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Sommario 冟 1. Generalità. - 2. Circostanze ed elementi costitutivi specializzanti: criteri
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di individuazione. - 3. Classificazione delle circostanze. - 4. Le circostanze
aggravanti comuni. - 5. Le circostanze attenuanti comuni. - 6. Le circostanze attenuanti generiche dopo la cd. legge «ex Cirielli». - 7. La valutazione
delle circostanze e la rilevanza dell’errore a seguito della legge 7-2-1990 n.
19. - 8. Le circostanze in caso di errore sulla persona dell’offeso. - 9. Concorso di circostanze. Giudizio di equivalenza o prevalenza. - 10. La finalità
di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico come circostanza aggravante e deroghe codicistiche e legislative al giudizio di equivalenza o
prevalenza. - 11. L’aggravante di cui all’art. 7, D.L. 152/91: il «metodo mafioso» e l’agevolazione delle attività mafiose.
RIFERIMENTI NORMATIVI: C.p., artt. 60, 61, 62, 62bis, 70, 112, 114, 118
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1. Generalità
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Nella struttura del reato si distinguono elementi essenziali (i quali cioè non possono
mai mancare) ed elementi accidentali od accessori, che incidono sulla gravità del
reato e determinano una variazione qualitativa e/o quantitativa della pena.
La loro presenza trasforma il reato da semplice in «circostanziato».
La «ratio essendi» delle circostanze va individuata nell’esigenza di adeguare la pena
al reale disvalore del fatto.
Accanto ad un vasto sistema di circostanze tipiche o definite, espressamente individuate dalla legge nei loro elementi costitutivi (ad esempio, artt. 61 e 62), sono previste
anche circostanze indefinite o innominate, la cui individuazione è rimessa alla discrezionalità del giudice. Tali sono, ad esempio, le cd. attenuanti generiche (art. 62bis) e
quelle previste da singole norme che dispongono una diminuzione di pena ove il «fatto
sia di lieve entità», ovvero un aggravamento «nei casi più gravi», o di «particolare
gravità».
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2. Circostanze ed elementi costitutivi specializzanti: criteri di individuazione
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Importante, anche dal punto di vista pratico, è stabilire se un determinato elemento
debba considerarsi elemento costitutivo o circostanza, attesa la diversa disciplina giuridica riservata agli elementi costitutivi del reato ed alle circostanze.
Nella maggior parte dei casi, la natura circostanziale di tali elementi risulta in maniera
univoca dalla stessa formulazione legislativa.
Quando però le indicazioni testuali non esistono o sono insufficienti, è necessario ricorrere ad altri criteri esegetici e logici.
Gli elementi circostanzianti debbono essere in rapporto di «species» a «genus» con i
corrispondenti elementi della fattispecie semplice in modo da costituirne una specificazione: il reato circostanziato, quindi, contiene tutti gli elementi della fattispecie del
reato semplice, con l’aggiunta di uno o più requisiti specializzanti. Ad esempio, «le
cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o esposte per necessità... alla pubblica
fede» (art. 625) non sono che species del genere «cosa mobile» (che costituisce l’oggetto materiale del furto: art. 624).
Ciò detto, non devono dunque, considerarsi circostanze:
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— gli elementi essenziali del reato (esempio : le cause, impropriamente denominate circostanze,
che escludono l’antigiuridicità);
— gli elementi che, aderendo ad un modello di reato, determinano un mutamento del titolo dello
stesso (esempio : la violenza che trasforma il furto in rapina);
— il concorso di persone nel reato, che non aggrava l’entità del reato-tipo, ma estende ai concorrenti la responsabilità;
— il tentativo rispetto al reato consumato; il tentativo influisce sul grado, non sulla quantità del
delitto; inoltre le circostanze rappresentano sempre un quid pluris nei confronti della figura
tipica del reato, mentre nel tentativo si ha qualche cosa di meno.
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Malgrado la dizione dell’art. 70, si ritiene (ANTOLISEI) che determinate situazioni personali (imputabilità, recidiva) non possono ritenersi circostanze in senso tecnico in quanto sono qualificazioni
giuridiche del soggetto, e non vere e proprie circostanze del reato.
Stabilire se l’elemento specializzante funga da circostanza (es.: 588 cpv. lesioni derivate da rissa)
oppure da elemento costitutivo di un reato autonomo (es.: 336 cpv. violenza a P.U.) assume particolare
rilievo in relazione alla determinazione della pena a seguito dell’estensione del giudizio di comparazione (art. 69) a tutte e solo le circostanze, attuato dal D.L. 11-4-1974, n. 99, conv. in L. 7-6-1974, n.
220, art. 6. Quando, infatti, l’elemento aggiuntivo non ha funzione di circostanza ma di elemento costitutivo, la sua incidenza sulla pena non può essere neutralizzata mediante il giudizio di comparazione.
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3. Classificazione delle circostanze
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Le circostanze si distinguono in:
a) comuni e speciali, a seconda che siano previste per tutti i reati con cui non siano
incompatibili, oppure per uno o più reati determinati: le circostanze comuni sono
indicate dagli artt. 61, 62, 62bis e, per il concorso di persone, dagli artt. 112 e 114,
quelle speciali nella parte speciale del codice penale e nelle singole leggi speciali;
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b) aggravanti e attenuanti, a seconda che comportino un aumento o una diminuzione della pena prevista per il reato semplice;
c) oggettive e soggettive: sono oggettive le circostanze che concernono:
— la natura, l’oggetto, la specie, i mezzi, il tempo, il luogo e ogni altra modalità
dell’azione;
— la gravità del danno o del pericolo derivante dal reato;
— le condizioni o le qualità personali dell’offeso.
Sono soggettive quelle che riguardano:
— l’intensità del dolo o il grado della colpa;
— le condizioni o le qualità personali del colpevole;
— i rapporti tra il colpevole e l’offeso;
d) antecedenti (es.: art. 61, n. 3), concomitanti (es.: art. 61, n. 4) e susseguenti (es.:
art. 62, n. 6), a seconda che precedano, accompagnino o seguano la condotta del
soggetto agente;
e) intrinseche ed estrinseche: circostanze intrinseche sono quelle che attengono alla condotta
illecita (es.: avere adoperato sevizie); estrinseche sono quelle estranee alla esecuzione e
consumazione del reato, consistenti in fatti successivi, e che attengono più strettamente alla
capacità a delinquere (es.: avere aggravato le conseguenze del delitto: art. 61, n. 8);
f) ad efficacia comune e speciale: sono ad efficacia comune quelle circostanze che
comportano un aumento o una diminuzione della pena fino ad un terzo di quella
prevista per il reato-base (es.: quelle previste dagli artt. 63, comma 1, 64 e 65); ad
efficacia speciale quelle per le quali la legge stabilisce pene di specie diversa da
quella ordinaria del reato;
g) ad effetto speciale: sono quelle circostanze le quali importano un aumento od una
diminuzione della pena superiore ad un terzo.
