A due anni dalla morte. In ricordo di Vittorio Caloni

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A due anni dalla morte. In ricordo di Vittorio Caloni
Sergio Castrucci
A due anni dalla morte. In ricordo di Vittorio Caloni
Quel pomeriggio di giugno di due anni fa, chi venne a salutarlo per l’ultima volta ebbe la
percezione fisica, quasi aritmetica di quanto la gente lo amasse: amici, conoscenti, colleghi,
collaboratori, ex-pazienti. Tanti, tantissimi; neppure il Duomo avrebbe potuto contenerli tutti. Ma
non fu in Duomo che si celebrò il rito dell’addio a Vittorio Caloni, primario di chirurgia all’ospedale
Civile di Arezzo, morto a 66 anni di quel male innominabile e maledetto contro il quale si era
battuto per tutta la sua vita professionale. Non fu in Duomo ma nella chiesa del convento dei
Cappuccini, chiesa meno sontuosa e più raccolta cui Vittorio era legato fin da quando, ragazzo,
entrò a far parte di quella comunità guidata da Padre Luigi in cui si pregava e si commentavano
brani del Vangelo ma che era anche fortemente impegnata nell’assistenza ai poveri di Arezzo. La
chiesa dei Cappuccini era anche il luogo ove la bella ragazza bruna con cui si sarebbe poi sposato
l’aveva visto per la prima volta. Quella ragazza bruna, ancora bella, era lì come a chiudere un
cerchio: in quella stessa chiesa, ora, lo salutava per l’ultima volta. Padre Luigi diceva messa; un
brano dal Vangelo di Giovanni, uno dalla Lettera ai Romani, uno dall’Apocalisse. E ricordò a tutti
cose che tutti conoscevano bene: i valori umani di Vittorio, il suo impegno familiare e
professionale, religioso e civile.
Fuori dalla chiesa, i tanti che non erano potuti entrare si erano raggruppati in piccoli
assembramenti.
Lì fuori si celebrava un altro tipo di liturgia, meno solenne ma non meno sentita, l’evocazione dei
ricordi personali.
Molti dei presenti recavano sulla pelle le tracce di un
suo provvido intervento: cinque punti alla nuca, una
cicatrice su un braccio, un taglio sulla pancia. E chi ne
riferiva, al di là delle valutazioni di merito, non
tralasciava di raccontare aneddoti e battute che
accompagnavano sempre i suoi passaggi. Nessuno
aveva dimenticato che Vittorio era un chirurgo di
prim’ordine, sempre disponibile e generoso, un
amico sollecito e rassicurante. Ma Vittorio era anche
un uomo simpatico e divertente. Teneva sempre in
canna l’ultima barzelletta ed era di quelli che la stessa
barzelletta ve la possono raccontare cinque volte e
farvi ridere ogni volta. Molti occhi lucidi, dunque, ma
anche sorrisi, seppur malinconici, lì nel boschetto di
improbabili abeti proprio di fronte alla chiesa. Già, la
chiesa e il bosco del “convento dei Cappuccini”;
tornava alla memoria “L’aquilone” quella vecchia
poesia del Pascoli che abbiamo tutti studiato da
ragazzi. Perché anche qui si piangeva la morte di un
amico perduto troppo presto, Vittorio, un ragazzo di
66 anni.