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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
Unicuique suum
Anno CLIII n. 164 (46.408)
POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
venerdì 19 luglio 2013
.
Appello dell’alto commissariato per i rifugiati ai Paesi confinanti
Sempre più drammatica in Siria
l’emergenza profughi
DAMASCO, 18. Il protrarsi del conflitto civile in Siria rende sempre
più drammatica la condizione delle
popolazioni e, in particolare, l’emergenza profughi. In questo senso si è
di nuovo espresso ieri Antonio Guterres, il responsabile dell’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati
(Unhcr). In una videoconferenza da
Ginevra con il Consiglio di sicurezza a New York, Guterres ha reiterato l’appello ai Paesi confinanti a
non limitare le possibilità di attraversare le frontiera per i rifugiati siriani. «Rinnovo la mia esortazione
agli Stati, all’interno e fuori della
regione, affinché tengano aperte le
proprie frontiere e ricevano tutti i siriani che cercano protezione» ha
detto Guterres. «Perché il mio appello abbia successo — ha aggiunto
il responsabile dell’Unhcr — è fondamentale che gli Stati limitrofi garantiscano solidarietà».
Guterres ha lamentato come per i
siriani stia diventando sempre più
arduo fuggire e andare ad aggiungersi ai circa un milione e ottocentomila rifugiati la cui presenza è accertata dall’Unhcr in Libano, Giordania, Turchia, Iraq ed Egitto.
Il responsabile dell’Unhcr ha poi
specificato che i due terzi dei rifugiati hanno lasciato la Siria dall’ini-
Il campo profughi siriano di Azaz nei pressi del confine turco (La Presse/Ap)
zio di quest’anno, a conferma di un
progressivo inasprimento del conflitto, e ha ricordato che a una fuga di
simili proporzioni da un Paese non
si assisteva dai tempi delle stragi in
Rwanda risalenti al 1994.
In Iraq, che al momento accoglie
oltre 160.000 rifugiati siriani, si sono
intensificati gli scontri settari e il
Paese ha chiuso i propri confini. In
Egitto, dove l’Unhcr ha registrato
circa 90.000 rifugiati siriani, la scorsa settimana diversi voli passeggeri
provenienti dalla Siria sono stati rimandati indietro a seguito della decisione di imporre l’obbligo di visto
e autorizzazione di sicurezza per i
cittadini siriani. «Comprendo pienamente le sfide che l’Egitto sta affrontando in questo momento — ha
dichiarato Guterres — ma allo stesso
tempo auspico che il Paese continui
a estendere la sua tradizionale ospitalità ai rifugiati siriani, come ha
fatto fin dall’inizio del conflitto». In
Turchia e Giordania, Paesi che insieme accolgono quasi un milione di
rifugiati siriani, «le autorità adesso
stanno gestendo attentamente i confini con la Siria, principalmente a
causa di preoccupazioni per la sicurezza nazionale» ha aggiunto Guterres, ammettendo che «le frontiere
non sono chiuse e i rifugiati infatti
continuano ad attraversarle», ma lamentando che per molti ciò può avvenire sempre più solo in maniera
graduale.
Ma alle frontiere oltre alle difficoltà di natura politica si registrano
purtroppo anche nuove violenze. In
Turchia sono morti due adolescenti
che martedì erano stati raggiunti da
pallottole vaganti provenienti dal
territorio siriano, dove si stanno
fronteggiando milizie delle popolazioni curde locali e del cosiddetto
Esercito libero siriano, uno dei principali gruppi armati che si oppongono al presidente Bashar Al Assad.
Africani senz’acqua
La siccità minaccia due milioni di persone soprattutto in Angola e Namibia
LUANDA, 18. La siccità che da mesi
affligge le regioni meridionali
dell’Angola e la Namibia si è ormai
trasformata in emergenza umanitaria, con più di due milioni di persone prive di fonti d’acqua per se stesse e per il bestiame. Secondo una
nota diffusa dall’Unicef, l’agenzia
dell’Onu per l’infanzia, servono 22
milioni di dollari per far fronte alle
necessità immediate delle popolazioni locali, già allo stremo, soprattutto per quanto riguarda i bambini.
«L’emergenza è appena incominciata — spiega la nota — ma si prevede
che possa peggiorare ed è necessaria
assistenza urgente per le popolazioni colpite, specialmente donne e
bambini che soffrono una crisi nutrizionale e di salute in entrambi i
Paesi». Secondo i dati diffusi da Patrick Mc Cormick, il portavoce
dell’Unicef a Ginevra, l’ufficio namibiano dell’agenzia dell’Onu ha
chiesto aiuti per 7,4 milioni di dollari e quello angolano per 14,3.
La crisi, come detto, non si è ancora trasformata in una catastrofe,
come spesso accaduto in passato,
ma ha investito oltre due milioni di
persone in zone inaridite. In Angola, secondo informazioni ufficiali e
di organizzazioni non governative,
sono almeno un milione e mezzo le
persone colpite dalla siccità nel sud
del Paese, dove migliaia di piantagioni sono andate distrutte e dove
l’assenza di nutrimento per il bestiame sta costringendo la popolazione
a migrare alla ricerca di cibo e di
Il segretario di Stato americano John Kerry pronto ad annunciare la svolta
Verso la ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi
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AMMAN, 18. Israeliani e palestinesi
hanno ridotto «l’ampio divario» su
possibili colloqui di pace diretti. Ad
annunciarlo ieri è stato il segretario
di stato americano, John Kerry, auspicando che le parti torneranno
presto ai negoziati. Nel corso di una
conferenza stampa accanto al ministro degli Esteri giordano, Nasser
Judeh, ad Amman, Kerry ha commentato positivamente i progressi
compiuti in tre mesi di «diplomazia
silenziosa» tra israeliani e palestinesi
per arrivare a una soluzione di quello che ha descritto come uno dei
più difficili conflitti della storia.
«Quando abbiamo avviato questo
processo mesi fa — ha aggiunto
Kerry — vi erano ampi divari tra le
due parti, ma attraverso un lavoro
duro, cauto e silenzioso siamo riusciti a colmarli significativamente.
Continuiamo ad avvicinarci e continuo a nutrire speranze nel fatto che
le parti potranno sedere allo stesso
tavolo». Kerry ha invitato Israele a
riconsiderare bene il piano di pace
presentato dalla Lega araba nel
2002 e che in passato aveva respinto. «Israele deve guardare bene a
quell’iniziativa che promette a Israe-
le la pace con 22 Paesi arabi e 35
nazioni musulmane, un totale di 57
Stati pronti a cogliere la possibilità
di fare la pace con Israele».
Il piano presentato dall’Arabia
Saudita a un vertice della Lega araba a Beirut prevedeva il pieno riconoscimento di Israele, ma solo se
quest’ultimo avesse accettato di tornare ai confini precedenti alla guerra del 1967 e di trovare «una solu-
zione giusta» per i rifugiati palestinesi. Tre mesi fa fonti del Qatar
avevano presentato una versione più
soft del piano basata soltanto sullo
scambio di Territori tra Israele e
l’Autorità palestinese.
Secondo il quotidiano panarabo
«Al Hayat», stampato a Londra, il
segretario di Stato americano annuncerà la ripresa del processo di
pace fra israeliani e palestinesi pri-
Tre bambini iracheni
dilaniati da una mina
Cresce l’entusiasmo nel Paese
per un incontro molto atteso
Papa Francesco
i giovani
e il Brasile
RAYMUND O DAMASCENO ASSIS
A PAGINA 8
Il luogo di un attentato in Iraq (La Presse/Ap)
BAGHDAD, 18. Ancora sangue innocente in Iraq. Ieri tre bambini
sono morti dilaniati, dopo aver
urtato una mina sull’argine di un
torrente dove si stavano bagnan-
do per sfuggire alla canicola. Si è
poi appreso che una bomba deflagrata in una casa da tè, nella
città di Mossul, ha provocato la
morte di sette persone.
ma di partire domani dalla Giordania. Il quotidiano cita fonti dell’ufficio di rappresentanza palestinese ad
Amman.
Anche l’Autorità palestinese, dopo cinque ore di colloqui con Kerry,
ha fatto sapere che vi sono stati
«grandi progressi» nel negoziato di
pace in Medio Oriente, fermo dal
2010. «La leadership palestinese tornerà al tavolo dei negoziati con il
Governo israeliano» dicono fonti
palestinesi, pur mantenendo il più
stretto riserbo sui dettagli dell’intesa
che sostengono essere stata raggiunta tra Abu Mazen e Kerry. L’annuncio ufficiale potrebbe arrivare nelle
prossime ore, dopo la riunione della
leadership di Fatah guidato dallo
stesso Abu Mazen.
Dal canto suo, il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha avuto
ieri un colloquio telefonico con Kerry
sostenendo
che
l’iniziativa
dell’Unione europea riguardo la
cooperazione bilaterale (iniziativa
che esclude gli insediamenti nei Territori palestinesi) innesca nuove tensioni. Secondo Israele, queste decisioni dell’Ue «disturbano gli sforzi
per riprendere i negoziati».
Il segretario di Stato americano
sta compiendo la sesta visita nella
regione mediorientale da quando è
entrato in carica lo scorso febbraio.
In questa nuova missione ha già incontrato due volte ad Amman il
presidente dell’Autorità palestinese,
Abu Mazen, ma non è previsto nessun incontro con Netanyahu, contrariamente alle precedenti visite che
l’avevano visto compiere la spola tra
Amman e Gerusalemme.
Domenica scorsa, il premier Netanyahu ha avuto un colloquio telefonico con il presidente Abu Mazen e
gli ha espresso l’auspicio che i negoziati di pace bloccati da tre anni
possano ripartire. «Spero che avremo l’opportunità di parlarci non solo per le ricorrenze» ha detto nel
corso di una chiamata di saluto per
il Ramadan. «Spero che gli sforzi»
del segretario di Stato americano
«daranno risultati», ha aggiunto il
premier israeliano.
acqua. Si tratta di 540.000 persone
nella provincia del Cunene, di
830.000 in quella della Huila e almeno 250.000 in quella del Namibe.
Secondo quanto scrive il Governo
provinciale del Cunene, nell’ultimo
anno le precipitazioni sono state pari a un terzo di quelle cadute in media negli ultimi dieci anni.
In Namibia si registra una situazione analoga e, in base ai dati
dell’Unicef, ci sono 778.000 persone
vittime della siccità, compresi
109.000 bambini.
Un’analoga minaccia incombe
anche sui Paesi del Corno d’Africa.
In particolare, per quanto riguarda
Gibuti, è stato diffuso un allarme
questa settimana dall’Ocha, l’ufficio
dell’Onu per il coordinamento degli
interventi
umanitari.
Secondo
l’Ocha, nei prossimi mesi è destinata a peggiorare ulteriormente l’insicurezza alimentare che colpisce già
più di 46.000 persone nel piccolo
paese del Corno d’Africa. L’O cha
attribuisce l’attuale situazione alle
deboli piogge degli ultimi mesi, al
calo della produzione pastorale e
agricola, alle limitate competenze
tecniche e all’insufficiente sostegno
della comunità internazionale. Le
zone più colpite sono la capitale Gibuti, il sud est confinante con Somalia ed Etiopia e la regione settentrionale di Obock.
Sempre l’Ocha ha lanciato l’allarme anche per la Mauritania, dove
800.000 persone vivono in situazione di insicurezza alimentare, anche
come conseguenza dell’afflusso di
rifugiati dal Mali.
Il 19 luglio 1943 gli aerei alleati bombardavano la città
E Pio
XII
abbracciò Roma ferita
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L’OSSERVATORE ROMANO
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venerdì 19 luglio 2013
Approvato un piano che comporta il taglio di migliaia di posti di lavoro nel settore statale
Durante la tradizionale cerimonia del ventaglio
La scure di Atene
Napolitano chiede
continuità nell’azione
del Governo Letta
Rigide misure di sicurezza per la visita del ministro delle Finanze tedesco
ATENE, 18. È arrivato a tarda notte il
voto con il quale il Parlamento greco
ha approvato un contestato piano
che porterà al taglio di migliaia di
posti di lavoro nel settore pubblico.
I tagli sono passati con il voto di 153
dei 300 deputati: all’esterno, nel frattempo, una folla di manifestanti protestava contro il provvedimento. Il
piano di licenziamenti era stato richiesto dai creditori internazionali
dell’Unione europea e del Fondo
monetario internazionale come condizione per il versamento di un prestito da sette miliardi di euro. Secondo lo schema approvato, oltre
quattromila lavoratori del settore
pubblico, soprattutto insegnanti e
dipendenti delle amministrazioni locali, perderanno il loro posto di lavoro entro l’anno. Altri venticinquemila riceveranno il 75 per cento del
salario ancora per otto mesi: dopo
verranno licenziati, se nel frattempo
non saranno stati trasferiti ad altri
incarichi. Prima del voto, il premier
ellenico Antonis Samaras aveva annunciato in televisione il primo taglio delle tasse in quattro anni, con
una riduzione dell’Iva per i ristoranti dal 23 al 13 per cento, a partire dal
primo agosto, nel pieno della stagione turistica.
Non si sono fatte attendere le reazioni alla decisione del Parlamento.
Il leader della sinistra radicale, Ale-
Dall’Ue
nuove norme
sugli appalti
pubblici
BRUXELLES, 18. I rappresentanti dei
28 Paesi dell’Unione europea hanno
dato ieri il via libera alle nuove norme comunitarie sugli appalti pubblici, una delle azioni prioritarie previste dall’Atto per il mercato unico
(varato nella primavera del 2011) che
ha quale obiettivo il rilancio di crescita, innovazione e occupazione. Si
tratta di tre direttive che regoleranno
i diversi settori della complessa materia, e in particolare quello delle
concessioni. In particolare, si è cercato di evitare ambiguità nelle norme sulle offerte troppo basse e sulle
informazioni obbligatorie in caso di
subappalto. Ora il testo sarà riesaminato dal Parlamento e successivamente approvato definitivamente dal
Consiglio. Bruxelles intende così
aprire i mercati nazionali alle imprese europee.
Dal 1992 — dicono documenti e
fonti di Bruxelles — il mercato unico
ha apportato enormi benefici e creato nuove opportunità. La libera circolazione delle merci, dei servizi, dei
capitali e delle persone non è tuttavia esente da problemi: in alcuni settori non esiste un mercato europeo
veramente integrato. Lacune legislative, ostacoli amministrativi e un’applicazione insoddisfacente delle norme impediscono di sfruttare pienamente le potenzialità del mercato
unico. Per questi motivi, la Commissione sta cercando di dotarsi di strumenti adeguati per realizzare gli impegni sanciti dall’atto nella maniera
più efficace.
I tecnici europei sottolineano infatti che serve anche molta più fiducia nel mercato unico per contribuire
a stimolare la crescita economica.
L’Europa deve agire con maggiore
forza e convinzione per dimostrare
che il mercato unico è sinonimo di
progresso sociale e di vantaggi per i
consumatori, i lavoratori e le piccole
imprese.
L’Atto per il mercato unico, presentato dalla Commissione nell’aprile 2011, identificava dodici leve per
stimolare la crescita e rafforzare la fiducia. Nell’ottobre 2012 la Commissione ha proposto un’altra serie di
azioni (Atto per il mercato unico II)
per sviluppare ulteriormente il mercato unico e attingere al potenziale
non ancora sfruttato per favorire la
crescita.
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Proteste ad Atene di fronte al Parlamento (Ansa)
xis Tsipras, citato dall’agenzia Ansa,
ha parlato di «sacrificio umano» e
ha definito il progetto «un disastro».
E oggi, intanto, è atteso ad Atene, il
ministro delle Finanze tedesco,
Wolfgang Schäuble, rappresentante
di quella Germania vista dai greci, e
non solo, rilevano gli osservatori, come il principale sostenitore delle misure di austerità.