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Tale categoria è stata introdotta dalla L. 31-7-1984, n. 400 che, con l’art. 5, ha modificato il comma
3 dell’art. 63 fornendo la definizione di circostanze ad effetto speciale. La natura di circostanze ad
effetto speciale incide sulla determinazione della competenza del giudice (art. 4 c.p.p.) ed in tema
di misure cautelari coercitive (art. 278 c.p.p.).
4. Le circostanze aggravanti comuni
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L’articolo 61 prevede le seguenti circostanze aggravanti comuni:
1. L’aver agito per motivi abietti o futili (art. 61 n. 1)
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Per motivo abietto si intende quello turpe, ignobile, che rivela nell’agente un grado tale di
perversità da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità,
nonché quello spregevole o vile, che provoca ripulsione ed è ingiustificabile per l’abnormità di
fronte al sentimento umano (Cass. 13-2-2006, n. 5448).
È futile ogni qual volta vi sia enorme sproporzione tra il motivo e l’azione delittuosa in base ad
un giudizio valutativo medio proprio anche dei delinquenti: ad es. il reato commesso solo per
dar sfogo alla propria prepotenza teppistica (Cass. 25-10-1974, Cass. 6-12-1994, n. 12264).
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La circostanza in esame è soggettiva.
Essa è incompatibile col vizio parziale di mente ( contra Cass. 23-11-1970), con la minore età,
con l’ubriachezza e con la provocazione.
Naturalmente non è compatibile con i reati colposi, nei quali manca un motivo a delinquere.
Si ritiene che il giudizio sulla futilità del motivo non può essere riferito ad un comportamento
medio difficilmente definibile, ma deve tener conto della fattispecie concreta, «delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, nonché del contesto sociale in cui si è verificato l’evento
e dei fattori ambientali che possono aver condizionato la condotta criminosa» (Cass. 16-41999, n. 4819).
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2. L’aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per
conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto, il profitto o il prezzo ovvero
l’impunità di un altro reato (art. 61 n. 2)
Si tratta di due distinte ipotesi:
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a) Connessione teleologica: si ha quando il reato è commesso per eseguirne un altro.
Nella connessione teleologica si riscontrano due reati, il reato-mezzo ed il reato-fine. Per la
sussistenza dell’aggravante non è richiesto che il reato-fine sia effettivamente commesso,
bastando che esso sia presente, nella mente dell’agente, con chiarezza tale da consentire
l’identificazione della sua fisionomia (Cass. 5/2/1971). Se il reato-fine è commesso, l’agente
risponderà di entrambi i reati in concorso con l’aggravante in esame (l’aggravante, naturalmente, inerisce al reato-mezzo e non al reato-fine). Per la sussistenza dell’aggravante è
irrilevante la eventuale non punibilità del reato-fine a seguito di estinzione dello stesso.
L’aggravante è stata ritenuta sussistente nelle seguenti ipotesi:
— lesioni personali commesse per realizzare una rapina impropria;
— falso in scrittura privata commesso al fine di realizzare una truffa;
— guida senza patente al fine di rubare l’autovettura.
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Discussa è la sopravvivenza della figura alla novella apportata nel 1974 in tema di reato
continuato.
Per la compatibilità tra aggravante teleologica e applicazione della continuazione, si è
espressa la giurisprudenza più recente (Cass. 5-4-1996, n. 3442) secondo la quale, se è
vero che normalmente il nesso teleologico è sintomo anche di identità del disegno criminoso, non è sempre vero il contrario, visto che il nesso teleologico è caratterizzato dalla
strumentalità di un reato rispetto ad un altro «alla cui esecuzione od al cui occultamento il primo è preordinato», a differenza del vincolo della continuazione.
b) Connessione conseguenziale: si ha quando il reato è commesso al fine di occultarne un
altro o per assicurare, a sé o ad altri, il prezzo, il prodotto, il profitto o l’impunità di un altro reato.
«Prodotto» del reato sono le cose derivate direttamente dal reato (es.: la refurtiva). «Profitto» del reato è qualsiasi vantaggio, patrimoniale e non, diverso dal prodotto, che il soggetto abbia tratto dal reato. «Prezzo» del reato sono tutti i beni dati o promessi al soggetto
affinché commetta il reato. «Impunità», infine, è la sottrazione alle conseguenze processuali e sostanziali derivanti da un reato.
La circostanza ha natura soggettiva.
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3. L’avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’evento (art. 61 n. 3)
È, questa, la cd. colpa cosciente. In tale ipotesi, rispetto alla mera causazione dell’evento in
conseguenza di condotta negligente o contraria a norme formali di condotta, sussiste un quid
pluris rappresentato dal fatto che l’evento deve essere previsto come conseguenza possibile
dell’inosservanza della regola di condotta.
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Ed è proprio tale momento rappresentativo dell’evento l’aspetto che accomuna la figura soggettiva della colpa cosciente a quella del dolo eventuale. Il «discrimen», tuttavia, fra la configurazione dolosa e quella colposa consiste nel fatto che mentre chi agisce con dolo eventuale accetta il rischio del verificarsi dell’evento, chi agisce con colpa con previsione, pur prevedendo anch’egli l’evento come conseguenza possibile della sua condotta, agisce nella sicura
fiducia che esso non si verifichi, ritenendo di poterlo evitare in virtù della propria abilità personale o per l’intervento di altri fattori esterni (in tal senso Cass. 7-4-1989, n. 4912).
Nella colpa con previsione può dirsi che la verificabilità dell’evento resta un’ipotesi astratta che
nella coscienza dell’autore non viene concepita come concretamente realizzabile e, pertanto,
non è in alcun modo voluta (in tal senso Cass. 27-1-1996, n. 832).
Non sussiste, dunque, in tale ultima ipotesi, alcuna accettazione del rischio, ma anzi, può dirsi
pienamente sussistente quella «controvolontà» rispetto all’evento lesivo che caratterizza tipicamente la colpa (in tal senso, MANTOVANI).
Tale circostanza, come dice l’articolo, è limitata ai soli delitti; essa ha natura soggettiva riguardando il grado della colpa.
4. L’aver adoperato sevizie, o l’aver agito con crudeltà verso le persone (art. 61 n. 4)
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«Adoperare sevizie» significa infliggere sofferenze fisiche o morali, con mezzi tormentosi che
non sono necessari per commettere il reato.
«Agire con crudeltà» significa dimostrare, per i mezzi usati o per le modalità esecutive dell’azione criminosa, una assoluta mancanza di sentimenti umanitari.
