primo cap_Paddington

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primo cap_Paddington
Michael Bond
UN ORSO DI NOME PADDINGTON
PER PIACERE, ABBIATE CURA
DI QUESTO ORSO
signori Brown videro Paddington per la prima volta in una stazione ferroviaria. È per questo
motivo che gli è toccato un nome così insolito per un orso: perché si trattava della stazione di
Paddington.
I Brown erano in attesa della figlia, Judy, di ritorno a casa da scuola per le vacanze. Era una
calda giornata estiva e la stazione era piena di gente diretta al mare. I treni borbottavano, gli
altoparlanti strillavano e i facchini correvano gridando qua e là; c’era insomma un tale chiasso che
il signor Brown, che lo aveva visto per primo, dovette ripeterlo alla moglie più d’una volta prima di
riuscire a farle capire cosa le stesse dicendo.
«Un orso? Qui, nella stazione di Paddington?» La signora Brown guardò sbalordita il marito.
«Che assurdità, Henry. È impossibile!»
Il signor Brown si aggiustò meglio gli occhiali. «Invece è proprio così» insisté. «L’ho visto bene.
È laggiù, vicino alla rastrelliera delle biciclette. E ha in testa un cappello buffo.»
Senza aspettare risposta, prese la moglie per un braccio e la trascinò tra la folla, aggirando un
carrello carico di cioccolata e tazze di tè, passando oltre un’edicola, sgusciando fra pile di valigie e
fino all’ufficio Oggetti Smarriti.
«Eccolo!» annunciò trionfante, indicando un angolo buio. «Che t’avevo detto?»
La signora Brown seguì la direzione del suo dito e fra le ombre distinse confusamente una
creatura piccola e pelosa che sembrava seduta su una valigia e aveva al collo un cartellino con
scritto sopra qualcosa. La valigia era vecchia e malconcia, e su un lato c’era scritto in lettere
maiuscole: BAGAGLIO APPRESSO.
La signora Brown si strinse al marito. «Henry!» esclamò. «Avevi ragione. È proprio un orso!»
Lo guardò meglio. Sembrava un orso di una specie insolita. Era marrone, un marrone piuttosto
sporco, e come aveva detto il signor Brown, aveva in testa uno strano cappello a tesa larga. Da
sotto la tesa, due grandi occhi rotondi ricambiarono lo sguardo della signora Brown.
Intuendo che ci si aspettava qualcosa da lui, l’orso si alzò e si tolse educatamente il cappello,
mettendo in mostra due orecchie nere. «Buon pomeriggio» disse con voce acuta, chiara.
«Oh… buon pomeriggio» replicò dubbioso il signor Brown. Seguì un breve silenzio.
L’orso li fissò con aria interrogativa. «Posso esservi d’aiuto?»
«Be’… no» rispose imbarazzato il signor Brown. «A dire il vero, ci chiedevamo se potevamo
esserti d’aiuto noi.»
La signora Brown si chinò su di lui. «Sei un orso molto piccolo» osservò.
L’orso gonfiò il petto. «Sono una specie rarissima di orso» la informò fiero. «Non siamo rimasti
in molti, là da dove vengo.»
«E da dove vieni?» chiese la signora Brown.
Prima di rispondere, l’orso si guardò intorno con aria cauta. «Dal Misterioso Perù. In effetti non
dovrei essere qui. Sono un clandestino!»
«Un clandestino?» Il signor Brown abbassò la voce e si guardò ansioso alle spalle, quasi si
aspettasse di trovarci un poliziotto munito di taccuino e matita che annotava ogni parola.
«Sì» disse l’orso. «Sono emigrato, sa.» I suoi occhi presero un’espressione triste. «Prima stavo
I
con zia Lucy in Perù, ma poi lei è dovuta andare in una casa di riposo per orsi.»
«E sei venuto dal Sud America tutto solo?» esclamò la signora Brown.
L’orso annuì. «Zia Lucy diceva sempre che da grande avrei fatto meglio a emigrare. Perciò mi
ha insegnato le lingue.»
«Ma per mangiare come hai fatto?» chiese il signor Brown. «Sarai affamato!»
