CASATI STRANIERO CHE LASCIA A CASA I DOCUMENTI
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CASATI STRANIERO CHE LASCIA A CASA I DOCUMENTI
LO STRANIERO CHE LASCIA A CASA I DOCUMENTI, NON SI GIUSTIFICA, VA PUNITO. Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 601/2010; depositata il 11 gennaio 2010; Pres. Silvestri, Rel. Capozzi Commento a cura di Fabio Casati Il comportamento dell'immigrato extracomunitario che, pur in possesso di regolare permesso di soggiorno, non ottempera l’invito rivoltogli dal personale di polizia operante, in quanto al momento del controllo l’imputato non aveva con sé tale documento, ovvero alcun altro documento di riconoscimento, integra il reato di cui all’art. 6 comma 3 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 (Testo Unico Immigrazione). Così si è pronunciata la I Sezione della Corte di Cassazione, annullando la sentenza di secondo grado della Corte d’Appello di Trento sezione distaccata di Bolzano, la quale era stata impugnata dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello stessa deducendo, in particolare, la violazione dell’art. 6 comma 3 d.lvo 286/1998 per erronea interpretazione della norma, in quanto il fatto che l’imputato avesse fornito le sue esatte generalità non escludeva che lo stesso non avesse esibito uno dei documenti previsti dalla disposizione di legge (vale a dire il permesso di soggiorno o un altro documento di riconoscimento), costringendo i pubblici ufficiali ad accompagnare l’imputato in Questura ed a effettuare ricerche per la sua identificazione. Nella sentenza in esame il Supremo 1 Collegio si è occupato della contravvenzione punita ai sensi dell’art. 6 comma 3 d.lvo 286/1998, la quale è stata oggetto di una recente modifica da parte della legge del 15 luglio 2009 n. 94 (in materia di “sicurezza pubblica”) che ha modificato gran parte del Testo Unico sull’immigrazione, introducendo altresì il reato di clandestinità. Con solo riferimento alla disposizione che qui ci interessa, la recente legge dell’estate sul piano sanzionatorio ha raddoppiato le pene (arresto fino ad un anno anziché fino a sei mesi, e ammenda fino ad euro 2.000 anziché fino ad euro 413) e punisce “lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non ottempera, senza giustificato motivo, all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza del territorio dello Stato”. Non si può fare a meno di notare che la durezza delle pene ha subito posto in dottrina dubbi sulla legittimità costituzionale della disposizione de qua, in particolare per violazione dell’art. 3 Cost. se confrontata con la fattispecie generale ben più mite di cui all’art. 651 c.p. (che punisce il “Rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale”): infatti, quest’ultima contravvenzione è un reato comune punito alternativamente con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino ad euro 206 Appare opportuno osservare che l’indirizzo giurisprudenziale (ricordato anche dalla stessa Corte nella sentenza in esame) delle Sezioni Unite del 2003 (Cass. Sez. Unite, 29.10.2003, n. 45801, in Cass. pen. 2004, 776), la quale si è preoccupata di risolvere il contrasto giurisprudenziale in merito all’ambito di applicazione del termine “straniero” nella contravvenzione de qua, può continuare ad essere richiamata nonostante le modifiche apportate dalla legge n. 94/2009. In particolare, le Sezioni Unite erano state chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale, derivante da due contrapposti orientamenti circa la nozione di “straniero”: 1. secondo l’orientamento prevalente il reato di mancata esibizione da parte dello straniero, senza giustificato motivo, di passaporto o altro documento di identificazione, ovvero di permesso o carta di soggiorno era configurabile non solo a carico degli stranieri regolarmente entrati e soggiornanti in Italia, ma anche a carico di quelli entrati clandestinamente ed eventualmente sprovvisti di qualsiasi documento, salvo che costoro non avessero fornito la prova dell’avvenuta sottrazione o distruzione, per cause ad essi non imputabili, del documento precedentemente posseduto (fra le tante cfr. Cass. pen., Sez. I, 4.4.2003, Pasha, in C.E.D. Cass., n. 225328); 2. secondo un diverso orientamento, non integrava il reato previsto dall’art. 6 comma 3 t.u. immigrazione, la condotta dello straniero extracomunitario entrato clandestinamente nel territorio che non esibiva, a richiesta degli ufficiali o degli agenti di pubblica sicurezza, il passaporto o altro documento d’identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno (Cass. pen., Sez VI, 6.6.2003, Rrasa, in Dir. giust., 2003, n.32, p.135). 