Tale circostanza ricorre, dunque, quando le modalità della condotta esecutiva di un delitto
rendono evidente la volontà di infliggere alla vittima un patimento ulteriore rispetto al mezzo
che sarebbe nel caso concreto sufficiente ad eseguire il reato, rivelando in tal modo, per la loro
superfluità rispetto al processo causale, una particolare malvagità del soggetto agente (in tal
senso Cass. 28-9-2006, n. 32006).
La circostanza è soggettiva (in quanto esprime una maggiore pericolosità dell’agente), ed è
compatibile col vizio parziale di mente e con l’attenuante della provocazione, mentre si ritiene
incompatibile col vizio totale di mente.
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5. L’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa (art. 61 n. 5)
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«Profittare» significa avvantaggiarsi intenzionalmente di una condizione favorevole, sia essa
casuale o provocata dallo stesso soggetto.
Per la sussistenza dell’aggravante non occorre che la difesa sia quasi o del tutto impossibile,
ma è sufficiente che essa sia semplicemente ostacolata.
Circostanze di tempo o di luogo sono quelle che si riferiscono alla particolare situazione temporale o ambientale (ora notturna, pubblica calamità etc.) in cui si realizza il reato.
Circostanze di persona sono quelle che si riferiscono al soggetto passivo e consistono nello
stato di minorazione in cui egli, per qualsiasi ragione, si trovi (es. mutilato, ubriaco etc.).
Secondo parte della dottrina (PANNAIN) questa circostanza ha natura soggettiva perché il
«profittare» è espressione di pericolosità; secondo ANTOLISEI e MANTOVANI essa ha natura
oggettiva (così anche la giurisprudenza) in quanto agevola la commissione del reato.
Dall’asserita natura oggettiva di tale circostanza ne consegue l’applicabilità anche nel caso in
cui la minorata difesa sia insorta indipendentemente dalla volontà dell’agente, il quale si sia
limitato a trarre vantaggio «dalle circostanze favorevoli all’incontrastato sviluppo della propria
condotta illecita» (Cass. 28-3-1997, n. 2960).
La circostanza in esame è compatibile con l’aggravante di cui al n. 11 dell’art. 61 (vedi oltre)
e con quelle previste nei nn. 2 e 7 dell’art. 625; è, altresì, compatibile col vizio parziale di
mente.
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6. L’avere il colpevole commesso il reato durante il tempo in cui si è sottratto
volontariamente all’esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di
cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato (art. 61 n. 6)
In seguito all’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale il concetto di latitanza è
più ampio ed è disciplinato dall’art. 296 c.p.p.
Trattasi di circostanza soggettiva.
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7. L’avere nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, ovvero determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa dal
reato un danno patrimoniale di rilevante entità (art. 61 n. 7)
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Delitti contro il patrimonio sono quelli previsti nel titolo XIII del libro secondo, nonché quelli che
hanno per oggetto specifico il patrimonio.
Delitti che comunque offendono il patrimonio sono quelli che, pur avendo una oggettività giuridica diversa da quella dei delitti contro il patrimonio, cagionano tuttavia anche una offesa al
patrimonio (es. malversazione, peculato etc.).
Delitti determinati da motivi di lucro sono quelli, diversi dalle due categorie prima indicate, nei
quali l’agente si propone un fine di lucro.
La rilevanza del danno deve esser valutata con criteri obiettivi, cioè prescindendo dalla capacità economica del danneggiato, che può assumere valore solo sussidiario laddove obiettivamente non sia possibile determinare la rilevanza o meno del danno (Cass. 4 marzo 1975).
In analogo senso, più di recente, la Cassazione ha precisato che la rilevanza del danno deve essere
valutata avendo riguardo al livello economico medio della comunità sociale nel momento storico di
riferimento, prescindendo dalle condizioni economiche del danneggiato (Cass. 30-8-2004, n. 35655).
Il danno preso in considerazione è quello prodotto dal delitto e consiste solo nel cd. danno
emergente e non anche nel cd. lucro cessante.
In caso di reato continuato la rilevanza va rapportata alle singole infrazioni e non già alla
somma dei danni.
L’aggravante è conciliabile con l’attenuante della restituzione o risarcimento. Essa ha natura
oggettiva riferendosi all’entità del danno.
Secondo quanto sancito dall’art. 624 c.p., come modificato dall’art. 12 della L. 25 giugno 1999,
n. 205, la ricorrenza dell’aggravante in esame (come di quelle di cui all’art. 625 c.p.) rendono
il reato di furto perseguibile d’ufficio (a differenza della fattispecie-base, perseguibile a querela
della persona offesa).
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8. L’avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso
(art. 61 n. 8)
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Consiste in un fatto successivo alla commissione del delitto, con cui l’agente ne abbia aggravato o tentato di aggravare le conseguenze: è il caso di chi, dopo aver ferito una persona, si
oppone a che altri le presti soccorso.
Perché ricorra la circostanza occorre che l’aggravamento sia stato preveduto e voluto dolosamente
dal reo; l’aggravante, quindi, resta esclusa quando l’aggravamento sia dipeso da colpa del soggetto.
Controversa è la natura soggettiva (ANTOLISEI, MANTOVANI) oppure oggettiva dell’aggravante in esame.
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9. L’avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri
inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità
di ministro di culto (art. 61 n. 9)
«Abuso» è l’uso del potere oltre i limiti imposti dal diritto.
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«Violazione dei doveri» è qualunque trasgressione volontaria di un dovere inerente a una pubblica funzione o a un pubblico servizio; è violazione anche l’omissione di un dovere. L’abuso deve
essere doloso : tale circostanza, dunque, in deroga all’art. 59 si applica solo se voluta. L’abuso di
poteri inerenti alle funzioni non postula la presenza degli estremi necessari per l’integrazione del
reato di abuso di ufficio, potendo realizzarsi per effetto di qualsiasi abuso, come l’usurpazione, lo
sviamento, il perseguimento di una finalità diversa, l’inosservanza di leggi, regolamenti o istituzioni, ecc., indipendentemente dall’ingiustizia o meno degli scopi perseguiti dall’agente.
Tra l’abuso del potere o la violazione del dovere ed il reato vi deve essere una connessione,
nel senso che la consumazione del reato deve essere stata resa possibile, o quantomeno
agevolata, dall’abuso o dalla violazione (Cass. 23 novembre 1973).
L’aggravante in esame, naturalmente, non vale per quei reati in cui l’abuso di poteri o la
violazione di doveri d’ufficio sono elementi costitutivi, come ad esempio nei reati dei pubblici
ufficiali contro la pubblica amministrazione (artt. 314 e segg. c.p.).
«Ministro del culto» è non solo quello cattolico ma quello di qualsiasi culto ammesso nello Stato.
Si noti che, nonostante la norma faccia riferimento a qualifiche personali, si ritiene che tale circostanza non abbia carattere soggettivo, bensì oggettivo (con conseguente sua comunicabilità ai
concorrenti), in quanto non si applica al reo per il solo fatto di essere dotato di tale qualifica, bensì
in presenza di un abuso dei poteri inerenti alla funzione (in tal senso, Cass. 27-3-2004, n. 14973).