Durante la visita del ministro delle Finanze tedesco è prevista la firma di un memorandum d’intesa fra i
Governi di Atene e Berlino per l’istituzione di un fondo ellenico per lo
sviluppo, destinato all’aiuto e al finanziamento delle piccole e medie
imprese. Il memorandum sarà firmato dal ministro greco per lo Sviluppo, Costis Hatzidakis, e dal presi-
dente della banca tedesca per lo Sviluppo, Ulrich Schröder. Il fondo ellenico per lo sviluppo, che nelle intenzioni di Atene e Berlino dovrebbe costituire la risposta al problema
dell’economia reale, avrà sede in
Lussemburgo, e dovrebbe disporre
di circa cinquecento milioni di euro,
cento dei quali saranno forniti dalla
Germania: questo a condizione che
la Grecia rispetti tutti gli impegni
assunti nei confronti dei creditori. Il
fondo funzionerà sulla base della legislazione dell’Unione europea con
criteri di economia privata. Da segnalare che in occasione della visita
del ministro delle Finanze tedesco,
la polizia ha vietato proteste e manifestazioni nel centro di Atene. Misure simili erano state adottate durante
la visita, del cancelliere tedesco, Angela Merkel, svoltasi lo scorso ottobre. Si è appreso intanto che il segretario al Tesoro statunitense, Jack
Lew, si recherà in visita in Grecia
domenica. L’obiettivo, riferiscono
fonti diplomatiche, è quello di
discutere le riforme economiche avviate da Atene e le politiche messe
in atto dall’Ue per rilanciare la ripresa. La visita servirà ad aprire la
strada all’incontro l’8 agosto a Washington, tra il presidente statunitense, Barack Obama, e il premier greco Samaras.
ROMA, 18. È un discorso a tutto
campo quello tenuto oggi dal presidente della Repubblica italiana,
Giorgio Napolitano, durante la tradizionale cerimonia di consegna
del ventaglio da parte dell’Associazione Stampa Parlamentare. «Dallo
scorso anno ad oggi abbiamo vissuto uno dei periodi più inquieti
per la Repubblica con eventi
straordinari, momenti di tensione e
persino rischi di paralisi nella vita
pubblica senza precedenti» ha sottolineato il capo dello Stato, precisando che «il punto di riferimento
fondamentale è la criticità delle
condizioni economiche del Paese».
A fronte della recente decisione di
Bankitalia, che ieri ha tagliato le
stime sul pil di quest’anno, Napolitano ha chiesto di portare avanti
l’azione governativa, ritenendo «indispensabile nell’interesse generale
proseguire nella realizzazione degli
impegni» attraverso un «cronoprogramma di 18 mesi già partito in
Parlamento».
Le parole del presidente della
Repubblica si sono soffermate anche sull’attuale scenario politico.
«Il clima di fiducia verso l’Italia
può variare positivamente in presenza di una valida azione di Governo e di un concreto processo di
La capitale nordirlandese da giorni teatro di scontri legati alle tradizionali e controverse marce orangiste
Luglio di fuoco a Belfast
BELFAST, 18. Per il quinto giorno
consecutivo, la capitale nordirlandese Belfast è stata teatro anche ieri di
scontri tra militanti lealisti e filorepubblicani, nei quali sono state
coinvolte le forze di polizia. Le agitazioni sono cominciate nella parte
orientale della città e la polizia ha
fatto ricorso all’uso dei cannoni ad
acqua. I primi incidenti erano scoppiati venerdì, dopo il tradizionale
corteo del cosiddetto Ordine degli
Orange, che il 12 luglio di ogni an-
Il Parlamento
britannico
assolve
l’intelligence
LONDRA, 18. Il Parlamento britannico ha assolto l’agenzia di intelligence (Gchq) che si occupa
di monitorare le comunicazioni:
era accusata di non aver rispettato la legge nel raccogliere le informazioni dal programma di
sorveglianza Prism. «Dalle prove
che abbiamo raccolto emerge che
tale accusa è infondata» si legge
in una relazione della Commissione parlamentare sui servizi segreti, che ha potuto accertare come su ogni richiesta di informazione inoltrata alle autorità statunitensi vi sia la firma del ministro
competente. Il ministro degli
Esteri britannico, William Hague, ha accolto con soddisfazione
il parere della Commissione «È
la riprova dell’integrità e degli
elevati standard degli uomini e
delle donne che lavorano alla
Gchq».
Sul fronte statunitense, intanto,
si segnala che ieri diversi membri
del Congresso, sia democratici sia
repubblicani, hanno affermato
che con i programmi di sorveglianza elettronica, le agenzie di
intelligence sono andate troppo
in profondità nella privacy degli
americani. E non è detto, hanno
ammonito, che il provvedimento
di legge che li ha autorizzati verrà rinnovato dopo la scadenza,
nel giugno 2015.
no ricorda la vittoria nel 1690 di
Guglielmo di Orange, protestante,
nella battaglia del Boyne contro le
forze del cattolico Giacomo II.
Al corteo era stato proibito di attraversare la zona di Ardoyne, dove
risiedono molti filorepubblicani di
confessione cattolica. Il divieto ha
spinto alcuni esponenti di spicco
della comunità lealista a convocare
manifestazioni e proteste che sono
degenerate in violenze, come accade
pressoché ogni anno. Tra gli agenti
di polizia ci sono stati finora una
quarantina di feriti, nessuno in modo grave. Edward Stevenson, il leader dell’Ordine dell’Orange, ha denunciato il fatto che le autorità non
sostengono i lealisti mentre i filorepubblicani stanno facendo «una
guerra per cancellare tutti i simboli
della Gran Bretagna».
L’inizio di luglio, con la cosiddetta stagione delle marce lealiste, risulta sempre il periodo più critico
per la tenuta dello storico accordo
di pace del «Venerdì Santo», che il
10 aprile 1988 mise fine a trent’anni
di guerra civile in Irlanda del Nord.
Tali marce riaccendono infatti le
tensioni ancora latenti, nonostante i
quindici anni trascorsi da quella firma apposta, dopo un lungo negoziato mediato dagli Stati Uniti
dell’allora presidente Bill Clinton,
dai Governi di Londra e di Dublino
e dalle principali forze politiche
nordirlandesi, sia lealiste sia filorepubblicane.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
TIPO GRAFIA VATICANA
EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO
Carlo Di Cicco
don Sergio Pellini S.D.B.
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Fed ottimista
sull’economia
statunitense
Scontri tra manifestanti e polizia a Belfast (La Presse/Ap)
L’Fmi giudica lenta
la ripresa del Regno Unito
LONDRA, 18. «La ripresa economica
del Regno Unito resta lenta e fragile» mentre l’efficacia della politica
monetaria «è minata dalla persistente debolezza del sistema bancario»:
è il giudizio espresso dal Fondo
monetario internazionale (Fmi) nella valutazione annuale dell’economia britannica, in cui si evidenzia il
rischio che «la persistente debolezza ciclica porti a una perdita permanente della capacità produttiva».
Dopo aver elogiato il programma
di risanamento strutturale di bilancio, gli analisti del Fondo monetario internazionale mostrano una di-
direttore generale
visione al loro interno sui rischi che
il consolidamento porterebbe alla
ripresa. Sul fronte bancario, il Fondo monetario internazionale invita a
«un’attenta supervisione delle istituzioni finanziarie sistemiche a livello
globale» e a una «cooperazione
transfrontaliera» sulla supervisione
e sulla risoluzione degli istituti. Le
valutazioni dell’Fmi sullo stato di
salute dell’economia britannica vengono dopo il rilancio del programma di austerità attuato dal cancelliere dello Scacchiere, George
O sborne.
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riforme — ha detto Napolitano —
ma potrebbe peggiorare anche bruscamente dinanzi a una nuova destabilizzazione del quadro politico
italiano». Non è quindi mancato
un riferimento alla vicenda degli
insulti del vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, lanciati contro il ministro dell’Integrazione,
Cécile Kyenge. «È tempo di levare
un argine comune contro l’ingiuria
indecente e aggressiva, specie se a
sfondo razzista o maschilista, e ancor più se pronunciata da chi dovrebbe unire alla dignità personale
quella istituzionale». Il presidente
chiede perciò di abbassare i toni
del confronto, «anche al di là dei
casi della giustizia».
Sulla vicenda Ablyazov, che continua in queste ore ad agitare le acque della politica italiana, Napolitano ha spiegato che si tratta di un
«caso inaudito», ma che l’Esecutivo «ha opportunamente deciso» di
sanzionare i comportamenti di alcuni funzionari che «hanno assunto decisioni non sottoposte al necessario vaglio dell’autorità politica
e non fondate su verifiche e valutazioni rigorose». Per quanto riguarda l’operato dei ministri, «è assai
delicato e azzardato evocare responsabilità oggettive».
Lo spinoso episodio, che ha portato all’espulsione e al rimpatrio in
Kazakhstan della moglie e della figlia del dissidente, è stato al centro
anche del vertice, oggi a Palazzo
Chigi, tra Governo e maggioranza.
La segreteria del Partito democratico ha già annunciato che domani,
venerdì, non voterà la mozione di
sfiducia al ministro degli Interni,
Angelino Alfano, anche se «resta
aperto il problema di come ridare
credibilità alle istituzioni». Da
Londra, dove si è recato in visita, il
presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, ha confermato
che sarà presente in Parlamento
domani, sottolineando che dalla relazione del capo della Polizia,
Alessandro Pansa, sul caso kazako
«emerge l’estraneità di Alfano dalla
vicenda». Letta ha inoltre tenuto a
precisare che «la stabilità politica è
necessaria, altrimenti sarà impossibile ottenere la ripresa». Intanto, il
Popolo della Libertà, il partito di
Alfano, esclude l’ipotesi delle dimissioni.
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Condannato
blogger
anti-Putin
MOSCA, 18. Il blogger anti-Putin
Alexei Navalny è stato condannato a cinque anni di carcere per appropriazione indebita. Alexei Navalny è stato ammanettato e preso
in custodia dalla polizia nell’aula
del tribunale di Kirov, 900 chilometri a nordest di Mosca, che lo
giudicava. Proprio ieri, a sorpresa,
la commissione elettorale aveva
ammesso la sua candidatura a sindaco della capitale proposta da un
vasto fronte dell’opposizione.
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WASHINGTON, 18. «L’attività economica complessiva continua a
crescere a un tasso che va da modesto a moderato»: è il giudizio
sull’economia statunitense contenuto nel Beige Book della Federal Reserve, diffuso ieri, in cui si
sottolinea come «nella maggior
parte dei distretti» sia cresciuta
l’attività manifatturiera, con un
generale aumento di ordinativi,
consegne e produzione. In aumento anche la spesa complessiva dei consumatori e le vendite
di auto. Sul fronte immobiliare —
si legge nel Beige Book — continua la ripresa sia nel settore commerciale che in quello delle costruzioni, con una crescita che in
alcuni distretti si presenta molto
sostenuta. Stesso andamento positivo anche sul fronte del turismo, nonostante i problemi creati
in alcune aree dal maltempo. Le
condizioni del settore bancario
sono definite «generalmente positive» con una «modesta crescita
generale di richiesta dei mutui»,
più forte nel distretto di New
York. Leggeri miglioramenti anche nella qualità del credito, con
segnali di un ritorno della concorrenza fra istituti.
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Romano Ruosi, vicedirettore generale
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venerdì 19 luglio 2013
pagina 3
Colloqui di Ashton al Cairo
Le elezioni del 28 luglio tra i principali temi nell’agenda del vertice dei Paesi dell’Africa occidentale
Decine di morti a N’Zérékoré
Non si ferma
in Egitto
la sfida
delle piazze
Incognita Mali
In Guinea
violenze tra etnie
sempre più estese
IL CAIRO, 18. Continua la sfida
nelle piazze dell’Egitto tra gli oppositori e i sostenitori del deposto
presidente, Mohammed Mursi.
Anche stanotte attivisti dei due
schieramenti sono scesi in strada
per partecipare a manifestazioni
che si sono protratte fino all’alba.
Non si allenta dunque la tensione
dopo la formazione del nuovo
Governo. I Fratelli musulmani e
le forze che sostengono Mursi
hanno annunciato una escalation
di iniziative per tenere alta la
pressione della piazza e ieri migliaia di sostenitori sono sfilati
nelle vie del centro del Cairo per
tentare di avvicinarsi alla blindatissima sede dell’Esecutivo, mentre
l’alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune
dell’Ue, Catherine Ashton, arrivava nella capitale egiziana per portare il messaggio europeo sulla necessità di riavviare una transizione
democratica.
«Avrei voluto incontrare anche
Mursi» ha affermato Ashton, riferendosi al deposto presidente agli
arresti in una località segreta, del
quale ha auspicato la liberazione,
dopo avere incontrato il presidente a interim, Adly Mansour, il suo
vice, il premio Nobel per la pace
Mohamed ElBaradei, e il premier,
Hazem El Beblawi. La protesta
del pomeriggio di ieri si è svolta
pacificamente, complice il gran
caldo e il digiuno del mese di Ramadan. Nelle stesse ore Ashton ha
avuto una fitta sequenza di incontri per avere informazioni di prima mano dai nuovi responsabili
politici del Paese.
Al contrario del vice segretario
di Stato americano, William
Burns, che ha lasciato il Cairo un
giorno prima del suo arrivo,
Ashton ha avuto colloqui anche
con la Fratellanza — all’incontro
era presente anche l’ex premier
Hisham Qandil — e il movimento
Tamarod (ribelli, in arabo). Continuano, intanto, le inchieste della
procura contro gli esponenti e i
sostenitori dei Fratelli musulmani.
Prorogata di quindici giorni la custodia cautelare per numerosi
esponenti della Fratellanza. Agli
arresti per almeno quattro giorni
oltre 400 sostenitori di Mursi —
secondo alcune fonti — per le violenze esplose nella notte di lunedì
e che hanno provocato sette vittime in vari quartieri del capitale.
Ashton, nei suoi colloqui con i
nuovi responsabili egiziani, ha ribadito la necessità di un processo
politico che tenga conto «di tutti i
gruppi che appoggiano la democrazia» e un ritorno rapido al processo democratico. Sulle definizioni di quella che gli oppositori di
Mursi chiamano la “rivoluzione
del 30 giugno” non si è sbilanciato nemmeno il segretario di Stato
americano, John Kerry, che da
Amman ha detto che non bisogna
affrettarsi nel dare un giudizio.
Infine, tre agenti di polizia egiziani sono rimasti uccisi in una serie di attacchi eseguiti da presunti
militanti jihadisti nella penisola
del Sinai, nel nord dell’Egitto.
Due militari sono stati assassinati
nella città di Al Arish, il terzo è
morto in un altro attacco contro
una base a Sheikh Zuwayed.
Il vertice dell’Ecowas ad Abuja (Afp)
ABUJA, 18. La situazione del Mali è
tra i principali argomenti in agenda
del 43° vertice della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), apertosi ieri pomeriggio ad Abuja, la capitale della
Nigeria, e le cui conclusioni sono attese per questa sera. È prevedibile
una conferma del sostegno alle elezioni previste per il 28 luglio per
concludere appunto la transizione.
Fu proprio l’Ecowas la prima organizzazione internazionale a decidere
sanzioni dopo il colpo di Stato militare in Mali che nel marzo 2012 rovesciò il presidente Amadou Toumani Touré. I golpisti, guidati dal capitano Amadou Haya Sanogo, avevano poi dovuto accettare di avviare,
sotto la pressione internazionale
promossa proprio dall’Ecowas, una
transizione guidata dall’attuale capo
di Stato ad interim, Dioncounda
Traoré, all’epoca presidente del Parlamento. Sempre l’Ecowas aveva deciso l’invio di truppe da affiancare a
quelle francesi intervenute all’inizio
di quest’anno contro i gruppi jihadi-
sti che controllavano il nord del Mali.
Tuttavia, nonostante le dichiarazioni di appoggio di diversi soggetti
internazionali alle elezioni che dovrebbero ripristinare l’ordine costituzionale, la crisi in Mali appare
tutt’altro che in via di risoluzione.
Malgrado il silenzio calato sulle
operazioni militari nel nord — dove
sono ancora presenti e combattono
le forze francesi che secondo impegni più volte dichiarati avrebbero
dovuto ritirarsi al massimo a fine
mettere fine alla transizione avviata
dopo il colpo di Stato dell’aprile
2012. A Bissau restano dislocati 750
militari dell’Ecowas per garantire la
sicurezza dei dirigenti della transizione e degli edifici pubblici.
