta per la vita, grazie alla quale “qualsiasi variazione, anche se lieve, qualunque ne sia
l’origine, purché risulti in qualsiasi grado utile ad un individuo appartenente a qualsiasi specie, nei
suoi rapporti infinitamente complessi con gli altri viventi e col mondo esterno, contribuirà alla
conservazione di quell’individuo e, in genere, sarà ereditata dai suoi discendenti. Quindi, anche i
discendenti avranno migliori possibilità di sopravvivere…” E’ proprio la tendenza alla
conservazione delle variazioni favorevoli e all’eliminazione di quelle nocive che Darwin chiama
selezione naturale.
Esempio di situazione sperimentale di simulazione di vita artificiale.
Abbiamo una popolazione di 100 organismi artificiali, posti uno alla volta in un ambiente chiuso
nel quale sono presenti degli elementi di cibo. Il compito dell’organismo simulato è quello di
cercare e mangiare il maggior numero possibile di questi elementi. L’organismo ha un apparato
locomotore, e a questo apparato motorio viene applicata una ‘mente’ che è programmata con un
corredo genetico, e una rete neurale in grado di simulare processi attentivi, percettivi, di memoria a
breve e lungo termine, di capacità di apprendimento.
Ognuno degli organismi ha a disposizione un totale di 5000 passi per portare a termine il compito.
Al raggiungimento di questo tetto verranno selezionati i venti individui che avranno mangiato più
cibo e si faranno riprodurre. Questo ciclo viene reiterato per 100 volte, in modo da simulare diverse
generazioni di individui.
Cosa osserviamo a mano a mano che le generazioni si succedono? Gli organismi delle generazioni
iniziali hanno la tendenza a muoversi nell’ambiente in maniera del tutto disordinata e solo
casualmente si imbattono negli elementi di cibo. Le fitness – ossia capacità di adattarsi alle richieste
ambientali - di questi organismi, nella maggior parte dei casi, sono molto basse ed il valore medio
lo è ancora di più, ma, con il susseguirsi delle generazioni, le fitness individuali crescono piuttosto
rapidamente, così come la media, fino a raggiungere valori che indicano l’individuazione della
quasi totalità degli elementi di cibo presenti nell’ambiente.
La simulazione del darwinismo ha prodotto i suoi risultati conformi all’ipotesi, che è appunto quello
della selezione della specie mediante innalzamento progressivo del fitness di adattamento alle
condizioni dell’ambiente.
Qual è il metodo usato per la simulazione?
Alla base della simulazione mediante rete neurale sta un importante metodo di calcolo potente e
versatile, consistente in tecniche di ottimizzazione che vanno sotto il nome di algoritmi genetici, il
cui inventore è considerato John Holland, che nel 1975 li descrisse nel volume Adaptation in
Natural and Artificial Systems. La peculiarità di queste tecniche deriva dal fatto che si ispirano
all’evoluzione naturale e sono quindi fondate sui principi darwinisti della selezione e
dell’adattamento, nonché, naturalmente, su meccanismi di riproduzione e di mutazione.
In effetti gli elementi fondamentali degli algoritmi genetici sono riconducibili ai principi di base che
sono stati elencati riguardo all’evoluzione naturale: gli algoritmi genetici operano su popolazioni di
cromosomi artificiali che vengono fatti riprodurre selettivamente sulla base delle prestazioni dei
loro fenotipi rispetto ad un problema da risolvere, quindi, anche per l’evoluzione artificiale valgono
i principi della riproduzione selettiva degli individui migliori, della ricombinazione genetica, che i
biologi chiamano crossover, e delle piccole mutazioni casuali dei cromosomi.
Cosa c’è in comune fra l’evoluzione dei sistemi biologici e gli algoritmi genetici?
Mediante il metodo descritto è possibile generare popolazioni di organismi artificiali, dotati di un
sistema nervoso costituito da una rete neurale, che vivono, apprendono e si riproducono in un
ambiente che li seleziona solo per le loro capacità di adattarsi ad esso. I collegamenti con la teoria
darwiniana sono evidenti. Scriveva Darwin: “…qualsiasi modificazione – che comparisse
casualmente nel corso delle età, e che fosse tale da favorire in qualsiasi modo gli individui di una
specie qualunque, rendendoli meglio adatti alle nuove condizioni – tenderebbe a conservarsi e,
quindi, la selezione naturale potrebbe esercitare liberamente il suo lavoro di perfezionamento”
(Darwin). Le parole “casualmente” e “in qualsiasi modo” sono utili per rilevare il legame tra i
principi dell’evoluzione naturale e quelli dell’evoluzione artificiale.
