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EDITORIALE
A fronte della prevalenza delle 111 pagine di questo Aggiornamento, l’editoriale del Direttore Responsabile deve puntare ad agevolare la lettura e la consultazione di un insieme di indicazioni che riguardano direttamente una
quota cospicua di tossicodipendenti in trattamento. Fino a che punto il medico, lo psicologo, l’assistente sociale,
l’infermiere ed il restante personale ha l’obbligo di seguire l’andamento di una patologia che va trattata vita natural
durante? Nessuna categoria professionale può assumersi tutta la responsabilità clinica, in quanto più volte il testo
indica l’opportunità di un parere da parte di un “esperto”. Ma intanto vi è tutto un ampio spettro di fenomeni (basti
pensare agli effetti collaterali) per i quali esiste tutto un linguaggio ed in questo settore la partecipazione attiva da
parte dei malati è essenziale per ottenere un’adesione che le esperienze con le terapie anti-droga non prospettano
come ideale. Pertanto proprio allo scopo di utilizzare al meglio l’importantissimo contributo che gli esperti della
Commissione Nazionale ci offrono, questo editoriale metterà in risalto:
1) gli aspetti pratici collegati alle decisioni da adottare sul campo;
2) le caratteristiche dell’esperienza nella terapia delle condizioni associate con la tossicodipendenza;
3) i collegamenti fra le situazioni di ordinaria gestione della tossicodipendenza e le esigenze di una terapia antiretrovirale intensiva, essendo comunque la qualità della vita un obiettivo primario.
Altro aspetto che si evidenzia è la grande quantità di informazioni; a questo proposito il presente editoriale indicherà le pagine nelle quali il testo dell’aggiornamento entra in maggiori dettagli.
Tra questi approfondimenti acquistano particolare importanza la coinfezione con l’epatovirus (HCV), che è
pressoché universale, e la comorbidità con la tubercolosi che è sempre più frequente negli immigrati provenienti da
aree iperendemiche. Per ciò che riguarda la TBC si sottolinea di procedere prima alla terapia anti-tubercolare, quindi a quella anti-virale. Infatti il “recupero immunitario” prodotto dalla terapia antivirale riattiva una flogosi sistemica
che, nel caso di presenza di infezione tubercolare, produce solo danni, spesso polmonari.
Nella co-infezione con HCV invece è importante conoscere il genotipo, in quanto se il genotipo è 2 o 3 la prognosi è più favorevole mentre con 1 e 4 conviene utilizzare l’interferone e la ribovirina a dose bassa (interferone
peghilato). Nei casi di co-infezione con HBV se la terapia anti-retrovirale comprende farmaci attivi contro l’HBV va
monitorato il rischio di riattivazioni. Comunque il quadro pubblicato sulle caratteristiche dei pazienti per i quali si
pò considerare un trattamento dell’epatite cronica insieme a quello della gestione clinica prende in esame anche le
vaccinazioni anti HBV ed anti HAV. Per quanto si riferisce alla terapia in caso di cirrosi si elencano alcune avvertenze non essendovi ancora linee guida concordi e, quindi essendo necessari monitoraggi continui.
L’aumento della sopravvivenza determina una sempre maggiore frequenza di emodializzati fra i pazienti in trattamento antiretrovirale; da un punto di vista pratico i tempi di dialisi vanno correlati con gli orari delle posologie e
con i tempi di assorbimento.
Fino a che punto il successo delle HAART ha ridotto l’esigenza di una chemioprofilassi delle infezioni opportunistiche? Certo, molto dipende dai livelli di CD4 soprattutto quando superano stabilmente i 200 in via spontanea e
non solo per effetto della terapia anti-retrovirale. In quest’ultimo caso è opportuno proseguire nella chemioprofilassi; lo stesso dicasi per la chemioprevenzione dell’encefalite da Toxoplasma Gondii; vi sono effetti delle HAART non
HIV-correlati, in genere evidenti in vitro.
L’immunoricostituzione è un effetto che dipende dal successo iniziale della terapia con un trasferimento massivo
di linfociti dalla memoria alla periferia; il che può portare ad una slatentizzazione di infezioni ed accensione di una
patologia clinica “paradossa”; ciò accade sopratutto per le infezioni micobatteriche (tubercolosi e MAC) per le infezioni erpetiche (specie per l’Herpes Zooster).