Infine, al vertice ad Abuja si sta
discutendo anche di altri processi
elettorali, come le imminenti legislative in Togo, fissate per il 25 luglio
dopo numerosi rinvii, e quelle di
settembre in Guinea, sulle quali incombe la minaccia delle riprese violenze tra etnie.
Il Sud Africa celebra il Mandela Day
CITTÀ DEL CAPO, 18. Il Mandela Day, la festa nazionale da tempo fissata in Sud Africa per il 18 luglio, giorno del compleanno del leader della lotta all’apartheid
(quest’anno è il 95°), si celebra in queste ore in tutto il
Paese. I festeggiamenti sono accompagnati dal sollievo
originato dalle notizie sulla salute di Madiba, come
viene affettuosamente chiamato Nelson Mandela, da
diverse settimane ricoverato in ospedale per una ma-
Parigi chiede al Myanmar
di proseguire le riforme
lattia che aveva fatto temere a lungo per la sua vita. Il
presidente sudafricano Jacob Zuma, in un comunicato
diffuso per questa ricorrenza, afferma che «Madiba rimane in ospedale a Pretoria, ma i suoi medici hanno
confermato che la sua salute è in costante miglioramento». Zuma aggiunge ringraziamenti per quanti, in
tutto il mondo, «hanno sostenuto Madiba durante il
suo ricovero con amore e compassione senza limiti».
Ancora divergenze
tra Pyongyang e Seoul
SEOUL, 18. La Corea del Nord e la
Corea del Sud non sono riuscite a
risolvere le controversie sul sito industriale congiunto di Kaesong,
bloccato all’inizio di aprile dal regime comunista di Pyongyang. I rappresentanti delle Coree, riuniti ieri
per la quarta sessione di trattative
proprio a Kaesong, hanno però deciso di ritrovarsi lunedì per riprendere il dialogo intercoreano.
Il capo della delegazione sudcoreana, Kim Ki Woong, aveva detto
di sperare in negoziati «sinceri e
sostanziali» da parte dei rappresentanti nordcoreani, ma, alla fine della riunione, ha confidato alla stam-
Attacco maoista
nello Stato indiano
del Bihar
NEW DELHI, 18. Cinque agenti di
polizia sono stati uccisi ieri dai ribelli maoisti in uno scontro armato nello Stato indiano settentrionale del Bihar. Oltre duecento
“naxaliti”, come sono chiamati i
guerriglieri che controllano parte
dell’India orientale, hanno lanciato un attacco contro un cantiere
nel distretto di Aurangabad. Le
vittime sono tre agenti di polizia e
due contractor privati di una società che sta costruendo un ponte
sul fiume Belaru. I ribelli maoisti
hanno anche piazzato delle cariche esplosive e le hanno fatte
esplodere. Da quanto si è appreso,
i militari che avevano il compito
di proteggere il sito erano stati
trasferiti nel luogo sacro buddhista di Bodh Gaya dopo un altro
sanguinoso attentato il 7 luglio.
aprile — la situazione è tale da far ritenere impossibile la regolarità del
voto. La stessa commissione elettorale ha ammesso che sarà estremamente difficile consegnare i certificati elettorali a tutti i cittadini, compresi quelli rifugiati in diversi Paesi
confinanti.
Un’altra situazione per alcuni
aspetti simile al Mali e sulla quale
l’Ecowas si sta confrontando è quella della Guinea-Bissau, dove pure
sono in programma, in questo caso
per novembre, elezioni generali per
pa che esistono ancora «profonde
divergenze» tra le parti.
Intanto, il segretario generale
dell’Onu, Ban Ki-moon, è venuto a
conoscenza della scoperta da parte
delle autorità panamensi di una nave che trasportava armi da Cuba alla Corea del Nord e, afferma un
portavoce del Palazzo di Vetro,
«apprezza l’iniziativa intrapresa da
Panama, che rispecchia gli obblighi
dettati dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite». Ban Ki-moon attende l’esito
delle indagini e sottolinea che è dovere di tutti gli Stati membri attuare le decisioni dell’O nu.
CONAKRY, 18. Si stanno rivelando
sempre più estese in Guinea le
violenze esplose a N’Zérékoré, il
capoluogo della regione sudorientale Forestale, tra le etnie dei
guerzé, per lo più cristiani, ma anche animisti, e dei konianké, musulmani e legati alla comunità liberiana dei mandingo.
Secondo fonti mediche, 54 corpi senza vita sono già stati identificati all’obitorio dell’ospedale
centrale di N’Zérékoré, la seconda
città del Paese dopo la capitale
Conakry, con 500.000 abitanti, e
vengono riconsegnati alle famiglie
dei due gruppi etnici. Ci sono peraltro altri corpi che non sono stati ancora identificati, soprattutto a
causa delle modalità particolarmente feroci delle uccisioni. A
questo si aggiunge la scarsità dei
medicinali che rende complicate le
cure alle persone ferite, finora non
meno di 130.
Sembra quindi destinato a crescere ulteriormente il bilancio delle violenze scoppiate nella notte
tra domenica e lunedì, dopo la
morte di un giovane di etnia konianké, durante una presunta rapina in una stazione di benzina del
vicino villaggio di Koulé.
Nonostante il coprifuoco in vigore dalle 18 alle 6, il dispiegamento di rinforzi militari e una
mediazione in corso tra le due comunità, a N’Zérékoré la situazione
rimane precaria. La popolazione è
rintanata nelle case e la maggior
parte dei negozi rimangono chiusa. Nelle ultime ore le violenze
hanno investito anche la città di
Beyla, nei pressi del confine con
la Costa d’Avorio e che dista una
cinquantina di chilometri da
N’Zérékoré. Secondo il sito d’informazione Guinée News, almeno
due persone sono rimaste uccise
in attacchi attribuiti a giovani konianké ai danni di decine di abitazioni, locali e chiese. Anche le autorità di Beyla hanno decretato un
coprifuoco dalle 21 alle 6, in attesa del dispiegamento di altri soldati.
Storicamente la regione Forestale non è nuova a ondate di violenza di questo tipo — la più grave
risale al 1991 — e i fatti degli ultimi giorni hanno riaperto vecchie
ferite e tensioni legate a motivi
economici o di convivenza quotidiana tra i due gruppi. A complicare la coabitazione c’è la vicinanza di tre Paesi fortemente instabili: Sierra Leone, Liberia e Costa
d’Avorio. I miliziani delle Nazioni
confinanti, teatri di crisi e guerre
negli ultimi decenni, hanno spesso
trovato rifugio nel sud est della
Guinea.
Inoltre nel 2009 il capitano
Moussa Dadis Camara, che aveva
preso il potere con un colpo di
Stato a Conakry, aveva riarmato
centinaia di giovani originari della
regione Forestale, ritornati a casa
negli ultimi mesi, dopo un tentato
processo di disarmo.
Il riaccendersi delle violenze a
N’Zérékoré si verifica mentre la
Guinea si sta preparando a un
cruciale appuntamento elettorale.
Dopo anni di rinvii e prove di
forza politiche tra la maggioranza
del presidente Alpha Condé e
l’opposizione, un voto legislativo
è in agenda per il 24 settembre.
A Islamabad il ministro degli Esteri britannico invita il Pakistan a sostenere la causa afghana
La tela diplomatica di Hague
Il presidente francese Hollande e il collega birmano, Thein Sein, all’Eliseo (Ansa)
PARIGI, 18. Il presidente francese,
François Hollande, ha rivolto oggi
un appello al collega birmano,
Thein Sein, giunto a Parigi per la
sua prima visita ufficiale in Francia,
a proseguire le riforme e a liberare
tutti i prigionieri politici. Hollande,
e in precedenza il premier francese,
Jean-Marc Ayrault, hanno dunque
incoraggiato il Myanmar a «proseguire la transizione politica e a consolidare le riforme economiche iniziate due anni fa». In visita a Londra lunedì scorso, il presidente
Thein Sein, si è impegnato a far li-
berare tutti i «prigionieri d’opinione» prima della fine dell’anno.
In una nota l’Eliseo ha affermato
che «il ritorno del Comitato internazionale della Croce rossa nelle
prigioni birmane rappresenta un segno positivo». Ma la Francia è
«preoccupata per la continuazione
delle violenze contro la minoranza
musulmana di rohingyas nella regione Rakhine. Il 13 giugno, il Parlamento europeo ha lanciato un
forte appello affinché cessino le
«persecuzioni» contro i rohingyas,
parlando di arresti arbitrari, atti di
tortura e distruzione di proprietà.
ISLAMABAD, 18. Il Pakistan e il Regno Unito concordano sulla necessità di rilanciare il processo di pace in
Afghanistan. La convergenza di valutazioni si è registrata in occasione
della visita del ministro degli Esteri
britannico, William Hague, a Islamabad. Ne dà notizia l’«Express
Tribune» sottolineando, nello stesso
tempo, che sia il Regno Unito sia il
Pakistan hanno auspicato che la
chiusura dell’ufficio politico dei talebani, a Doha, in Qatar, sia solo
temporanea: altrimenti questa situazione di stallo rischierebbe di compromettere i negoziati con gli Stati
Uniti diretti a trovare adeguate strategie per uscire dalla crisi afghana.
In occasione della visita del capo
della diplomazia britannica è stata
anche richiamata l’esigenza di non
“scavalcare” Kabul nella tessitura di
un’accorta e lungimirante azione diplomatica. Del resto già gli stessi
Stati Uniti, attraverso anzitutto il
segretario di Stato, John Kerry, avevano dato ampie rassicurazioni circa
la volontà di non marginalizzare in
alcun modo l’Afghanistan nell’ambito di un’azione negoziale che lo riguarda direttamente. Le rassicurazioni di Washington sono state formulate subito dopo che il presidente afghano, Hamid Karzai, aveva
espresso forti critiche agli Stati Uniti per aver deciso di stabilire contatti diretti con i talebani non rispettando, a dire del capo dello Stato
afghano, la sovranità afghana.
William Hague, incontrando il
ministro degli Esteri pakistano, Sartaj Aziz, ha ribadito un concetto già
espresso in passato: che la pace
nell’intera regione passa necessaria-
mente per l’Afghanistan. Ed è alla
luce di tale consapevolezza che il
capo della diplomazia britannica ha
invitato Islamabad a sostenere, con
sempre maggiore impegno, la causa
afghana, così da favorire nell’area
un clima di armonia.
Intanto, in vista delle presidenziali afghane del 2014, Karzai ha promulgato una legge, riferisce la France Presse, che conferisce ufficialmente maggiore indipendenza alla
Commissione incaricata di vigilare
sul corretto svolgimento del voto. Si
vuole in questo modo evitare il
grande flusso di ricorsi per sospetti
di brogli e irregolarità che caratterizzò le elezioni presidenziali del
2009. In una nota della presidenza
si sottolinea che la legge mira a garantire la massima trasparenza nella
gestione del voto presidenziale.
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L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 19 luglio 2013
venerdì 19 luglio 2013
Il 19 luglio 1943 gli aerei alleati bombardavano la città
E Pio
di EGIDIO PICUCCI
ettant’anni fa, il 19 luglio
1943, l’aviazione statunitense bombardava Roma.
«Prima di decidere il raid
— scrive Gastone Mazzanti
nel libro Roma violata. Dagli archivi
segreti angloamericani, i bombardamenti della Seconda Guerra mondiale (Roma, Teos Grafica, 2006) — gli alleati
anglo-americani fecero una serie di
considerazioni di carattere politico,
culturale, militare e religioso. Roma
non era un bersaglio di secondo ordine; sede del papato, città eterna,
culla della civiltà occidentale e centro della cristianità, era un delicatissimo obiettivo. Ogni precauzione
doveva essere quindi presa per colpire solo sedi di interesse militare,
evitando di centrare il Vaticano e i
luoghi di importanza religiosa e storica».
Nella ricostruzione di quanto avvenne in quel lontano lunedì in cui
l’attacco aereo colpì soprattutto il
quartiere San Lorenzo, provocando
circa 1800 morti, Mazzanti, riferendosi ai motivi del bombardamento,
aggiunge: «In termini militari Roma
era ritenuta dagli Alleati il punto focale del sistema ferroviario italiano.
Eccetto il tratto che legava Milano
al Meridione via Bologna-Ancona,
tutto l’altro traffico ferroviario tra
Nord e Sud passava attraverso i due
scali romani del Littorio (che si trovava sulla via Salaria, dov’è l’attuale
aeroporto dell’Urbe) e di San Lorenzo, due punti ritenuti estremamente importanti nell’offensiva contro le linee di comunicazione dell’Asse italo-tedesco. Neutralizzarli,
voleva dire bloccare il trasporto del-
S
Le prime bombe lanciate sullo Scalo di San Lorenzo: l’immagine è fornita
dall’operatore di un B-17 dell’aviazione statunitense (Usa, National Archives)
In ginocchio tra le macerie
Da «L’Osservatore Romano» del 21
luglio 1943.
Il cuore del Supremo Pastore, più
che mai vigile nelle dolorose evenienze che affliggono l’immensa famiglia a Lui affidata, ha avuto ieri
palpiti di ardentissima carità per i
fedeli della Sua diletta Diocesi di
Roma, colpiti dalla sciagura bellica. Sua Santità, infatti, appena informato delle gravi conseguenze
del bombardamento aereo con numerose vittime nel rione di San Lorenzo e nei quartieri Tiburtino,
Prenestino e Latino, e con gli ingenti danni inferti alla Patriarcale
Basilica di San Lorenzo fuori le
mura, decise di recarsi immediatamente nella zona devastata.
Nessun preparativo, né alcuna
aspettativa per una visita così augusta: essa perciò è stata tanto più
acclamata e benedetta quanto più
ne venne intuito dal popolo l’alto
significato di conforto, di elevazione e di aiuto paterno.
(...) In forma privatissima, senza
alcuna scorta, senza nemmeno dar
tempo acché venissero avvertiti i
dignitari della Corte, accompagnato soltanto da S. E. Rev.ma Monsignor Giovanni Battista Montini,
Sostituto della Segreteria di Stato,
l’Augusto Pontefice alle 17,20, appena ricevute le prime informazio-
ni sull’entità della sciagura, ha lasciato il Vaticano per recarsi al più
presto a portare di persona sollievo
ai sinistrati.
Dinanzi ai tanti tristi spettacoli
delle devastazioni il Santo Padre
faceva sostare a lungo la macchina,
e chiedeva notizie sulle vittime e
sull’entità dei danni. Il volto pallidissimo accennava all’interno dolore: mai quadro più commovente di
questo, nella partecipazione piena
e profonda del Padre alle pene ed
angoscie dei figli.
(...) Al piazzale antistante alla
Patriarcale Basilica di S. Lorenzo,
ove mirabili opere di arte per lunghi secoli hanno reso omaggio ad
una delle più insigni memorie di
religione, e dove, tra i tanti tesori
della cristiana pietà, si venera il sepolcro glorioso del Sommo Pontefice Pio IX, il corteo di folla fu invitato a sostare.
A stento, di fronte al diroccato
pronao del Tempio, Sua Santità
poté discendere, mentre l’onda della acclamazione erompeva da tutti i
cuori. Incurante del terreno impraticabile per le rovine, con gesto
che, in un attimo, richiamava agli
astanti le pagine più splendenti del
Pontificato Romano, da s. Gregorio Magno, a S. Leone I, a Leone
IV, a S. Pio V, il Successore di Pietro genufletteva sui detriti del fastigio monumentale e
delle colonne invitando tutti alla cristiana preghiera per
le lacrimate vittime.
(...) Poi il Santo
Padre si degnò di rivolgere alcune parole
alla moltitudine: e fu
balsamo celeste. Disse che Egli più
che mai comprendeva l’affanno indicibile di tante famiglie così tragicamente private dei loro cari e delle loro case, e che implorava dal
Signore di voler mutare sì grande
dolore in tanta forza spirituale e
morale, affinché, con rinsaldata fede e purezza di vita, più agevolmente ciascuno compisse i propri
doveri di cristiano, uniformandosi
pienamente alla santa volontà di
Dio. Aggiungeva poi di voler benedire, con effusione particolare, i
presenti, i danneggiati, le loro famiglie, l’intera amatissima Città e
tutto il Paese.