La combinazione degli algoritmi genetici con le reti neurali consente di scegliere una
rappresentazione genetica ottimale per la rete neurale stessa.
Mente e computer
In questo approccio il rapporto tra mente e computer è certamente molto diverso rispetto a quello
del primo cognitivismo. Ulrich Neisser in Psicologia cognitivista [1967] presentava l'analogia
mente-computer, pur ammettendone l'inadeguatezza sotto molti punti di vista. Allo psicologo
cognitivista non interessa sapere quali sono i meccanismi anatomici, chimici, o biologici che
permettono all'uomo di svolgere le sue attività mentali: ciò che interessa è la funzionalità dei
processi cognitivi, non la loro incarnazione. Con il cognitivismo, quindi, si inserisce una nuova
metafora nel dibattito filosofico sul rapporto mente-corpo: cervello e mente sono legati insieme
come computer e programma, hardware e software.
A partire da questa analogia la psicologia cognitiva ha intensificato i rapporti con i calcolatori
digitali. La stessa scienza dei computer, infatti, ha fatto parecchi passi avanti e, coniugandosi con i
progressi fatti nel campo dell'intelligenza artificiale, ha spinto una certa parte di psicologi ad
orientare le loro ricerche verso una concezione della mente più strettamente legata alle modalità di
funzionamento dei computer ed il paradigma dell’elaborazione mentale dell'informazione ha
raggiunto un radicalismo tale da far pensare ad alcuni psicologi che la simulazione al computer di
un'attività cognitiva sia di per sé un'esplicazione sufficiente della stessa.
Critiche allo metodo di studio della mente basato sulla preminenza del laboratorio
1. Ecologismo. Lo stesso Neisser, solo un decennio più tardi, con Conoscenza e realtà [1976], si fa
interprete di una tendenza critica del cognitivismo classico che mirava a recuperare il rapporto
dell'uomo con l'ambiente, sottraendolo alle astrazioni del laboratorio, accusato di semplificare
troppo la realtà.
2. Rappresentazionismo. Johnson-Laird, nel suo La mente e il computer [1988], afferma: “Che cos'è
che i processi mentali elaborano? La risposta naturalmente è: un gran numero di percezioni, idee,
immagini, credenze, ipotesi, pensieri e ricordi. Una delle assunzioni della scienza cognitiva è che
tutte queste entità sono rappresentazioni mentali o simboli di qualche tipo”. La mente dunque è un
sistema rappresentazionale, ovvero un sistema attivo di strutture capaci di autoaggiornarsi e
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organizzato in modo da rispecchiare il mondo nella sua continua trasformazione, un sistema
simbolico che può creare e manipolare i simboli stessi.
Le due diverse soluzioni:
Modularismo.
Per costituzione modulare si intende che la mente sia costituita da svariati moduli, ognuno dei quali
interessato all'elaborazione di un particolare processo; con ciò non si vuol dire però che tali moduli
siano fisicamente localizzati in maniera specifica nel cervello, ed è in questo senso, ad esempio, che
diciamo l'emisfero sinistro del cervello essere, nella maggior parte dei casi, la sede del linguaggio,
senza intendere né che tutto l'emisfero sinistro sia sede esclusiva del linguaggio, né che una zona
ben localizzata di tale emisfero sia la sola ad essere la sede del linguaggio.
Il modularismo della mente è un'idea propria del cognitivismo, (esposta esemplarmente da Jerry
Fodor neLa mente modulare [1983]), benché la storia della scienza presenti da lungo tempo ipotesi
sulla struttura della mente di questo genere.
Il concetto di rappresentazione mentale frutto di moduli che lavorano autonomamente, elaborando
informazioni “incapsulate informazionalmente”, e l'elaborazione sequenziale dei dati, sono la
caratteristica dell’approccio modulare.
Connessionismo.
Gli aspetti descritti nel modularismo vengono messi fortemente in crisi da un nuovo modo di
interpretare i processi mentali, basato su un nuovo modello computazionale che fa riferimento alla
teoria dei sistemi dinamici complessi.
Tale approccio allo studio della mente, e dei sistemi intelligenti in generale, è talmente diverso da
quello che abbiamo fin qui descritto da aver suscitato un dibattito sulla plausibilità o meno della
collocazione di questa nuova corrente, il connessionismo appunto, e di tutti i suoi numerosi derivati,
all'intero della scienza cognitiva.