L’orso si chinò, aprì la valigia con una chiavetta che teneva appesa al collo e tirò fuori un
barattolo di vetro quasi vuoto. «Ho mangiato marmellata d’arance» rispose fiero. «Noi orsi
abbiamo un debole per la marmellata d’arance. E sono rimasto nascosto dentro una scialuppa di
salvataggio.»
«E ora che cosa hai intenzione di fare?» chiese il signor Brown. «Non puoi restartene seduto
qui alla stazione di Paddington ad aspettare chissà che.»
«Oh, me la caverò… credo.» L’orso si chinò per chiudere di nuovo la valigia e mentre lo faceva,
la signora Brown riuscì a leggere la scritta sul cartellino che aveva appeso al collo. Diceva
semplicemente: PER PIACERE, ABBIATE CURA DI QUESTO ORSO. GRAZIE.
«Oh, Henry!» La signora Brown si voltò supplichevole verso il marito. «Che facciamo? Non
possiamo lasciarlo qui. Potrebbe succedergli di tutto. Londra è un posto così grande, se non sai
dove andare. Non potrebbe venire a stare da noi per un po’?»
Il signor Brown esitò. «Mary, mia cara, non possiamo prenderlo e portarlo via così… In fin dei
conti…»
«In fin dei conti, cosa?» Nella voce della signora Brown risuonò una nota ferma. Guardò l’orso.
«È così dolce. E farebbe compagnia a Jonathan e Judy. Anche solo per pochi giorni. Non ci
perdonerebbero mai, se sapessero che hai voluto lasciarlo qui.»
«Sembra tutto molto irregolare» disse dubbioso il signor Brown. «Sono sicuro che c’è una
qualche legge al riguardo.» Si chinò sul piccolo orso. «Ti piacerebbe venire a stare da noi?»
chiese. «Cioè» si affrettò ad aggiungere, per non rischiare di offenderlo «sempre che tu non abbia
altri programmi.»
L’orso fece un saltello eccitato e il cappello quasi gli cadde dalla testa. «Oooh, sì, per favore. Mi
piacerebbe moltissimo. Non ho un posto dove andare e tutti sembrano avere tanta fretta.»
«Bene, in tal caso è deciso» disse la signora Brown, prima che il marito potesse cambiare idea.
«Avrai marmellata d’arance a colazione tutte le mattine e…» Si sforzò di farsi venire in mente
qualcos’altro che potesse piacere agli orsi.
«Tutte le mattine?» L’orso aveva l’aria di chi non riesce a credere alle proprie orecchie. «A casa
la mangiavo solo nelle occasioni speciali. Nel Misterioso Perù la marmellata d’arance costa un
sacco.»
«A partire da domani l’avrai tutte le mattine a colazione» ribadì la signora Brown. «E miele la
domenica.»
L’orso assunse un’espressione preoccupata. «Costerà molto?» chiese. «Il fatto è che non ho
molti soldi.»
«Certo che no. Non ci sogneremmo mai di farti pagare. Vogliamo farti sentire uno di famiglia,
vero, Henry?» La signora Brown guardò il marito in cerca di una conferma.
«Sicuro» disse il signor Brown. «A proposito» aggiunse «dal momento che verrai a casa con
noi, sarà meglio che tu sappia come ci chiamiamo. Lei è la signora Brown e io sono il signor
Brown.»
L’orso si tolse educatamente il cappello, due volte. «Io non ce l’ho un nome» disse. «Cioè, ne
ho soltanto uno peruviano che nessuno riesce a capire.»
«In tal caso sarà meglio dartene uno inglese» disse la signora Brown. «Per rendere le cose più
facili.» Si guardò attorno in cerca d’ispirazione. «Dev’essere un nome speciale» disse pensierosa.
Mentre parlava, una locomotiva lanciò un fischio assordante e un treno si mise in moto. «Ho
trovato!» esclamò. «Dato che ti abbiamo trovato nella stazione di Paddington, è così che ti
chiameremo: Paddington!»
«Paddington.» Per essere sicuro di ricordarselo, l’orso ripeté il nome più volte. «È un nome
molto lungo.»
«Ha un suono decisamente distinto» disse il signor Brown. «Sì, mi piace. È un bel nome,
Paddington. E Paddington sia.»