E infine, con quel gesto che abbraccia, protegge, impetra, tutti benedisse, da quell’improvviso trono
di rovina e di schianto, elevandosi,
Egli, angelico Servo dei servi di
Dio, a confermare tutti nella fede,
nella speranza. nella carità.
Per oltre un’ora e mezza Egli rimase tra i Suoi figli.
Da «L’Osservatore Romano» del 15
agosto 1943, dopo il bombardamento
del 13 agosto.
Ancora una volta il Santo Padre,
vescovo di Roma, «centro e capo
dell’Orbe cattolico e del pensiero e
della fede cristiana», ha dimostrato
ai vicini e ai lontani quale sia la
Sua particolare sollecitudine per la
santa Città. (...)
Ancora una volta il cuore paterno ha sentito, nel palpito della universale carità, l’implorazione di sofferenti; e il Papa s’è portato tra essi, senza indugio, senza attendere
informazioni circostanziate, attratto
Le voci di allora
in un documentario
La lettera scritta da Pio XII a Roosevelt
il 20 luglio 1943
«Mi salvai dall’arresto e dalla deportazione grazie a una
provvidenziale nomina con cui venivo arruolato nella
guardia d’onore pontificia»: è questa una delle tante voci che compaiono nel documentario Pio XII e il bombardamento di San Lorenzo, realizzato dallo storico Livio
Spinelli e dalla regista Donatella Baglivo (con la consulenza di suor Margherita Marchione), che verrà presentato in anteprima il 19 luglio presso la Libreria Assaggi
di Roma. Tra i documenti poco noti presentati, v’è la vibrante lettera che il Papa scrisse di proprio pugno al
Presidente Roosevelt il 20 luglio, all’indomani di quel
tragico evento.
XII
dispensato dalla missione, anche
perché fu precisato che erano lontani
dal bersaglio sia il Vaticano che le
basiliche di San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San
Paolo fuori le Mura. Uno dei briefing venne concluso con queste parole «For God’s sake (“per amor di
D io”): se non vedete l’obiettivo, portate indietro le bombe».
Il 19 luglio, nel giro di quasi sei
ore, furono sganciate su Roma 9.125
bombe di vario calibro da 690 aerei
tra quadrimotori e bimotori, per 930,30
Furono sganciate 9.125 bombe da 690 aerei
tonnellate di esplosivo, che provocarono
per 930,30 tonnellate di esplosivo
danni inestimabili al
A sollevare la gente smarrita e angosciata
patrimonio storico-religioso della città. Parnello stesso pomeriggio giunse la notizia
ticolarmente
colpiti
dell’arrivo del Papa
furono il cimitero del
Verano e la basilica di
reo. «L’ordine operativo, trasmesso
San Lorenzo, della quale, in un memorandum compilato dalla Sezione
dal quartier generale all’aviazione,
Analisi Obiettivi del Comando della
cominciava con un ironico “spaghetforza aerea alleata, si legge: «tale
ti e polpettine di carne”, e proseguistruttura, posta a circa 600 metri dal
va con una dettagliatissima esposicentro dell’area del bersaglio princizione e successione degli attacchi afpale, ricevette due colpi nel corso
fidati ai vari stormi dei bombardieri
del raid, e tre il convento [dei capche, partendo dallo scalo di San Lopuccini] a sud, ancor più vicino
renzo, avrebbero dovuto colpire, in
all’obiettivo». Non è dato conoscere
successione, l’aeroporto di Ciampino
la ragione della decisione di non ine lo scalo del Littorio».
dicare la posizione della chiesa nella
Durante i vari briefing di preparamappa, ma sicuramente l’edificio
zione si fecero alcune importantissinon fu considerato alla stregua degli
me raccomandazioni. Sganciare le
altri monumenti che, invece, vennero
bombe solo nell’assoluta certezza di
segnalati; sicuramente la sua particocolpire gli obiettivi prescelti; possibilare ubicazione era tale da non galità di volare basso, se necessario,
rantire che eventuali danni potessero
dato che l’obiettivo coinvolgeva luoessere evitati senza ridurre l’efficacia
ghi tra i più sacri e storici del mondella missione, ostacolando, così, il
do; opportunità di rinunciare alla
raggiungimento dei risultati militari
missione per motivi religiosi o di codesiderati.
scienza. Ma nessuno chiese di essere
«Considerando un insieme di fattori — scrive Mazzanti — quali l’ampiezza dell’area bersaglio, la vicinanza a essa della basilica, il fumo prodotto dalle esplosioni, l’intervento
difensivo del nemico, è da ritenere
che qualsiasi tentativo per evitare
danni alla basilica non poteva essere
garantito, anche se la stessa fosse
stata indicata nel materiale presentato al briefing». E infatti la basilica
fu uno dei primi edifici a cedere sotto le bombe. Colpita direttamente
da un ordigno che finì sulla finestra
della facciata, perse il nartece, crollato sotto il peso della facciata stessa,
come perse oltre metà del tetto e
gran parte delle decorazioni interne.
Danneggiata lievemente, invece, fu
la chiesa dell’Immacolata Concezione, la parrocchia del quartiere di
San Lorenzo, non colpita da bombe,
ma da schegge e pietre per gli spostamenti d’aria.
«Nel cimitero — si legge in Roma
violata — furono dissepolte molte
La basilica di San Lorenzo dopo il bombardamento
soltanto dalla fosca, terrificante caligine, segno di lutto e di dolore.
(...) verso Porta San Giovanni
l’automobile papale dovette rallentare: a gruppi foltissimi la moltitudine infittiva e circondò la vettura,
i più audaci salendo a grappoli sulle sporgenze esterne della macchina, nuova singolare guardia d’onore di umili lavoratori, fieri d’essere
i primi a salutare il Pastore venerato nelle zone colpite dalla sciagura.
(...) Egli è qui tra noi, in un misericorde richiamo, in atto di indefettibile amore. Allorché nella piazza di Villa Fiorelli il Papa a stento
riesce a lasciare la vettura e a portarsi sul ripiano erboso, tra i pini
schiantati, il suo pallido volto è visto rigato di lagrime. Come Gesù
— secondo la narrazione del Vangelo domenicale di domani — Egli
piange sulla sua città.
(...) Chiediamo al Signore —
Egli dice — anzitutto la pace eterna
per le anime dei cari, morti a seguito di questa tremenda tragedia;
poi rivolgiamoci fiduciosi alla infinita Bontà implorando luce, forza,
serenità; assicurando rinnovamento
di fervore cristiano e di purezza di
vita.
Ed ora — conclude — in ginocchio preghiamo. Egli stesso dà
l’esempio e genuflette sulla nuda
terra. (...) Allorché Egli allarga le
braccia in forma di croce e poi leva
la destra, la folla ha modo di scorgere sulla candida veste una larga
macchia purpure: è sangue di feriti
che la benevolenza paterna aveva
sollecitamente avvicinato.
Ricordo di Vincenzo Cerami
Il laico che cercava
abbracciò Roma ferita
le armi all’interno del Paese. Inoltre,
il bombardamento della capitale poteva avere riflessi positivi sul morale
della popolazione in evidente fase
calante, e quindi favorevole alla resa
definitiva».
Il momento era dunque opportuno per l’attacco tanto atteso. Nelle
prime ore di quel lunedì, alcuni aerei britannici lanciarono un gran numero di volantini (non è stato possibile trovarne neppure uno) con i
quali si preannunciava l’attacco ae-
salme (colpita anche la tomba di famiglia di Papa Pacelli) che furono
allineate nel piazzale interno, divise
tra conosciute e non identificabili,
per essere poi sepolte subito in fosse
comuni per evitare possibili epidemie, vista l’alta temperatura di quel
periodo. Per la gente, fu quella una
ferita profonda, indimenticabile, data anche la grande devozione dei romani per i defunti. Molti, naturalmente, gli edifici distrutti o danneggiati nelle vie del quartiere, sotto i
quali morì molta gente. In via dei
Sabelli furono estratti dalle macerie
settantotto bambini e otto suore; in
via dei Reti ci furono una quarantina di morti, ospiti del carcere minorile; in via dei Marrucini quasi cento
persone morirono in un rifugio. In
via degli Apuli un pastificio bruciò
per tre giorni, facendo vivere alla
gente ore di incubo e di disperazione».
Lo scenario che si presentò ai cittadini a esplosioni finite, quando il
rombo degli aerei che, in ondate
successive avevano sconvolto tutto,
si stava smorzando, suscitò un’incredulità generale. I muri rimasti in
piedi sembravano quinte slabbrate di
un palcoscenico portato via dal vento. Il morale della popolazione era a
terra: nessuno s’aspettava un attacco
del genere e tutti si aggiravano
smarriti e silenziosi per le strade polverose e ingombre di macerie. Roma, la città eterna, non c’era più.
A sollevare la gente dall’angoscia
che l’opprimeva, arrivò la notizia
che il Papa avrebbe fatto una visita a
San Lorenzo nel pomeriggio, verso
le 17,30. A quell’ora ci fu un corri
corri generale verso la basilica, di
fronte alla quale la gente si strinse
attorno a lui, parlando più con gli
occhi e le lacrime che con le parole.
Pio XII, visibilmente commosso, allargò le braccia come per stringere
tutti a sé e non lasciarli più.
In una lettera indirizzata al cardinale Marchetti Selvaggiani, vicario
generale di Roma, egli aveva accennato ai suoi frequenti e inascoltati
avvertimenti rivolti alle potenze belligeranti perché si astenessero dal
colpire la città. A quel punto la speranza del Papa e dei romani tutti era
che i bombardamenti non si ripetessero. Invece, com’è noto, il 13 agosto
Roma subì un ulteriore attacco che
colpì di nuovo lo Scalo San Lorenzo
con l’impiego di 419 aerei che sganciarono altre 2.031 bombe per 460,62
tonnellate di esplosivo. Anche questa volta Papa Pacelli uscì dal Vaticano recandosi in mezzo alla folla,
pregando con essa e per essa in ginocchio.
Nonostante i gravi danni provocati, gli strateghi dell’aviazione alleata
Centro per la promozione del libro
(associazione culturale che proprio
quest’anno celebra i trent’anni di attività), l’esposizione si snoda in un
ricco percorso storico-iconografico,
suddiviso in sessanta pannelli articolati cronologicamente.
Documenti, fotografie, manifesti,
giornali e periodici italiani e soprattutto stranieri: tutto questo ponendo
sempre al centro dell’indagine la celebre basilica colpita al cuore. Dalle
testate nelle diverse lingue ai volantini lanciati dagli alleati, dalle pagine di diari inediti (tra cui quelli dei
frati della basilica, che si nascosero
nelle catacombe) alle foto scattate
dagli aerei statunitensi: è dunque da
una moltiplicità di angoli prospettici
che l’esposizione intende presentare
al visitatore il bombardamento più
cruento della recente storia romana.
Per un totale di quattrocentocinquanta documenti, cercati e raccolti
con meticolosità e pazienza negli anni da Cipriani e dalla sua associazione.
Se l’appello alla pace dell’agosto
1939 apre il percorso, la chiusura
della mostra è invece affidata al
1948, quando la fine della ricostruzione fu salutata con l’apposizione
della celebre targa. Sarà il cardinale
Agostino Vallini, vicario generale del
Papa per la diocesi di Roma, a inaugurare l’esposizione al termine del
concerto di musica sacra e della celebrazione della messa nella basilica,
nel tardo pomeriggio di venerdì 19
luglio.
D
sembravano decisi a effettuare un
terzo raid. Un peggioramento delle
condizioni atmosferiche impose un
rinvio, fissato prima al 15 e poi rimandato al mattino del 16 agosto.
Ma, proprio mentre le unità stavano
per partire verso la capitale, fu comunicato che l’operazione era finita.
I quadrimotori ripresero il volo la
mattina del 17, diretti verso obiettivi
al sud della Francia.
Il bombardamento di Roma ebbe
risonanze mondiali. Tutti si chiedevano come mai fosse stato possibile
“violare” la città più bella e più significativa del mondo; ma nessuno
trovò risposte soddisfacenti.
La ricostruzione e gli scavi archeologici
poli vaticana e da poco segretario della commissione, che già si preoccupava di tutelare le
catacombe cristiane d’Italia, fu affiancato da
Enrico Josi, altro esploratore degli scavi del
Vaticano e ispettore della commissione, da Richard Krautheimer e dall’architetto Wolfgang
Frankl. Padre Ferrua — per il tramite di monsignor Giovanni Battista Montini, allora sostituto della Segreteria di Stato — riuscì a ottenere i
fondi dalla Santa Sede per recuperare l’insigne
complesso paleocristiano tiburtino,
anche con l’aiuto di istituzioni americane sollecitate da Richard Krautheimer.
I lavori interessarono molte gallerie
della catacomba di Ciriaca, venute alla luce in seguito ai bombardamenti.
Del cimitero, organizzato in cinque
livelli, si avevano notizie sin dai tempi di Antonio Bosio che, nel 1593,
ispezionò l’area settentrionale del
complesso individuando un cospicuo
numero di epitaffi marmorei, oggetti
di corredo e, in seguito, tra il 1597 e il
1616, anche alcuni cubicoli dipinti.
Altri settori delle catacombe furono
scoperti nel Settecento dai custodi
delle sacre reliquie, Marcantonio Boldetti e Giovanni Marangoni, mentre
tra Ottocento e Novecento furono
sterrati, specialmente da Orazio Marucchi, alcuni ambienti affrescati con
Il settore absidale della basilica di San Lorenzo durante gli scavi del 1948
le figure di Giona, di Mosè, delle
Vergini stolte e prudenti e del mirama non si perse l’occasione per studiare dal
colo della manna. Più di recente, qualche picpunto di vista archeologico il complesso monucola regione della catacomba è stata rinvenuta
mentale e l’annessa catacomba di Ciriaca che,
all’interno del cimitero del Verano, nella collicom’è noto, si distende sotto l’attuale cimitero
na cosiddetta del Pincetto, non lontano dalle
del Verano.
voragini create dal bombardamento della seQuesti lavori furono seguiti dal segretario
conda guerra mondiale.
della Pontificia Commissione di Archeologia
Proprio nelle catacombe di Ciriaca fu sepolSacra, padre Antonio Ferrua, scomparso dieci
to il martire Lorenzo, arcidiacono di Papa Sianni orsono all’età di 102 anni. L’archeologo
sto II, martirizzato il 10 agosto del 258, pochi
giorni dopo lo stesso Pontefice, ucciso mentre
gesuita, reduce dalle esplorazioni nella necroIl bombardamento del pomeriggio del 19 luglio 1943 colpì al cuore il popolare quartiere
romano di San Lorenzo, toccandone il simbolo
monumentale costituito dal complesso basilicale e dall’annesso monastero. Nel 1946 iniziarono i lavori di restauro della maestosa basilica,
gravemente danneggiata, a cura della soprintendenza ai Monumenti medievali del Lazio,
Immagini di una tragedia
Con il pannello che riproduce l’appello alla pace di Pio XII del 24 agosto 1939 pubblicato all’epoca sulla
prima pagina dell’edizione speciale
de «L’Osservatore Romano», si apre
la mostra «La Basilica di San Lorenzo dal bombardamento di Roma del
19 luglio 1943 alla ricostruzione», visitabile nel chiostro della celebre basilica romana. Curata da Giovanni
Cipriani, segretario generale del
Il “laico” Cerami entrò in questo
orizzonte con una passione straordinaria, al punto tale che lo volli acevo confessare che, sotcanto a me nella Sala Stampa della
to le volte del Pantheon
Santa Sede a presentare il «Cortile
lo scorso primo luglio,
di Francesco», l’incontro svolto ad
ho atteso che si compisAssisi il 5 e il 6 ottobre 2012 con il
se una sorta di piccolo
colloquio pubblico tra me e il presiprodigio. Sapevo che da qualche
dente della Repubblica Giorgio Natempo Vincenzo Cerami era gravepolitano nel piazzale della Basilica
mente ammalato, ma speravo lo stesdi San Francesco, e con una fitta seso di intravedere il suo volto tra corie di “tende” tematiche ove intelletloro che in quel pomeriggio stavano
tuali, politici, insegnanti, sindacalipartecipando a un evento suggestivo
sti, manager si confrontavano su una
e significativo. Dovevo, infatti, conserie di questioni etiche, sociali, culsegnare ufficialmente le nomine dei
turali, spirituali. In quell’occasione
nuovi membri della più antica Accaegli aveva confessato di aver accostademia pontificia, quella di Belle Arti
to il mondo della religione con tie Lettere dei Virtuosi al Pantheon,
more ma anche con curiosità viva
riconosciuta da Paolo III nel 1542.