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10. L’avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un pubblico servizio, o rivestita della qualità di ministro di un culto
cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell’atto o a causa dell’adempimento
delle funzioni o del servizio (art. 61 n. 10)
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Il reato deve essere commesso contro uno di tali soggetti ed è necessario che ciò accada
proprio nel momento in cui uno di tali soggetti esercita la sua funzione o il suo servizio,
oppure a causa dell’adempimento della funzione o servizio.
L’aggravante non trova applicazione nei reati in cui l’aggressione alla libertà, alla vita, all’incolumità
fisica o all’onore della persona è elemento costitutivo o circostanza aggravante del reato stesso.
Trattasi di circostanza oggettiva perché riguarda la persona offesa.
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11. L’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche,
ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione o di ospitalità (art. 61 n. 11)
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L’aggravante prevede sei distinte ipotesi:
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a) Abuso di autorità: l’autorità di cui parla la norma è qualsiasi situazione per effetto della
quale un soggetto viene a trovarsi in una situazione di supremazia rispetto ad un altro.
Poiché i casi di abuso di autorità pubblica rientrano nell’ipotesi prevista dal n. 9, qui
vengono in rilievo solo i casi di autorità privata (tutela, curatela, patria potestà, gerarchia
d’ufficio, gerarchia di educazione e disciplina etc.).
b) Abuso di relazioni domestiche: relazioni domestiche sono tutti i rapporti esistenti in
seno alla famiglia tra i suoi componenti, siano o no essi legati da vincolo di sangue.
c) Abuso di relazioni d’ufficio: relazioni d’ufficio sono quelle che sussistono tanto fra
coloro che appartengono ad uno stesso ufficio (rapporti interni ) quanto nei confronti di
persone di altri uffici o del pubblico (rapporti esterni).
d) Abuso di relazioni di prestazione d’opera: la prestazione d’opera di cui parla l’articolo
comprende tutte le svariate forme di prestazione di lavoro eseguite a qualsiasi titolo, in
modo continuativo o occasionale, con retribuzione o gratuitamente, con vincolo di subor-
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dinazione o autonomamente, purché esse generino un rapporto di reciproca fiducia tale
da agevolare la consumazione del reato (così Cass. 16-1-2004, n. 895).
Per la sussistenza dell’aggravante non è richiesto che la relazione intercorra direttamente fra l’autore del reato e la persona offesa, essendo sufficiente l’esistenza di un rapporto tra l’agente e un terzo quando di esso l’agente si sia avvalso per commettere il reato
(Cass. 7-6-2006, n. 19572).
L’aggravante, naturalmente, si applica tanto al fatto del lavoratore quanto al fatto del
datore di lavoro.
e) Abuso di relazioni di coabitazione: la «coabitazione» presa in esame dalla norma si ha
ogni qualvolta più persone si trovino riunite, volontariamente o legalmente, per un tempo
più o meno lungo, in un luogo idoneo agli atti della vita domestica; vengono pertanto in
rilievo, ai fini dell’aggravante, non solo la casa privata, ma un dormitorio, una nave, uno
scompartimento ferroviario, un ospedale, una caserma, un convento, un carcere etc.
f) Abuso di relazioni di ospitalità: l’ospitalità di cui parla la norma è ogni ipotesi di coabitazione momentanea col consenso dell’ospitante.
Non è necessario che la permanenza si protragga, potendo essa anche essere brevissima (caso della persona entrata in casa per vendere un prodotto).
L’aggravante in esame, in tutte le sue ipotesi, è soggettiva e concerne i rapporti tra
colpevole e offeso ed è incompatibile con quella di cui all’art. 61 n. 9.
12. L’avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale (art. 61 n. 11bis)
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Trattasi di previsione introdotta dal D.L.23-5-2008, n. 92, convertito in L.24-7-2008, n. 125 (noto
come decreto sicurezza) con il dichiarato intento di attribuire una (pur se indiretta) maggior efficacia ai provvedimenti di espulsione, oltre che di predisporre una forma di disincentivo giuridico alla
clandestinità. La previsione di un aggravio sanzionatorio applicabile in relazione alla commissione di qualunque reato (trattasi, infatti, di aggravante comune) connesso esclusivamente allo
«status» di clandestino ha suscitato ampie discussioni all’indomani dell’entrata in vigore del c.d.
decreto sicurezza, Si afferma, fra l’altro, che la previsione non consentirebbe al giudice alcuna
valutazione in concreto della connessione tra la qualità di straniero illegittimamente presente
nello Stato e la condotta criminale per la quale viene giudicato, riconnettendo alla condizione
personale dell’inottemperanza alla disciplina amministrativa dell’immigrazione una valenza penale, con obbligatorio riflesso sulla pena. In sostanza, con l’aggravante in esame all’agente si
rimprovererebbe non un’attitudine delinquenziale ma una qualità personale, punendo più gravemente un «tipo di autore», cioè il clandestino. Interpretando la lettera della previsione, si ritiene
che la medesima debba trovare applicazione nei confronti sia degli stranieri extracomuniatari
entrati (o trattenutisi) clandestinamente nel territorio dello Stato, sia dei cittadini comunitari trattenutisi nel territorio dello Stato in violazione di quanto disposto dal d.lgs.30/2007.
5. Le circostanze attenuanti comuni
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L’art. 62 c.p. prevede le seguenti attenuanti comuni:
1. L’aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale (art. 62 n. 1)
Per «motivi di particolare valore morale e sociale» è da intendere quegli impulsi psicologici
che hanno determinato il soggetto ad agire e che non solo trovano particolare considerazione
ed approvazione nella coscienza morale comune, ma sono altresì ispirati a finalità superiori,
altamente apprezzabili dal punto di vista etico o sociale.
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Capitolo 19 Il reato circostanziato
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Sono stati ritenuti tali: i motivi politici, purché non contrastanti con l’ordinamento statale; la
necessità di far fronte ad un bisogno, quando manchino le condizioni richieste dall’art. 54.
Si è, invece, escluso che costituiscano motivi di particolare valore morale e sociale: la gelosia,
l’eutanasia, il fine di terrorismo ed eversione.
Essa è compatibile con la provocazione e con la premeditazione mentre è incompatibile con
l’infermità mentale. Ha natura soggettiva riguardando l’intensità del dolo.
2. L’aver reagito in stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui (art. 62 n. 2)
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Es
se
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br
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È, questa, la cd. provocazione.