La signora Brown si raddrizzò. «Bene. Ora, Paddington, devo andare ad aspettare il treno di
nostra figlia, Judy, che sta tornando a casa da scuola. Dopo un viaggio così lungo sarai di sicuro
assetato, quindi sarà meglio che tu vada al bar della stazione insieme al signor Brown e lui ti offrirà
una bella tazza di tè.»
Paddington si leccò le labbra. «In effetti ho sete» ammise. «È l’effetto dell’acqua di mare.»
Prese la valigia, si calcò il cappello sulla testa e accennò educatamente con una zampa in
direzione del bar. «Dopo di lei, signor Brown.»
«Oh… grazie, Paddington» disse il signor Brown.
«Da bravo, Henry, abbi cura di lui» gli raccomandò la signora Brown. «E per l’amor del cielo,
appena hai un momento, staccagli quel cartellino dal collo. Lo fa sembrare un pacco. Poco ma
sicuro, se lo vede un facchino, lo infila in un bagagliaio o roba del genere.»
Quando entrarono, il bar era affollato, ma il signor Brown riuscì a trovare un tavolo per due in un
angolo. Stando in piedi sulla sedia, Paddington era in grado di appoggiare comodamente le zampe
sul ripiano di vetro. Mentre il signor Brown andava a ordinare il tè, l’orso si guardò attorno
interessato. Vedere tanta gente che mangiava gli ricordò quanta fame aveva. Sul tavolo era
rimasto un panino smangiucchiato, ma aveva appena teso una zampa per prenderlo, quando una
cameriera si avvicinò e lo gettò su un vassoio.
«Non vorrai mangiare questo, carino» gli disse, dandogli una pacca amichevole. «Va’ a sapere
dov’è stato.»
Paddington aveva la pancia così vuota che non gli importava dove fosse stato il panino, però
era troppo educato per protestare.
«Allora, Paddington» disse il signor Brown, mentre posava sul tavolo due tazze fumanti di tè e
un vassoio strapieno di dolci. «Che te ne pare?»
A Paddington brillarono gli occhi. «Ottimo, grazie» esclamò. Guardò dubbioso il tè. «Per me
però è difficile bere dalla tazza. Di solito mi ci si incastra la testa, o mi casca dentro il cappello e gli
dà un saporaccio.»
Il signor Brown esitò. «In tal caso sarà meglio che tu ti tolga il cappello. E ti verserò il tè in un
piattino. Non andrebbe fatto negli ambienti più raffinati, ma sono sicuro che per una volta nessuno
avrà da ridire.»
Paddington si tolse il cappello e lo posò con cura sul tavolo, mentre il signor Brown versava il
tè. Poi lanciò un’occhiata avida alle paste, in particolare a quella con panna e marmellata che il
signor Brown gli aveva messo nel piatto.
«Tieni, Paddington» gli disse il signor Brown. «Purtroppo non ne avevano alla marmellata
d’arance. Questo è il meglio che sono riuscito a trovare.»
«Sono proprio contento d’essere emigrato» disse Paddington, allungando una zampa e
avvicinandosi il piatto. «Pensa che qualcuno avrà da obiettare, se salgo sul tavolo?»
Prima che il signor Brown facesse in tempo a rispondergli, si arrampicò sul tavolo e piazzò
deciso la zampa destra sulla pasta. Era una grossa pasta, la più grossa e appiccicosa che il signor
Brown fosse riuscito a trovare, e nel giro di pochi secondi la maggior parte del contenuto era finito
sui baffi di Paddington. Gli altri clienti del bar cominciarono a darsi di gomito e a lanciare occhiate
nella loro direzione. Il signor Brown iniziava a pentirsi di non avere scelto una pasta più semplice,
più normale, ma non ne sapeva granché, delle abitudini degli orsi. Mescolò il suo tè e guardò fuori
dalla finestra, facendo finta che prendere il tè insieme a un orso nella stazione di Paddington fosse
per lui cosa di tutti i giorni.
«Henry!» La voce della moglie lo fece trasalire, riportandolo alla realtà. «Henry, che hai fatto a
quel povero orso? Ma guardalo! È ricoperto di panna e marmellata da capo a piedi.»