perché considerava il “Cortile” un
Tra costoro Benedetto XVI aveva
«luogo in cui bisogna ascoltare e ricooptato anche Cerami, noto al
flettere prima di parlare». Anzi egli
grande pubblico soprattutto per una
era arrivato al punto di classificare
delle sue tante fisionomie artistiche,
quell’esperienza di dialogo come
quella di sceneggiatore cinematogra«l’unica cosa che si muove nel panofico: aveva col regista Benigni aprama culturale italiano piuttosto
prontato nel 1997 il copione de La
asfittico».
vita è bella, affrontando la sfida di
Anche se non credente, si era afnarrare visivamente in modo lieve
facciato con acutezza alla regione e
un tema “indicibile” e pesante come
alle ragioni della fede e lo aveva fatquello dei lager nazisti.
to in quell’incontro di Assisi. Infatti,
Come è noto, lungo questa via aregli era intervenuto con l’architetto
tistica aveva incrociato altri registi
Massimiliano Fuksas e il regista Erimportanti, a partire da Pier Paolo
Pasolini nell’indimenticabile Uccelmanno Olmi nello scenario impreslacci e uccellini. Ma l’arcobaleno della sua creatività era
«L’uomo è fatto anche di metafisica
passato anche attraverso il
romanzo, il racconto, la
e la speranza dà senso all’esistenza
poesia, il teatro, la critica ciche altrimenti non sarebbe altro
nematografica. Anzi, proche apatico, passivo “passatempo”»
prio quest’ultimo suo impegno mi aveva messo in sospetto sul suo stato di salute (non avevo notizie indirette persionante della Basilica Superiore di
San Francesco davanti alle pareti afché i nostri erano stati sempre e solo
frescate da Giotto e con una folla ascontatti personali): da molte settimasorta e in tensione di credenti e di
ne, infatti, non trovavo più la sua
atei (parola che però detestava). Profirma nelle recensioni filmiche sul
ponendo ora quasi una memoria ulsupplemento letterario de «Il Sole
tima e affettuosa di questo impor24 Ore». Ovviamente ora il mio non
tante autore e operatore di cultura,
vuole essere un profilo bio-bibliograuomo di pensiero e di passione, vorfico, ma un ricordo quasi intimo, sorei idealmente far risuonare nuovastenuto dai dialoghi, dagli incontri,
mente alcuni sprazzi della sua voce
dalle condivisioni ideali che abbiamo
così come era risuonata in quel 6 otavuto.
tobre 2012. Sono parole che poi aveSì, perché la mia conoscenza
va anche cristallizzato in uno scritto
esplicita con Cerami, pur essendo redestinato a diventare un articolo da
cente, aveva acquistato subito i colopubblicare su «l’Unità».
ri di una vera e propria amicizia.
Penso che le frasi che affido adesCerto, ricordo ancora la lontana ma
so ai lettori de «L’Osservatore Roforte emozione che provai da ancor
mano» — giornale sul quale era ingiovane prete quando nel 1976 lessi
tervenuto perché lo considerava
il suo famoso Un borghese piccolo picaperto a coloro che sono «amanti
colo, un testo livido e tragico, illumidel pensiero» serio e motivato, come
nato dallo sforzo di sciogliere la dimi aveva confidato — possano essere
sperazione e la violenza in un tentauna sorta di suo testamento spirituativo estremo di comprensione. Mai,
le che da “laico” rivolge ai suoi comperò, avrei pensato che le nostre
pagni di viaggio ma anche ai crestrade così diverse si sarebbero indenti. Saranno anche il mio ideale
crociate proprio nella città di Cerasaluto e l’espressione della mia gratimi, a Roma, quando, divenuto presitudine per la sua amicizia, non avendente del Pontificio Consiglio della
dolo potuto raggiungere prima della
Cultura, pensai anche a lui, scrittore
sua morte. Tra l’altro, proprio lunedì
certamente “laico”, per l’incontro descorso — non avendo stabilito un
gli artisti delle varie discipline e delcontatto con lui e con chi lo assistele diverse ideologie con Benedetto
va (avevo solo il numero “inerte” del
XVI il 21 novembre 2009 nella Capsuo cellulare) — avevo inviato al suo
pella Sistina.
indirizzo romano il biglietto papale
Fu da quell’esperienza che nacque
di nomina ad Accademico del Pantra noi un dialogo discreto, affidato
theon: lo potrà ora aprire e leggere
spesso all’implicito e alla condivisionell’eterno e nell’infinito di Dio, con
ne spontanea di argomenti, di giudila stessa gioia che mi aveva manifezi, di attese. Il filo era tenuto vivo
stato quando gli avevo comunicato a
inizialmente proprio dal mio amore
febbraio questa nomina.
per la letteratura (avevo letto anche
Ecco, allora, questo suo intenso e
il suo Ragazzo di vetro, e poi La lepre
forte messaggio ultimo. «Non esistoe ancora Fattacci, così come i racconno uomini e donne che, prima o poi,
ti de L’ipocrita). Cerami aveva, così,
non si interroghino sui grandi temi e
accettato di presentare il 18 febbraio
sul significato del loro vivere. E a
2012, nella festa del Beato Angelico
ogni domanda nasce un dubbio. Il
presso la chiesa di Santa Maria sodubbio è il sale della fede, ma anche
pra Minerva, il catalogo di un partila bussola del non credente. Il dubcolare omaggio che sessanta artisti
bio è il comune denominatore di
diversi per genere e nazionalità avetutti gli individui pensanti, atei e revano presentato a Benedetto XVI in
ligiosi; è un enigma da risolvere, un
occasione dei suoi sessant’anni di sasegreto da svelare. L’artista, anche il
cerdozio. In quell’occasione, di fronpiù blasfemo, nutre in sé l’idea di un
te a una folla che si accalcava in
mondo alternativo, idealmente miogni angolo della Sala Santa Caterigliore. E rimane fatalmente incantana, aveva letto un suo testo bellissito dall’infinito e sublime equilibrio
mo ancora inedito, intrecciandolo
dell’universo, dove anche le cellule,
con le altre testimonianze degli artimiracolosamente, meravigliosamente
sti di quel volume che recava un tiagiscono, si trasformano, lottano per
tolo emblematico: Lo splendore della
dare continuità alla vita. Cos’altro fa
verità, la bellezza della carità.
se non tentare di mettere in scena,
Era una sorta di ballata modulata
esplicitare tutto ciò che esiste e pure
tematicamente e stilisticamente su
non si vede? Lo scrittore, al contraQohelet-Ecclesiaste, un autore biblirio del cronista, lavora con le presenco caro a entrambi. Forse in quei
ze invisibili. L’uomo di fede non fa
versi egli esprimeva il succo delle
forse la stessa cosa? Egli non sarebsue interrogazioni, della sua essenbe tale se non evocasse la rivelazione
zialità esistenziale, della sua fiera
certa, la sicurezza del giudizio. Ma
convinzione che «l’uomo è fatto anQohelet, l’Ecclesiaste, già prima delche di metafisica e che la speranza
la nascita di Cristo, ammonisce gli
dà senso all’esistenza che altrimenti
abitanti della Terra e spiega loro che
non sarebbe altro che apatico, passiDio ha fatto in modo che “l’uomo
vo “passatempo”», come mi aveva
non trovi nessuna traccia di lui”. La
confidato un giorno. Ormai, però,
fede non è data una volta per tutte,
era pronta un’altra tappa decisiva
è quotidiano travaglio, come il racdella nostra amicizia, ancora una
conto della realtà nascosta espresso
volta fondata su un’iniziativa nata
dall’artista. In questi anni di depresda una sollecitazione di Benedetto
sione, crollato il mito totalizzante delXVI, quella del Cortile dei gentili per
l’edonismo merceologico, è necessal’incontro dialogico tra credenti e
rio trovare in sé risorse spirituali che
ristabiliscano le gerarchie dei valori».
non credenti.
di GIANFRANCO RAVASI
di FABRIZIO BISCONTI
Le immagini dei quartieri romani devastati dal primo bombardamento (19 luglio 1943)
e le copertine di alcuni quotidiani statunitensi
che riportano la notizia della clamorosa operazione militare
pagina 5
celebrava nelle catacombe di San Callisto, insieme ai diaconi Gennaro, Magno, Vincenzo e
Stefano. Purtroppo, le vicende della morte del
martire, deposto nell’ager del Verano, sono avvolte nella leggenda, le cui coordinate sono da
ricercare nella passio Polichroni, laddove spunta
il tòpos agiografico del tormento sulla graticola
ardente, che apparirà nel mosaico ravennate di
Galla Placidia.
Proprio in seguito agli scavi sovvenzionati
dalla Santa Sede, per interessamento di monsignor Montini, si chiarirono le fasi della monumentalizzazione del sepolcro di Lorenzo, inserito, come si diceva, nell’antico nucleo cimiteriale tiburtino del III secolo. Se già ai tempi di
Papa Silvestro (314-335) la tomba del martire fu
presumibilmente isolata e dotata di un itinerario obbligato per i pellegrini, che contattavano
il sepolcro per il tramite di gradus ascensionis et
descensionis, parallelamente l’imperatore Costantino fece costruire nei pressi del monumento martiriale una maestosa basilica, del tipo circiforme, ad corpus, di cui furono intercettate,
Fu una grande fortuna
che a Roma in anni così difficili vi fossero
figure come Montini, Krautheimer e Ferrua
durante i lavori postbellici, alcuni resti ben
giudicabili. Il Pontefice Pelagio II (579-590) fece invece erigere la prima basilica supra corpus,
che ebbe come centro di interesse una tomba
della regione martiriale, che può essere attribuita proprio alla deposizione di san Lorenzo,
attorno alla quale, definita da una struttura absidata, furono sistemate nel tempo una mensa
oleorum, un pozzo votivo e alcune tombe di fedeli, che desideravano essere sepolti vicino al
santo.
Della basilica pelagiana restano ancora molte strutture, arredi e il luminoso mosaico
dell’arco absidale, che dispiega intorno al Cristo cosmocràtor, i principi degli apostoli Pietro
e Paolo, il protomartire Stefano, il martire romano Ippolito e san Lorenzo, che introduce il
Pontefice, che, con le mani velate, sostiene il
modellino della basilica.
Agli esordi del XIII secolo Papa Onorio III
(1216-1227) ristrutturò completamente la basilica pelagiana, sfondandone l’abside e mutando
completamente l’orientamento dell’edificio,
spostando nell’attuale presbiterio il nuovo monumento funerario, al di sotto dell’altare, da
sempre considerato il luogo della primitiva sepoltura del martire tiburtino.
Il complesso tiburtino fu compreso, in tutte
le sue fasi e nell’articolata successione delle fasi
proprio in seguito al bombardamento del luglio 1943, che mise a nudo sepolture, gallerie e
strutture murarie. Fu una grande fortuna che,
in quegli anni così difficili, fossero attivi a Roma figure sensibili e concrete come Montini,
Richard Krautheimer e padre Antonio Ferrua.
Dalle scarne pagine della Cronaca redatta da
quest’ultimo, con la sua tipica grafia tremolante, relativamente all’attività della Pontificia
Commissione di Archeologia Sacra nel 1947 e
nel 1948, si può stralciare un brano per testimoniare la tempestività e la passione con cui si
procedeva alla ricostruzione del complesso tiburtino, così amato non solo dai romani, ma
dai devoti e dagli specialisti di tutto il mondo.
«6 giugno 1948 domenica. Josi mi annuncia
che sta arrivando Krautheimer con un sussidio
di 300 dollari concesso [per la ricostruzione
della basilica di San Lorenzo fuori le Mura] da
un’Istituzione Americana. Chiudiamo in fretta
i lavori a S. Sebastiano (...) e riportiamo gli
operai a S. Lorenzo, dove lavoreranno sempre
in cinque. Conduciamo a fondo lo sterro della
nave centrale ove apparirà per intero il pozzo
avanti all’abside dove si trova un frammento di
un’iscrizione damasiana e grossi pezzi di volta
a crociera crollata con le sue pitture (del secolo
XII circa). Sono sempre sul posto Krautheimer,
Frankl e Josi. (...) Frankl disegna le piante e
Josi e Krautheimer si incaricano della relazione
preliminare da pubblicare negli Atti della
Commissione».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
venerdì 19 luglio 2013
Dedicato ai popoli autoctoni il sussidio della prossima Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
Denuncia dell’associazione Aiuto alla Chiesa che soffre
L’ecumenismo
che dà voce agli aborigeni canadesi
Allarme in Bangladesh
per il diffondersi
del fondamentalismo
di D ONATELLA MARIA COALOVA
«Possa esserci bellezza sopra di me,
possa esserci bellezza sotto di me,
possa esserci bellezza in me. Chiedo
che questo mondo sia pieno di pace,
d’amore e di bellezza». Le parole
sommesse e fascinose di questa antica preghiera dei nativi d’America
tornano alla memoria mentre si sfoglia il testo della prossima Settimana
di preghiera per l’unità dei cristiani.
Il testo della preghiera è stato preparato in Canada con una scelta significativa: dare spazio alla voce e
alla cultura degli autoctoni, le First
Nations (Prime nazioni), come essi si
definiscono, appunto per sottolineare che erano già presenti sul territorio prima dell’arrivo degli europei.
La cultura tipica delle Prime nazioni
insegna da sempre un profondo rispetto per la vita e per il creato; un
delicato senso di fraternità esteso
agli animali, alle piante, ai fiumi;
una grande generosità nell’accogliere
gli ospiti. Fanno riflettere queste parole dette nel Settecento da un capotribù a un colono: «Nella vostra
città vidi una grande casa. Mi dissero che era una banca dove gli uomini tenevano i loro soldi che aumentavano di valore. Da noi non ci sono
banche e quando abbiamo molto, lo
diamo via ad altri. Così il nostro
cuore diventa la nostra banca che è
rappresentata dal dare». Nel sussidio si raccomanda che, al momento
di scambiarsi il segno di pace, i presenti si salutino dicendo: «don de
Dieu» (dono di Dio), pensando al
significato che questa espressione ha
per i canadesi. «Quando i francesi
giunsero in questo luogo — si ricorda nel testo — trovarono una terra
ricca di risorse, e furono aiutati dalle
Prime nazioni. Le parole don de
Dieu hanno oggi una fresca vitalità
nella comunità cristiana e nella cultura popolare. Richiamano un senso
di gratitudine per la liberalità di
Dio, che ci raggiunge dal periodo in
cui i nostri antenati condivisero il
rendimento di grazie insieme alle
Prime nazioni».
In tutto il sussidio si ribadisce a
più riprese, con l’insistenza dolce di
un leitmotiv, l’importanza di riconoscere con gioia i talenti altrui e di
saperli condividere. Soprattutto va
praticato «lo scambio ecumenico di
doni spirituali» e, a tal fine, vengono dati preziosi suggerimenti. «Non
possiamo vivere nelle solitudini delle
nostre singole comunità cristiane —
è scritto nell’introduzione — ma
dobbiamo imparare a guardare con
considerazione gli altri e a vedere in
loro i carismi che arricchiscono l’intero corpo di Cristo». Il senso profondo di comunione e fraternità con
i nativi è anche espresso dalla scelta
di iniziare la liturgia con un rituale
tratto dalla loro antica tradizione di
pregare volgendosi in quattro direzioni: verso est, verso sud, verso
ovest e verso nord.