Per quanto riguarda i tumori al Sarcoma di Kaposi ed ai Linfomi non Hodgkin (NHL) vanno aggiunti gli Hodgkin
e il carcinoma invasivo della cervice. Nel caso del SK la terapia HAART quando il quadro è ancora iniziale (T°) può
influire sul tumore mentre fra i nuovi antiblastici il TAX assicura una sopravvivenza fra gli 8 ed i 10 mesi. Nelle forme di SK allo stadio di T1 con neoplasia rapido-proliferante si deve fare ricorso alla chemioterapia con antracicline
liposomiali che costituiscono lo standard per il SK; invece il quadro terapeutico per i Linfomi NH è più complesso
nel senso che all’opportunità di un trattamento aggressivo fa riscontro il rischio legato alla infezione da HIV. Vi sono
però buone notizie derivanti da una recentissima ricerca sull’impiego di anticorpi monoclonali anti-CD20 (Rituximab) già dimostratisi validi per il trattamento dei linfomi in soggetti HIV-.
Nel caso dei tumori cervicali vi è un alto tasso di recidive e dal punto di vista istologico le lesioni sono più diffuse. Esiste la possibilità di associare uno o più chemioterapici ed HAART; fra gli effetti collaterali del trattamento
combinato c’è un aumento di morbosità legato al sistema nervoso parasimpatico: stipsi e dolori addominali. La
combinazione non dovrebbe comprendere farmaci mielotossici quali AZT e la tossicità acuta va sempre monitorata. Vi sono popolazioni speciali: nel caso italiano gli immigrati da Paesi africani nei quali l’HIV2 è il retro virus dominante e, pertanto vanno impiegati i test ELISA; va ricordato che nei confronti dei ceppi di HIV2 sono controindicati
i farmaci della classe NNRI. Spesso è difficile far comprendere la necessità di trattamento ai sieropositivi asintomatici e veniamo al capitolo relativo al trattamento anti-retrovirale dei tossicodipendenti, un gruppo quanto mai presente nel contesto italiano. La cocaina, così diffusa fra i pazienti in trattamento metadonico rappresenta uno degli osta-
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coli maggiori ad una adesione spontanea ai trattamenti; anche per tale duplice impegno possono prevalere fattori
di priorità e di urgenza, chiara essendo l’importanza di un consenso informato. Nei casi difficili piuttosto che sprecare farmaci HAART si potrebbe limitate l’intervento anti-HIV alla chemioprofilassi delle infezioni opportunistiche,
anche per valutare e sollecitare l’aderenza del paziente. Il dosaggio di metadone nei soggetti sotto NNRI va aumentato e comunque monitorato; in genere sono sufficienti aumenti intorno al 22%; non è possibile conoscere il dosaggio delle droghe da strada e, quindi, valutare quello del farmaco sostitutivo. Il monitoraggio dei sintomi astinenziali è quindi la guida sicura per una terapia efficace. Stiamo parlando anche di alcolisti che potrebbero utilizzare la
terapia avversiva: attenzione all’impiego di farmaci anti-retrovirali che, come il Ritonavir contengono alcol.
La doppia diagnosi è argomento quotidiano: l’HIV può agire direttamente a carico del SNC ma sopratutto contagia soggetti che per motivi sociali hanno anche fattori di rischio per patologie mentali. È appena il caso di segnalare come in questo gruppo la difficoltà di adesione alla terapia sia aumentata tanto da proporre di posticipare l’inizio della terapia anti-retrovirale a dopo il controllo dello psichiatra. Attenzione comunque ai neurolettici in quanto
l’encefalopatia da HIV può aumentare il rischio di effetti collaterali extra-piramidali (salvo che con i nuovi neurolettici come la clozapina, l’olanzapina ed il risperidone). Dal punto di vista delle controindicazioni l’unico farmaco da
non usare in associazione con gli IP è la pimozide. Si sottolinea tuttavia l’abuso di BDZ (Xanax, Halcion, Valium in
associazione con gli IP); la buprenorfina, invece non richiede alcuna modifica allo schema routinario quando assunta in concomitanza con gli HAART.
L’aumento delle concentrazioni ematiche degli antidepresivi triciclici impone una riduzione dei dosaggi: ma
questo non avviene con gli SSRI; in genere molti psicofarmaci aumentano le concentrazioni di antiretrovirali; invece
un antidepressivo piuttosto diffuso, cioè l’iperico (Erba di San Giovanni) può provocare la riduzione delle concentrazioni di anti-virali.