La domanda che gli scienziati connessionisti si pongono è sempre la stessa, ovvero, cosa ci sia
dietro al comportamento ed alla vita mentale, ma non sono soddisfatti delle risposte che ricevono
dal cognitivismo e dalle simulazioni dell’intelligenza artificiale classica. Peraltro, l’idea che le
funzioni cognitive potessero essere studiate a partire dalle associazioni di processi elementari del
cervello non è cosa recente (dall’associazionismo classico alla teoria degli assembramenti neuronali
di Hebb).
A partire dalla complessità che caratterizza la realtà secondo questa nuova prospettiva possiamo
capire l’importanza dell’innovazione metodologica che si accompagna ad essa e che è quella
esemplificata all’inizio. Questa novità è la simulazione mediante il computer: un tipo di simulazione
diversa da quella che si propone l’intelligenza artificiale, dove si cercava di costruire sistemi che
imitassero, almeno negli esiti superficiali, i comportamenti di un ente intelligente. Per spiegare
questo concetto di simulazione ricorriamo nuovamente alle parole di Parisi: “…la simulazione cerca
di conoscere e di capire la realtà sintetizzandola, cioè mettendola insieme a partire dalle sue
componenti, riproducendola in un sistema artificiale….Il ricercatore mette dentro al computer le
componenti che secondo la sua teoria sono responsabili di un fenomeno e, facendo girare il
programma, osserva se da queste componenti emerge il fenomeno tutto intero”.
In altre parole, i metodi di ricerca e di simulazione che vengono utilizzati per studiare i fenomeni
complessi sono essi stessi delle riproduzioni computerizzate dei fenomeni che vengono studiati, in
modo da avere sotto controllo tutti gli elementi che noi riteniamo essere determinanti per quel
fenomeno, così, ad esempio, lo studio dei processi cognitivi nell’uomo diventa una riproduzione dei
fenomeni salienti che avvengono all’interno del cervello, cercando di riprodurre gli elementi che li
rendono possibili, i neuroni, ed i meccanismi del loro funzionamento.
Abbiamo visto come lo studio sull’uomo, dal punto di vista che stiamo esaminando, riconduca a
tante e diverse discipline ed è legittimo domandarsi come sia possibile studiare fenomeni così
disparati come quelli che riguardano la genetica, la biologia o la psicologia. Anche in questo caso
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l’approccio simulativo risulta il metodo d’elezione per esaminare e studiare fenomeni di questo
genere, semplificandoli e chiarendoli, almeno per certi versi. E’ in quest’ottica che, in questi
ultimissimi anni, vengono svolte le cosiddette simulazioni di vita artificiale.
La vita artificiale permette di studiare in maniera semplificata quei complessi fenomeni che vanno
dall’evoluzione di sistemi artificiali che, secondo principi darwinistici, aumentano la loro
adattabilità nei confronti dell’ambiente attraverso la selezione “naturale”, a strutture complesse di
genotipi che si sviluppano in fenotipi costituiti da un sistema nervoso e dotati di funzioni sensomotorie che permettono a tali organismi artificiali di muoversi ed adattarsi ai più disparati ambienti:
anche a quelli reali, qualora tali sistemi vengano implementati nel “cervello” di un robot ed in
effetti queste ricerche, applicate al campo della robotica, stanno dando buoni frutti, soprattutto nel
tentativo di comprendere come un robot possa orientarsi e reagire alle sollecitazioni di un ambiente
mutevole in maniera autonoma.
Il connessionismo afferma una nuova concezione del computer, non più fonte di ispirazione
analogica per i modelli della psicologia, ma, semplicemente, efficace mezzo di simulazione.
La mente disegnata dal connessionismo non è un elaboratore di simboli che cataloga e distingue, ma
una cosa molto più prossima a quello che sembra essere il reale funzionamento del cervello: un
sistema dinamico, completamente e continuamente interrelato, e capace di modificarsi
massicciamente in funzione dei suoi rapporti con l’ambiente. Mediante modelli connessionisti di
‘reti neurali’ si possono sviluppare organismi artificiali che si riproducono e migliorano grazie ad
una forma di selezione naturale: la strada per il “darwinismo neuronale” cui si è accennato all’inizio
è così aperta.
Considerazioni critiche: vita artificiale e complessita’
Riguardo alle ricerche sugli algoritmi genetici e la vita artificiale in generale, ed i loro rapporti con
l’evoluzionismo e la biologia le opinioni della comunità scientifica sono contrastanti.