Gli appartenenti alle First Nations
sono attualmente 704.851, dei quali
13.184 risiedono fuori dal Canada. I
capi si riuniscono ogni anno nell’assemblea generale in cui vengono discussi tutti gli aspetti della vita delle
comunità, per affrontare insieme i
problemi e trovare delle soluzioni.
Dal 16 al 18 luglio, a Whitehorse
nello Yukon si è svolta l’assemblea
sul tema «Le nostre Nazioni, i nostri diritti, il nostro futuro: mettiamo
i nostri cittadini in grado di guidare
il cambiamento». La riunione è stata
preceduta da due giorni dedicati ai
giovani, il 13 e il 14 luglio. Il 24
maggio 2012 è stato rieletto come
“capo nazionale” per un triennio
Shawn A-in-chut Atleo. Per lo più
gli aborigeni canadesi (ossia gli appartenenti alle First Nations, ma anche i meticci e gli inuit delle zone
artiche) si trovano confinati in situazioni di estrema miseria. A causa
delle grandi sofferenze alcuni diventano anche vittime della depressione
e dell’alcolismo. Purtroppo in certe
frange della società canadese non
sono affatto scomparsi pregiudizi e
razzismo. Le donne delle First Nations patiscono cinque volte più delle altre episodi di violenza. Più di
seicento nell’ultimo periodo sono
scomparse o sono state uccise.
Una piaga ancora ben viva è data
inoltre dalle memorie dolorose lasciate dalle Scuole residenziali indiane che risalgono al 1870. In tutto il
territorio canadese vennero disseminate 130 strutture di questo tipo in
cui vennero condotti più di 150.000
bambini aborigeni, spesso strappati
a forza dalle loro famiglie. Solo nel
1996 venne chiuso l’ultimo di questi
istituti. Queste scuole erano finanziate dal Governo e gestite anche da
persone appartenenti a varie comunità ecclesiali, tra cui quella cattolica. Attualmente sono viventi 80.000
ex studenti che portano nell’anima il
ricordo delle durezze subite.
Nel giugno 2008 il primo ministro Stephen Harper ha chiesto pubblicamente scusa per gli abusi sopportati dai bambini nelle istituzioni
finanziate dal Governo. Il 29 aprile
2009 Benedetto XVI volle ricevere in
udienza privata Phil Fontaine, allora
capo nazionale dell’Assemblea delle
Prime Nazioni del Canada, insieme
a un gruppo di anziani aborigeni e
di sopravvissuti delle Scuole residenziali indiane, per esprimere loro la
sua «solidarietà orante» e sofferenza
per i patimenti subiti dai bambini.
Phil Fontaine, che conobbe personalmente la durezza delle scuole,
disse poi che le parole del Pontefice
erano state per lui «di grande conforto».
In Canada, tuttavia, continua comunque a essere reale il problema
dell’istruzione dei bambini aborigeni, costretti spesso a studiare in
strutture fatiscenti e prive di mezzi.
L’intero Paese è stato commosso
dalla coraggiosa campagna per il di-
ritto allo studio di Shannen Koostachin (1996-2010), una ragazzina vissuta nella poverissima comunità di
Attawapiskat. A seguito della sua
prematura scomparsa in un terribile
incidente, è nato il movimento che
porta il titolo di «Il sogno di Shannen», impegnato affinché tutti i
bambini in Canada possano avere
pari
condizioni
per
accedere
all’istruzione.
Questo è una delle numerose iniziative a sfondo sociale che sono
state promosse nel Paese. La città di
Vancouver, per esempio, ha proclamato «Anno della riconciliazione» il
periodo dal 21 giugno 2013 al 20
giugno 2014, perché fra le diverse
culture «si sviluppino nuove relazioni, si guarisca dalle ferite del passato, e si vada avanti con reciproco rispetto». Varie attività di promozione
umana sono portate avanti dalle diverse comunità ecclesiali, spesso in
collaborazione tra loro. L’ecumenismo in Canada ha una lunga storia
— sia pure con un andamento intermittente — in cui periodi di collaborazione e rispetto reciproco si sono
alternati a fasi di intolleranza. La
maggior parte dei francesi che arrivarono sul territorio erano cattolici,
ma c’erano anche molti mercanti
ugonotti. Inizialmente le tensioni religiose della madrepatria non giunsero nella Nuova Francia, e i gesuiti
ebbero rapporti fraterni con i protestanti. Quando la Nuova Francia fu
ceduta alla Gran Bretagna, per un
buon periodo i franco-canadesi di
religione cattolica videro riconosciute la loro libertà religiosa, anche se
nello stesso periodo sul suolo inglese i cattolici venivano discriminati.
In tempi a noi più vicini, è famosa la passione ecumenica contenuta
nel testo Cristiani divisi, la lettera
pastorale scritta nel 1962 dal cardinale Paul-Émile Léger, arcivescovo
di Montreal. Nel 1963 un gesuita,
padre Irénée Beaubien, ha fondato a
Montreal il Centro canadese per
l’ecumenismo, che offre molte risorse a livello nazionale e cura una rivista ecumenica ampiamente diffusa.
Nel 1984 padre Bernard de Margerie
fa nascere a Saskatoon il Centre des
Prairies pour l’oecuménisme.
Il sussidio per il 2014 è stato preparato da un gruppo di rappresentanti delle diverse Chiese presenti in
Canada, riunitisi su invito del Centro canadese per l’ecumenismo e del
Centre des Prairies pour l’oecuménisme. Il loro lavoro è stato poi riveduto nella sua redazione finale dalla
Commissione internazionale nominata dalla Commissione Fede e costituzione del Consiglio ecumenico
delle Chiese e dal Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità
dei Cristiani. Il testo così elaborato
è stato dedicato alla memoria di due
grandi
ecumenisti
recentemente
scomparsi, il teologo Ralph Del
Colle (1954-2012) e la professoressa
Margaret O’Gara (1947–2012). Fanno
parte del materiale diffuso alcuni inni e canti, appositamente preparati
da scrittori e compositori canadesi
per la prossima Settimana di preghiera. Il repertorio racchiude versi
intensi come questi: «Tutte le razze,
lingue e culture santificate dallo
Spirito diventano una sola voce nel
testimoniare Gesù Crocifisso. Uniti
dallo Spirito: una luce per il genere
umano. Il sacrificio di Gesù è sufficiente per quest’ora e per sempre».
DHAKA, 18. «Il Bangladesh è una
bomba pronta a esplodere: una nazione estremamente povera con serissimi problemi sociali e in cui il
fattore religioso viene spesso strumentalizzato per fini politici»: è
quanto si denuncia in un comunicato dell’associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs). Il Paese è stato
recentemente visitato dalla responsabile internazionale della sezione
Asia dell’associazione, Véronique
Vogel. La rappresentante ha fatto
riferimento alle tensioni socio politiche e alle conseguenze per la comunità cristiana, per quanto concerne in particolare la crescita del
fondamentalismo religioso. «Ci
preoccupa — ha sottolineato Vogel
— quanto sta accadendo nel Paese.
In particolare ci stiamo interessando alla diocesi di Dinajpur, dove i
cristiani sono stati attaccati dagli
estremisti islamici» in varie occasioni. «Nei mesi scorsi si sono verificati attacchi alla comunità buddista e
ora è il turno dei cristiani» ha concluso Vogel.
Il vescovo di Dinajpur, Sebastian
Tudu, in una lettera inviata ad Acs
si è detto sorpreso e turbato per un
comportamento «privo di ogni motivazione». Il presule ha aggiunto
che «ciò che più mi addolora è
pensare che in questi tre villaggi
donne e i bambini vivono nella
paura perché i loro padri e mariti
non sono più a casa». Il vescovo ha
anche riferito che la missione cattolica del villaggio di Bulakipur, dove
ha sede il seminario, è tuttora presidiata da trenta poliziotti per impedire possibili nuovi attentati. In
questa diocesi poco più di un mese
fa alcuni fondamentalisti hanno fatto irruzione nel seminario interdiocesano Jisu Dhyana Niloy, provando a uccidere il rettore e venticinque seminaristi. Tutti sono comunque riusciti a mettersi in salvo e ora
gli studenti sono stati trasferiti in
un’altra struttura. In cerca di vendetta, gli estremisti hanno preso di
mira anche tre villaggi a maggioranza cristiana situati nelle vicinanze, aggredendo decine di persone e
derubando diverse abitazioni.
Chiesto dai cristiani in Malaysia
Rispetto della Costituzione
Se durante il Ramadan
il digiuno si allarga ai social network
ABU DHABI, 18. Privarsi o meno,
durante il Ramadam, dell’utilizzo
dei moderni sistemi di comunicazione, quali facebook o twitter?
Oppure della possibilità di dissetarsi in casi di particolari necessità?
Ruotano anche attorno a queste
due questioni non secondarie, alcuni dibattiti in corso all’interno
della comunità musulmana internazionale in occasione del Ramadan.
Si tratta, come è noto, del mese sacro dedicato al digiuno e all’astinenza che si concluderà attorno
all’8 agosto e che costituisce uno
dei cinque pilastri dell’islam, i precetti fondamentali e obbligatori
della religione musulmana. Esso è
un mese di purificazione.
Il dibattito, infatti, come riferisce l’agenzia Adnkronos, resta
aperto tra coloro che ritengo l’utilizzo dei cosiddetti social network
utili per diffondere i precetti della
tradizione e quelli che invece sostengono che tali pratiche sarebbero dannose durante il mese sacro.
Tra quest’ultimi, l’agenzia cita, il
presidente della Lega degli studiosi
della sharia del Consiglio di cooperazione del Golfo, Ujayl al-Neshmi, secondo il quale chattare durante il Ramadan «non porta a
nulla di buono». In un’intervista
alla televisione «al-Arabiyà», il
professore di affari religiosi e sociali ad Al-Azhar, la più prestigiosa
istituzione universitaria dell’islam
sunnita, che si trova al Cairo, Abdul Ghani Hindi, ha spiegato che
«astenersi dalle pratiche quotidiane
può anche riguardare l’uso dei social network». Il docente ha aggiunto però che il discrimine dovrebbe riguardare il contenuto dei
messaggi pubblicati.
L’altra questione riguarda invece
una fatwa emessa da un leader iraniano. Per il grande ayatollah,
Bayat Zanjani, è «possibile dissetarsi durante il Ramadan per i musulmani che, durante il digiuno,
dovessero trovarsi in condizioni
particolarmente difficili».
La fatwa, emessa a Qom, la città
santa della Repubblica Islamica,
ha suscitato tuttavia, secondo
quanto affermato dal sito Iranpressnews, aspre critiche negli ambienti
più conservatori del clero sciita.
Alcuni religiosi hanno subito emesso una contro fatwa contestando
l’opinione dell’ayatollah, puntualizzando che essa non rappresenta
la linea ufficiale del clero sciita. I
grandi ayatollah Makarem Shirazi
e Nuri Hamedani, in particolare,
hanno contestato l’interpretazione
del grande ayatollah Zanjani, definendola «inaccettabile».
KUALA LUMPUR, 18. I cristiani in
Malaysia ribadiscono la necessità di
osservare i principi della Costituzione come baluardo in difesa della libertà religiosa. Lo sottolinea, in un
intervento, ripreso dall’agenzia Fides, il segretario della Christian Federation of Malaysia (Cfm), Tan
Kong Beng. L’organizzazione riunisce tutte le confessioni cristiane presenti in Malaysia, dove vivono circa
3 milioni di battezzati su un totale
di circa 27 milioni di abitanti. Il segretario della Cfm analizza in particolare tre questioni fondamentali
che coinvolgono attualmente la comunità cristiana: la conversione religiosa dei bambini; l’istruzione islamica nelle scuole private; e l’utilizzo
del termine Allah nelle pubblicazioni cristiane. «Nell’affrontare tali
questioni — osserva il dirigente
dell’organizzazione cristiana — il
nostro riferimento è sempre la Costituzione che garantisce la libertà
di religione a tutti i cittadini».
In molti Stati della federazione
malaysiana, sottolinea ancora il rappresentante cristiano, «tuttora è
prassi che bambini, specie nei matrimoni misti, si convertano all’islam
senza il permesso di entrambi i genitori e quindi chiediamo al Governo di far rispettare le disposizioni
vigenti in proposito». Un’altra questione che incontra il disaccordo
della comunità cristiana riguarda
poi un’ordinanza del ministero
dell’Istruzione in base alla quale gli
studi islamici sono considerati come
“materia obbligatoria” per gli studenti che sono accolti negli istituti
privati di istruzione superiore.
Infine, il terzo punto riguarda
l’utilizzo del temine Allah anche da
parte della comunità cristiana. Infatti, come è noto, una fetta della
comunità musulmana in Malaysia
rivendica come esclusivo dell’islam
l’utilizzo della parola Allah per indicare Dio e la questione è attualmente al centro di una controversia
giudiziaria che coinvolge anche il
Governo. Allah è la parola con cui
Dio è tuttora indicato nella Bibbia
in lingua malay, fin dalle prime edizioni, come testimonia la Bibbia
«Alkitab» (1612), edita prima della
formazione della Malaysia (1963).
La controversia fra i cristiani e il
Governo è ancora aperta e resta
“sospesa”, sebbene i primi abbiano
vinto nel 2009 il primo processo in
tribunale, che ha sancito il loro diritto di usare il temine Allah. «Usare il nome di Allah per chiamare
Dio è un nostro diritto che tocca il
60 per cento dei cristiani malaysiani, che praticano il culto in lingua
Bahasha Malaysia», spiega il segretario della Cfm. «Intendiamo — aggiunge — andare fino in fondo in
questa vicenda. Se il tribunale accoglierà l’ultima richiesta dei cristiani,
il Governo potrà presentare un ultimo ricorso alla Corte Suprema,
quella federale».
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 19 luglio 2013
pagina 7
Critiche dei vescovi cattolici d’Inghilterra e Galles alla normativa sulle nozze omosessuali
L’Ordinariato militare negli Stati Uniti su alcune iniziative del Congresso
Uno spartiacque
nel diritto e nella società
Difesa della libertà di culto
nelle forze armate
LONDRA, 18. «Uno spartiacque nel
sistema giuridico che preannuncia
un profondo cambiamento sociale»:
questo è il commento dell’episcopato cattolico in merito alla legalizzazione in Gran Bretagna delle nozze
fra persone dello stesso sesso. Dopo
infatti una breve lettura alla Camera
dei Lord la legge, il Marriage (Same
Sex) Couples Bill, ha ottenuto ieri
anche il sigillo della regina e, pertanto, i primi “matrimoni” potranno
essere celebrati a partire dal 2014.
La legge prevede, in particolare, la
possibilità di celebrare tali unioni
anche nei luoghi di culto (tranne
quelli della comunità anglicana per
i quali è stabilito un espresso divieto). In una dichiarazione congiunta
— a firma del presidente della Conferenza episcopale d’Inghilterra e
Galles, l’arcivescovo di Westminster,
Vincent Gerard Nichols, e del vice
presidente, l’arcivescovo di Southwark, Peter David Gregory Smith
— si sottolinea che la normativa introduce una ridefinizione del matrimonio tradizionale che «rappresenta
uno spartiacque nel sistema giuridico che preannuncia un profondo
cambiamento sociale». Al riguardo i
vescovi osservano che «il nuovo atto
rompe i legami giuridici esistenti tra
l’istituzione del matrimonio e della
complementarietà sessuale». In sostanza il matrimonio diventa un atto
di unione tra due persone e non tra
un uomo e una donna. Pertanto, aggiungono i presuli, il matrimonio
diviene un’istituzione in cui «non è
più centrale l’apertura ai figli e, con
essa, la responsabilità per i padri e
le madri di rimanere uniti per crescerli» e per questo, concludono,
«siamo contrari a questa legge».