Molti farmaci anti-retrovirali hanno capacità di penetrazione nel SNC e, quindi, provocano sintomi psichiatri
quali la mania e la sedazione (AZT); l’insonnia è tipica della Didanosina e della Lamivudina; prevalgono i sintomi
depressivi.
I pazienti detenuti HIV+ vanno dalle 4.000 alle 5.000 unità (anche se i dati ufficiali sono più ridotti); la condotta
terapeutica va inserita in un quadro di educazione e responsabilizzazione per cure che, oltre a tutto, vanno proseguite dopo l’uscita dal carcere; la somministrazione dei farmaci sotto controllo de visu va riservata ai casi che la richiedono e mai imposta e non certo per motivi solo etici ma per assicurare un minimo controllo alla disseminazione intracarceraria dell’infezione; sono conclusi i tempi dello sfruttamento dei detenuti del famoso carcere di Lexington per sperimentazioni ad alto rischio in un contesto coercitivo. Il che non deve impedire che detenuti vengano inclusi in programmi sperimentali controllati.
La donna ha per motivi fisiologici una carica di HIV circolante minore e presenta una maggiore frequenza di effetti collaterali ai farmaci, ivi compresa l’alterazione nella distribuzione dell’adipe; le donne sono anche più soggette alle sindromi depressive. È sopratutto la gravidanza a richiedere interventi particolari, iniziando dalla profilassi
della trasmissione verticale, profilassi che va praticata indipendentemente dalle condizioni cliniche e virologiche.
Si prospettano quattro condizioni di gravidanza in donne HIV+:
- gestante mai trattata (naive): se la sierodiagnosi è recente si può attendere la 10ª-12ª settimana di gestazione
per iniziare la cura by-passando così la fase più critica per l’effetto teratogeno degli anti-virali;
- gestante in trattamento antiretrovirale, dopo il primo trimestre: dovrebbe continuarlo aggiungendo la zivudina
al cocktail del primo trimestre; si discute se possano configurarsi interruzioni nella logica del bilanciamento fra vantaggi della terapia e rischi teratogeni della medesima. Comunque, chiaramente, non vi sono rischi nella chemioprofilassi periparto;
- gestante in travaglio che non ha effettuato alcuna terapia: si prospettano 4 soluzioni dall’iniezione endovena di
ZDV al momento del parto con trattamento del neonato per 6 settimane, per optare su associazioni ZDV e 3TC per
os al momento del parto e per una settimana al neonato; è anche da considerarsi una dose singola di neviripina durante il travaglio con dose singola al neonato a 48 ore di vita; speciali precauzioni vanno adottate con gli IP per il rischio diabetogeno mentre non andrebbe usata l’associazione ddI e d4T.
Il monitoraggio della terapia antiretrovirale si basa su test di resistenza che non possono essere estesi anche ai
casi naive; il risultato della coorte italiana I.Co.N.A. mostra un rapporto inverso rispetto alla presenza di mutazioni
in pazienti naive interpretabili alla luce del rapporto genotipo-fenotipo. L’opportunità di avviare il trattamento nei
casi naive va collegata al parere di un esperto, suggerimento che viene ripetuto in altre circostanze; comunque per
la caraterizzazione del genotipo, attraverso tre sistemi di algoritmi interpretativi, è quanto mai utile la collaborazione fra infettivologo e virologo clinico.
Certo l’applicazione delle tecniche di monitoraggio terapeutico quali quelle che definiscono il quoziente inibitorio (IQ) richiede expertise e così dicasi per i test sulla fitness virale che richiederebbero non solo l’isolamento virale,
ma il successivo passaggio in linee di coltura cellulare per evidenziare in vitro un’azione sinciziogena.
Ai lettori che operano a contatto con sieropositivi in trattamento potrebbero essere utili indirizzi di esperti clinici
e virologici cui fare riferimento e, sopratutto conoscere il significato di sigle che imperversano nel settore dei farma-
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ci antiretrovirali. Intanto è bene fissare la classificazione delle categorie cliniche basate sui valori dei CD4 (>500,
200-499 <200), con A) asintomatici, B) sintomatici, C) infezioni opportunistiche o tumori indicativi di AIDS.