Per stato d’ira si intende la perdita del controllo delle proprie azioni: non può esser confuso con la
stizza, con la vendetta, con l’odio o col risentimento (che al contrario spesso sottostanno alla premeditazione). In tale ottica, si è sostenuto che, pur non richiedendosi una proporzione fra reazione ed
offesa, si ritiene che fra le stesse debba sussistere un rapporto di adeguatezza, essendo la evidente
sproporzione fra tali elementi sintomo di ben diversi stati d’animo, rispetto al mero stato d’ira (così
Cass. 31-5-2004, n. 24693). Inoltre tale stato psichico deve essere stato determinato da un fatto
ingiusto altrui, cioè dal fatto della persona contro cui si reagisce. Il fatto provocatorio è ingiusto quando costituisce una aggressione ad un interesse, ad una aspettativa, ad una opinione, ad un comportamento che la coscienza sociale riconosce degni di considerazione: l’ingiustizia va accertata con criteri
obiettivi. Non è configurabile quando il fatto ingiusto dell’offeso sia stato a sua volta determinato da un
comportamento ingiusto dell’offensore (Cass. 13-2-1997, n. 1285). La provocazione è configurabile
anche quando il reato sia commesso da persona diversa dal provocato, purché l’agente sia a questi
legato da «vincoli di solidarietà giuridicamente e moralmente apprezzabili» (Cass. 7-3-1996, n. 2554).
Discusso è se deve intercorrere un lasso di tempo tra il fatto ingiusto e la reazione, per considerare questa conseguenza immediata e diretta del primo.
Per la giurisprudenza non è necessario un rapporto di immediatezza. A differenza del codice
Zanardelli, infatti, in cui si parlava di «impeto d’ira», il codice Rocco fa riferimento allo «stato
d’ira», inteso come «alterazione emotiva che si protrae nel tempo», dunque non necessariamente in rapporto di immediatezza col fatto ingiusto (Cass. 26-3-1996, n. 3067). In tal senso,
da ultimo, si è precisato che la provocazione può essere anche lenta, frutto, cioè, di un progressivo accumularsi di stimoli, e destinata ad esplodere nel comportamento criminoso reattivo conseguente all’altrui fatto ingiusto (Cass. 9-1-2003, n. 490).
Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti la provocazione putativa non è ammessa.
La provocazione ha natura soggettiva: è compatibile con l’attenuante dei motivi di particolare
valore morale e sociale, col vizio parziale di mente, con l’ubriachezza. Essa è inconciliabile
con la legittima difesa (nella legittima difesa, infatti, l’agente mira a difendersi; la provocazione,
invece, spinge ad offendere) e con l’aggravante dei motivi futili. Discussa è invece la sua
compatibilità con la premeditazione (la escludono FIANDACA e MANTOVANI).
3. L’avere agito per suggestione di una folla in tumulto (art. 62 n. 3)
yr
«Folla in tumulto» è qualsiasi moltitudine disordinata, improvvisa e violenta che crei confusione turbolenta.
Perché si abbia l’attenuante occorre uno stretto nesso di causalità tra l’azione criminosa e la
suggestione della folla in tumulto, nel senso che la prima debba considerarsi, dal punto di vista
psicologico, come l’effetto della seconda (Cass. 13 ottobre 1965).
C
op
L’attenuante in esame, per espressa dizione della legge, non può trovare applicazione:
a) quando si tratti di riunioni o assembramenti vietati dalla legge o dall’autorità;
b) quando il soggetto che la invoca sia un delinquente o contravventore abituale o professionale o un delinquente per tendenza.
Essa è inoltre inapplicabile a chi si sia mescolato alla moltitudine allo scopo di commettere
più facilmente il reato prefissosi.
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Parte prima Del reato in generale
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La circostanza ha natura soggettiva.
Essa può trovare applicazione anche per i capi o organizzatori della folla in tumulto, e può riferirsi
solo ai reati commessi durante l’assembramento: è inconciliabile con la premeditazione.
br
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S.
4. L’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale
tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per
conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità (art. 62, n. 4
come modificato dall’art. 3 della L. 7-2-1990, n. 19)
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Es
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La legge 7 febbraio 1990 ha ampliato la sfera di applicabilità di detta attenuante la quale ora
può incidere sulla entità della pena non solo dei delitti «contro il patrimonio» (es.: furto, rapina)
o «che comunque offendono il patrimonio» (es.: peculato, frode nell’esercizio del commercio),
ma anche di tutti quei delitti che siano stati «determinati da motivi di lucro» (es.: falsità ideologica, contrabbando, favoreggiamento reale).
Si è precisato in giurisprudenza che il momento in cui deve prendersi in considerazione l’entità
del danno è quello della consumazione del reato, in quanto il danno non può divenire di speciale
tenuità in conseguenza di eventi successivi (in tal senso, Cass. 4-2-2004, n. 4287). Dal tenore
letterale del riformulato art. 62 n. 4, la giurisprudenza ha dedotto che ai delitti contro il patrimonio
l’attenuante è applicabile «indipendentemente dalla gravità delle conseguenze dell’evento», visto che la legge del ’90 ha fissato il limite ulteriore della particolare tenuità anche dell’evento conseguente solo per i delitti determinati da motivi di lucro (Cass. 31-5-1997, n. 6981).
L’attenuante non è applicabile alle contravvenzioni (es.: giuoco d’azzardo).
Può applicarsi al delitto tentato allorquando «le modalità del fatto criminoso siano tali da fornire la certezza che il danno che sarebbe derivato dal reato oggetto del tentativo sarebbe stato
di speciale tenuità» (così Cass. II, 3-3-82).
Nella ipotesi di reato continuato (v. infra), la valutazione del danno deve farsi con riferimento ai
singoli episodi delittuosi.
La circostanza ha natura oggettiva e si estende anche ai concorrenti.
ht
5. L’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione
del colpevole, il fatto doloso della persona offesa (art. 62 n. 5)
yr
ig
Perché ricorra tale circostanza occorre che sussistano due condizioni: l’inserimento del comportamento della persona offesa nella serie delle cause determinatrici dell’evento e la volontà dell’offeso di concorrere, con la sua condotta, nell’evento medesimo (Cass. 13 novembre 1970).
Per la configurabilità di tale attenuante, dunque, non basta che la persona offesa abbia contribuito, con la sua condotta alla causazione dell’evento, ma è necessario, sotto il profilo psicologico,
che l’offeso abbia avuto di mira lo stesso evento voluto dall’agente (Cass. 11-6-1999, n. 7570).
La circostanza ha natura oggettiva.
op
6. L’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno mediante il risarcimento
di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi, prima del giudizio
e fuori del caso previsto dall’ult. cpv. 56, adoperato spontaneamente e efficacemente
per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato (art. 62 n. 6)
C
Tale circostanza, in particolare, si scinde in due distinte ipotesi:
a) riparazione del danno mediante risarcimento e restituzione: il risarcimento, che può
essere effettuato anche da persona incaricata dal colpevole, deve essere integrale. Per
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Capitolo 19 Il reato circostanziato
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l’operatività dell’attenuante non basta il mero impegno, da parte del reo, per un successivo versamento, da effettuarsi a favore della parte lesa, di somma a parte depositata (es.
presso il difensore) (in tal senso, Cass. 9-4-2004, n. 16883).