Come accennato la normativa
prevede che i “matrimoni” omosessuali vengano celebrati nei luoghi di
culto, tranne quelli anglicani. Durante il dibattito in Parlamento sono
tuttavia stati adottati alcuni emendamenti che garantiscono alle comunità religiose la facoltà e non
l’obbligo di aderire alla legge per
quanto concerne appunto la celebrazione di tali unioni. Secondo l’episcopato gli emendamenti hanno «significativamente rafforzato» le protezioni legali per le comunità religiose, ma tuttavia, si puntualizza,
permane ancora il problema che la
futura applicazione della legge entri
in contrasto con il tradizionale insegnamento religioso all’interno delle
scuole. A tale proposito, si legge,
«esiste il rischio potenziale che le
indicazioni che verranno date in futuro dal ministero, sull’educazione
sessuale nelle scuole, entrino in conflitto con l’insegnamento della Chiesa». La questione, per la Chiesa cattolica, implica quella più generale
della libertà religiosa. In un precedente intervento l’episcopato aveva
sottolineato che vi è la preoccupazione che le scuole cattoliche potrebbero essere costrette a «promuovere e sostenere tali matrimoni».
Si tratta di una preoccupazione
che, peraltro, è condivisa anche da
una buona parte della società civile
britannica, visto che, nei mesi scorsi,
un sondaggio aveva fatto emergere
che 40.000 insegnanti hanno detto
di non voler incorporare i “matrimoni” omosessuali nelle loro lezioni
didattiche. I vescovi auspicano
quindi che «i cittadini non vengano
discriminati se esprimono pareri
contrari» alle unioni fra persone
dello stesso sesso. Una rassicurazione è comunque stata data dal rappresentante del Governo durante il
dibattito al Parlamento, che ha affermato che le scuole affiliate alle
comunità religiose potranno «non
seguire in maniera assidua» le indicazioni, se decidono di osservare i
tradizionali insegnamenti basati sui
valori religiosi.
I vescovi si dicono, invece, «delusi» per il fatto che una serie di altre
modifiche alla legge, per quanto
concerne la salvaguardia delle libertà di espressioni e di obiezione di
coscienza, non siano state introdotte
durante la discussione parlamentare.
Comunque, precisano i presuli cattolici, «assicurazioni» sono state date da parte del Governo affinché
«nessuna persona possa subire un
danno o un trattamento sfavorevole
sul luogo di lavoro, perché ritenga
con convinzione che il matrimonio
sia solo quello fra un uomo e una
donna». L’episcopato ricorda che
«le consuetudini legali e politiche di
questo Paese sono fondate sulla ferma convinzione che le persone hanno diritto a esprimere le loro convinzioni e, nello stesso tempo, rispettare coloro che non sono d’accordo». Ed è importante, concludono, in questo momento «rafforzare
questa tradizione».
WASHINGTON, 18. Promuovere la difesa della libertà religiosa all’interno
delle forze armate degli Stati Uniti:
questo l’impegno sostenuto dalla
Chiesa cattolica, che ha espresso apprezzamento per gli interventi legislativi in atto al Congresso per proteggere il rispetto dei diritti dei militari in tema di espressione della loro fede. Si tratta in sostanza di due
emendamenti introdotti alla Camera
dei rappresentanti e al Senato che
stabiliscono che, «salvo nei casi di
necessità di natura militare» all’interno delle forze armate «si devono
tenere conto delle credenze, delle
azioni e delle parole che rispecchiano la coscienza e i principi morali
del credo religioso dei suoi membri». Inoltre, si richiede che il segretario alla Difesa abbia consultazioni
regolari con le organizzazioni religiose che fanno riferimento alle cappellanie militari.
L’arcivescovo ordinario militare
per gli Stati Uniti d’America, Timothy Broglio, ha accolto con favore,
in un intervento, la nascita di una
coalizione promossa dal Family
Research Council che ha il compito
di sensibilizzare il Congresso al fine
dell’approvazione definitiva dei due
emendamenti. Monsignor Broglio
ha sottolineato che l’ordinariato militare «lavorerà a stretto contatto»
con la coalizione «per garantire la
continua protezione del regolamento che garantisce i diritti e la libertà
di espressione dei membri delle forze armate». Il presule ha aggiunto
che «nessuno che alza la mano destra per difendere la Costituzione
dovrebbe sacrificare uno dei suoi
principi fondamentali» quello che
garantisce appunto la difesa della libertà religiosa.
Nelle scorse settimane l’amministrazione Obama si era detta contraria all’introduzione degli emendamenti. In una nota si legge, fra l’altro, che il provvedimento legislativo
«limitando la discrezionalità dei comandanti di occuparsi di affermazioni potenzialmente problematiche
nelle proprie unità, avrebbe effetti
negativi significativi sulla tenuta
dell’ordine, sulla disciplina e sul
compimento della missione».
Nel 2012, l’arcivescovo Broglio
aveva scritto un messaggio sul tema
dell’aborto e della libertà di coscienza, rivolto alle forze armate, nel
quale si richiamava la questione della difesa della libertà religiosa. Nel
messaggio, sotto forma di lettera, si
fa riferimento in maniera critica ai
nuovi regolamenti sanitari che prevedono l’adeguamento dei piani di
assistenza coperti dalle assicurazioni
private, con una più ampia diffusione per quanto concerne l’utilizzo di
farmaci abortivi e il ricorso a interventi di sterilizzazioni. La Chiesa
cattolica negli Stati Uniti è da tempo in prima linea nella difesa dei
valori fondanti della nazione, tra cui
rientra anche la libera espressione di
fede e di culto. In un intervento, il
cardinale arcivescovo di New York e
presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, Timothy
Michael Dolan, ha esortato «a
un’azione per proteggere le libertà
fondamentali come quella della vita,
di coscienza e religiosa, che ora sono in pericolo».
Episcopato e associazioni sulla legge per la ricerca sull’embrione umano
La Corte suprema sospende l’attuazione del controverso provvedimento sulla salute riproduttiva
In Francia
un deficit democratico
Nelle Filippine si sceglie la via della riflessione
PARIGI, 18. «Sono solo un embrione umano. Chi rimane turbato per il fatto che si
legiferi sul mio destino in piena pausa estiva? Si è tanto detto che bisognava recuperare un ritardo e non ostacolare la ricerca
scientifica. Sono solo un embrione umano.
Bisogna che non rovini la vostra estate».
Ha dato idealmente la parola a un embrione monsignor Bernard Podvin, portavoce
della Conferenza episcopale francese, nella
nota pubblicata sul sito in rete dell’episcopato transalpino, dopo l’approvazione definitiva, da parte dell’Assemblea nazionale,
della legge che apre con minori restrizioni
alla ricerca su embrione umano e cellule
staminali embrionali. Associazioni, istituti
universitari, giuristi ed esperti, che da tempo stavano esprimendo il loro parere contrario alla modifica sulla legge, denunciano
un grave deficit democratico. «La legge —
sottolineano — è stata approvata di soppiatto al termine di una sessione straordinaria e
alla vigilia delle vacanze parlamentari».
Le Associazioni familiari cattoliche (Afc),
Alliance Vita, la fondazione Jérôme Lejeune
e il Comitato protestante evangelico per la
dignità umana (Cpdh), in un comunicato,
parlano di una legge che «capovolge un
principio fondamentale della nostra società» e sottolineano «l’inutilità della ricerca
scientifica sugli embrioni umani viste le
enormi possibilità offerte dalle cellule staminali adulte, dal sangue di cordone ombelicale e dalle promettenti cellule riprogrammate su cui si stanno concentrando gli sforzi della comunità scientifica internazionale».
Padre Brice de Malherbe, co-direttore del
dipartimento di etica biomedicale del Collège des Bernardins, ricorda il lavoro condotto sulle cellule riprogrammate dallo scienziato Shinya Yamanaka che gli è valso il
premio Nobel per la medicina lo scorso anno ed esprime rammarico che «una disposizione di legge sopprima il dovere di favorire le ricerche alternative e conformi all’etica,
a partire dalle cellule adulte e dal sangue
del cordone ombelicale».
Le Associazioni familiari cattoliche prendono la difesa dell’embrione perché «sono i
figli delle nostre famiglie» e chiedono ai
poteri pubblici di incoraggiare la ricerca
sull’infertilità che è «causa di grande sofferenza per molte famiglie. Non si può alleviare questo dolore con qualsiasi mezzo, attraverso la fabbricazione di bambini in provetta alcuni dei quali poi sono destinati a
divenire materiale di laboratorio».
Secondo le associazioni — riferisce l’agenzia Sir — vi era un patto: ogni modifica alle
leggi che regolano le questioni bioetiche sarebbe stato frutto di un vasto dibattito nazionale e dunque l’esito di un processo di
discernimento condiviso. E invece con un
iter legislativo che qualcuno ha addirittura
definito “fantasma”, l’Assemblea nazionale
francese ha approvato con 314 voti favorevoli e 223 contrari, la legge che apre con
minori restrizioni alla ricerca sull’embrione
umano e le cellule staminali embrionali. Fino all’approvazione, la Francia vietava la ricerca sull’embrione umano e le cellule staminali adulte mettendo in atto un regime di
interdizione con deroghe che erano accordate da un organismo pubblico, l’Agenzia
di biomedicina (Abm). La modifica approvata permette ora la ricerca sebbene «in
maniera inquadrata». Significa che l’autorizzazione sarà sempre accordata dall’Abm,
ma a condizioni: il progetto di ricerca deve
essere «scientificamente pertinente», avere
«uno scopo medico» e «rispettare i principi
etici». Inoltre, il progetto di ricerca «deve
dimostrare di non avere alternative se non
quelle di ricorrere agli embrioni umani e alle cellule staminali embrionali». I protocolli
saranno sempre autorizzati dalla agenzia di
biomedicina, ma di fatto l’Assemblea nazionale ha aperto con la modifica una prima
breccia sulla protezione degli embrioni
umani.
MANILA, 18. La Corte suprema delle Filippine ha prolungato la precedente sospensione
dell’attuazione della controversa legge sulla
salute riproduttiva (Rh Bill). Con un voto
sul fil di lama di 8 a 7 — riferisce l’agenzia di
stampa Ucanews — i giudici della Corte hanno ordinato che lo status quo ante venga prolungato fino a nuovo ordine con effetto immediato, lasciando quindi le cose come erano
prima. La sopensione, che era in scadenza
mercoledì 17 luglio, è stata esteso dopo che i
giudici hanno sentito le argomentazioni di
quattordici firmatari, molti dei quali appartenenti a gruppi e associazioni della Chiesa
cattolica da sempre contraria alla legge. I
giudici avranno così più tempo per valutare
le eccezioni di incostituzionalità presentate
da partiti e movimenti.
I responsabili della Chiesa che hanno appoggiato le petizioni si sono detti fiduciosi
che la Corte suprema alla fine fermi l’entrata in vigore della legge. Proprio la comunità
cattolica, lo scorso 9 luglio, in concomitanza
con l’udienza alla Corte suprema, aveva organizzato una veglia di preghiera alla quale
avevano preso parte migliaia di filippini per
dire no alla controversa legge. L’iniziativa
era stata indetta dalla Commissione per la
famiglia e la vita (Ecfl) della Conferenza
episcopale. «I cattolici — aveva spiegato padre Melvin Castro, direttore della Ecfl — auspicano che i supremi giudici filippini
boccino come “incostituzionale” la Republic
Act (Ra) 10354, meglio nota come
Reproductive Health (Rh) Law. Preghiamo
per la giustizia e per difendere a spada tratta la nostra Costituzione».
Contrarietà per la sentenza della Corte
suprema è stato ovviamente espresso da coloro che appoggiano la Rh Bill. Eden
Divinagracia, responsabile del consiglio delle Ong filippine, si è detta «addolorata per
il voto dei giudici». La legge darebbe mandato al Governo di utilizzare i fondi pubblici per distribuire contraccettivi, impiegare
ostetriche e insegnare l’educazione sessuale
nelle scuole elementari. La legge sulla salute
riproduttiva ha atteso quasi quattordici anni
per essere approvata, dopo cinque diverse
modifiche, oltre un anno di discussioni in
Parlamento e la fiera opposizione della
Chiesa cattolica. Il disegno di legge è promosso soprattutto dalle grandi organizzazioni internazionali, come ad esempio Onu e
Unicef, che legano l’alto tasso di natalità alla povertà delle Filippine. I Paesi che non si
attengono a tali norme perdono il diritto a
ricevere aiuti umanitari. Il provvedimento,
approvato nel dicembre scorso, rifiuta
l’aborto clinico, ma promuove un programma di pianificazione familiare che
invita le coppie a non avere più di
due figli. Esso permette in alcuni
casi l’obiezione di coscienza, ma
allo stesso tempo favorisce la sterilizzazione volontaria. Chiesa e associazioni cattoliche sostengono
invece il Natural Family Programme (Nfp), che mira a diffondere
tra la popolazione una cultura di
responsabilità e amore basata sui
metodi naturali. In circa una
dozzina di disposizioni, le 24
pagine della legge ricordano
ripetutamente che i farmaci
abortivi sono vietati, ma chiede
agli operatori sanitari che prestino
assistenza a quanti subiscono
complicazioni da aborti illegali.
Nelle Filippine — conclude Ucanews — il tasso di mortalità materna è di 221 per 100.000 nati vivi,
con circa 5.300 decessi materni
all’anno. Le Filippine hanno anche il tasso di natalità tra le teenager più alto tra i Paesi del Sudest
asiatico.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
venerdì 19 luglio 2013
Un incontro molto atteso
A colloquio con l’arcivescovo José Rodríguez Carballo
Il Santo Padre
i giovani
e il Brasile
Per tornare
all’essenzialità del Vangelo
di NICOLA GORI
Tornare all’essenzialità del vangelo,
riportare Cristo al centro del cosmo
e sempre più vicino all’uomo, raccogliere la sfida della povertà uscendo
da se stessi per andare verso le periferie dell’umanità, verso quelle frontiere e quei luoghi dove nessuno
vuole andare. Sono le indicazioni di
Papa Francesco per la vita consacrata. Lo sottolinea l’arcivescovo José
Rodríguez Carballo, segretario della
Congregazione per gli Istituti di vita
consacrata e le Società di vita apostolica, in questa intervista al nostro
giornale.
Giovani in preghiera per le strade della favela carioca di Vidigal (Reuters)
di RAYMUND O DAMASCENO ASSIS*
Il Brasile vive nell’attesa della visita di Papa Francesco, che verrà nel
nostro Paese per la Giornata mondiale della gioventù, in programma
a Rio de Janeiro dal 23 al 28 luglio. È il suo primo viaggio internazionale da quando è stato eletto
Pontefice quattro mesi fa. Questa
circostanza è motivo sufficiente per
risvegliare l’interesse di tutto il
mondo, che, con gioia, accompagna i primi passi del vescovo di
Roma.
Il Santo Padre richiama l’attenzione soprattutto perché è il primo
Papa latino-americano e anche perché ha adottato il simbolico nome
di Francesco, tanto caro ai credenti
e ai non credenti.
Il sorriso e la semplicità del Papa, la sua vicinanza ai poveri e il
suo sistematico ricordarsi di loro
nei suoi gesti e nelle sue parole
fanno di lui un Pastore disposto a
profondersi in zelo e amore per le
sue pecore. Le sue parole, semplici
e dirette, nate da un cuore pervaso
da profondo fervore pastorale, raggiungono nel più profondo le persone, che s’identificano subito con
esse, perché riguardano la loro vita
quotidiana. La leggerezza con cui
il Papa le pronuncia, senza nulla
togliere alla loro chiarezza, profondità e forza, conferisce nuovo vigore alla Chiesa e fa rinascere l’entusiasmo della fede.
Con fermezza, ma senza perdere
la tenerezza, Papa Francesco ha indicato i cammini per il rinnovamento delle strutture, auspicato da
tempo dalla Chiesa. La sua apertura al dialogo ecumenico e interreligioso, in continuità con i suoi predecessori, ci riempie di speranza e
ci fa scorgere quel consolidamento
dell’unità che nasce dal rispetto e
dall’amore fraterno.
A Rio de Janeiro, insieme ai giovani di tutto il mondo, avremo
l’opportunità di avvicinarci ancora
di più a Francesco per abbeverarci
alla spiritualità che emana dai suoi
gesti e dalle sue parole. Egli viene
qui per «confermare i fratelli nella
fede», compito dato da Cristo a
Pietro, e poi affidato ai suoi successori. In modo particolare riguardo ai giovani, Francesco viene per
invitarli a conformare la propria vita a Cristo, diventando suoi discepoli-missionari, nell’impegno di annunciarlo a tutte le nazioni.