Il signor Brown scattò in piedi, imbarazzato. «Aveva molta fame» rispose in tono poco convinto.
La signora Brown si voltò verso la figlia. «Ecco che cosa succede quando lascio solo tuo padre
per cinque minuti.»
Judy batté le mani eccitata. «Oh, papà, davvero verrà a stare da noi?»
«Se lo farà» disse la signora Brown «è chiaro che non potrà essere tuo padre a prendersene
cura. Basta guardare in che condizioni lo ha ridotto!»
Paddington, che era troppo preso dalla sua pasta per accorgersi di quel che gli succedeva
attorno, si rese conto di colpo che si parlava di lui. Alzò lo sguardo e vide che insieme alla signora
Brown c’era una ragazzina con ridenti occhi azzurri e lunghi capelli biondi. Scattò in piedi con
l’intenzione di togliersi il cappello, ma nella fretta scivolò su un grumo di marmellata di fragole finito
chissà come sul ripiano di vetro del tavolino. Per un momento ebbe l’impressione vertiginosa che
tutto e tutti fossero a testa in giù. Agitò le zampe all’impazzata e prima che qualcuno potesse
afferrarlo, fece una capriola all’indietro e atterrò fra gli schizzi nel piattino pieno di tè. Scattò su
perfino più velocemente di quanto fosse atterrato, perché il tè era ancora caldo, e mise subito una
zampa nella tazza del signor Brown.
Judy gettò indietro la testa e rise fino alle lacrime. «Oh, mamma, com’è buffo!» esclamò.
Paddington, che non ci trovava proprio niente di buffo, rimase per un momento con una zampa
sul tavolo e l’altra nel tè del signor Brown. Aveva il muso cosparso di chiazze di panna e un
bioccolo di marmellata di fragole sull’orecchio sinistro.
«Sembra incredibile» commentò la signora Brown, «che ci si possa ridurre in un simile stato
con un’unica pasta.»
Il signor Brown tossicchiò. Aveva appena incrociato lo sguardo severo della cameriera dietro il
bancone. «Forse faremmo meglio ad andare» suggerì. «Vado a vedere se trovo un tassì.» Afferrò i
bagagli di Judy e si precipitò fuori.
Paddington scese cauto dal tavolo, e con un ultimo sguardo ai rimasugli appiccicosi della pasta,
saltò sul pavimento.
Judy lo prese per la zampa. «Vieni, Paddington. Ora ti portiamo a casa e potrai fare un bel
bagno caldo. E dopo devi raccontarmi tutto del Sud America. Sono sicura che avrai avuto un sacco
di avventure fantastiche.»
«Eccome» disse Paddington. «Tantissime. A me succede sempre qualcosa. Sono un orso fatto
così.»
Quando uscirono dal bar della stazione, il signor Brown aveva già trovato un tassì e fece loro
cenno di raggiungerlo. Il tassista guardò prima Paddington e poi l’interno bello lustro del tassì.
«Gli orsi pagano extra» brontolò. «E quelli appiccicosi pagano doppio.»
«Non è colpa sua, se è appiccicoso» disse il signor Brown. «Ha appena avuto un brutto
incidente.»
Il tassista esitò. «E va bene, saltate su. Però mi raccomando, che quella roba non finisca sui
sedili. Li ho puliti giusto stamattina.»
Obbedienti, i Brown occuparono il sedile posteriore del tassì. O meglio: il signore e la signora
Brown e Judy si sedettero, mentre Paddington si mise ritto sul seggiolino pieghevole dietro al
tassista per poter guardare fuori dal finestrino.
Il sole splendeva, quando il tassì uscì dal parcheggio della stazione, e dopo il buio e il chiasso,
ogni cosa sembrava luminosa e allegra. Mentre superavano una fila di gente in attesa alla fermata
dell’autobus, Paddington agitò la zampa in un cenno di saluto. Parecchi lo guardarono a bocca
aperta e un tizio lo ricambiò togliendosi il cappello. Il mondo intero aveva un aspetto cordiale.
C’erano tante cose da vedere, dopo essere rimasto seduto da solo per settimane in una scialuppa
di salvataggio. Gente e automobili e grandi autobus rossi dappertutto… Niente a che vedere col
Misterioso Perù.