La restituzione deve essere volontaria, ma non ne è richiesta la «spontaneità».
In caso di reato commesso in concorso di persone, se uno solo dei correi abbia provveduto, in modo integrale, al risarcimento stesso, l’altro concorrente, per fruire della menzionata attenuante, deve almeno dimostrare la sua concreta, tempestiva, volontà di riparazione
del danno cagionato, non più direttamente verso la parte lesa — che non ha più titolo a
ricevere altro — ma indirettamente, provando di avere, prima del giudizio, rimborsato al
complice più diligente la propria quota (Cass. 4-2-2004, n. 4177);
b) riparazione del danno mediante elisione o attenuazione delle conseguenze del fatto criminoso (cd. ravvedimento post delictum): tale ipotesi si riferisce alle conseguenze del reato che
non possono essere eliminate mediante risarcimento (esempio: in caso di ferimento).
L’attenuante non è applicabile quando l’azione riparatrice è imposta dalla legge (esempio :
investimento automobilistico nel quale l’investitore è obbligato a prestare soccorso). Non
è, altresì, applicabile ai reati di danno come l’omicidio che determinano la distruzione del
bene giuridico protetto (Cass. 23-6-2004, n. 28272), ed in generale ai reati in cui il danno
penale sia per sua natura irreversibile e non eliminabile neppure in parte per opera del
colpevole (Cass. 10-6-2004, n. 26298).
La circostanza ha natura soggettiva, in quanto il suo compimento è indice di una attenuata
indole criminale del reo (PANNAIN), perciò ha efficacia strettamente personale ed è
applicabile a tutti i reati (non solo a quelli contro il patrimonio). Essa, infine, va tenuta
distinta dal cd. recesso attivo (v. supra cap. 16, § 13), in quanto si verifica sempre dopo
che il reato è stato consumato.
Essendo comune la ratio delle due ipotesi previste dall’art. 62, n. 6 cod. pen. (riparazione
totale del danno e ravvedimento operoso), pur avendo sfere di applicazione autonome, non
possono essere valutate per una duplice riduzione della pena (Cass. 6-6-1997, n. 3306).
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6. Le circostanze attenuanti generiche dopo la cd. legge «ex Cirielli»
ed il c.d. «decreto sicurezza»
op
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La norma in commento è stata oggetto di riforma ad opera della L. 5-12-2005, n. 251,
nota come «legge ex Cirielli» e successivamente del c.d. «decreto sicurezza». Nonostante la sostituzione dell’intera previsione, costituita in origine da un unico comma, con un
articolo che ne comprende due, il neointrodotto primo comma sostanzialmente riproduce la lettera del previgente art. 62bis c.p. Da ciò si deduce che, fermi restando i caratteri
strutturali generali dell’istituto (ricavabili dal primo comma), le innovazioni disciplinari
si concentrano nella lettera dell’inedito secondo comma. Ciò premesso, ai sensi dell’art.
62bis, comma 1 «Il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell’articolo
62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da
giustificare una diminuzione della pena. Esse sono considerate in ogni caso, ai fini dell’applicazione di questo capo, come una sola circostanza, la quale può anche concorrere con una o più delle circostanze indicate nel predetto articolo 62».
C
L’istituto era (quando fu introdotto nel ’44) e resta (dopo la riforma del 2005), secondo la definizione fornita dalla Relazione ministeriale che accompagnava il progetto di riforma del ’44, uno stru-
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Parte prima Del reato in generale
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mento finalizzato a mitigare, in relazione a circostanze non contemplate specificamente dalla legge, le pene, giudicate troppo aspre e di formale e rigida applicazione, previste per i singoli reati.
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Dispone, invece, il neointrodotto secondo comma che «Ai fini dell’applicazione del primo
comma non si tiene conto dei criteri di cui all’articolo 133, primo comma, numero 3), e
secondo comma, nei casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, in relazione ai delitti
previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, nel caso in
cui siano puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni».
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Volendo esplicitare tale disposto, è necessario evidenziare che, tra gli elementi di valutazione a
disposizione del giudice, vi sono quelli relativi alla gravità del reato ed alla capacità a delinquere
del reo, indicati dall’art. 133 del codice penale. Ciò premesso, l’innovazione introdotta tramite il
presente comma si traduce nell’imposizione al giudice, chiamato a valutare l’applicabilità delle
attenuanti generiche, di non tener conto dei criteri da cui desumere la gravità del reato previsti dal
n. 3) del primo comma dell’art. 133 (in particolare, l’intensità del dolo; nonostante sia esclusa
espressamente, il grado della colpa non rileverebbe comunque, concernendo, la «nuova» recidiva, solo i delitti non colposi), nonché di quelli da cui dedurre la capacità a delinquere del colpevole
(trattasi degli elementi elencati nel secondo comma dell’art. 133, fra i quali i motivi a delinquere, il
carattere del reo, i precedenti penali e giudiziari, la sua condotta antecedente, contemporanea e
susseguente al reato), nel caso in cui colui che deve essere condannato appartenga alla categoria dei cd. recidivi reiterati «speciali» (così FLORA), nel senso che abbia, già da recidivo, commesso taluno dei gravi delitti elencati nell’art. 407, comma 2, lett. a) del codice di procedura penale,
purché siano punibili con la reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni (a titolo esemplificativo, l’omicidio, la strage, il sequestro di persona a fini estorsivi).
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Come anticipato, la norma in commento è stata oggetto, da ultimo, di ulteriori correttivi ad opera del D.L.23-5-2008, n. 92, convertito in L. 24-7-2008, n. 125 (noto come
decreto sicurezza). In particolare, attraverso l’inserimento di un ulteriore comma nell’art. 62bis si è disposto che «in ogni caso, l’assenza di precedenti condanne per altri
reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della
concessione delle circostanze di cui al primo comma».
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La previsione neointrodotta mira, dunque, ad imporre al giudice un adeguato percorso giustificativo della sua decisione, allo scopo di evitare applicazioni praticamente automatiche dell’istituto,
largamente diffuse nella prassi, fondate sull’incensuratezza del reo. Questa, dunque, anche dopo
i correttivi del decreto sicurezza, continua a costituire elemento suscettibile di esame da parte del
giudice, che dovrà peraltro tenerne conto esplicitando il modo in cui essa incida sulla capacità a
delinquere dell’imputato, congiuntamente agli altri elementi di cui all’art. 133 comma 2 c.p., e
nell’ambito di una valutazione complessiva degli elementi presi in considerazione da entrambi i
commi di tale norma, che, come è noto, rappresentano quelli sui quali deve essere parametrata la
decisione sulla concessione delle attenuanti generiche.
op
7. La valutazione delle circostanze e la rilevanza dell’errore a seguito
della legge 7-2-1990, n. 19
C
Prima della legge 7-2-1990, n. 19, la disciplina in materia di valutazione delle circostanze era ispirata
ad un rigoroso criterio oggettivo, per cui le circostanze, sia attenuanti sia aggravanti, si applicavano
per il solo fatto di esistere. L’errore cioè sulla loro esistenza o inesistenza non aveva alcuna rilevanza.