La visita del Papa conferirà certamente nuovo ardore all’evangelizzazione dei giovani, che hanno meritato l’attenzione speciale della
Chiesa in Brasile negli ultimi anni.
Sebbene ci siano molti giovani che
operano nelle nostre comunità, ci
preoccupa il numero di quanti si
stanno allontanando da esse. Non
è che hanno smesso di credere in
Dio. La fede continua a essere viva
nel loro cuore, ma non sentono più
il bisogno della mediazione della
Chiesa per viverla e testimoniarla.
Le parole del Papa, ispirate al
Vangelo di Cristo, dovranno aprire
gli occhi e i cuori di quanti si sono
allontanati affinché ritornino al
convivio della comunità di fede.
Non passerà neppure inosservato
al Papa il recente contesto politicosociale, che ha avuto come fautori
principali i giovani brasiliani. Riecheggia ancora nelle nostre orecchie il clamore delle centinaia di
migliaia di giovani che, riempiendo
le piazze e le strade del nostro Paese, hanno espresso la propria indignazione verso le strutture di potere e le azioni delle istituzioni che
feriscono la vita e violano la dignità umana.
Le recenti manifestazioni tenutesi nel nostro Paese sono un segnale
del fatto che, dinanzi alla situazione di sofferenza in cui si trovano
tanti brasiliani, i giovani non si sono lasciati contaminare dalla cultura del benessere che porta all’indifferenza verso il prossimo, come il
Papa ha ricordato di recente a
Lampedusa, in Italia. Per lui «la
globalizzazione dell’indifferenza ci
rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto».
Non vogliamo una gioventù alienata e indifferente!
La Chiesa respira aria nuova con
il primo Papa latino-americano. Da
lui ci si aspetta molto anche per la
costruzione della pace nel mondo.
Che la sua presenza tra il popolo
brasiliano c’incoraggi nell’impegno
per la fede, la solidarietà e la giustizia sociale! Benvenuto Papa
Francesco!
*Cardinale arcivescovo di Aparecida
presidente della Conferenza
nazionale dei vescovi brasiliani
Dolore del Papa
per l’incidente
a giovani francesi
in viaggio verso Rio
Papa Francesco «si unisce con
tutto il cuore al dolore delle famiglie» colpite dal tragico
incidente accaduto mercoledì
scorso, 17 luglio, nella Guyana
francese, costato la vita alla
ventunenne parigina Sophie
Morinière, che avrebbe dovuto
partecipare alla gmg.
In un telegramma a firma del
cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, indirizzato a
monsignor Emmanuel Lafont,
vescovo di Cayenne, il Pontefice
assicura «la propria preghiera ed
esprime la sua più profonda solidarietà ai feriti, ai soccorritori»
e a quanti sono stati coinvolti
nell’incidente.
Sono trascorsi poco più di tre mesi dalla sua nomina. Certamente avrà già
chiara l’idea di quali sono le priorità
da affrontare per gli Istituti di vita
consacrata e le Società di vita apostolica?
Sono principalmente due: quella
di animare e promuovere la vita consacrata in tutte le sue forme e manifestazioni, e quella di regolare la
pratica dei consigli evangelici in
queste varie forme approvate dalla
Chiesa. Animare e promuovere la vita consacrata vuol dire accompagnare il cammino dei consacrati, affinché la loro vita e missione si conformino allo spirito dei rispettivi fondatori e fondatrici, alle sane tradizioni
delle diverse famiglie carismatiche, e
si sviluppino tenendo presente la
dottrina della Chiesa e i fini propri
dell’Istituto. Il Santo Padre in una
lettera che mi ha scritto in occasione
della mia ordinazione episcopale mi
ricordava la mia missione di pontefice. «Sei pontefice», mi diceva lui,
cioè: sono chiamato a essere ponte,
mediatore. Vedendo la mia missione
nel dicastero, vorrei essere mediatore
anche tra i diversi istituti, poiché oggi la vita consacrata deve collaborare
tra le diverse realtà, e mediatore,
ponte, tra i diversi istituti e la Chiesa. In questo modo aiuterò la vita
consacrata a crescere e consolidarsi,
un altro aspetto che mi ricordava il
Papa Francesco nella lettera citata.
Personalmente sono profondamente
convinto che questa sia la priorità
principale del mio servizio in congregazione.
Quale futuro intravede per i consacrati?
Io sono profondamente convinto
che nella vita consacrata ci sia molta
vita. A volte questa vita non appare
così visibile, poiché, come si suol dire, un albero che cade fa più rumore
di un bosco che si mantiene in piedi. Ma questo non vuol dire che non
ci sia vita nella vita consacrata. Nel
servizio come ministro generale
dell’ordine dei frati minori ho percorso diverse volte il mondo, e nei
luoghi più difficili e nelle frontiere
più povere e lontane ho trovato sempre religiosi, e specialmente religiose, che, vivendo nella logica del dono, danno la loro vita gratuitamente
e senza far rumore. Sono loro che in
molte parti del mondo, particolarmente nelle periferie, assicurano la
presenza della Chiesa. Nella vita
consacrata, come in ogni realtà uma-
na e anche ecclesiale, ci sono problemi, ma questi non possono impedirci di vedere la vita. In questo senso
penso che a volte c’è molta miopia.
Il mio principale servizio nella congregazione, in profonda comunione
con il Santo Padre, con il prefetto e
con quanti vi lavorano, è quello di
mettere in evidenza questa vita e di
promuoverla. Per raggiungere tale
obiettivo vorrei essere molto vicino a
tutti i consacrati, in atteggiamento
di dare, ma anche di ricevere. Da
quanto posso conoscere, so che loro
vogliono questa vicinanza e ne sentono il bisogno, e anche noi del dicastero abbiamo bisogno di questa
vicinanza per poter servire meglio la
vita consacrata. Questo non comporta chiudere gli occhi ai problemi, ed
ecco l’altro aspetto del mio servizio,
quello di regolare la vita e la missione dei consacrati quando sia necessario e cercare insieme le soluzioni
appropriate. E sottolineo la parola
insieme, poiché sono convinto che
questo sia il cammino appropriato.
mino della Chiesa» (Francesco alle
superiore generali, maggio 2013), è
una realtà voluta dallo stesso Gesù
come parte “irremovibile” della
Chiesa (Benedetto XVI ai vescovi
brasiliani nella visita ad limina il 20
novembre 2010). Quindi, né vita
consacrata senza camminare e sentire
con la Chiesa, né Chiesa senza vita
consacrata. Questo lo dico pensando
particolarmente ai “profeti di sventura” — come li ha chiamati Benedetto XVI — che profetizzano la fine
della vita consacrata, e alle diocesi,
dove, in alcuni casi, pochi a dire il
vero, non sempre è facile la relazione
tra i doni gerarchici e quelli carismatici. Si deve ricordare, come si legge
nella proposizione 43 dell’ultimo Sinodo dei vescovi, che questi doni
non entrano in concorrenza e competitività, ma che sono coessenziali
alla vita della Chiesa e alla sua missione. Come ben diceva Benedetto
XVI nell’udienza ricordata, si tratta,
quindi, di superare tre tentazioni
la pluralità di cui ha bisogno la sequela del Signore.
La crisi economica e la povertà crescente di fasce sempre più ampie della popolazione interpellano anche i religiosi.
Papa Francesco indica proprio la povertà come sfida da raccogliere. Per i
religiosi dovrebbe esserlo in modo particolare. È così?
Effettivamente, la crisi economica
e la crescente povertà nel momento
attuale non possono lasciarci indifferenti, particolarmente quanti hanno
fatto liberamente voto di povertà.
Molto è quello che i consacrati fanno nel campo della solidarietà con
gli ultimi. Di questo sono testimone
diretto. Ma in questo contesto noi
consacrati siamo chiamati a riflettere
su come rendere più trasparente il
nostro voto di povertà, tante volte
offuscato anche dalle nostre strutture. Il voto di povertà, tra le altre cose, ci chiede sempre, ma particolarmente in questo momento, essenzia-
Quali speciali impulsi vengono alla vita consacrata da un Papa che, senza
precedenti, ha scelto di chiamarsi Francesco?
Sempre ho detto che la scelta del
nome di Francesco da parte del Papa era un programma di vita più che
una scelta più o meno inaspettata e
certamente ben accolta dalla gente.
Dal Papa Francesco la vita consacrata sta ricevendo molti impulsi. Tra
questi io sottolineerei i seguenti: tornare all’essenziale, cioè al Vangelo
come la forma di vita che unisce tutti i carismi; edificare sulla roccia che
è Cristo; assumere la minorità e la
kènosis come la nostra vera ricchezza
e il nostro modo di stare nel mondo
e di situarci nella Chiesa; camminare
in trasparenza di vita e con la gente,
stando vicini a tutti, particolarmente
ai poveri; andare alle frontiere e in
quei luoghi disumani, dove nessuno
vuole andare. Il Santo Padre ci offre
costantemente nuovi impulsi con la
sua parola e i suoi gesti. Tocca ai
consacrati, e non solo a loro, saper
accogliere detti impulsi e tradurli in
vita. Questo renderebbe molto più
significativa la vita e la missione della vita consacrata.
Parlando ai partecipanti all’assemblea
plenaria dell’Unione internazionale delle superiore generali il Papa ha sottolineato un aspetto che fa riflettere perché
ha detto: «La vostra vocazione è un
carisma fondamentale per il cammino
della Chiesa, e non è possibile che una
consacrata e un consacrato non “sentano” con la Chiesa».
Certamente noi consacrati siamo
ben coscienti che la nostra vita è per
la Chiesa e forma parte della Chiesa,
fino al punto che non si può concepire al margine della Chiesa. I consacrati sono chiamati a “sentire” con
la Chiesa e nella Chiesa, e come
Chiesa a vivere la propria vita e missione. Questo è un aspetto irrinunciabile della vita consacrata. Allo
stesso tempo però, non si deve dimenticare, come affermato da Papa
Francesco, che la vita consacrata «è
un carisma fondamentale per il cam-
Papa Francesco con José Rodríguez Carballo durante la messa per l’inizio
del ministero del vescovo di Roma (19 marzo 2013)
sempre minacciose: isolamento e indipendenza da parte della vita consacrata, e assorbimento da parte della Chiesa particolare.
I movimenti ecclesiali hanno sostituito
la vita consacrata nella Chiesa?
No. Nella Chiesa c’è posto per
tutti. La vita consacrata, come ho ricordato prima, mai potrà mancare o
morire nella Chiesa. E che questo sia
vero lo sta dimostrando la nascita di
nuovi Istituti che vengono approvati
dalla Chiesa e che, insieme a carismi
con molti secoli di esistenza, manifestano la bellezza della stessa Chiesa.
E poi — lo si deve ricordare sempre
— i veri carismi, proprio perché vengono dalla Spirito, non sono mai
escludenti, ma si aprono gli uni gli
altri. Per me questo è un segno
dell’autenticità di un carisma. Quindi, le diverse forme di vita nella
Chiesa non si possono mai vedere
come contrapposte, ma in correlazione e complementarità, perché ognuna esprime un accento, un segno, un
gesto della gratuità del Signore, tutti
necessari per la ricchezza della Chiesa. Le diverse forme di vita cristiana
si devono leggere in complementarità e sono la migliore espressione del-
lità, frugalità e semplicità nella nostra vita, niente sprechi; ci sta chiedendo vicinanza ai poveri, solidarietà e comunione reale con loro, denuncia delle cause di povertà, giustizia verso di essi e trasparenza nella
gestione dei nostri beni; ci chiede di
riconvertire strutture non utilizzate
per lo scopo per cui furono create, e
anche di rivedere l’attività caritativa;
ci chiede, in definitiva, di tornare alle opzioni di vita dei nostri fondatori e fondatrici. Questi, in un modo o
in un altro hanno vissuto per i poveri e come loro. In questo contesto
abbiamo bisogno di molta creatività.
Penso alla creatività che nel medioevo hanno avuto i francescani creando i monti di pietà per venire incontro a forme di povertà dovute
all’usura; penso alla possibilità di
micro crediti, particolarmente ai giovani che iniziano una nuova vita.
Nella lotta contro la crescente povertà, oltre alla giustizia, ci vuole molta
creatività, secondo gli ambienti e le
forme di povertà. La situazione attuale interroga il nostro modo di vivere la povertà e, allo stesso tempo,
è un momento privilegiato per vivere
in maniera sicuramente nuova il nostro essere poveri.
Il cardinale Bertello presiede l’anniversario dell’apparizione dell’immagine di Santa Maria in Portico
Parrocchia della carità
Era il 17 luglio del 524. Nel palazzo
di Galla, una matrona romana che si
dedicava all’assistenza ai diseredati,
come ogni giorno la mensa era piena di poveri intenti a consumare il
pasto quotidiano. Tradizione vuole
che quel giorno, mentre Galla serviva lei stessa i poveri, apparve una
luce che celava l’immagine della
Vergine Maria. Ancora oggi quella
sacra immagine è assai venerata, gelosamente custodita nella chiesa edificata in piazza Campitelli a Roma,
intitolata, proprio per la sua storia,
a Santa Maria in Portico, poiché il
Palazzo di Galla si trovava sotto il
Portico di Ottavia.
Il cardinale Giuseppe Bertello,
presidente del Governatorato dello
Stato della Città del Vaticano, ha ricordato le origini di questa chiesa
celebrando l’Eucaristia, mercoledì
pomeriggio, 17 luglio, insieme con il
parroco padre Davide Carbonaro, in
occasione dell’anniversario dell’apparizione. E in considerazione delle
sue origini il cardinale ha sottolineato il fatto che essa, «legata come è
alla carità, non è riservata solo ad
accogliere i pellegrini, ma ad andare
incontro agli altri».
Così «la nostra festa — ha detto —
non diventa più solo una celebrazione, ma diventa un’0ccasione per impegnarci ad accogliere il Vangelo
per metterlo in pratica». E ciò, ha
aggiunto, «lo facciamo guardando a
Maria. Possiamo chiederlo a lei, che
ha creduto e ha accompagnato Gesù
fino al Calvario e accompagna anche noi nella nostra vita». Il cardinale ha poi invitato a riflettere sul
nostro rapporto con la Parola di
Dio. «Vorrei ci chiedessimo: ascolto
io la voce del Signore che mi parla,
o mi lascio prendere da tante cose,
dai rumori della vita, dai mezzi di
comunicazione sociale?». E ancora:
«Non sono più capace di fare un
momento di silenzio nel mio cuore
per sentire la voce di Dio? Confronto questa voce che sento nel mio
cuore con la Parola del Signore e
con il suo Vangelo?». Da qui l’invito a riflettere sulla fede. «Sono capace — ha chiesto — di trasformare
quello che ho ascoltato in un rap-
porto personale tra me e il Signore?
Perché la fede è questo». E la fede,
ha spiegato, «non è solo un bagaglio intellettuale, è un rapporto che
ho con Dio, un rapporto che tra-
sforma tutta la vita». Questo spinge
a un esercizio quotidiano «per seguire l’esempio, per vivere quello
che Gesù ha detto e ha fatto». Siamo nell’Anno della fede, ha poi sottolineato il cardinale. Benedetto XVI
ha voluto questo anno «perché riscoprissimo la fede, il nostro rapporto con Dio, ma anche perché la annunciamo agli altri. E per annunciarla si deve osservare la Parola di
Dio, vale a dire metterla in pratica,
cercare di realizzarla nella vita». Se
noi facciamo così, ha aggiunto, «diventa già una predicazione, una testimonianza, un esempio». Infine ha
ricordato una celebre frase di Paolo
VI, nella quale affermava che il mondo di oggi ha bisogno più di testimoni che di maestri. «Anche oggi —
ha detto — siamo chiamati a essere
testimoni del Signore. Dio ha affidato a noi il suo messaggio, perché
lo portiamo in questa società, nel
mondo in cui viviamo, a cominciare
dalla nostra famiglia».