2 Le Sezioni Unite hanno accolto l’orientamento prevalente e hanno affermato che la disposizione in esame, equiparando tra loro (ai fini dell’integrazione del fatto tipico) il passaporto (o altro documento identificativo) e il permesso (o carta) di soggiorno esprimeva chiaramente la ratio della disposizione, vale a dire l’interesse dello Stato all’identificazione dei cittadini stranieri presenti nel territorio italiano, a prescindere quindi dalla loro regolarità; una finalità di pubblica sicurezza dove la pena criminale “mira a sanzionare la condotta del soggetto volta ad ostacolare, senza giustificato motivo, la sua compiuta e documentale identificazione da parte degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza”. Sulla base di tali argomentazioni, la Suprema Corte in quell’occasione ha avuto modo di affermare che la contravvenzione in esame si configurava sia se lo straniero, regolare o clandestino, non esibiva almeno uno di qualsiasi dei documenti previsti dall’art. 6 comma 3 d.lvo n. 286/1998 pur essendone in possesso; sia, altresì, se lo straniero essendo clandestino, non si sia munito preventivamente del passaporto o di altro documento di identificazione, e quindi non possa mostrarlo in presenza della richiesta di un agente di pubblica sicurezza. Le Sezioni Unite del 2003 concludevano la decisione indicando l’esatta funzione e ambito applicativo del requisito tipico della fattispecie, ossia la locuzione “senza giustificato motivo”, chiarendo che tale espressione non poteva consistere nella condizione di clandestinità dello straniero nel territorio dello Stato, poiché il concetto di “giustificato motivo” deve essere ricostruito caso per caso. Si è ritenuto, infatti, che nel caso concreto da giudicare non deve ricorrere alcuna circostanza, situazione, avvenimento, ecc. che giustifichi la mancata esibizione del documento da parte dello straniero, e dunque renda lecito un comportamento che viceversa (e normalmente) sarebbe penalmente sanzionato. Alla luce di quanto evidenziato e soprattutto della giurisprudenza delle Sezioni Unite, appare corretta la decisione del Supremo Collegio nell’aver annullato la sentenza impugnata: infatti, la condotta sanzionata dalla disposizione contenuta nell’art. 6 comma 3 d.lvo 286/1998 è integrata dal cittadino straniero, che si trovi regolarmente o no nel territorio dello Stato, il quale non abbia ottemperato all’ordine di esibizione degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza, senza giustificato motivo, del passaporto o di altro documento di identificazione, nonostante fosse fornito di tale documento pur avendolo lasciato nella propria abitazione. IL TESTO DELLA SENTENZA CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 gennaio 2010, n. 601 Fatto e Diritto Con sentenza del 5.12.07, il Tribunale di Bolzano, col rito dibattimentale di cui agli artt. 470 e segg. c.p.p., ha mandato assolto con la formula "perché il fatto non sussiste" (...) dal reato di cui all'art. 6 terzo comma del decreto legislativo 25.7.98 n. 286 (non avere, quale straniero extracomunitario, ottemperato alla richiesta del personale della Questura di Bolzano di esibire il documento di identificazione o di soggiorno). Il Tribunale ha ritenuto che la norma penale di cui sopra mirava a sanzionare la condotta del soggetto volta ad 3 ostacolare, senza giustificato motivo, la sua identificazione da parte degli agenti di p.g., si che soggetto attivo del reato poteva essere anche lo straniero che aveva fatto illegale ingresso nel territorio dello Stato; e, nei confronti di quest'ultimo, in considerazione della sua clandestinità, era da escludere che potesse esistere il permesso o la carta di soggiorno, atteso che, in tal caso, egli non sarebbe stato più straniero clandestino. L'imputato, cittadino extracomunitario di cittadinanza marocchina, era in possesso di regolare permesso