Viene pubblicato un prospetto prognostico di passaggio a patologie definenti l’AIDS a seconda dei valori dei
CD4 e della carica virale plasmatica.
La tab. 7 della Sezione “Quando iniziare la terapia antiretrovirale” dovrebbe essere alla portata di tutti gli operatori ed i pazienti; così dicasi per i principali criteri per l’inizio della terapia anti-retrovirale. Lo stesso vale per le principali caratteristiche dei regimi di HAART disponibili per l’impiego iniziale. Problemi clinici più complessi sono
quelli legati ai fallimenti immunologici, virologici e clinici oltre che per tossicità (al riguardo si consiglia di tenere a
portata di mano la tabella sugli eventi avversi della Sezione “Quando cambiare la terapia antiretrovirale”.
Una lettura di gruppo va consigliata per la parte riguardante la gestione di tossicità specifiche con evidenza per
l’iperlattiemia e per le patologie addominali legate all’acidosi lattica oltre che il monitoraggio della glicemia. La dislipidemia e le alterazioni della distribuzione dell’adipe sono fenomeni noti mentre la constatazione dei riflessi sulla
densità ossea meritano un aggiornamento (oltre a tutto siamo in un momento di invecchiamento della coorte di
HIV+).
Diverse sono le opzioni di modifica dovute a scarsa aderenza, a fallimento terapeutico od esigenze di semplificazione della posologia. Vengono distinti:
- il fallimento della prima linea con 2NRTI e PI;
- il fallimento della prima linea con 2NRTI e NNRTI;
- il fallimento della prima linea con 3NRTIs.
La terapia di salvataggio a cui si ricorre dopo fallimenti multipli non si propone il ripristino della funzione virulicida ma il mantenimento delle funzioni del sistema immunitario.
Il passaggio ai nuovi farmaci, gli inibitori della fusione, va accompagnato da almeno altri due farmaci.
Gli obiettivi della risoppressione della viremia sono tabellati, mentre successivamente si affronta il tema della interruzione del trattamento come forma di auto-vaccinazione sia nelle infezioni acute/precoci sia in quelle croniche
stabilizzate (anche se per queste ultime l’interruzione è quanto mai utile quando i parametri dei CD4 sono elevati
in partenza >700-800 e le cariche virali assai basse; da sconsigliarsi, invece, l’interruzione nelle infezioni croniche
con virus multiresistenti).
Per quanto riguarda la terapia alternante sembra che possa essere utile per ritardare un fallimento virologico.
La filosofia dei regimi di “induzione e mantenimento” non ha retto (induzione con 4 farmaci e mantenimento
con due). Studio ADAM ma anche TRILEGE e ACTG 343.
In genere non si raccomanda l’intensificazione salvo che per pazienti multitrattati in fallimento terapeutico con
l’aggiunta di uno o più medicinali che potenzino l’azione antivirale.
Attenzione alle interruzioni del trattamento nei pazienti con grave immunosoppressione in quanto può verificarsi una grave perdita di linfociti T.
Per quanto riguarda la fitness virale la sua riduzione si verifica a seguito di mutazioni quali la M184V associate a
resistenza verso la lamivudina e così dicasi per altre mutazioni che accompagnano resistenze.
Le risposte immunologiche e virologiche vanno:
- dalla risposta completa (riduzione del carico virale ed aumento dei CD4+);
- alla riduzione del solo carico virale senza aumento dei CD4;
- alla risposta virologica solo parziale con incremento dei CD4+.
Il fallimento terapeutico si ha quando mancano risposte immunologiche e virologiche; va però ricordato che
una ripresa dei CD4 si può osservare anche a distanza di 3-4 anni dall’inizio della terapia antiretrovirale.
Sono due le fasi dell’immunoricostituzione:
- la prima a tempi rapidi deriva dalla mobilizzazione del pool di linfociti in memoria dalle riserve (nelle quali
erano intrappolati dalla replicazione virale) al circolo;
- la seconda è dovuta alla ripopolazione da parte delle cellule naive ed è, in genere, di modesta entità.
Quando intervenire con terapie immunomodulanti?
L’immunostimolazione si basa sull’impiego dell’interleuchina 2 che nel corso dell’infezione risulta notevolmente
ridotta: lo schema posologico della Proleukin riesce ad elevare i livelli di CD4.