Se, da un lato, c’è chi accoglie con favore la possibilità, offerta dalla vita artificiale, di studiare
l’emergere di comportamenti intelligenti a partire da una semplice organizzazione autonoma della
materia, da un altro c’è chi non è convinto del carattere altamente riduzionistico implicito in tali
modelli di simulazione.
Le critiche, a tal proposito, giungono da più parti, tanto nell’ambito psicologico, quanto da quello
filosofico, e sono di varia natura. C’è chi resta perplesso di fronte ai riferimenti darwinistici,
sostenendo, ad esempio, che l’interazione fra organismo e ambiente, riscontrabile in natura, è molto
più complessa di quella che è possibile riprodurre nelle simulazioni, che, effettivamente, non
tengono conto di molti fattori tra cui:
1) la competizione riproduttiva presente tra gli individui di una stessa specie;
2) le mutevoli ed inafferrabili influenze reciproche operate dalle numerosissime specie viventi che
condividono, a vari livelli, lo stesso habitat ecologico;
3) la semplificazione implica nel ridurre il comportamento ad una interazioni di elementi
materiali, prescindendo dai metodi classici della psicologia sperimentale.
4) la metodologia seguita esclude le componenti emozionali e psico-corporee che sono invece
essenziali per la dinamiche relazionali (a meno di non ricadere in quello che Damasio, 1994, ha
chiamato “l’errore di Cartesio”)
Le teorie dello sviluppo caotico (Bocchi e Ceruti, 1984, 1993) evidenziano bene questi problemi
connessi alla complessità evoluzionistica.
In ultima analisi le critiche ne sottendono una assai più generale, che accusa la vita artificiale di
eccessivo riduzionismo nella sua ricerca delle basi evolutive e neurobiologiche del comportamento,
rifiutando, in generale, l’accostamento di sistemi tanto diversi (quali il sistema nervoso biologico e
le reti neurali, ad esempio) sotto il comune denominatore dei sistemi complessi.
A partire da questa considerazione, si conclude affermando la sostanziale ininfluenza dei risultati
delle simulazioni nei confronti dei sistemi biologici, restringendo, di fatto, il campo delle ricerche al
solo ambito delle scienze dell’artificiale, senza attribuire ad esse un valore conoscitivo più
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generale. In altre parole, non sarebbe possibile estendere i risultati delle simulazioni nell’ambito più
generale della psicobiologia (a cui farebbero riferimento) a causa dell’incapacità di questi modelli
di cogliere il reale nesso fra le varie componenti dei sistemi che pretenderebbero di simulare e
perché, soprattutto per gli psicologi, risulta semplicistico cercare solo nella biologia le radici del
comportamento.
Per concludere: alcune proposte
Al fine di studiare adeguatamente le complesse tematiche accennate è necessaria una reale
interdisciplinarietà, come peraltro prevede il cosiddetto ‘esagono’ delle scienze che compongono la
scienza cognitiva: filosofia, psicologia, linguistica, antropologia, neuroscienze e scienze dei
computer.
E’ necessario inoltre avvalersi di metodi diversi capaci di cogliere più direttamente e ‘molarmente’
la complessità, riducendo il riduzionismo eccessivo.
Come ha affermato Parisi (1991), “il comportamento e la vita mentale non possono essere “ridotte”
alle cellule nervose, alle componenti del corpo e ai geni, in quanto il comportamento e la vita
mentale sono proprietà emergenti di sistemi complessi di cui le cellule nervose, le singole parti del
corpo e i geni sono le componenti. Come nel caso di tutti i sistemi complessi, non è possibile
prevedere o dedurre le caratteristiche del comportamento e della vita mentale conoscendo queste
componenti e le loro interazioni”.
La critica che si può fare ai modelli di vita artificiale è la stessa che l’ecologismo faceva al
cognitivismo di laboratorio e dell’analogia mente-computer: trascurare la complessità della realtà
che esiste fuori dal laboratorio (in questo caso, della simulazione).
La complessità esige modelli esplicativi e interpretativi adeguati alla complessità medesima, e lo
studio dell’uomo non può che rispecchiare, senza artificializzazioni e riduzioni eccessive, questa
esigenza.
Lo studio della realtà complessa implica una riduzione della complessità. Ricordava Veil (1986)
“non c’è rigore senza riduzione”, chiedendosi subito dopo: quale riduzione è indispensabile? quale è
tollerabile? fino a che punto essa può procedere senza rischiare di distruggere il suo oggetto? Evidentemente va trovato un punto di equilibrio che consenta uno studio rigoroso ma al tempo stesso
non limitativo della struttura e delle funzioni della mente e della loro evoluzione filogenetica ed
ontogenetica.
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