di soggiorno, che però non aveva con sé al momento del controllo da parte del personale di polizia; il che non rilevava ai fini della ratio incriminatrice della norma anzidetta, la quale presupponeva una condotta volta ad ostacolare la propria compiuta identificazione e richiedeva un effettivo rifiuto d'indicazione della propria identità personale, nella specie non rilevato. Avverso detta sentenza il P.G, presso la Corte d'Appello di Trento ha proposto appello innanzi alla Corte d'Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, che, con sentenza del 23.4.09, ha respinto l'appello. Tale ultima sentenza della Corte d'Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, è stata impugnata dal P.G. presso la Corte d'Appello di Trento, che ha dedotto i seguenti due motivi di ricorso: 1) -violazione artt 192 e 581 c.p.p.: Secondo la Corte territoriale l'imputato aveva dimenticato a casa il permesso di soggiorno; nessun elemento era tuttavia mai emerso in tal senso nel corso del giudizio di primo grado; e sarebbe stato del tutto inconferente che l'imputato fosse stato extracomunitario clandestino, anzi tale ultima condizione avrebbe solo aggravato la posizione del soggetto, per essersi egli messo volontariamente in una condizione di illegalità. La norma aveva lo scopo di consentire una pronta identificazione del soggetto per ragioni di sicurezza pubblica; e nel caso in esame, la condotta dell'imputato aveva reso necessaria una ulteriore attività da parte dei pubblici ufficiali; il reato contestato era poi a consumazione istantanea, in quanto l'imputato aveva l'obbligo di portare con sé il permesso di soggiorno, ovvero, in alternativa, il documento di riconoscimento dello stato d'origine, per poterlo esibire in qualsiasi momento agli organi di polizia; 2) -violazione art. 6 comma terzo del decreto legislativo 286/98: La norma violata era stata interpretata in modo erroneo, in quanto il fatto che l'imputato avesse fornito le sue esatte generalità non escludeva che il medesimo non avesse esibito uno dei documenti previsti dalla norma (permesso di soggiorno o documento di riconoscimento), costringendo i pubblici ufficiali ad accompagnare l'imputato in Questura ed ad effettuare ricerche per la sua identificazione. Il fatto poi che l'imputato avesse a suo carico quattro condanne dello stesso tipo indicava poi che egli conoscesse perfettamente i suoi obblighi. La sentenza impugnata andava quindi annullata. I due motivi di ricorso proposti dal P.G, presso la Corte d'Appello di Trento, da trattare congiuntamente siccome strettamente correlati fra di loro, sono fondati. E' noto che, alla stregua della prevalente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. 29.10.03 n. 45801, rv, 226l02), il reato di cui all'art. 6 terzo comma del decreto legislativo 25.7.1998 n. 286, consistente nella mancata esibizione senza giustificato motivo, a richiesta degli ufficiali ed agenti di p.s., del passaporto o di altro documento di identificazione, è integrato dal cittadino straniero che si trovi, regolarmente o no, nel territorio dello Stato. Nella specie risulta che (...), cittadino extracomunitario di nazionalità marocchina, che pur era in possesso di regolare permesso di soggiorno, non aveva ottemperato all'invito rivoltogli dal personale della Questura di Bolzano di esibirlo, in quanto, al momento del controllo, (...) non aveva con sé tale documento, ovvero alcun altro documento dì riconoscimento. Contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, tale comportamento integra gli estremi del reato contestatogli, che è pertanto da ritenere consumato dall'(...) per il fatto stesso di avere circolato per la città di Bolzano senza avere con sé detto documento; e non ha alcun rilievo, ai fini della sussistenza del reato in questione, né che l'imputato abbia fornito le esatte sue generalità, né che era fornito di tale documento, pur avendolo lasciato nella sua abitazione. Da quanto sopra consegue l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio degli atti alla Corte d'Appello di Trento in diversa composizione, affinché rinnovi il processo a carico di (...), tenendo presente il principio di diritto sopra evidenziato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d'Appello di Brescia. 4