La vaccinazione terapeutica, in teoria, si basa su proteine o porzioni genetiche dei virus che dovrebbero bloccare il virus mediante anticorpi neutralizzanti od impedirne la replicazione (antagonisti dei geni strutturali up regolatori, tat, nef, gag, pol, rev).
Fra le problematiche cliniche specifiche, la Profilassi post-esposizione (PPE) non riguarda solo gli operatori sanitari ma anche altri soggetti come i vigili del fuoco, le guardie carcerarie, le forze dell’ordine; sono sopratutto le ultime due categorie ad essere esposte alla minaccia di materiali ematici (come negli anni ruggenti della tubercolosi
avveniva per le sputacchiere manovrate a mò di bomba). La chemioprofilassi va attuata al più presto e comunque
entro le 72 ore con uno schema di tre farmaci evitando l’impiego della noviparina in quanto può provocare gravi
forme di ipersensibilità, di rabdomiolisi e di epatotossicità.
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I test sierologici di controllo vanno effettuati a tempo zero, a sei settimane, a 3 e 6 mesi; è sconsigliato il ricorso
a test biomolecolari per una diagnosi precoce di infezione da HIV; si ricorda che in tutti i casi sottoposti a PPE va
effettuata apposita segnalazione al Centro di Coordinamento Profilassi Post Esposizione-Dipartimento di Epidemiologia dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani. Le schede di segnalazione possono essere acquisite sul sito: http://www.inmi.it/ItaHome.html
Sarebbe anche il caso di intensificare l’informazione/educazione nei confronti del personale ma anche dei familiari e dei visitatori; il rifiuto di trasportare infetti da HIV su autoambulanze non è giustificato da rischi effettivi e
rientra nello stigma paranoico nei confronti della malattia. Oggi forse la percezione del pericolo di contagio per
semplice contatto personale non è più così paralizzante ma tuttora nelle Nursing Homes tipo Hospices, che ammettono anche malati terminali di AIDS, ci si lamenta della difficoltà di applicare le rigide norme cemeteriali che
impediscono un accompagnamento “sociale” dei defunti secondo le tradizioni di queste istituzioni.
Attualmente il numero degli infanti e degli adolescenti infetti è nettamente diminuito ma rimane il problema dei
tempi di avvio e di mantenimento dell’ART; certo il timo infantile consente di produrre linfociti CD4, ma il blocco
della replicazione virale avviene con maggiore ritardo e nei primi mesi di vita la carica virale è massima. Le indicazioni nei lattanti differiscono da quelle nel primo anno di vita. In genere le complicanze, sopratutto quelle metaboliche, sono frequenti anche in periodo infantile-adolescenziale.
Infine per i Paesi in via di sviluppo l’OMS porta avanti il programma ambizioso 3x5 cioè tre milioni di infetti in
trattamento per il 2005. Dal punto di vista pratico laddove sia possibile la fenotipizzazione linfocitaria il trattamento
va iniziato a valori di CD4 inferiori a 200. Altrimenti si può tener conto del numero assoluto di linfociti inferiore a
1200/µL.
Altri aspetti non compresi negli aggiornamenti riguardano:
a) la non corrispondenza fra carica virale HCVRNA ed andamento clinico in risposta all’HAART; è assai probabile che la immunoricostituzione provochi la messa in circolo di virioni provenienti da cellule infette distrutte dalla
terapia. È pertanto possibile che l’effetto positivo dell’HAART sulle epatopatie derivi dalla maggiore sopravvivenza
legata al controllo delle patologie opportuniste;
b) associando il ritonavir ad IP si produce un effetto booster in quanto si “lavora” a livello del sistema P-450; se
tre farmaci associati hanno maggiore efficacia di due non è detto che sommando un quarto si ottenga un effetto migliore.
Rimane sempre il problema dell’adesione agli schemi terapeutici specie se sono concordati e monitorati e chi ha
assistito alle feroci polemiche contro la zivudina somministrata ai neonati da donne sieropositive ed alla promozione culturale di P. Duisberg può constatare come il settore sia oggi caratterizzato da una stretta adesione ai canoni
della medicina dell’evidenza. Il lavoro fatto dalla Commisione ministeriale merita un plauso per completezza, rigore
e concreta possibilità di aggiornamento.
Questo numero va tenuto in evidenza in modo da poter essere consultato “al bisogno” e l’augurio, più che il rituale “buona lettura”, è quello di “buona evidenza”.
Carlo Vetere
Direttore Responsabile
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