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Capitolo 19 Il reato circostanziato
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La legge 19/90 ha modificato il testo dell’art. 59 e, ispirandosi ad un principio di colpevolezza o comunque di soggettività della responsabilità penale, subordina l’applicabilità
delle aggravanti ad una conoscenza della loro sussistenza da parte del soggetto agente;
l’aggravio di pena è consentito solo se la circostanza, obiettivamente sussistente, era
stata ignorata dal soggetto agente per sua colpa o per errore determinato da colpa.
Se dunque non è possibile muovere al soggetto agente un rimprovero almeno di colpa,
non gli si può imputare una circostanza aggravante.
Al contrario, le circostanze attenuanti sono sempre applicabili, anche se non conosciute o ritenute per errore inesistenti.
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Un esempio: se il ladro porta via con sé un quadretto di stile astratto credendolo di minimo valore
mentre è un’opera di un grandissimo pittore e quindi arreca al derubato un ingente danno, non
sarà a lui addebitata l’aggravante di cui all’art. 61 n. 7, in quanto questa, pur obiettivamente sussistente, non era da lui conosciuta, né può essere mosso al ladro, non intenditore d’arte, alcun
rimprovero di ignoranza per colpa.
Se invece il ladro ha portato via un quadro credendolo di ingente valore, mentre è una «crosta» di
nessun o minimo valore, allora potrà beneficiare di una diminuzione di pena ai sensi dell’art. 62 n.
4 in quanto questa, essendo un’attenuante obiettivamente sussistente, viene valutata a suo favore
indipendentemente dalla consapevolezza o meno della sua sussistenza.
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8. Le circostanze in caso di errore sulla persona dell’offeso
©
Si ha errore sulla persona dell’offeso quando l’agente, volendo commettere il reato in
danno di una determinata persona, cade in equivoco, confondendo un individuo con un
altro (esempio: A vuole uccidere B, nel buio scambia C per B, e lo uccide). Tale caso
differisce dall’«aberratio ictus» perché nell’«aberratio» il soggetto non confonde una
persona con un’altra, ma colpisce un bersaglio diverso.
yr
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Ai sensi dell’art. 60:
a) le circostanze aggravanti (obiettivamente esistenti), che riguardano condizioni o
qualità del soggetto passivo o rapporti fra questi e il colpevole, non sono poste a
carico dell’agente;
b) le circostanze attenuanti erroneamente supposte, che concernono le condizioni,
le qualità e i rapporti predetti, sono valutate a favore del reo (es.: l’agente mirava a
procurare l’evasione di un prossimo congiunto, mentre evade un’altra persona: la
pena è diminuita secondo l’art. 386 n. 1).
C
op
Eccezionalmente nelle ipotesi descritte vige la regola secondo cui il putativo vale reale.
La disciplina dei commi 1 e 2 dell’art. 60 non si applica se si tratta di circostanze che
riguardano l’età, altre condizioni o qualità fisiche o psichiche della persona offesa; in
tal caso torna in vigore la regola generale dell’art. 59.
Si badi che la disciplina dell’art. 60, più favorevole rispetto a quella del vecchio testo
dell’art. 59, va oggi integrata e migliorata dalla nuova disciplina dettata per tutte le
aggravanti, che per essere applicabili devono essere «conosciute» (v. supra).
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Parte prima Del reato in generale
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La disciplina dell’art. 60 trova applicazione anche nell’ipotesi di aberratio ictus (così
non si applicherà l’aggravante dell’art. 577 n. 1 (ergastolo) a chi, volendo uccidere un
odiato nemico, per un errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato uccide il proprio padre).
9. Concorso di circostanze. Giudizio di equivalenza o prevalenza
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È opportuno distinguere il concorso di circostanze omogenee dal concorso di circostanze eterogenee.
A) Concorso di circostanze omogenee
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Nel caso di concorso tra più circostanze omogenee (cioè tutte aggravanti o attenuanti)
si fa luogo a tanti aumenti o diminuzioni di pena quante sono le circostanze concorrenti. Tale cumulo materiale è, però, escluso nel caso di:
— circostanza specifica: cioè la circostanza che, pur essendo prevista per un numero
indeterminato di casi, è contemplata per un solo reato o un numero ristretto di essi;
— circostanza complessa: cioè la circostanza che comprende in sé un’altra circostanza: in tal caso si fa luogo all’assorbimento delle due circostanze in quella complessa.
B) Concorso di circostanze eterogenee: il giudizio di prevalenza o equivalenza
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Qualora nel medesimo reato concorrano circostanze aggravanti ed attenuanti, si procede ad un giudizio di prevalenza rimesso al giudice di merito che vi provvede con
apprezzamento insindacabile.
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Ciò vuol dire che se le aggravanti sono ritenute prevalenti, non si tiene conto della diminuzione di
pena stabilita per le attenuanti, facendosi luogo solo agli aumenti di pena sanciti per le prime.
Se, invece, sono ritenute prevalenti le attenuanti, si applicano solo le relative diminuzioni di pena.
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Nel caso, invece, vi sia equivalenza tra aggravanti ed attenuanti si applica la pena che
sarebbe stata inflitta senza il concorso di alcuna circostanza.
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10. La finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico
come circostanza aggravante e deroghe codicistiche e legislative
al giudizio di equivalenza o prevalenza
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A) Ambito di applicazione dell’aggravante
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L’articolo 1 del D.L. 15-12-1979 n. 625 convertito in L. 6-2-1980, n. 15, configura
espressamente come circostanza aggravante comune di tutti i reati dolosi l’aver commesso il fatto «per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico».
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Capitolo 19 Il reato circostanziato
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L’aggravante del fine di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico ha portata
generale, nel senso che vale per tutti i reati dolosi, siano essi delitti o contravvenzioni
e siano essi previsti dal codice penale o da leggi speciali.
Per il principio di specialità di cui all’art. 15 c.p., tuttavia, essa non trova applicazione
quando il fine di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico è elemento costitutivo del reato, come nell’ipotesi dell’articolo 289bis (sequestro di persona a scopo di
terrorismo o di eversione dell’ordine democratico).
Quando ricorre l’aggravante in esame il reato è punito con la pena prevista per il reato
base aumentata della metà.
Tale aumento di pena non si applica quando il reato base è punito con la pena dell’ergastolo in quanto la sua sussistenza non ha un pratico effetto ai fini dell’aumento di pena.
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B) Natura dell’aggravante e compatibilità con altre circostanze
La circostanza in esame:
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— ha natura prevalentemente soggettiva in quanto riguarda soprattutto l’intensità del dolo del
colpevole; in essa, tuttavia, non mancano anche riflessi oggettivi, poiché è innegabile che con
la sua previsione il legislatore ha tenuto anche conto della gravità del danno o del pericolo
derivato dal reato;
— è reale, in quanto determina una maggiore gravità del reato;
— è antecedente, in quanto precede la condotta umana e l’evento.
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Quanto alla compatibilità tra tale circostanza e le altre circostanze aggravanti, essa appare compatibile con tutte le aggravanti di cui all’art. 61, ad eccezione, ovviamente, di quella prevista dal n.
3, che si riferisce ai soli delitti colposi.
Rispetto, invece, alle circostanze attenuanti comuni , essa appare incompatibile con quelle previste dall’art. 62, nn. 1, 2 e 3.
Non c’è nessun dubbio, infine, sulla compatibilità tra l’aggravante in esame ed il vizio parziale di
mente e l’ubriachezza.
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C) Deroghe al giudizio di bilanciamento di fonte legislativa e codicistica
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Per espressa previsione legislativa al giudizio di bilanciamento si sottraggono alcune circostanze
aggravanti previste da leggi speciali.
Questo è il caso, ad esempio, dell’art. 1 del D.L. 15-12-1979 n. 625, convertito con modifiche dalla
L. 6-2-1980 n. 15 (Misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica) e
dell’art. 7 D.L. 13-5-1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata) conv. dalla L. 12-7-1991, n. 203, entrambi modificati dalla legge 14-2-2003, n. 34 (Ratifica ed
esecuzione della Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 15
dicembre 1997, e norme di adeguamento dell’ordinamento interno).
In tali ipotesi, le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 (connessa alla
minore età del colpevole) e 114 (contributo di minima importanza nel reato concorsuale) concorrenti con le aggravanti di cui alle norme citate, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti. Trattandosi, per il loro effetto sul piano sanzionatorio, di
circostanze ad effetto speciale, seguiranno le regole all’uopo stabilite nell’art. 63 c.p. laddove vi
siano situazioni di concorso omogeneo.
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Parte prima Del reato in generale
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Quanto alle disposizioni codicistiche penali, si segnalano le deroghe alle regole sul giudizio di
bilanciamento (la cui lettera, mutatis mutandis, sostanzialmente coincide con quella appena riportata) contenute nel comma quinto degli artt. 280 (relative al delitto di attentato per finalità terroristiche o di eversione) e 280bis (relative al delitto rubricato «atto di terrorismo con ordigni micidiali o
esplosivi») del codice penale, nonché quelle contenute nel quinto comma dell’art. 600sexies (comma
neointrodotto dall’art. 15, L. 11-8-2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone), relative,
fra l’altro, ai delitti di cui agli artt. 600, 601 e 602, fattispecie oggetto di sostanziale riforma ad
opera del medesimo provvedimento.
Altra deroga al giudizio di bilanciamento circostanziale è stata introdotta attraverso la sostituzione del
quarto comma dell’art. 69 c.p., ad opera della L. 5-12-2005, n. 251 (nota come « legge ex Cirielli»). Da
un raffronto letterale fra la previgente e l’attuale formulazione del comma riformato, emerge come il
legislatore del 2005, per un verso, confermi l’applicabilità delle regole di cui all’art. 69 alle circostanze
inerenti alla persona del colpevole, nonché a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca
una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria
del reato, ma, per converso, ponga una espressa deroga per la fattispecie circostanziale aggravante
della recidiva reiterata, nonché per le circostanze che prevedono un incremento sanzionatorio a carico di chi determini al reato una persona non imputabile o non punibile (art. 111 c.p.), ed a carico di chi
determini a commettere il reato un minore degli anni 18 o una persona in stato di infermità o di
deficienza psichica, ovvero si sia comunque avvalso degli stessi nella commissione di un delitto per il
quale è previsto l’arresto in flagranza, specificando che, rispetto a tali circostanze, sussiste un divieto
assoluto di considerare prevalenti eventuali circostanze attenuanti sulle ritenute aggravanti.
Da ultimo, si segnala una ulteriore deroga alle regole sul giudizio di bilanciamento circostanziale, predisposta dal D.L. 23-5-2008, n. 92, convertito in L.24-7-2008, n. 125 (c.d. decreto sicurezza). In particolare, tale decreto, dopo aver previsto un trattamento sanzionatorio più severo per le fattispecie di omicidio colposo e lesioni colpose aggravati, commessi con violazione delle norme sulla disciplina della
circolazione stradale, nel caso in cui tali fatti siano posti in essere da soggetti in stato di ebbrezza
alcolica, ovvero da soggetti sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, ha inteso evitare che
tale maggior severità punitiva potesse essere vanificata dal giudizio di bilanciamento delle circostanze.
A tal scopo è stato inserito l’art. 590bis c.p., ai sensi del quale, ove ricorrano le ipotesi delittuose aggravate neointrodotte, di cui si è detto, «le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste
dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantita’ di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti».
ig
11. L’aggravante di cui all’art. 7, D.L. 152/91: il «metodo mafioso» e
l’agevolazione delle attività mafiose
C
op
yr
L’art. 7 del D.L. 13-5-91, n. 152, conv. in L. 203/91, prevede l’aumento delle pene da un terzo alla
metà per i delitti puniti con pena diversa dall’ergastolo, commessi avvalendosi delle condizioni
previste dall’art. 416bis c.p. ovvero al fine di agevolare le attività delle associazioni mafiose.
Sui potenziali destinatari di tale circostanza è tuttora in corso una disputa giurisprudenziale: in
particolare, si discute se tale aggravante riguardi solo gli estranei al sodalizio mafioso o sia compatibile con la qualità di associato a delinquere. A favore del primo orientamento si è sostenuto
che il tenore letterale della norma (avvalersi delle condizioni previste dall’art. 416bis) e lo scopo
della stessa (punire più gravemente chi commette reati con «metodo»mafioso) fanno escludere
che la stessa sia applicabile a coloro che già fanno parte dell’associazione criminosa (in tal senso,
Cass. 13-9-97, rv. 208603). In senso contrario si è sostenuto che l’associato non deve necessariamente avvalersi della forza intimidatrice del vincolo mafioso ovvero agire per fini propri dell’organizzazione. Di qui l’applicabilità dell’aggravante, ove tali condotte siano realizzate, anche all’associato a delinquere (in tal senso, Cass. 19-2-1999, n. 2128).